Domenico Sigalini
(NPG 1998-07-54)
Premesse
È forse inutile cogliere il contesto in cui si è fatta la scelta dell’animazione culturale nella tradizione di NPG e a quali sfide rispondeva.
• Si fa la scelta dell’animazione quando il giovane, il destinatario «tipo», non è colui che deve «imparare» le verità e la pratica della fede, ma chi deve essere ancora interpellato da essa per coglierne il significato. Il processo di fede dunque, il più delle volte, comincia e in gran parte si svolge nei luoghi dove si sperimenta la vita, piuttosto che in quelli «della pratica religiosa».
• Sono elementi caratteristici di quel tempo: l’allungamento del periodo educativo, l’emergere del soggetto giovanile come portatore di inquietudini e domande, l’aumento degli spazi di libertà, il pluralismo ideologico ed etico nella società, l’esplodere della secolarizzazione, la nuova gestione del tempo. La vita dei giovani si svolge in contesti sempre più ampi, in luoghi vitali caratterizzati dalla spontaneità. Provano a elaborare senso per la loro vita e ne fanno esperienza non soltanto nel tempo «sociale», destinato agli obblighi scolastici o di lavoro, ma in quello «individuale», da gestire a piacimento, che comincia a diventare fondamentale nella loro esistenza.
• La pastorale da «cura animarum» diventava comprensiva di tutta una serie di interventi e di condivisioni del tempo dei giovani più segnata dall’annuncio del vangelo e da ciò che per la loro età è necessario, cioè una scelta educativa, che dalla custodia di un patrimonio sociale di pratica cristiana. Caratterizzare l’intervento ecclesiale nei confronti dei giovani con un ruolo necessario e ben compaginato del momento educativo esige delle competenze diffuse nella vita di comunità e non solo in qualche bravo addetto ai lavori. Ricordiamo che da allora nessuno più si avvicina al giovane o all’adolescente senza esprimere una passione alla sua esistenza globale.
• Ma concepire l’educazione come dimensione interagente nella nascita e sviluppo della fede, vuol dire valorizzare al massimo le mediazioni educative, non soltanto come facilitazioni metodologiche esterne, ma come elementi integranti l’esperienza della fede stessa: il rapporto educativo, la comunità, i processi di crescita, la qualità della proposta pedagogica.
In questo contesto si fa una scelta di stile educativo chiamato animazione culturale e se ne vede la coerenza con il tipo di giovane, di cultura in cui vive, ma anche con le esigenze di una autentica esperienza di fede.
L’educazione è una pratica autonoma, ma noi siamo convinti che l’esperienza di fede ha il diritto di giudicare se uno stile educativo è adatto a servire la fede o no. Lo stile educativo non è indifferente all’educare alla fede.
Qui però non vogliamo approfondire il rapporto tra animazione e educazione alla fede che dovrebbe far parte di uno studio esplicito in un altro momento.
È utile però tenere sullo sfondo una consapevolezza di questo genere perché motiva tutto l’interesse della pastorale nei confronti dell’animazione. Oggi ci è richiesto di «dimenticare» quasi tale prospettiva per riportare la funzione dell’animazione non solo alla sua genuinità, ma anche alla sua incandescenza.[1]
Un nuovo contesto per la pastorale giovanile e quindi per l’animazione
Cerchiamo allora di vedere che cosa oggi, a partire da un occhio «pastorale» sulla realtà dei giovani, obbliga l’animazione a ridefinirsi e che cosa c’è di nuovo nella pastorale giovanile da offrire alle mediazioni educative perché si ripensino. Si delinea quindi un nuovo contesto per la pastorale e quindi anche per l’animazione.
Da una lettura appassionata della realtà
- I nuovi problemi comunicativi e la preponderanza di alcuni linguaggi giovanili e il bisogno di sentirsi rappresentati.
È il fenomeno della solitudine giovanile, che spesso si avvita sui linguaggi o chiusi o autonomi, separati dallo scambio culturale della società. È emblematico a questo riguardo tutto il mondo musicale. Una animazione che non tiene conto di questo si vede crescere un mondo parallelo di risorse inutilizzate e di spazi di identificazione lasciati a se stessi o a qualche mago o approfittatore del momento. Se poi prendiamo in considerazione la crisi del linguaggio, che oggi diventa ancora più diffusa e discriminante tra le generazioni, l’impegno diventa tra i più urgenti.
- La crescita zero.
I giovani diventano una specie rara destinata ad accollarsi un peso esorbitante di adulti, e gli adulti una specie in difesa, contemporanei di età diversa, come dice Pollo, incapaci di investire per il futuro e di offrire alle giovani generazioni la missione di creare vita.
- La impraticabilità dello spazio gruppo a stretta appartenenza, come elemento privilegiato del metodo dell’animazione, e l’evoluzione del senso di appartenenza a un gruppo.
Occorre guardar dentro e con più distacco e libertà a questo strumento che galvanizza e assorbe la maggioranza delle energie della pastorale, col risultato di dire molto a pochi e poco ai molti, di essere cioè un segno impercettibile per la maggioranza dei giovani.
Occorre trovare luoghi di riappropriazione della parola, della identità, della socialità, della interiorità, che non siano legati a questa forma troppo selettiva.
- Oltre a questi ci potrebbero essere altri nodi, come la crisi della funzione paterna, la crisi del noi astratto, l’isolamento generazionale, come si diceva sopra...
Il fattore che io ritengo però più importante è:
- L’allentamento o arresto della secolarizzazione e la presenza di una domanda religiosa e di spiritualità diffusa e dispersa.
Oggi non è possibile educare se non si hanno risposte esplicite a questa dimensione.
Detto in altri termini: la dimensione religiosa non è un optional, ma un passo obbligato della cultura in cui viviamo.
Non c’è un muro ideologico che divide chi sta da una parte e chi sta dall’altra. Il problema non è di facile soluzione per la molteplicità di agenzie che danno risposta a quelle domande, per il sospetto di invadenza nei riguardi della Chiesa Cattolica nel nostro contesto, per la difficoltà ad affrontare con serietà un pluralismo religioso che faccia giustizia di tutte le scelte settarie diffuse.
Questo costringe a mio parere a offrire alla dimensione religiosa un posto entro gli elementi fondamentali della cultura anche giovanile, e quindi tra le dimensioni determinanti di una animazione.
Da uno sguardo appassionato alla progettualità pastorale
- La riorganizzazione progettuale di una pastorale giovanile, che costringe ogni comunità cristiana ad esplicitare un modello educativo e a chiarire ancora meglio il rapporto tra educazione e educazione alla fede. È in atto in tutte le diocesi italiane una sorta di allestimento di progetti, di proposta di scuole per formatori, di tavoli di concertazione con le agenzie educative, soprattutto con le amministrazioni comunali o provinciali o regionali. I rischi che si presentano sono:
* il modello educativo o non c’è affatto, o è un insieme di osservazioni di buon senso, o è desunto alla lettera dalla Parola di Dio;
* le scuole per animatori tendono a creare persone appassionate di educazione, ma puntando soprattutto su abilità personali o conoscenze di contenuti dottrinali;
* i rapporti con il pubblico diventano adattamenti, perdita di identità, contrapposizione, spartizioni di influssi o di sovvenzioni, eroici arroccamenti sull’Aventino...
Un progetto educativo deve prevedere elementi culturali molto ben definiti per governare tutto questo movimento. Siamo alla solita idea-sogno della costituente educativa, oggi sempre più necessaria e praticabile.
- La necessità di un educativo che esige maggiormente di sporgersi verso la proposta che chiarisce la ricerca piuttosto che verso uno scandagliare immediatamente la domanda.
Alla domanda religiosa così diffusa e così dispersa, come dicevamo sopra, caricata all’interno del mondo giovanile che ha accordi con la comunità cristiana da una domanda di radicalità e di spiritualità, le nostre comunità rispondono con una grinta propositiva più evidente col rischio di saltare o ignorare i cammini educativi, di favorire un larvato fondamentalismo o di non favorire un atto di fede umanamente sensato e intellettualmente onesto. In questa prospettiva si pongono anche le scelte di una pastorale della convocazione, del chiamare i giovani a fare esperienze coinvolgenti, emotive.
Ebbene, su tutto questo esiste un versante educativo che costringe la stessa animazione a valutare i fenomeni e a porre in atto riflessioni e orientamenti educativi che vanno ben al di là di una asettica socializzazione o di una equilibrata educazione o definita inculturazione.
I tre spazi tipici dell’animazione sono da ridefinire.
- La pressione pastorale sulla missionarietà.
In molti contesti ecclesiali, anche perché è un modo di sentire tipico del mondo giovanile, ci si sporge verso la missionarietà con due rischi:
* di scambiarla per proselitismo;
* di non tener conto di un cammino educativo che si deve definire in termini diversi.
Per semplificare, anche se troppo, si tratta di inventare un nuovo modo di educare più sul confronto, il dono, lo scontro, il dialogo che sulla pacifica collocazione entro un ambito tranquillo in attesa di uscire.
Non tener conto di questo può creare altre solitudini nel giovane che viene continuamente invitato a farsi missionario, ma senza un supporto culturale a questa dimensione coessenziale alla fede.
NOTA
[1] «L’animazione è un segno col quale si fa capire che i termini ‘giovanile’ ed ‘educazione’ vengono presi sul serio quanto la natura umana in Gesù Cristo.
È la via per tradurre il modello dell’incarnazione nell’esperienza di fede dei giovani. A che cosa tendiamo quando facciamo pastorale giovanile? Tendiamo a: integrare fede e vita, fondere vangelo e cultura, far interagire formule di fede ed esperienza religiosa giovanile, mettere in comunicazione tradizione ecclesiale e domande-sfide-aspirazioni dei giovani.
L’accento ricade sui verbi: integrare, fondere, far interagire, mettere in comunicazione: una maniera di elaborare e assumere realtà che sembrano lontane o estranee.
L’animazione prende atto dei due poli o termini e cerca di capirli fino in fondo con gli strumenti adeguati alla loro natura, non solo per non travisarli ma soprattutto per sentire la loro voce più profonda e genuina. Li colloca poi l’uno di fronte all’altro in dialettica positiva, in modo che l’uno non riesca a formularsi come contenuto di vita senza ascoltare continuamente e seriamente l’altro. Così ciascuno viene spinto verso sensi ulteriori e formulazioni ‘reali’.
L’animazione agisce in questo modo perché è convinta che i termini che sovente mettiamo in polarità (fede-vita, vangelo-cultura, Parola-esperienza umana) si richiamano nel soggetto attraverso segni visibili e misteriosi. È orientata dunque fin dall’inizio da una precomprensione pastorale» (Vecchi J., NPG ’91, 1).