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    Sui contenuti: scontro o confronto tra animazione e catechesi?



    Riccardo Tonelli

    (NPG 1986-5-46)


    Dopo due articoli di impostazione generale [1] entro finalmente un po' più nel merito delle questioni, affrontano il problema spinoso dei «contenuti».
    Coloro che rifiutano la possibilità di una catechesi pienamente in stile di animazione, lo fanno generalmente su questo fronte.
    La motivazione è semplice. Si dichiara una profonda divergenza tra catechesi e animazione sul modo di intendere i contenuti e la loro proposta.
    La catechesi non può rinunciare a fare proposte oggettive e sistematiche. Lo si riconosce oggi con più forza di quello che poteva capitare anche solo qualche anno fa. E' entrata in crisi la cosiddetta «catechesi esperienziale»: alla prova dei fatti ha tradito le molte aspettative di cui era stata caricata. Stanno ritornando modelli kerigmatici, con una risonanza fortemente propositiva; e qualche osservatore un po' nostalgico esprime il suo compiacimento senza mezzi termini. Da più parti viene sottolineata la necessità di recuperare presto la dimensione veritativa e dottrinale della catechesi.
    L'animazione è invece soprattutto interessata alla qualità della relazione che si instaura nel processo comunicativo. L'accento sulla relazione sembra mettere in secondo piano l'attenzione ai contenuti.
    La conclusione è facile e immediata: tra due realtà così differenti è possibile solo un uso strumentale o si arriva allo scontro.
    Le cose stanno veramente così?
    Molte realizzazioni riuscite e una attenta riflessione mi hanno portato a constatare il contrario: è possibile fare catechesi in stile di animazione, senza minimamente tradirne la dimensione veritativa e propositiva. Tento di mostrarlo, dando la mia versione del problema.
    Come sempre, stimo necessario partire un po' alla lontana. Prima analizzo la catechesi e l'animazione dal punto di vista dei «contenuti». Prospetto poi un modello di relazione comunicativa, capace di rispettare le reciproche esigenze.


    CONTENUTI E ANIMAZIONE

    Sappiamo che, dicendo «animazione», usiamo una formula certamente non univoca. Fa animazione chi pianta alberi in un territorio divorato dal cemento. E fa animazione chi si scervella per impegnare, con giochi non sempre intelligenti, gli ospiti annoiati di un club di vacanze. Qualche volta è convinto di fare animazione anche colui che sciorina ordini e detta leggi, solo perché ha deciso di cambiare referenza sul suo biglietto da visita. Noi abbiamo ritagliato una immagine ben diversa di animazione. Quando studiamo il rapporto tra catechesi e animazione, pensiamo a questo modello molto preciso.
    In questo modello l'animazione possiede contenuti e cerca uno stile propositivo elaborato e tutt'altro che rinunciatario. Certamente essa non fa concorrenza alla catechesi, reclamando come suoi propri i contenuti che invece sono specifici dell'atto catechistico. Propone però contenuti che possono sostenere quelli che la catechesi suggerisce, e ritaglia un modello di comunicazione che può risultare prezioso per la catechesi stessa.
    Contenuto fondamentale è la «vita», scoperta e accolta come un evento oggettivo che si dà concretamente all'interno della personale soggettività.
    L'animazione l'assume con passione e con serietà.
    Se la «vita» è prima di tutto la vita quotidiana di ogni persona, il primo contenuto da proporre consiste nell'impegno di restituire ad ogni giovane la personale soggettività, troppo spesso alienata e deturpata, rimettendolo a contatto con la sua vita. La serietà con cui l'animazione accoglie e propone la vita, spinge nello stesso tempo a constatare che ogni vita si sporge verso l'intersoggettività, anche al livello strutturale e verso la soglia della trascendenza. E qui entrano in gioco nuovi e qualificati contenuti.
    Questi contenuti sollecitano ad affermare e a rivisitare la funzione propositiva.
    L'animazione non ha nulla da spartire con una pedagogia permissiva e rinunciataria. Anzi, essa intende reagire a questi modelli, senza scivolare nell'eccesso opposto, di una pedagogia autoritaria e trasmissiva.
    L'animazione è una qualifica diffusa, nella relazione educativa. Ma si concentra in una figura-simbolo: l'adulto che fa l'animatore. Esso è un educatore, a pieno titolo.
    Esercita questo suo servizio nel rispetto dell'asimmetria relazionale. Fa proposte; e le fa con calore e testimonianza personale. Non può infatti schierarsi per un falso neutralismo, in un sistema culturale dove tutto è governato da schemi impositivi. Fa proposte, coinvolgendosi in prima persona e cercando il coinvolgimento totale del suo interlocutore .
    Proprio perché il centro dell'animazione è costituito dalla «passione per la vita», la relazione comunicativa riconosce nell'interlocutore un soggetto, già ricco di valori. In intensa, reciproca relazione, adulti e giovani si svelano a vicenda quello che uno già possiede di sé. Accogliendo e proponendo, gli uni aiutano gli altri a scoprire l'immagine più affascinante verso cui assieme tendono: un progetto, collocato più avanti dei passi più avanzati, che tutti giudica e misura.
    Finora ho parlato del rapporto fra animazione e contenuti. Vengo ora a trattare del rapporto fra catechesi e contenuti.


    CONTENUTI E CATECHESI

    Non ho bisogno di spendere parole per dimostrare la responsabilità della catechesi verso «contenuti» precisi e articolati. Le difficoltà nel dialogo con l'animazione provengono esattamente da questa consapevolezza.
    Devo però mostrare cosa può significare tutto questo. Ho l'impressione che molte resistenze provengano da una cattiva comprensione dell'esigenza. Quando la catechesi definisce l'esigenza veritativa nella stessa logica con cui il vecchio professore di latino pretendeva la conoscenza delle eccezioni alla terza declinazione, il confronto con l'animazione risulta inevitabilmente un fallimento. Ma lo è solo perché è fallita la catechesi.
    Nella catechesi siamo invitati a confrontarci con Gesù Cristo e il suo messaggio. Questo evento ha una sua consistenza precisa e normativa, una sua struttura veritativa, consolidata e accresciuta nella progressiva espressione culturale della fede della chiesa.
    Concretamente questo comporta due esigenze: da una parte, bisogna entrare gradualmente in un sistema organico di conoscenze, perché solo così si possiede l'evento creduto, mentre se ne viene posseduti; dall'altra, la conoscenza e la espressione personale devono essere normati sulla struttura dogmatica ufficiale, per poter esprimere la fede personale «dentro» la fede della chiesa. Questo è il «contenuto» che la catechesi propone.
    Esso è «rivelato»: non proviene cioè dalla sapienza e dalla scienza dell'uomo, ma è offerto in dono, in una catena ininterrotta di testimoni, che ci riporta fino al testimone più autorevole, il donatore fatto persona, Gesù di Nazareth.
    Se questi contenuti sono conoscibili solo per «rivelazione» (la grande rivelazione e le quotidiane, piccole rivelazioni dei testimoni qualificati dell'evento), essi vanno «proposti». Non possono essere acquisiti su intelligenza personale, ma vanno comunicati da qualcuno che possiede l'autorevolezza necessaria per farlo.
    Nella catechesi, la dimensione veritativa appella perciò immediatamente alla funzione propositiva.
    Una cosa devo ancora aggiungere. La stimo qualificante rispetto a quanto ho appena affermato. Rappresenta la chiave della sua rilettura.
    I «contenuti» non sono estranei alla «vita». Essi, al contrario, la riguardano in modo decisivo. Rappresentano la rivelazione della sua dimensione più profonda e decisiva. Sono la manifestazione di quanto essa si porta dentro, per quel dono radicale che l'ha costituita come «vita»; e sono il progetto definitivo a cui essa tende, quando la vita avrà vinto per sempre il mistero della morte. Testimoniare i contenuti della fede nella catechesi significa perciò, in ultima analisi, parlare della vita, servire la vita, rivelare quello che ciascuno vive e spera, senza saperlo.
    Non si tratta sicuramente di una rivelazione destinata solo a tranquillizzare, a giustificare un andamento disimpegnato, che si accontenta di tutto e tutto approva.
    La fede inquieta la vita, come un colpo improvviso di vento scuote il pigro disordine di una stanza piena di fogli.
    La fede rivela la pertinenza della croce nella vita quotidiana. E annuncia una speranza che va oltre la morte.
    La fede, testimoniata nella catechesi, parla della vita. Ne parla però con la logica imprevedibile dell'evangelo.


    FINALMENTE, UN MODELLO

    Il titolo promette sicuramente molto di più di quanto riuscirò a produrre. Suggerire un modello di «gestione dei contenuti» per una catechesi in stile di animazione, comporterebbe un lungo e articolato intervento.
    Mi limito a sottolineare alcuni punti di riferimento, organizzando un poco quello che ho appena detto a proposito di animazione e di catechesi.

    I contenuti: esperienze che si fanno messaggio

    Incomincio con alcune constatazioni che riguardano la natura della catechesi. Voglio infatti mostrare che è possibile fare una catechesi in stile di animazione. senza distruggere la catechesi. Solo così potrò far vedere come l'animazione risulti preziosa per la catechesi, perché le fornisce un modello comunicativo congruente.
    La prima constatazione sottolinea un fatto costitutivo: i grandi temi dell'evangelo di Gesù non sono «parole», ma fatti. Gesù non ha «spiegato» ai suoi interlocutori chi è quel Dio che lui chiamava suo Padre, contrapponendo una sua teologia a quella dominante. Ha posto segni concreti e sperimentabili, come «rivelazione» di Dio. Ha dato la vista ai ciechi, la capacità di camminare agli storpi, la vita ai morti. Ha guarito un paralitico di sabato, davanti agli occhi scandalizzati di un gruppo di conservatori. Ha restituito ai poveri quella dignità che troppi avevano loro defraudato.
    Ai discepoli di Giovanni che gli chiedevano notizie di lui e di Dio, Gesù ha risposto ricordando le cose da lui compiute.
    L'evangelo è una esperienza che si fa messaggio: un gesto dalla parte della vita, che diventa proposta di un progetto, articolato e dotato di un suo spessore veritativo.
    Non contrappongo «esperienza» a «parola», «fatti» a «dottrina». La parola ricostruisce l'esperienza come comunicazione intersoggettiva, interpretando e orientando i segni della speranza diffusi nei fatti: senza fatti le parole restano vuote, senza parole i fatti restano muti.
    La seconda constatazione si richiama a quel modello ermeneutico già tante volte ricordato.
    La proposta dei «contenuti» nella catechesi (di quelle parole che interpretano le esperienze e le trasformano in messaggi, dotati di una loro pregnante struttura veritativa) è come il racconto di una storia, intessuta di tre storie.
    Non credo che si possa separare rigidamente il «contenuto» da colui che lo propone e da coloro per cui è proposto. Ogni tentativo di oggettivare troppo sbrigativamente i contenuti, sganciandoli dalla soggettività dei due interlocutori, li tradisce.
    Chi parla non solo dà le sue esperienze e le sue parole ai «contenuti» che intende comunicare. Per coinvolgere intensamente i suoi interlocutori, trasforma le loro domande nelle parole che pronuncia.
    L'unico contenuto risulta così intessuto di tre diverse «realtà»: la parola più oggettiva, quella che ci restituisce al progetto definitivo di Dio in Gesù, testimoniato nella comunità ecclesiale; la parola più soggettiva della testimonianza del catechista; le parole che interpretano le attese, le speranze, le gioie e i dolori dei giovani con cui si fa catechesi.
    L'evangelo, trasmesso nella catechesi, è così un «racconto», costituito di tre esperienze: la storia di Gesù e della chiesa, la storia del catechista, la storia dei giovani.

    Il modello linguistico: la narrazione

    Sul piano operativo raccomando una catechesi a stile «narrativo». Non per nulla, poco sopra ho parlato di «storia», di «racconto». Ho già sviluppato questa proposta in altri contesti. Risparmio perciò ripetizioni inutili.
    Faccio solo qualche sottolineatura.
    Quando propongo una catechesi narrativa, non penso assolutamente a quei vecchi repertori dove abbondavano gli esempi e le storielle. Si raccontava la storia, e l'attenzione era al massimo. Poi si tirava la morale, e l'attenzione scivolava verso indici bassissimi...
    Narrare è testimoniare una verità esigente e provocante, dotata di una sua struttura veritativa precisa, che chiede conversione e accoglienza.
    Narrare è però comunicare la verità, rispettando la sua indicibilità e realizzando un coinvolgimento personale come premessa al coinvolgimento dell'interlocutore.
    La narrazione rifiuta l'ipotesi di una verità, tutta già confezionata, da proporre in termini duri, freddi, impersonali. Evita la tentazione di passare informazioni solo perché siano conosciute. Evoca esperienze perché cerca di aiutare a vivere e sollecita a schierarsi dalla parte della vita.
    La narrazione crea «discepoli», convinti e consapevoli.

    L'autorevolezza narrativa della comunità

    Spendo le ultime battute per sottolineare un altro dato importante. La catechesi narrativa richiede un soggetto narrante, dotato di autorevolezza.
    La forza «dimostrativa» non sta nella fredda congruenza tra soggetto e predicato, come quando si dimostra un teorema matematico o una formula chimica. Al contrario, la forza «dimostrativa» sta nell'esperienza del narratore. Egli è la prova di quello che dice. Non convince su ragionamenti; convince sulla vita. In questo modello vengono recuperati alcuni grossi valori teologici, spesso disattesi.
    Il narratore non è un individuo isolato. Se così fosse, difficilmente potrebbe essere convincente. Esiste invece una catena ininterrotta di narratori, di cui egli è l'ultima espressione, e che ha alla radice il grande narratore del padre: Gesù di Nazareth. Il narratore è perciò una comunità di narratori: la chiesa. La catechesi ritrova così quella dimensione ecclesiale e testimoniale che i modelli denotativi invece frantumano. Quando si trasmettono contenuti freddi e elaborati, il diritto alla parola è riservato solo al sapiente, e la comunità si riserva unicamente l'incarico burocratico di valutarne la competenza. Inoltre, in questo modello, catechisti e comunità ecclesiali sono le prove del loro diritto a narrare. Si realizza una delle più belle esperienze suscitate dal concilio: quando la chiesa ripensa la sua identità a partire dalla sua missione, ritrova la gioia e la responsabilità di vivere in conversione continua.
    La catechesi narrativa instaura infine un rapporto tra giovani e comunità, che garantisce il corretto sviluppo del processo di iniziazione cristiana, anche se per il momento non tutto è ancora perfetto. I giovani si sentono dentro la comunità, accolti e protetti nel suo grembo materno. Forse non conoscono ancora tutti i contenuti dell'esperienza cristiana che la comunità propone. Forse sono attraversati da dubbi, incertezze. Anche la traduzione dell'esperienza di fede in esperienza etica soffre di troppi tradimenti. Resta però un dato fondamentale: si vive dentro la comunità.
    All'interno della comunità, i giovani potranno crescere progressivamente e gradualmente, in conoscenza e in coerenza. Non viene misurato lo stadio conoscitivo attuale, come se si dovesse superare un esame scolastico. Viene invece assicurato il riferimento affettivo con la comunità. Tutto il resto si svilupperà con il tempo, nel ritmo incerto e progressivo della vita.


    ________________________________________
    [1] Fra catechesi e animazione ci può essere un dialogo operativo? (NPG marzo); La ragione di fondo di una catechesi in stile di animazione (NPG aprile).


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