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    «Sia fatta la tua volontà»



    Carmine Di Sante

    (NPG 1996-04-5)

    La letteratura neotestamentaria legge il senso della vita di Gesù come rivelazione della volontà di Dio («Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato»: Gv 4,34; cf 5,30; 6,38; 7,16) e quello di ogni uomo come possibilità oggettiva di tornare a farla propria, grazie allo spazio dischiusosi in forza di lui, l'«inviato» del Padre.
    Ma parlare di «volontà» di Dio può essere ambiguo. In uno dei suoi più celebri libri Th. Merton scrive: «Troppo spesso il concetto corrente di 'volontà di Dio' intesa come forza arbitraria, impenetrabile, che s'impone con implacabile ostilità, spinge gli uomini a perdere la fede in un Dio che è per loro impossibile amare. Una simile interpretazione della volontà divina spinge la debolezza umana alla disperazione; e ci si domanda se non sia spesso l'espressione di una disperazione troppo intollerabile per essere ammessa coscientemente. Questi dettami 'arbitrari' di un Padre dispotico e insensibile sono più spesso semi d'odio che semi d'amore. Se tale è il nostro concetto della volontà di Dio, ci è preclusa ogni possibilità di perseguire l'oscuro e intimo mistero dell'incontro che ha luogo nella contemplazione» (Semi di contemplazione, Garzanti, Milano 1991, pp. 19-20).
    L'idea di un volere divino intrascendibile è il prodotto della proiezione dell'io infantile non ancora liberatosi dalle figure paterne e dal super-io, come vogliono Freud e, in genere, i maestri del sospetto? Oppure è la presa di coscienza del limite dell'esistenza che sapientemente la norma e la misura, come vuole la grande sapienza delle culture organiche? E se intrascendibile limite, in che cosa questo consiste?

    Il volere di Dio come libertà di amore

    Il pensiero greco è attraversato da una formula che, letteralmente, è arrivata, attraverso il mondo cristiano, fino a noi: se Dio vuole o se gli dèi vogliono. Qui il volere di Dio è inteso nel senso di «legge» o «principio» che struttura il reale - e non può non strutturarlo - e che compagina ed anima i vari aspetti del cosmo costituendoli in unità ed armonia. Esso, più che secondo un'attenzione rigorosa, va inteso pertanto metaforicamente, come la personificazione del dinamismo che organizza e muove il reale, come sinonimo di natura o di fortuna.
    Diverso è il concetto di volontà di Dio per la bibbia dove veicola non l'esperienza della necessità alla quale è giocoforza sottostare, ma quella di un Tu personale e originalissimo che si relaziona all'uomo nella libertà. Qui il volere divino non è né l'oggettivazione della legge naturale e neppure la traduzione mitica dell'armonia generale, ma il disvelarsi di una intenzionalità che è oltre ed altro rispetto ad ogni figura di totalità, e che dischiude un nuovo orizzonte che è quello della dialogicità: Dio come Parola che suscita l'uomo come interlocutore, per comunicargli la sua volontà.
    Si tratta di una volontà che è libertà di amore e che, altra dal mondo, si incarna in ogni cosa del mondo, come ha scritto Th. Merton in una celebre pagina: «È l'amore di Dio che mi scalda nel sole, è l'amore di Dio che mi manda la pioggia gelida. È l'amore di Dio che mi nutre del pane che mangio, ed è Dio che mi nutre anche con la fame e il digiuno. È l'amore di Dio che manda i giorni d'inverno quando ho freddo e sono ammalato, e l'estate torrida quando sono affaticato e ho gli abiti inzuppati di sudore: ma è Dio che respira su di me con il vento appena percettibile del fiume, con la brezza del bosco. Il suo amore allunga l'ombra del sicomoro sopra la mia testa e manda lungo i campi di grano l'acquaiolo con un secchio riempito alla sorgente, mentre i lavoratori riposano e i muli stanno sotto l'albero. È l'amore di Dio che mi parla negli uccelli e nelle acque dei ruscelli, ma anche oltre il clamore della città Dio mi parla nei suoi giudizi, e questi sono tutti semi mandati a me dalla sua volontà» (Semi di contemplazione, cit. p. 21).

    Il volere di Dio come vocazione all'amore

    L'amore di Dio come libertà d'amore che si incarna nel dono del mondo - la creazione - non è però la figura ultima e più alta del volere buono di Dio. Questo è veramente tale, per la bibbia, perché capace di suscitare nell'uomo la stessa libertà d'amore.
    Si racconta di un maestro di musica che amava a tal punto il suo pubblico che ad esso dedicava, con dedizione, il meglio delle sue ore estasiandolo con l'esecuzione di musiche bellissime. Ma un giorno - giorno indimenticabile - invece di continuare a suonare, decise che ognuno sarebbe stato lui stesso un grande suonatore. E così cominciò ad insegnare, invitando chi volesse, non ad ascoltarlo ma ad imitarlo per produrre, come lui, la sua stessa musica.
    Per la bibbia l'amore di Dio, più che come oggetto di fruizione - la musica da ascoltare - si esprime come vocazione dell'uomo ad amare - la musica da suonare. È questa la ragione per la quale Dio si rivela non nella natura ma nella Parola: non la Parola in quanto mediazione di idee bensì la Parola in quanto mediazione di un volere che si erge di fronte all'uomo chiedendo - come il musicista della parabola sopracitata - docilità e obbedienza.

    Una parabola

    «Disse R. Johanan: 'Perché l'uomo fu creato a immagine di Dio?'. È come un re che regnava sul paese e costruiva palazzi e miglioramenti per la città, e tutti gli abitanti della città servivano sotto di lui. Un giorno chiamò tutti gli abitanti della città e pose su di essi un ministro. Disse: 'Fino ad ora mi affaticavo in tutte le necessità della città e per fare torri e palazzi; d'ora in poi, ecco, questi è come me'. E allo stesso modo disse: 'Guarda, ho comandato a tutta la città e a quelli che sono in essa: come governavo su di essa e la costruivo secondo ogni mio desiderio, così tu la costruirai e farai l'opera del mondo. D'ora in poi tutto è consegnato nella tua mano e tutti serviranno sotto di te e temeranno te come hanno temuto me...'. Per questo a immagine di Dio lo creò: perché facesse tutto ciò che è necessario per il mondo e i suoi miglioramenti, come egli aveva fatto all'inizio» (G.P. Tasini, a cura di, Il midrash, Città Nuova, Roma 1988, p.104).
    Pregando «sia fatta la tua volontà» l'orante si impegna, di fronte a Dio, ad essere nel mondo la sua «immagine» e la sua «somiglianza», cioè il suo «rap-presentante» e il suo «luogo-tenente»: volendo il suo stesso volere e amando con il suo stesso amore.


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