Luis A. Gallo
(NPG 1986-05-27)
Mi si chiede di esprimere il mio punto di vista nei confronti del documento redazionale, che esprime il cammino di riflessione compiuto da Note di pastorale giovanile sulle tematiche del senso, come via privilegiata per la maturazione personale e per la stessa esperienza di fede dei giovani.
La richiesta fattami (e la mia risposta) non sono neutrali, dal momento che la mia sensibilità (in parte diversa da quella italiana, data la mia estrazione latino-americana) mi porta a reagire davanti ai problemi pastorali da una diversa prospettiva, per via dell'attenzione prestata alle problematiche proprie ai popoli di quel continente.
Nella convinzione però che questo intervento solleciti la pastorale giovanile ad un arricchimento di prospettive e di orientamenti all'azione.
POPOLI RICCHI, POPOLI POVERI: LA VERA QUESTIONE-ASSE
La «questione-asse», come è stata chiamata, alla quale ha voluto venire incontro l'impegno della pastorale giovanile italiana, è quella della problematicità con cui i giovani suoi destinatari o referenti vivono oggi in genere il senso della vita. Una problematicità che condividono con i giovani degli altri paesi del mondo chiamato occidentale. E' innegabile che il processo di profondo cambiamento culturale innescato negli ultimi decenni in questi paesi ha portato all'instaurarsi e diffondersi di questa perdita del senso - forse sarebbe meglio dire del «gusto» - della vita che non interessa solo i giovani, ma anche le altre fasce della società occidentale. Molti europei, diceva in una interessante lettera il teologo brasiliano C. Boff dopo essere stato parecchi mesi da queste parti, hanno la faccia di chi ha mangiato senza aver trovato nessun gusto nel farlo (cf Il Regno. Attualità 523/1985, 4/54). Risulta realmente paradossale che lo straordinario progresso scientifico-tecnico verificatosi in forma crescente e accelerata da un tempo a questa parte abbia avuto questi effetti. Di per sé, infatti, esso costituisce una magnifica opportunità per la crescita in umanità, ma è andato a sfociare, per motivi di diverso ordine, in questa crisi del senso.
I giovani poi ne sono una cassa di risonanza del tutto particolare, appunto perché hanno delle antenne speciali per cogliere quanto avviene nella storia. Le manifestazioni di questa crisi tra i giovani italiani sono palesi. Non c'è bisogno di stare a ricordarle nuovamente. Tanto più che sono state già fatte ripetutamente oggetto di accurata analisi da parte degli operatori della pastorale giovanile.
Ciò che alle volte viene dimenticato è... che il mondo non finisce coll'Occidente sempre più ricco e benestante! La diversità di situazione tra il Nord e il Sud dell'umanità non è solo un tema da dibattere; è anche e soprattutto una realtà. Una realtà molto cruda e scottante. Tanto più scottante in quanto non si tratta solo di diversità, ma anche di una diversità a carattere conflittuale.
Le diverse conseguenze del progresso
Tale diversità viene data, come è risaputo, dalle differenti ripercussioni che l'andamento del suaccennato progresso ha nelle due zone del mondo. Mentre infatti nel Nord esso produce quell'abbondanza e benessere di cui si è parlato, con tutte le conseguenze positive e negative che possono avere, nel Sud la situazione di estrema e inumana povertà si acuisce sempre più. E questo non è una declamazione destinata a commuovere i cuori e magari a scuotere le tasche, ma una constatazione che documentano le statistiche più oggettive. Basta affacciarsi ad esse per averne una irrefutabile conferma.
Il carattere conflittuale di questa diversità viene determinato dal fatto che, come ha sottolineato papa Giovanni Paolo II nel suo recente messaggio in occasione della XIX giornata mondiale per la pace (cf L'Osservatore Romano, tabloid, 14-12-85), i paesi del Nord provocano la povertà di quelli del Sud (e anche qui sono le statistiche più oggettive ad appoggiare una denuncia del genere). Questa povertà provocata e inflitta è tanto più grave in quanto genera una colossale forma di esclusione e di emarginazione: i popoli poveri - e i singoli gruppi e individui al loro interno - vengono tagliati fuori dalla possibilità di esser soggetti delle loro decisioni, dal momento che queste vengono imposte loro attraverso mille forme diverse dal di fuori. Vengono così spogliati dalla loro dignità, da quella dignità che consiste, come diceva il Vaticano II, nell'«agire di propria iniziativa, esercitando la propria responsabile libertà» (D.H. 1a). Si crea in tale modo un conflitto di proporzioni gigantesche, come risultato del quale la stragrande maggioranza dell'umanità viene privata di quella soggettività che è uno dei più positivi e sentiti risultati del processo culturale avvenuto da qualche secolo in qua. In altre parole, per via di questo conflitto alcuni relativamente pochi - nell'umanità hanno accesso alla soggettività, personale e collettiva, impedendo ai molti restanti di averlo. Peggio ancora, hanno questa possibilità mercé tale impedimento. Si potrebbe dire, parafrasando quanto è stato affermato in altro contesto, che la diminuzione di opportunità di appropriarsi della propria dignità nelle maggioranze, è il risultato della crescita di tale opportunità nelle minoranze (cf Metz J.B., Al di là della religione borghese).
Quali ripercussioni sui giovani?
Ora, una simile situazione ha delle ripercussioni molto diverse sui giovani dei due mondi. Mentre nei giovani del Nord provoca quella crisi del senso della vita di cui si è detto, nella stragrande maggioranza dei giovani del Sud genera invece il bisogno della lotta per la sopravvivenza. E' vero che in alcuni di essi, di quelli cioè che fanno parte dei piccoli gruppi di privilegiati economicamente (e di conseguenza di solito anche socialmente, politicamente e culturalmente), la crisi di senso si fa anche spesso presente; è vero pure che in alcuni altri, per via di quella «colonizzazione culturale» occidentale così fortemente operante soprattutto attraverso la manipolazione dei mezzi di comunicazione sociale, tale crisi arriva ad avere alcune ripercussioni; ma la stragrande maggioranza vive altre urgenze che sono, come si diceva sopra, quelle della sopravvivenza. Una sopravvivenza che in alcuni casi è commisurata al bisogno del pane per sfamarsi, ma che nella maggioranza dei casi si allarga al bisogno di riconoscimento della propria dignità, a cominciare da quella più elementare. Si potrebbe dire: alla ricerca di uno spazio per la propria soggettività. L'interessante del caso è che tale esigenza fa sì che questi giovani si aprano generalmente alla ricerca comune. Perché una convinzione di fondo li muove: non si può combattere da soli questa battaglia, non si può pensare solo a sé, o al solo piccolo gruppo familiare o sociale, bisogna pensare alla sopravvivenza e alla dignità di tutti, alla soggettività solidale e condivisa.
Si potrebbe dire, se si vuole esprimere le cose con la terminologia propria della situazione occidentale, che questi giovani del mondo povero perché impoverito trovano spontaneamente il senso della vita in questa lotta per la vita di tutti, nell'ambito della quale c'è anche spazio per la loro. Non è che ci debbano pensare, che debbano rifletterci a lungo. Le circostanze li costringono quasi a impostare così la loro vita, e nel farlo trovano anche la ragione del loro vivere e perfino, in molti casi, la gioia del vivere e addirittura del morire. Non solo, si sta anche aprendo strada sempre più fortemente la convinzione, grazie alla presa di coscienza delle vere cause della loro situazione di povertà, del bisogno di un impegno a livello mondiale. Precisamente perché si stanno aprendo gli occhi nei riguardi del conflitto Nord-Sud. Lottare per la propria sopravvivenza e per la propria dignità sta apparendo, ai loro occhi, un'impresa di portata mondiale, benché vissuta poi concretamente a livello locale. In realtà, tutta l'impostazione della conosciuta linea liberatrice dell'America Latina va in questa direzione. Essa vuole trasformare la situazione di povertà massiccia e inumana dei popoli del continente, e perciò pone una questione strutturale di portata mondiale (cf Documento di Puebla).
In poche parole, quanto è stato detto si potrebbe sintetizzare così: i giovani del Nord, ricco e benestante, dell'umanità (al quale appartiene a modo suo anche l'Italia) risentono l'influsso della situazione come crisi del senso della vita; quelli del Sud impoverito e sfruttato lo risentono invece come una sollecitazione alla ricerca solidale di sopravvivenza e dignità.
DUE DIVERSE IMPOSTAZIONI
Che le impostazioni della pastorale giovanile siano segnate da questa diversità e attenzione alla condizione concreta dei suoi destinatari e non da una semplice applicazione di principi astratti, è cosa che fa onore ai suoi operatori. Quale sia l'impostazione globale di quella italiana è ben conosciuto da coloro che l'hanno seguita nell'itinerario rispecchiato su questa rivista. Forse meno da loro conosciuta è quella dell'altra parte del mondo. Solo a titolo d'informazione generale dirò qualcosa su quella latino-americana, come l'ho appresa sia dal contatto con alcune esperienze, sia dai sussidi elaborati a questo scopo (per es. le proposte del Celam, di J. Boran, di J. Andres Vela, ecc.).
Si può dire che, sulla linea tracciata da Medellin e Puebla, questa pastorale ha come matrice l'opzione preferenziale per i poveri, e cioè per quelle immense moltitudini di uomini e donne la cui dignità è calpestata e negata di fatto, per quei «non-uomini» che nel continente (e sono la stragrande maggioranza) soffrono il peso dell'emarginazione economica, sociale, politica e culturale. Infatti, a Puebla, dove è stato affrontato espressamente il tema dei giovani (nn. 1166-1205), l'opzione preferenziale per essi viene fatta nel capitolo seguente a quello dell'opzione preferenziale della chiesa per i poveri. Come a dire che è questa che deve dare l'inquadramento nel quale si deve collocare l'opzione per i giovani. Ora, l'opzione per i poveri, come ribadisce lo stesso documento di Puebla, è un'opzione fatta in vista della loro liberazione integrale. Viene così stabilito l'obiettivo ultimo che deve presiedere anche la pastorale giovanile. Essa deve essere una pastorale liberatrice. In concreto, essa deve puntare fondamentalmente a fare dei giovani dei liberatori, e cioè a fare di loro degli impegnati, in forza della loro fede in Cristo e illuminati da essa, nell'eliminazione della emarginazione, dello schiacciamento della dignità e della «ultimità» degli ultimi, e nel creare comunione e partecipazione vera, reale, nel continente. Essi dovrebbero arrivare ad essere, come dice ancora lo stesso documento, dei «forgiatori della storia» (n. 274), «uomini capaci di fare storia, di forgiare la storia secondo la "prassi" di Gesù» (nn. 274-279).
Si intravede la valenza operativa che ha questo obiettivo per la pastorale giovanile latinoamericana. Essa resta interamente polarizzata attorno alla preoccupazione fondamentale di fare dei giovani del continente, nella stragrande maggioranza poveri ed emarginati, spogliati essi stessi dalla loro dignità e della loro soggettività, dei soggetti attivi e responsabili di questa ricerca solidale di sopravvivenza e dignità per tutti.
In questo modo, e adoperando le metodologie adeguate allo scopo, questa pastorale giovanile viene incontro a ciò che sono le richieste, esplicite o implicite, della stragrande maggioranza dei giovani latino-americani, incanalando le loro aspettative più profonde. Collabora anche a dare loro indirettamente una risposta alla questione del senso della vita che, come si è detto, in genere essi non si pongono, o almeno non pongono con la criticità dei giovani del mondo del Nord.
DOMANDE ALLA PASTORALE
La pastorale giovanile italiana ha voluto affrontare la «questione-asse» dei suoi destinatari. Essa ha il grande merito di averli presi sul serio e di aver cercato di offrire loro una via di uscita verso il senso, soprattutto proponendo loro di riattivare la passione per la vita. Per quella propria, anzitutto, e poi anche per quella altrui. C'è da chiedersi però se ad essa la pastorale giovanile dell'altra parte del mondo non abbia niente da dire. Io penso, personalmente, di sì. E cercherò di spiegarmi brevemente.
In diversi momenti del cammino fatto si è parlato del bisogno di impostare la pastorale dei giovani all'insegna di un criterio programmatico enunciato dalla CEI, quello di progettare l'azione ecclesiale «a partire dagli ultimi» (cf documento La chiesa e la situazione del paese). Bisogna però interrogarsi se questo criterio sia poi diventato veramente operativo all'interno dell'itinerario percorso. Si potrebbe addirittura chiedere se sia diventato veramente operativo per il cammino della stessa chiesa italiana che lo ha enunciato, o se non si sia piuttosto perso per la strada.
Mi azzarderei a dire che porsi questa domanda significa interrogarsi sulla genuinità evangelica di quanto si sta portando avanti. Infatti, se è vero che Gesù di Nazaret (e Dio stesso attraverso lui) ha fatto dei poveri, degli esclusi, degli ultimi, di quelli che «non contavano» nella società l'oggetto privilegiato delle sue preoccupazioni e delle sue cure nella sua attività in ordine al regno di Dio, allora chi vuole seguire i suoi passi non può fare altrimenti. L'opzione per i poveri non è quindi la singolarità di alcuni nella chiesa, ma una questione di coerenza o meno con il suo iniziatore. Lo ha confermato di recente il Sinodo dei vescovi. La pastorale giovanile non può quindi esimersi da una tale scelta, ed è quindi imprescindibile che quel suo criterio programmatico - «a partire dagli ultimi» - diventi realmente operativo.
Ora, l'opzione per gli ultimi non è che spiazzi la questione del senso, così vivamente sentita tra i giovani di questo mondo occidentale; la può però ridimensionare. Può farla diventare più genuinamente evangelica. Tale ridimensionamento non consisterà certo nel farla coincidere pienamente con quella dei giovani nel mondo povero, appunto perché le condizioni sono diverse, ma dovrebbe portare ad un avvicinamento indubbiamente sostanziale e molto fecondo.