Dizionario dell'animazione /3
Mario Pollo
(NPG 1985-10-47)
LE STRUTTURE DI BASE NELLA COSTRUZIONE DELL'IDENTITÀ
Uno dei misteri che costellano l'esperienza dell'uomo autocosciente è quello che riguarda il suo sentirsi persona autonoma, diversa e separata ed allo stesso tempo dipendente, simile ed unita agli altri uomini ed alla natura.
In questa esperienza si esprime l'identità umana, personale e sociale.
Integrazione fra «separarsi da» e «riconoscersi in»
Perché l'identità possa manifestarsi, è necessario che l'uomo acquisisca prima la capacità di riconoscere la propria separata diversità di individuo e, poi, riconquisti il senso della propria unità con il tutto del mondo in cui vive.
La capacità di riconoscere la propria diversità implica che l'uomo percepisca se stesso come un tutto unitario, al di là delle differenze fisiche e psicologiche che egli esprime nel corso della sua esistenza.
È una banale costatazione l'affermazione che l'uomo da bambino è diverso dallo stesso uomo da adulto, anche se egli si percepisce come la medesima persona.
La capacità di cogliere l'unità di se stessi, al di là di ciò che appare nei vari frammenti di tempo che scandiscono la storia della vita umana, è ciò che sostanzia il riconoscimento della propria diversità dagli altri uomini e dal mondo in cui si vive.
L'identità personale è questo continuo farsi e disfarsi dell'equilibrio tra il riconoscersi uguali a se stessi e diversi dagli altri, al di là di tutte le trasformazioni che mettono in crisi l'uguaglianza con se stessi e la propria diversità dagli altri.
Ogni giorno qualcosa fa sentire di essere differenti da ieri, fisicamente e psicologicamente, e viceversa di essere più simili a qualche altro uomo.
Integrazione fra coscienza e inconscio personale
Eppure, nonostante questo, la propria identità rimane salda e si rafforza, almeno se si è in buone condizioni di salute psichica.
Come ho affermato nel precedente articolo (cf NPG 1985/9), il fulcro dell'identità umana è costituito dalla coscienza e si fonda sullo sviluppo di quella dimensione della personalità chiamata «Io».
Tuttavia l'identità umana non si esaurisce nello sviluppo della coscienza e, quindi, a livello dell'Io.
La coscienza, infatti, riesce a fornire all'uomo gli strumenti necessari al riconoscimento della propria diversità e della propria solidarietà con il mondo e con gli altri, solo a livello logico-razionale. A questo livello si riesce ad amare l'umanità in generale, ma non il proprio vicino, magari antipatico.
Il sentimento profondo della propria appartenenza alla natura, del proprio legame mistico con gli altri uomini, contemporanei e non, nasce ad un livello più profondo ed arcaico della personalità umana. In quella parte, cioè, che dagli psicologi viene detta inconscio. Le profonde energie della solidarietà umana, dell'amore e dell'armonia tra se stessi ed il tutto, sono generate in quella zona dove l'anima umana è mistero a se stessa.
È chiaro che senza Io e senza coscienza non esiste identità. È però altrettanto chiaro che una identità priva delle risonanze profonde dell'inconscio produce solo una sorta di narcisismo razionalistico e una ipertrofia dell'individualità portatrice di un senso di estraneità rispetto al mondo.
La storia della vita umana segue un andamento circolare.
Essa inizia, infatti, con la dolorosa conquista del frutto dell'albero della conoscenza - la coscienza - che emancipa l'uomo dalla appartenenza indifferenziata al mondo, per finire con la mistica riconquista dell'unità perduta con il tutto, senza però dover più rinunciare alla propria individualità cosciente.
L'uomo cacciato dal giardino dell'Eden per aver mangiato il frutto della conoscenza, può ritornarvi alla fine della sua vita; solo però se sarà stato capace di ricomporre, ad un livello più alto, quell'unità tra se stesso ed il tutto che la conquista della coscienza ha rotto.
Integrazione fra pensiero logico-razionale e pensiero simbolico
L'identità personale fondata sul solo Io cosciente, anche se è il primo ed il più importante passo, non esaurisce il cammino che l'animazione propone quando afferma di voler abilitare il giovane ad accogliere e conquistare la propria identità personale all'interno della cultura.
La conquista dell'identità inizia solamente con la conquista della coscienza e con il rafforzamento dell'Io.
La vera identità umana, importantissima in questo tempo di frammentazione, di perdita di radici, di narcisismo dilagante, di valori effimeri e di proposte di senso della vita deboli, è quella che si fonda, oltre che sulla differenza e sul pensiero logico razionale, proprio della coscienza, anche sulla unità generata dal pensiero simbolico dell'inconscio, individuale e collettivo.
Il pensiero simbolico è quello che si esercita tra i rimandi e le suggestioni di quei «di più» di significato che debordano dal senso letterale delle parole, delle immagini e dei segni in genere che disegnano la vita di ogni giorno.
Il pensiero simbolico è la musica che cerca di incantare l'essere umano autocosciente, per ricondurlo alla patria da cui proviene: l'unione indivisa con il tutto.
La coscienza e il linguaggio razionale sono invece le orde che lo tengono legato all'albero maestro della vita e gli impediscono di andare a infrangersi sugli scogli della distruzione.
L'identità si gioca all'interno del conflitto creativo tra questi due linguaggi, tra questi due approcci alla realtà.
Sopprimerne uno significa o aprire le porte alla follia dell'autodistruzione, oppure una vita arida nel mondo immaginario riprodotto dallo specchio di Narciso.
L'animazione vuole offrire il suo contributo alla costruzione di questa identità, forte e profonda, attraverso la proposta del centro esistenziale.
ABILITAZIONE A COSTRUIRSI COME CENTRO ESISTENZIALE
Il centro esistenziale è la metafora educativa dell'antichissimo simbolo del centro del mondo.
In tutte le culture arcaiche, in ogni parte del mondo, esisteva un luogo dello spazio, sacro per eccellenza, che veniva ritenuto essere il centro del mondo.
Un luogo, cioè, in cui il cielo, la terra e gli inferi, che a quel tempo erano ritenute essere le tre dimensioni che costituivano il cosmo, entravano reciprocamente in contatto.
Cielo, terra ed inferi erano normalmente negli altri luoghi dello spazio nettamente e rigidamente separati tra di loro.
Il fatto che queste tre dimensioni nel centro del mondo, invece, diventassero intercomunicanti, rendeva possibile ad alcune persone iniziate, solitamente degli sciamani, di salire al cielo o discendere agli inferi ed alla fine di ritornare sulla terra.
Di solito, per facilitare la salita al cielo dell'iniziato, il centro del mondo era costituito da una montagna, da un albero, da un tempio o anche da una semplice scala.
Il simbolo del centro e il mondo interiore dell'individuo
Questo simbolismo, al di là dei sorrisi di sufficienza che può suscitare nel navigato lettore moderno, è estremamente importante perché può essere interpretato come la proiezione esterna del mondo psichico interiore dell'uomo primitivo.
Il cielo può essere, infatti, letto come la dimensione trascendente, la fessura dell'eterno e del divino, nella natura umana.
La terra, invece, può essere considerata come la ragione, la coscienza e come tutto ciò che consente all'uomo di sopravvivere e di evolvere nello spazio-tempo del mondo.
Gli inferi, infine, sono il luogo dove abitano i fantasmi, i demoni e tutti i nomi delle paure e delle angosce che segnano, con la loro presenza inquietante, la vita notturna e diurna dell'uomo.
In parole più semplici, il cielo è il trascendente, la terra il mondo della coscienza e della ragione, e gli inferi il mondo ctonio dell'inconscio e dell'arazionale.
Attraverso il centro del mondo l'uomo arcaico entrava in contatto con la totalità del suo essere. Con la mediazione dello sciamano, formato a questo compito dall'iniziazione, dialogava con il suo inconscio e apriva il suo essere terreno al mistero del trascendente; restando però sempre solidamente ancorato alla terra della ragione autocosciente.
Egli infatti sapeva che se fosse disceso, lui il non iniziato, agli inferi, sarebbe morto o caduto in preda alla pazzia.
L'esperienza di incontro del proprio inconscio, se non controllata, è solitamente distruttiva per l'essere umano.
Il contributo dell'animazione
Partendo da questa suggestione, l'animazione vuole aiutare il giovane a creare, nella sua vita quotidiana, un centro esistenziale che ripercorra, con il linguaggio e le conoscenze dell'oggi, la arcaica esperienza del centro sacro del mondo.
Il centro esistenziale dovrebbe consentire al giovane di fare esperienza della totalità della propria psiche, di entrare cioè in un contatto creativo e vivificante con l'inconscio, individuale e collettivo, di aprirsi alla trascendenza e nello stesso tempo di espandere il dominio della propria coscienza e, quindi, della propria capacità di comprensione razionale del mondo.
L'animazione può contribuire alla creazione di questo centro esistenziale con il lavoro indirizzato a sviluppare la coscienza del giovane, il suo rapporto con la cultura sociale e la solidarietà con gli altri uomini e la natura.
Lo strumento principale di questa azione è costituito dal linguaggio, inserito in una esperienza esistenzialmente significativa di gruppo. È noto, infatti, che il linguaggio è il sostengo della esperienza cosciente, oltre che il fondamento di ogni cultura umana e di ogni esperienza di accesso, da parte dell'uomo, alla zona di mistero della propria persona.
In altre parole, il linguaggio è la scala che l'essere umano ha a disposizione per esplorare le profondità del proprio inconscio, individuale e collettivo, e per salire al cielo attraverso la contemplazione e la preghiera.
Il centro esistenziale abita un santuario nel tempo
Il linguaggio esercita questa funzione anche laddove, come nell'esperienza mistica, si fa silenzio.
Il silenzio non generato dal linguaggio, infatti, è privo della capacità di evocare significati. Perché il silenzio sia veramente evocativo è necessario che esso sia uno spazio vuoto, un'assenza ritagliata dal linguaggio che ne segna anche il confine. Il linguaggio è come il segno di una matita che crea uno spazio vuoto, che ha senso solo se inserito in un disegno più ampio. Solo se nasce dal linguaggio, il silenzio può divenire il luogo della esperienza dei significati primi e ultimi della vita umana.
Fare centro significa ricavare nella propria vita un santuario del tempo. Ricavare, cioè, dei momenti in cui le leggi della faticosa sopravvivenza, delle ferree necessità, della lotta sono sospese, e l'uomo può prendere cura, integralmente, del proprio essere.
Costruirsi un santuario nel tempo significa manifestare la capacità di rendere attuale, nella propria vita, l'ultimo dono che Dio nel corso della creazione fece all'uomo: il Sabato.
Il centro esistenziale per l'uomo contemporaneo. collocato all'interno di un itinerario di salvezza lungo la storia, non è più un luogo dello spazio, bensì un luogo del tempo.
Il centro della vita non abita più lo spazio dell'uomo ma il suo tempo.
In questo tempo, anch'esso sacro come il centro del mondo, è possibile attraverso il linguaggio, rigenerato nei suoi significati più profondi, portare avanti la ricerca della totalità nella persona e nella vita umana.
LA CRESCITA DELLA PERSONA VERSO LA TOTALITÀ
Il termine totalità, che sinora ho già usato diverse volte, sta ad indicare una vita psichica unificata, in cui coscienza ed inconscio sono entrambi integrati e, quindi, una personalità ricca e creativa. Una personalità, cioè, che possiede una coscienza di sé che conosce la propria relatività e che è, perciò, in grado di essere autocritica e di tendere alla verità ed alla oggettività.
Una personalità che ha il proprio centro nel Sé, come insieme di Io cosciente ed inconscio della psiche, e sa utilizzare tutta l'energia creativa, tutti i valori ed i messaggi che le provengono dall'inconscio, senza per questo rinunciare alla propria libertà cosciente.
È provato che il centrarsi della psiche intorno al Sé genera una persona umana ben integrata, in grado di percepire la realtà in modo ordinato e coerente, di superare il senso di effimero e di transitorietà legato all'Io e, infine, di percepire in modo vivido ciò che rende l'uomo «fatto ad immagine e somiglianza di Dio».
L'identità piena e forte l'uomo la raggiunge solo a questo livello di formazione della personalità, di solito nella seconda metà della propria vita.
Tuttavia questa ricerca interessa anche il giovane adolescente, proteso verso la solidificazione e l'espansione della propria coscienza e del proprio potere sulla realtà.
Ciò perché la ricerca della totalità presuppone la formazione di, un solido Io e di una adeguata libertà cosciente.
Si può affermare che il, consolidamento della coscienza è una tappa intermedia, nel percorso circolare che conduce l'uomo ad una rinnovata unità con il tutto. Lo stesso processo di espansione della coscienza viene potenziato dall'obiettivo, cronologicamente successivo, della totalità.
Esso, infatti, evita che l'io si inflazioni e diventi il luogo di quell'emergente narcisismo che, per tanti versi, segna la società odierna.
L'adolescente deve poi sapere che la formazione della sua personalità non si esaurisce con la cosiddetta maturità, ma prosegue per tutta la sua, si spera lunga, esistenza.
Deve sapere, cioè, che una vita è ben spesa solo se arriva, alla fine, a chiudere il ciclo che ho prima descritto.
Fare proprio il linguaggio dei simboli per aprirsi alla totalità
Come ho più volte ricordato, il linguaggio può parlare l'arcana lingua della totalità solo ad una condizione: facendo posto ai significati simbolici.
Per fare posto ai significati simbolici, il linguaggio deve riappropriarsi della capacità di esprimere e di produrre simboli, immagini e di decodificare i miti che pervadono quasi tutti i racconti e le espressioni artistiche della esistenza umana.
Il linguaggio deve, cioè, riaprirsi a quei significati nascosti che solitamente sono embricati all'interno delle singole parole, dei singoli segni e delle narrazioni di ogni tipo. Significa, ad esempio, scoprire che la parola «acqua» non significa solo H20 - l'oggetto acqua -, ma anche che risveglia nel profondo della psiche i significati dell'esperienza del magma primordiale (la madre), in cui era immerso l'uomo prima di emergere alla coscienza ed alla storia.
Significa, poi, scoprire che il dramma di Amleto parla di antiche storie sul rapporto tempo-universo-uomo e non solo dei tormenti di una coscienza nevroticamente assillata dal dubbio.
Infatti, questo dramma è così suggestivo perché, sotto la forma artisticamente perfetta prodotta da Shakespeare, risuona uno dei più antichi miti dell'umanità. Quello che cerca di dare risposta al legame misterioso che esiste tra il tempo, la vita umana ed il cosmo. La tragedia di Amleto racconta una storia sul mistero del tempo, basta saperla leggere. Ma, anche se non la si sa leggere, questa storia segreta affascina ugualmente perché, eludendo la coscienza, essa parla direttamente all'inconscio collettivo di ogni persona che assiste alla sua rappresentazione.
Apprendere o sottrarre il linguaggio alla vacuità
La riscoperta dei significati nascosti delle parole non deve fermarsi solamente ai simboli ed ai miti, ma deve andare oltre. Deve varcare la frontiera della separazione tra linguaggio e realtà, per giungere al luogo dove le parole manifestano il loro potere sulle cose.
È necessario che l'animazione metta in condizione il giovane di sfuggire alla vacuità dei linguaggi contemporanei, che isolano dalla realtà, di riscoprire che le parole sono il reale che emerge alla coscienza ed il cui ordinamento consente non solo di subire, ma di progettare la propria vita con maggiore libertà.
Il progetto di se stessi diventa operante quando si padroneggiano, attraverso i linguaggi umani, i nomi, l'essenza cioè, della realtà.
È sempre stato il sogno di maghi e di cabalisti quello di trovare il nome segreto delle cose per poter avere potere su di esse.
Non è necessario però, essere maghi, basta riappropriarsi della capacità di parlare solo per nominare cose reali, non importa se oggetti o concetti. È sufficiente sottrarre il linguaggio alla vacuità ed alla futilità dei discorsi che non rimandano ad altro che non a se stessi.
Anche questo fa parte della costruzione dell'identità. Infatti la costruzione dell'identità, nel giovane, avviene in concomitanza con il raggiungimento del possesso soddisfacente dei linguaggi che la cultura sociale gli mette a disposizione per controllare e, quindi, per esercitare un rapporto autonomo con la realtà.
In un contesto fortemente coinvolgente: il piccolo gruppo
Perché il linguaggio possa divenire veramente un fattore dello sviluppo della coscienza e della identità del giovane è, però, necessario che il suo apprendimento sia reso esistenzialmente significativo da una esperienza relazionale umana fortemente coinvolgente.
Questo tipo di esperienza può avvenire, come si è visto nei quaderni dell'animatore, all'interno di un piccolo gruppo.[1] È risaputo, ad esempio, che i simboli per svelare qualcosa di sé devono essere inseriti in un rito collettivo di gruppo.
Allo stesso modo, perché le parole siano il vero nome delle cose, è necessario che il racconto della loro storia avvenga in un gruppo ed in una tradizione che fornisca loro la memoria collettiva.
Infine, perché l'esperienza di solidarietà sociale sia compresa come espressione della riconquista da parte dell'individuo della partecipazione mistica alla totalità, è necessario che il gruppo offra al giovane sia l'esperienza di regressione verso la totalità indivisa di un collettivo massificato, sia la successiva conquista, quasi sempre dolorosa, di un nuovo rapporto sociale fondato sulla non soppressione della libertà, dell'autonomia, della diversità e, quindi, della coscienza individuale.
CONCLUSIONE
L'identità è un processo complesso che scandisce il realizzarsi del progetto di sé del giovane, anche se questi, naturalmente, non si esaurisce nell'identità.
Ogni progetto d'uomo, infatti, contiene l'identità ma, come si è visto, molte altre dimensioni della persona umana.
È chiaro, però, che la realizzazione del progetto d'uomo che l'animazione propone richiede la costruzione di un tipo di identità come quella che, per suggestioni, ho tentato di descrivere.
Tuttavia sarebbe sbagliato pensare che la formazione del giovane proposta dall'animazione si esaurisca nella costruzione dell'identità.
L'identità è forse uno problemi centrali del mondo giovanile, perciò interpella con urgenza la responsabilità degli educatori.
Nonostante questo, però, è necessario che il problema dell'identità del giovane oggi sia collocato, armonicamente, all'interno di un progetto educativo più vasto, quale quello proposto dall'animazione e descritto nella voce «progetto» del Dizionario (cf NPG 1985/9).
Concludendo si può affermare che l'identità, del tipo che ho descritto, consente al giovane di collocarsi all'interno di una storia e di vivere in un universo rispetto al quale la sua vita ha un senso.
NOTE
[1] Mario Pollo, Il gruppo come luogo di comunicazione, n. 16 de «I quaderni dell'animatore», LDC Torino 1985.