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    Educazione della sessualità in prospettiva evolutiva



    Guido Gatti

    (NPG 1997-03-52)


    Dobbiamo a Freud se non proprio la scoperta, almeno la valorizzazione e i primi tentativi di analisi approfondita del carattere evolutivo del vissuto sessuale umano.
    La radicalità e il tono provocatorio del discorso freudiano hanno impedito a lungo che la teologia morale e pastorale potessero recepire la consapevolezza di questa dimensione evolutiva della sessualità.
    Oggi, superate le unilateralità di Freud e dei suoi seguaci più ortodossi, questa consapevolezza è diventata di casa in teologia e vi ha apportato un contributo non indifferente al ripensamento della psicologia del fatto morale in generale che essa ha intrapreso a seguito del Concilio.

    Il carattere evolutivo della sessualità

    La teologia morale (e al suo seguito la prassi pastorale) ha ormai pienamente assimilato l’idea del carattere evolutivo non soltanto del vissuto sessuale ma anche di tutta l’esperienza morale in quanto tale.
    Questa assimilazione ha portato a ripensare tutto il discorso morale in termini educativi e/o autoeducativi.
    Concepire la morale in termini educativi significa in particolare:
    a) vedere le singole decisioni etiche come momenti particolari di un processo attraverso il quale l’uomo plasma se stesso (principio di autoplasmazione etica);
    b) ispirare la normativa etica non soltanto al bene e al male in sé, ma anche al concreto itinerario di questa autoplasmazione del singolo uomo, personalizzando le norme e ispirando la loro applicazione a criteri di gradualità (principio di gradualità);
    c) vedere lo sviluppo psicosessuale solo come momento particolare della più generale maturazione di tutta la personalità (principio di globalità);
    d) ripensare le rinunce inerenti all’impegno morale in questo campo nella luce della crescita dell’amore (valore positivo delle rinunce inerenti all’impegno morale).

    Il principio di autorealizzazione etica

    Anche se l’esperienza morale occupa nella vita uno spazio più ampio di quello dell’educazione, anche se viene vissuta normalmente al di fuori del rapporto disimmetrico tra educatore ed educando, essa ha sempre l’aspetto di un processo di plasmazione della personalità, è sempre una forma di educazione, un «e-ducere», cioè far emergere, dall’uomo tutte le possibilità di umanità che in esso sono racchiuse: facendo il bene morale, l’uomo fa se stesso in quanto persona; modifica l’orientamento di fondo e perfino le strutture della sua personalità. L’esperienza morale ha quindi sempre la dimensione di un fatto educativo, in cui il soggetto è insieme educatore ed educando.
    Ma questo è vero in modo particolarissimo per quello che riguarda l’etica sessuale, appunto per questo carattere essenzialmente evolutivo della sessualità stessa.
    Non solo la sua struttura pulsionale, ma anche tutti i suoi contenuti valoriali, l’apertura alla vita, la creatività, la capacità di comunicare, l’amore sono realtà che si costruiscono solo gradualmente nella persona, attraverso quel processo con cui la persona costruisce se stessa, la sua maturità e autenticità umana.
    D’altra parte questi valori non hanno mai il senso di un quadro normativo dentro cui si possa restare al sicuro, una volta che si è giunti ad attuarli, con la tranquilla coscienza di chi ha già fatto tutto il suo dovere e sa che nulla più gli può venir chiesto. Nel loro versante positivo, essi non sono mai del tutto pienamente realizzati; ci domandano sempre un perfezionamento o una autenticazione ulteriore.
    Di questi contenuti valoriali, quello che tutti li riassume in sé e che rappresenta la chiave di volta del progetto etico della sessualità è indubbiamente l’amore.
    Gli istinti e i sentimenti con cui la sessualità si affaccia alla vita dell’uomo sono costitutivamente orientati all’amore, ma non sono ancora l’amore vero, realmente umano e capace di sostenere quella comunione di vita nell’amore che esso esige e le responsabilità generative cui è aperto.
    Questi istinti e sentimenti sono ambigui: sono in potenza l’amore più nobilitante ma anche la passione più degradante; non hanno un volto definito; sono alla ricerca di una fisionomia morale che sarà il soggetto stesso a dare loro. L’evoluzione della sessualità non ha un esito positivo previamente assicurato. C’è la possibilità di un successo o di uno scacco che saranno il successo o lo scacco della persona in quanto tale: la persona realizza infatti se stessa, soprattutto costruendo la sua capacità di amare. Questa costruzione si realizza nella libertà. L’uomo porta già in sé, nel suo patrimonio genetico e nell’eredità educazionale, certe premesse di riuscita o di fallimento, certi condizionamenti positivi o negativi, possibilità e limiti previ al suo intervento autoeducativo; ma questo resta affidato in misura sempre decisiva alle sue libere scelte. Viene per tutti il momento in cui ci si sostituisce agli altri nell’orientamento del proprio sviluppo. La riuscita o il fallimento del proprio diventare uomini dipendono da questo orientamento; in questo orientamento consiste essenzialmente l’esperienza etica.
    La castità cristiana, si dice, è amore. Ciò è vero nella misura in cui si percepisce con chiarezza il carattere evolutivo di questo amore. La castità cristiana è un amore che si realizza, che cresce e si garantisce la sua autenticità, in un processo autoeducativo senza limiti: la castità cristiana è l’educazione dell’amore.

    Il principio di gradualità

    Questa modalità educativa dell’etica sessuale impone l’adozione di quel criterio pedagogico fondamentale che è il principio di gradualità.
    Giovanni Paolo II ha accolto e fatto proprio questo principio in una pagina famosa della Familiaris Consortio, riconoscendo che l’uomo «chiamato a vivere responsabilmente il disegno sapiente e amoroso di Dio, è un essere storico che si costruisce giorno per giorno con le sue numerose scelte: per questo egli conosce, ama e compie il bene secondo tappe di crescita» (FC, 34).
    La pedagogia che sostiene e stimola l’impegno morale umano e cristiano non può essere che una pedagogia di gradualità, che si faccia mediazione dell’appello morale dei valori, adeguando tale appello al livello di maturità raggiunto dall’educando e al ritmo di crescita che gli è concretamente possibile.
    Essa raggiunge la libertà del soggetto, là dove essa si trova, la interpella per come essa è in concreto, segnata come da condizionamenti, solo parzialmente e gradualmente superabili. Essa realizza le possibilità di bene dell’educando, solo proponendogli obiettivi concretamente possibili.
    Le norme che rispecchiano l’ordine morale oggettivo, al di là della formulazione necessariamente assoluta, nella misura in cui sono rivolte a una persona concreta in una situazione concreta, devono essere adeguate a questa persona e a questa situazione. Senza perdere la loro oggettività, esse diverranno appello concreto per una persona concreta, seguendo le leggi di una morale dinamica ed educativa.
    Esse finiranno spesso per indicare più una direzione di marcia che un confine: il vero confine tra il bene e il male passa all’interno di ogni situazione concreta: il bene è davanti a me, il male è appena dietro le possibilità concrete di bene che mi sono offerte. Non sono chiamato che a superare me stesso, sforzandomi di andare oltre, a partire da dove mi trovo, nella direzione indicatami dalla norma: «Senza perdere di vista la perenne validità dei principi oggettivi, si tratta di presentare tali esigenze realizzantisi in una realtà concreta che si trova in progressiva maturazione» (V. Costa).
    Questo è vero in ogni campo della morale, ma soprattutto in campo sessuale: un campo in cui l’uomo non si possiede mai completamente e tanto meno agli inizi di una maturazione che è tra le più impegnative della vita morale. E infatti, ad enfatizzare il carattere graduale della pedagogia e della pastorale nella Chiesa è stato proprio l’impatto con i problemi aperti nella vita morale dei fedeli e nella pastorale della confessione dalla problematica sessuale.
    Come ha ricordato il Papa la legge della gradualità non deve identificarsi con una qualche forma di gradualità della legge, come se ci fossero vari gradi e forme nella legge divina. La legge della gradualità di cui qui si parla riguarda evidentemente l’itinerario concreto delle persone, mentre la gradualità della legge equivarrebbe all’introduzione surrettizia di una moratoria pro tempore della legge, che il papa evidentemente respinge. Legge della gradualità e non gradualità della legge possono coesistere perché stanno su due piani diversi: quello della responsabilità soggettiva e quell’ordine morale oggettivo.
    La conciliazione di questi due piani della realtà si attua sul piano dell’impegno morale personale, vissuto come autoeducazione e dell’azione pastorale della chiesa esercitata in chiave pedagogica. La pedagogia ispira una azione di stimolo e di sostegno che ha come solo scopo la crescita umana dell’educando. Così l’insegnamento morale della chiesa non è al servizio che di questa crescita. La stessa proclamazione della verità oggettiva non è primariamente servizio ad una verità astratta, ma alla concreta verità dell’uomo in divenire. Adesione incondizionata alla verità e graduale attuazione di essa nella vita sono momenti ugualmente importanti di questa crescita.
    Le due preoccupazioni apparentemente contraddittorie, di servire una verità oggettiva e di aiutare un soggetto in stato di crescita si conciliano appunto in quella concezione dinamica e progressiva dell’impegno morale che abbiamo cercato di presentare.

    Il principio di globalità

    L’educazione morale in campo sessuale non è l’educazione di un settore determinato, di un compartimento stagno della personalità: è educazione di tutta quanta la persona, educazione tout-court. Il controllo delle proprie pulsioni, il senso di responsabilità e il rispetto dell’altro, la qualità etica dell’amore e tutti i valori morali connessi con la realtà sessuale crescono nella misura in cui si sviluppano armonicamente tutte le qualità della persona; in primo luogo quelle fondamentali della consapevolezza e della libertà.
    I dinamismi istintivi, che stanno all’origine del vissuto sessuale, sono estremamente ambigui rispetto alla crescita umana della persona; devieranno tanto più facilmente dal loro obiettivo finale, quanto più sarà loro concesso di agire nell’ombra del meno consapevole. Il primo atto del dominio di sé è una autocoscienza lucida e razionale. Lo stesso impegno morale perde gran parte della sua costruttività umana, quando si riduce a una specie di cortocircuito della volontà, fuori della luce della cognitività.
    Così ogni crescita della libertà è una occasione in più per lo sviluppo morale della persona. Non ci si può liberamente donare se non nella misura con cui ci si possiede. La libertà è la fonte dell’unità e della pace interiore, della disponibilità al dono gioioso di sé. Pretendere di fare educazione morale con la costrizione e la paura è andare nella direzione opposta dell’amore, che è la sostanza ultima di ogni valore morale. Ora l’amore viene alla vita solo in un ambiente educativo carico di amore; è generato solo da un altro amore: «Quando i genitori si amano tra di loro, quando i genitori e gli educatori amano i bambini di un amore non geloso e possessivo, i bambini si sentono sicuri e sazi nella loro fame d’affetto. Solo così i genitori possono condurre i bambini a moltiplicare i loro rapporti con gli altri, senza che i bambini sentano se stessi al centro della vita. (...) Invece la mancanza d’amore rende più difficile il superamento dell’egoismo» (CEI, Catechismo dei bambini, n. 146).
    Quello che il catechismo italiano dei bambini dice a proposito dell’età infantile vale per ogni età della vita.

    Carattere educativo delle rinunce inerenti all’impegno etico

    La dimensione educativa dell’etica sessuale non va vista unicamente come una specie di espediente pastorale finalizzato a una recezione e una attuazione concreta delle norme morali da parte delle persone concrete.
    L’educatività entra a costituire la natura stessa del valore morale in questo campo, entra nella definizione di bene.
    E questo non vale soltanto per la parte positiva dell’etica sessuale, quella che di sua natura consiste nella realizzazione di valori, ma anche per la parte negativa, quella che proibisce l’attuazione dei disvalori e si concretizza appunto in norme proibenti, di loro natura adatte ad indicare un confine preciso, al di sotto del quale si trova oggettivamente il negativo morale. La fedeltà alle esigenze dell’amore e degli altri valori o significati della sessualità chiede infatti anche rinunce e sacrifici; quello che Freud ha voluto indicare appunto col nome di repressione.
    A differenza della psicanalisi, la morale cristiana non vede nella repressione soltanto una dura necessità, ma il risvolto positivo della realizzazione positiva dei valori morali.
    La fede oltretutto permette al credente di vivere queste rinunce nella luce di una ulteriore positività: la partecipazione al mistero pasquale di Cristo cui egli è stato iniziato con il battesimo: rinunciare è per lui anche in questo campo morire a se stesso per vivere a Dio (cf Rom 6-1-14; 2 Cor 4,10; 5,14-15). Se l’educazione dell’amore ha bisogno anche di ascesi e di rinuncia, non ogni ascesi e ogni rinuncia è di per sé umanizzante ed eticamente positiva. Il valore morale non si misura solo con lo sforzo sviluppato e col costo sopportato per compiere il bene; ma con la sincerità e interiore libertà dell’adesione al bene stesso.
    Caso mai è piuttosto la facilità e la spontaneità con cui lo si compie la vera misura della nostra connaturalità a questo bene e quindi la nostra vera virtù.[1] Un virtù che si reggesse solo sullo sforzo volontaristico sarebbe indubbiamente apprezzabile, come iniziazione necessaria al bene, ma lascerebbe nello stesso tempo trasparire una sua acerbità; sarebbe una virtù non ancora profondamente radicata nella persona e perciò ancora in pericolo.
    Le rinunce imposte dalla castità sono costruttive nella misura in cui sono interiorizzate e vissute nella luce dei valori che permettono di realizzare. La rinuncia che produce ansietà o angoscia, l’ascesi non integrata nella personalità nasconde spesso una soggezione forzata e un veto subìto senza convinzione e amore. La vera adesione a un valore può costare, ma produce la serenità e la pace interiore che vengono dal sapere che questo valore è un valore per la persona.

    L’educazione dell’amore

    Tutti i valori che costituiscono la vocazione cristiana nell’ambito della sessualità si riassumano nell’autenticità dell’amore. Dire valore morale è dire efficacia umanizzatrice, costruttività umana. Le istanze personalistiche del pensiero moderno hanno dato grande risalto a questo carattere umanizzante dell’amore; ma esso non risponde soltanto a una scelta antropologica discutibile, a una moda culturale: è un’intuizione umana universale che trova la sua più valida conferma nel vangelo: «Colui che avrà fatto dono della sua anima la ritroverà» (Mt 19,39).
    Nella prospettiva dell’amore può essere ricompreso il tradizionale riferimento alla natura come fonte di norme morali in campo sessuale.
    La natura, forte di norme morali, non è primariamente la natura biologica o infraumana, il cosiddetto «regno della natura», ma la natura dell’uomo, cioè il suo essere spirituale e corporale insieme, personale e sociale, storico e transcendente la storia. La natura dell’uomo è la sua spiritualità incarnata.
    Nel campo dell’etica sessuale, le leggi naturali sono le leggi stesse dell’amore. Appellarsi alla natura è appellarsi alla natura specificamente umana dell’amore. L’amore è chiamato ad essere auriga intelligente delle energie corporee a cui è inscindibilmente legato e che condizionano il suo divenire e la sua identità. Nella prospettiva del valore fondante dell’amore, può essere meglio capito anche il carattere essenzialmente dinamico ed autoeducativo dell’impegno morale in questo campo.
    L’amore infatti, così come la sessualità che ne è il linguaggio, è una realtà essenzialmente evolutiva. L’autenticità dell’amore costituiscono in un certo senso un ordine morale. Quest’ordine è difeso da norme proibenti dotate di una certa assolutezza: l’assolutezza di una verità che è discrimine tra ciò che è in sé bene e ciò che è in sé male.
    Ma nella vita concreta delle persone, la capacità di amare deve essere educata.

    I «contrafforti morali» dell’amore

    Se l’educazione dell’amore si attua armonicamente all’interno dell’educazione di tutto l’uomo, ci sono determinate qualità morali che sono particolarmente solidali con l’amore e che dell’amore costituiscono come i contrafforti.
    Così è coerente con l’amore l’atteggiamento della non violenza, il superamento delle forme negative di aggressività, la capacità di ascolto e di comprensione, l’attitudine a risolvere le tensioni e i problemi della convivenza con la magnanimità e la tolleranza.
    È in linea con l’amore la capacità di fare silenzio, di riflettere, di interrogarsi sul senso ultimo delle cose, sui valori nascosti delle persone. Ed è naturalmente in linea con la crescita dell’amore ogni forma di responsabilità al servizio e al sacrificio, la capacità di farsi carico dei dolori e dei bisogni dell’uomo. Ma ci sono naturalmente anche attitudini che svolgono, rispetto alla crescita dell’amore, una funzione antagonista.
    Un ambiente sistematicamente impostato sull’emulazione, sulla riuscita del singolo a spese degli altri in una spietata lotta per l’emergenza e l’autoaffermazione non è in linea con la crescita dell’amore; come non lo è un ambiente in cui viga l’esclusione e l’emarginazione, il rifiuto delle persone e l’instaurazione di rapporti ostili ed aggressivi.
    Ma non è educativo dell’amore anche un ambiente che favorisca nell’educando la falsa coscienza di essere al centro del mondo, così che tutto gli sia dovuto, quasi che le altre persone esistano solo per lui. E non è educativo dell’amore un ambiente superficiale e sordo ai dolori e ai problemi dell’uomo, opaco alle domande di senso che incombono sulla vita.
    L’educazione morale, nel campo della sessualità come più in generale in ogni campo del vissuto umano, passa quindi attraverso la promozione di queste qualità morali che, per il loro carattere funzionale rispetto all’amore, possono essere considerati come i contrafforti che lo accompagnano e lo nutrono.

    I «precursori psicologici» dell’amore

    Ma accanto a questi valori propriamente e direttamente morali ci sono anche delle disposizioni, o delle strutture stabili della personalità, che pur non essendo ancora in sé propriamente morali, precedono e preparano l’amore: sono i «precursori psicologici» dell’amore. Tali disposizioni hanno una grande rilevanza pedagogica: fare educazione morale infatti non vuol dire produrre i valori e le qualità morali dentro l’educando, così come con il lavoro si producono oggetti utili e con l’insegnamento si trasmettono conoscenze e si producono abilità.
    I valori morali sono valori della libertà e stanno di casa solo nel cuore della persona, là dove nessun educatore può mettere le mani, per produrli direttamente e infallibilmente come si producono cose o si trasmettono conoscenze.
    Sulla libertà umana si agisce soltanto educando «disposizioni», cioè appunto quei «precursori» dei valori morali che, senza predeterminarli, li rendono possibili come frutto della libertà.
    Ne indicheremo qui alcuni tra i più significativi per il nostro tema.

    La fiducia di base

    Il primo e più importante di questi precursori è indubbiamente la fiducia di base. È stato H. Erikson a focalizzare questa dote positiva del carattere morale e a studiarne la genesi nell’amore accogliente che i genitori, e soprattutto la madre, hanno per il bambino nelle primissime età della vita.
    La fiducia di base è una specie di convinzione profonda sul valore della propria persona e sull’affidabilità del mondo.
    Come tale essa entra a costituire quell’ottimismo militante che è il sostegno indispensabile dell’impegno morale; anzi essa è la stoffa umana di cui è fatta la stessa fede religiosa o almeno le diverse «fedi» su cui ogni persona basa il suo impegno morale, in cui trova un «vale la pena» credibile che renda sensato questo impegno.
    Lo stesso Kohlberg, che pure sostiene nel modo più rigoroso l’autonomia della morale dalla religione, è costretto a riconoscere che, anche se solo la morale (e quindi quel tipo specifico di ragionamento che è appunto il ragionamento morale) può dirci che cosa è giusto, diventa poi necessario a un certo punto sapere perché valga la pena di essere giusti in un mondo che non pare giusto. La fiducia di base aiuta a vedere presente nel mondo, al di là di tutte le apparenti smentite, una giustizia di fondo che dà senso al nostro impegno per essere giusti.
    Solo chi possiede questa profonda sicurezza interiore può prendere sul serio la sua vita, aprirsi agli altri, affrontare le proprie responsabilità, entrare in un dialogo che sia vera comunicazione e non strategia di sopraffazione, concedersi totalmente senza paura di perderci o di perdersi.
    La fiducia di base rende possibile l’apertura a un amore, gradualmente sempre più disinteressato ed autentico, nei confronti dei fratelli e anche di Dio.
    Potrà meravigliarci e suscitare qualche perplessità l’idea che questa qualità o struttura della personalità, di sua natura ancora pre-morale, che è in noi in modo quasi del tutto indipendente dalla nostra libertà, entri a costituire o almeno a rendere possibile quelle virtù soprannaturali che sappiamo essere dono di Dio e cuore della nostra risposta a Lui.
    Il fatto è che anche la grazia si incarna. Le virtù teologali sono in noi solo con la fisionomia concreta che ha la nostra personalità morale.
    Educando, attraverso la simpatia umana, l’accettazione incondizionata, la dedizione disinteressata, questa fiducia di base in coloro che educhiamo, noi rappresentiamo per loro un segno credibile dell’amore infinitamente accogliente del Padre e contribuiamo a creare in loro il corpo in cui si incarnano i doni divini della fede, speranza e carità.

    La forza dell’io

    Un secondo precursore dei valori morali può essere indicato, con un termine di sapore freudiano, nella cosiddetta «forza dell’io». Con questa espressione si indica anzitutto la lucidità e la forza della cognitività razionale, la capacità di leggere realisticamente il mondo esterno e di valutare realisticamente se stessi, di sospendere il giudizio o la decisione quando si impone una verifica più rassicurante, di comunicare paritariamente con gli altri, comprendendo anche il loro punto di vista.
    Ma la forza dell’io è soprattutto capacità di autodominio, quindi padronanza delle proprie pulsioni, maturità delle proprie reazioni emotive, coerenza interna del sistema della personalità, prevalenza delle risposte proattive rispetto a quelle puramente reattive nei confronti degli stimoli ambientali: si tratta di aspetti della fisionomia morale della persona, così rilevanti per la definizione del carattere morale, che non raramente sono semplicemente identificati con questo: l’uomo di carattere è così per eccellenza l’uomo dotato di quelle qualità che vanno sotto il nome di «forza dell’io».
    Sono qualità che non fanno parte della dotazione originaria della persona, se non come potenzialità radicali che si sviluppano nel corso della vita, sotto l’influsso determinante dell’azione educativa e, da un certo punto in poi, di quella autoeducativa portata avanti dalle libere scelte di vita della persona stessa.
    L’educazione morale ha quindi come suo compito essenziale il rafforzmento dell’io e quindi del realismo cognitivo, della stima di sé e del senso della propria dignità, della capacità di autodominio, dell’apertura progettuale e della coerenza ed equilibrio interiore.

    La cultura morale

    Un aspetto importante della personalità morale e un precursore assolutamente indispensabile dei valori morali è la cultura. Va detto subito che per cultura non s’intende qui primariamente il grado di istruzione che distingue il dotto, colui che ha studiato e che sa, dall’indotto, cioè da colui che è povero di sapere e si occupa normalmente di attività non propriamente intellettuali. È troppo evidente che questo genere di cultura non ha molta rilevanza agli effetti della vita morale. Per cultura intendiamo l’accesso a quel complesso mondo simbolico, costituito dal linguaggio, dall’arte, dalla tecnica, dalle regole della convivenza sociale e dal pensiero riflesso, che ogni uomo possiede per il solo fatto di vivere in una certa società e che gli viene appunto da questa società e, in parte minore, dalla sua stessa esperienza personale.
    Questo mondo simbolico permette a ogni uomo di rappresentarsi e di comunicare agli altri una certa immagine di sé, del suo rapporto con la natura e con la società, gli obiettivi e i significati del suo agire nel mondo.
    Della cultura fanno parte integrante le credenze e le convinzioni riguardanti il senso ultimo della vita, la vocazione etica e il destino finale dell’umanità, e quindi ciò che chiamiamo «sapere morale».
    Un simile complesso di credenze e di convinzioni può trovarsi nella personalità a diversi livelli di consapevolezza e profondità.
    Vi sono convinzioni che, nonostante la loro profondità e la loro incidenza sulla condotta della persona, restano almeno in parte inconsapevoli, non concettualizzate, presenti in modo solo implicito nelle proprie abitudini di vita, nelle risposte emotive e nei tratti del carattere.
    E vi sono convinzioni che, nonostante la chiarezza e il grado di elaborazione con cui sono possedute, restano superficiali e poco influenti. Si tratta in realtà molto più di razionalizzazioni che non di vere e proprie convinzioni profonde. Resta comunque vero che le rappresentazioni, le convinzioni, le prassi abitudinarie, i conformismi e tutto ciò che ogni uomo riceve dalla cultura in cui vive, condizionano a fondo la sua vita morale ed entrano a costituire, come strutture portanti e relativamente stabili, la sua personalità morale.
    Trasmettere cultura, elaborare in maniera più o meno critica una cultura, inculturare o acculturare persone e gruppi è quindi fare opera di educazione anche morale. Ed è altrettanto evidente che questa trasmissione è proprio il modo specifico con cui educa la scuola, un modo di educare che avrà, come peraltro si è già ampiamente visto, un suo luogo privilegiato in sede di «educazione sessuale».

    Educazione dell’amore e grazia

    Il carattere unitario ed organico di ogni autentica educazione morale ci costringe infine a collocare l’educazione dell’amore all’interno della maturazione globale della persona, valorizzando in particolare la dimensione religiosa cristiana con il suo specifico dinamismo di crescita.
    Nell’ambito della comunità cristiana, l’educazione dell’amore non può essere separata dall’educazione della fede, che dà all’amore umano la sua motivazione più profonda, il suo significato teologale e la speranza di eternità.
    Questo significa che ogni educazione morale cristiana comincia con l’evangelizzazione, come annuncio delle meraviglie che l’amore di Dio ha operato in Cristo.
    Riscoprire il primato dell’evangelizzazione rispetto all’insegnamento delle norme e all’esortazione parenetica, significa superare quel moralismo che sfigura presso gli uomini del nostro tempo il volto del cristianesimo e ne determina tanto spesso il rifiuto.
    Ma questo comporta anche una riscoperta del protagonismo dell’educatore «grazia».
    La visione di fede della realtà morale presuppone una chiara consapevolezza della radicale insufficienza dell’uomo a realizzarsi con le sole sue forze sul piano etico e quindi a raggiungere una sua salvezza immanente. La nostra giustizia è la sua giustizia accolta (sia pure liberamente) come dono in Cristo.
    Essa è prodotta in noi dallo Spirito, è frutto della grazia. Nel nostro impegno morale è all’opera anzitutto la grazia che lo rende possibile in radice.
    Ogni educazione morale, che non riposasse sull’unico fondamento dell’amore preveniente di Dio, scadrebbe a moralismo farisaico.
    L’educatore morale cristiano è quindi sostenuto dalla consapevolezza di poter contare su un educatore infinitamente più potente di ogni educatore umano.
    L’educazione morale cristiana si ispira e si accompagna all’azione dello Spirito che opera nel cuore di ogni uomo; si adegua ai suoi tempi (che sono i reali tempi di crescita dell’educando), sa attendere con fiducia e umiltà il maturare della sua fecondità soprannaturale.
    La prudenza dello Spirito ispirerà di volta in volta la fiduciosa audacia di chi sa di poter contare sull’efficacia della Parola che salva, oppure la pazienza di attendere, in un silenzio pieno di rispetto per la libertà dell’educando, il kairòs di Dio.
    L’attenzione allo Spirito dà all’educatore la forza di rimettere continuamente in discussione i suoi modelli educativi (sempre tentati di irrigidirsi ed assolutizzarsi) per adeguarsi alla incessante novità e creatività della grazia.
    Contare sulla grazia non significa nutrire peraltro una specie di fiducia miracolistica nel soprannaturale, concepito quasi come una tra le altre forze intrapsichiche, capace di far violenza alla natura e di scavalcarne i condizionamenti.
    Ci sono cose normalmente impossibili anche alla grazia, e l’educatore non deve ignorarlo né nasconderlo. La grazia non agisce direttamente sui condizionamenti biologici, educativi e culturali che entrano nella determinazione concreta del comportamento morale. Essa agisce, in modo diretto e immediato, solo al livello non oggettivabile della libertà fondamentale. Il comportamento concreto e settoriale, nella misura in cui non dipende solo dalla scelta di fondo che ispira tutta la vita morale, ma anche dai condizionamenti suddetti, è influenzato dalla grazia solo in modo indiretto.
    Anche per questo il cammino verso la virtù è solo graduale, e potrà sembrare a volte fallimentare, almeno a livello di comportamenti esterni.
    In realtà quando la grazia è accolta e trova nella libertà umana tutta la collaborazione di cui è capace, essa opera sempre il miracolo di quella volontà buona, che al di là di tutti i risultati concreti rende buona la persona e la salva.


    NOTA

    [1] «L’atto non può essere perfettamente buono, se non è accompagnato dal piacere del fare il bene» (S. Tommaso, Ia IIae, q 34, a 4).


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