Animare un gruppo /5
Mario Pollo
(NPG 1987-05-56)
Nella definizione offerta all'inizio dell'articolo sul «gruppo come sistema di comunicazione»
(NPG, febbraio 1987) è sottolineata, come caratteristica fondamentale del gruppo, l'esistenza al suo interno di relazioni tra i membri significativamente più intense di quelle che gli stessi hanno, in quel momento, con le altre parti dell'ambiente sociale.
Questa caratteristica consente di affermare che il gruppo possiede una forza di gravità in grado di mantenere le persone al proprio interno.
Il nome che convenzionalmente viene dato a questa forza di gravità è quello di «coesione».
La coesione, tuttavia, non va pensata come ad una forza derivante da un'unica causa, bensì come il prodotto di un insieme complesso di fattori. Occorre poi aggiungere che la sua azione varia da persona a persona, anche all'interno dello stesso gruppo, da situazione a situazione e da gruppo a gruppo. La coesione è una forza la cui natura non può essere definita né in modo preciso, né in un modo generale valido per tutti i piccoli gruppi umani.
L'unico atteggiamento che si può correttamente assumere di fronte ad essa è quello di cercare di descrivere i fattori, che con maggiore frequenza ed intensità, sono risultati all'origine della sua azione in molte e differenti situazioni di gruppo, invitando nel contempo agli animatori a considerarli solo come delle semplici ipotesi di lavoro, la cui effettiva presenza all'interno dei loro gruppi va verificata con attenzione ogni volta.
LA COESIONE E I FATTORI CHE LA DETERMINANO
La coesione è il punto di equilibrio tra le motivazioni e le aspettative dei singoli membri nei confronti del gruppo e le caratteristiche emotive e funzionali proprie di quest'ultimo.
La coesione però non rappresenta unicamente l'azione delle forze positive che attraggono l'individuo all'interno del gruppo, ma anche l'azione degli ostacoli, delle conseguenze negative, delle paure e delle ansie che impediscono all'individuo di abbandonare il gruppo.
Occorre anche tenere presente che la coesione può nascere dallo scarso potere di attrazione che esercitano sui membri del gruppo le altre forme di vita associata presenti nell'ambiente sociale. In questo caso la coesione del gruppo risulta essere più funzione della repulsione verso altri gruppi che funzione della sua capacità di attrazione.
In ogni caso, come si può facilmente intuire, la coesione è la risultante di un insieme di fattori cosíì complesso che la sua spiegazione, allo stato delle conoscenze attuali, non è riducibile ad una semplice legge.
L'attrazione di gruppo e le motivazioni personali
Nonostante questi casi la coesione è, quasi sempre, la manifestazione concreta dell'attrazione che il gruppo esercita nei confronti delle persone che lo formano.
Solitamente questa capacità di attrazione del gruppo è in funzione:
- delle motivazioni personali dell'individuo ad appartenere ad un gruppo. Di quell'insieme, cioè, di opportunità, bisogni, aspirazioni e attese che lo orientano positivamente verso l'appartenenza al gruppo;
- delle incentivazioni che il gruppo è in grado di offrire alle motivazioni dell'individuo. Si tratta della capacità del gruppo di far percepire ad ogni singolo membro, attraverso fatti concreti, che più egli si integrerà nel gruppo e più sarà in grado di soddisfare i motivi che lo hanno spinto ad aderire ad esso;
- delle aspettative di ogni membro intorno ai benefici o ai danni che potrà ricevere dall'appartenenza al gruppo. Più le sue aspettative positive saranno grandi e più il gruppo risulterà attraente. Invece, più sentirà di poter avere delle conseguenze negative dalla sua appartenenza al gruppo e meno sarà attratto da questo, specialmente se è obbligato ad appartenervi;
- dal confronto tra ciò che l'individuo crede di meritare per la sua attività nel gruppo e ciò che effettivamente il gruppo gli offre. Non c'è nulla di peggio per un membro del gruppo di sentire, non importa se la sua percezione è esatta o distorta, di non essere valorizzato o ricompensato come merita, per disincentivare la sua attrazione verso il gruppo. Questa situazione genera, quasi sempre, una repulsione verso il gruppo. Al contrario, quando la persona sente di essere adeguatamente valorizzata e ricompensata, proverà un forte sentimento di attrazione nei confronti del gruppo.
Tutto questo, molto semplicemente, significa che più un gruppo è in grado di sostenere le aspirazioni e le motivazioni dei suoi membri, più risulterà attraente per loro. Ciò vuol anche dire che tanto più un gruppo è efficiente, tanto più attrarrà i suoi membri, sempre che ne condividano gli scopi. Nel processo di formazione della motivazione della persona ad appartenere al gruppo intervengono anche, tuttavia, dei fattori che non sono legati alla funzionalità ed all'efficienza, ma alla dimensione più squisitamente esistenziale della vita di gruppo.
L'attrazione e le relazioni interpersonali
Altri fattori incentivanti l'attrazione personale dei membri da parte del gruppo sono:
- la conoscenza e la fiducia reciproca.
Dato che la conoscenza e la fiducia reciproca, come si è visto nell'articolo dedicato alle interazioni, sono il risultato dello sviluppo delle interazioni tra i membri del gruppo, ciò significa che la coesione è legata anche allo sviluppo, qualitativo e quantitativo, delle interazioni. Si vedrà nel prossimo paragrafo il rapporto che esiste tra la comunicazione e la coesione; per ora si può solo rilevare come l'interazione si manifesti ancora di più come il tessuto connettivo del gruppo;
- la condivisione da parte dei membri di un comune sistema di valori e di norme.
È noto che gli uomini, in generale, preferiscono instaurare rapporti con le persone che sentono simili in rapporto alla concezione di vita ed alla cultura, piuttosto che con quelle che percepiscono come diverse.
La possibilità di confrontarsi con le persone simili, e quindi di rassicurarsi circa la bontà delle proprie scelte esistenziali, è un fattore che indubbiamente favorisce la coesione di gruppo;
- l'interdipendenza dei membri rispetto agli obiettivi che ognuno di essi desidera perseguire attraverso il gruppo.
La percezione del fatto che ogni membro del gruppo può raggiungere i suoi obiettivi solo se anche gli altri membri del gruppo raggiungono i loro, è un collante potente del gruppo;
- il livello di partecipazione alle decisioni.
Più una persona si sente coinvolta nelle decisioni e nelle scelte, più maturerà una forte attrazione per il gruppo. Meno la persona è coinvolta e più si sentirà marginale, frustrata e, perciò, poco attratta dal gruppo, che tenderà a percepire come una fonte di vissuti negativi; — lo stile della leadership.
Lo stile di comando dei responsabili del gruppo è fondamentale ai fini di incentivare o di disincentivare l'orientamento favorevole della persona verso il gruppo;
- la soddisfacente collocazione del gruppo nell'ambiente sociale.
È facilmente intuibile come un gruppo ben inserito nella vita sociale, con una buona immagine, possa essere una fonte di attrazione maggiore rispetto a quella di un gruppo che occupa una posizione di scarsa rilevanza e di marginalità nell'ambiente sociale;
- la consonanza dei valori, delle norme e delle mete del gruppo con quelle degli altri gruppi a cui i membri appartengono.
Ogni persona nel corso della sua normale vita quotidiana passa attraverso l'appartenenza a vari tipi di gruppo, che vanno da quello di lavoro sino a quello familiare. È necessario che la persona trovi una certa armonia tra gli scopi, i valori, le norme e le attività dei vari gruppi a cui appartiene. Se non riesce a ottenere questa armonia, i gruppi più disarmonici, rispetto all'insieme, risulteranno i meno attraenti. Da qui, ad esempio, la necessità di un gruppo di animazione;
- il clima ed il morale del gruppo.
Un gruppo con un clima sereno, gestito democraticamente, in cui ogni persona si sente attivamente coinvolta e, in più, con un morale elevato, sviluppa una capacità di attrazione superiore senz'altro a quella di un gruppo autoritario, in cui vi sia tensione, e conflitto tra i membri ed il morale sia alquanto basso.
Come si è visto, tutti questi fattori incentivano l'attrazione perché favoriscono relazioni interpersonali positive tra i membri del gruppo e, di conseguenza, uno stato affettivo del gruppo improntato alla serenità.
Quando in un gruppo si sviluppa un livello elevato di coesione, è molto probabile che i membri siano più disponibili a lasciarsi influenzare dai processi di comunicazione che in esso avvengono, che ci sia un largo consenso intorno agli atteggiamenti ed alle azioni che occorre attivare per raggiungere le mete del gruppo: cib perché si forma un sistema di norme ampiamente condiviso da tutti i membri.
Inoltre si avrà un grado di partecipazione assai elevato, una notevole fedeltà al gruppo, e ogni membro ricaverà un sentimento di sicurezza dalla sua appartenenza al gruppo.
Per quanto riguarda l'efficienza, anche se non si hanno risultati certi, si può affermare che essa tende in genere a migliorare in presenza di una elevata coesione, salvo che per le attività molto specializzate che richiedono una accentuata parcellizzazione dei compiti tra i membri del gruppo.
Quale coesione per animare?
Alcuni studiosi di dinamica di gruppo sostengono che allo sviluppo dei rapporti tra le persone debba necessariamente seguire un aumento della coesione di gruppo. Tale affermazione, ad un attento esame, risulta solo parzialmente vera. Infatti è stato dimostrato da Festinger e Kelly (1951) che quando le persone sono obbligate, ad esempio da ragioni di lavoro, ad unirsi a persone che non ritengono simili, o che addirittura classificano come inferiori, il rapporto genera un aumento dei sentimenti negativi reciproci e dei pregiudizi. Ciò significa che l'attrazione e la coesione di quel tipo di gruppo risulteranno assai scarse, se non addirittura tendenti al negativo.
Questa constatazione porta a ridimensionare, o perlomeno a porre nel suo giusto alveo, il rapporto tra comunicazione e coesione. Si può cosi affermare che la comunicazione produce coesione solo quando non è forzata, nel senso ché le persone non sono obbligate a comunicare se non lo vogliono. Il caso ideale di comunicazione che produce coesione si verifica all'interno delle interazioni autentiche.
L'interazione autentica produce coesione perché, come si è già avuto modo di dire, essa aumenta la conoscenza e la fiducia tra i membri del gruppo. L'interazione risulta essere anche il veicolo lungo cui passa il processo che porta le persone a conformarsi ad un certo insieme di norme, di valori, di opinioni, di credenze, di modelli di comportamento e di condotta. L'interazione, quindi, è responsabile della formazione nel gruppo di una certa uniformità tra le persone e dell'eliminazione di molte differenze individuali.
Questo fatto fa sorgere il problema di quale debba essere, in un gruppo educativo come quello di animazione, il giusto grado di coesione. Qual è, cioè, il livello di coesione sufficiente per consentire al gruppo di avere una certa consistenza, di esercitare un'influenza sui suoi membri e, nello stesso tempo, di permettere a questi lo sviluppo pieno della loro individualità e della loro autonomia.
Le esperienze compiute dai gruppi di animazione dicono che questo tipo di coesione è possibile solo quando lo sviluppo delle interazioni autentiche conduce il gruppo ad una maturità piena. Que‑sto percorso di maturazione sarà oggetto di un articolo specifico a cui si rimanda. Per ora è sufficiente l'avere individuato e segnalato il problema.
LA FORMAZIONE. DEL CONFORMISMO
La comunicazione va considerata anche come la risposta ad alcuni bisogni fondamentali della natura umana che trovano il loro soddisfacimento nella coesione e nella uniformità. Si può dire che essa è lo strumento attraverso cui questi bisogni umani vengono soddisfatti.
Questi bisogni sono due: quello di approvazione e quello di certezza o, meglio, del bisogno umano di dare realtà sociale alle proprie opinioni, alle proprie credenze, ai propri atteggiamenti e ai propri valori.
Il bisogno di approvazione
Ogni individuo umano ha bisogno di sentirsi approvato, accettato e riconosciuto dalle altre persone con cui vive. Gli individui più forti si accontentano di essere approvati da poche persone: quelle che loro reputano significative. Al contrario, le persone più deboli debbono sentirsi approvate dalla maggioranza delle persone con cui entrano in contatto. Le prime possono perciò vivere, senza risentirne troppo, situazioni di dissenso e di marginalità, mentre le seconde non sono assolutamente in grado di sopportare una situazione simile. Resta però il fatto che, al di là che l'approvazione sia limitata o estesa, tutti gli uomini hanno questo bisogno.
Il bisogno di approvazione va quindi considerato come la molla che innesca la comunicazione tesa alla produzione dell'uniformità di opinioni, di valori e di atteggiamenti nel gruppo. È opportuno ricordare che ogni atto di comunicazione è sempre una ricerca, da parte di chi lo promuove, della conferma della propria esistenza e della propria identità personale.
Il bisogno di approvazione genera uniformità nel gruppo perché l'individuo sa che potrà essere più facilmente approvato se risponderà positivamente alle aspettative che gli altri hanno nei suoi confronti. Ogni essere umano è abituato a questo tipo di comportamento sin dall'infanzia, da quando, cioè, comincia a sperimentare che gli è più facile avere l'affetto dei suoi genitori se risponde positivamente alle loro attese.
II bisogno di certezza
Si è detto che il bisogno di certezza consiste nel dare ai valori, alle opinioni, alle credenze ed agli atteggiamenti delle persone un fondamento in grado di farli sentire, a chi li manifesta, veri e condivisi.
Questo fondamento è necessario perché la validità delle opinioni, cosí come dei valori, delle credenze e degli atteggiamenti, non è verificabile sperimentalmente.
Se un oggetto fisico è flessibile o rigido lo si può verificare con una semplice prova. Per le realtà non materiali la cosa non è cosí semplice. L'unico modo per provare, ad esempio, la validità di una opinione è dato dalla sua condivisione da parte di un gruppo di persone. Un'opinione è valida solo se anche altri membri del gruppo la condividono. Per alcuni sarà •sufficiente che la condivida una minoranza, per altri invece sarà necessaria una ben qualificata maggioranza. Tuttavia è sempre necessaria la condivisione con altre persone perché una realtà non materiale sia riconosciuta ed accettata.
Questo bisogno profondo dell'uomo concorre alla creazione dell'uniformità nel gruppo.
Anche qui lo strumento attraverso cui questo bisogno ricerca il suo soddisfacimento è costituito dalla comunicazione. La comunicazione, infatti, crea la realtà sociale perché consente alle persone di costruire delle posizioni comuni. Non per nulla si è osservato che nel gruppo le persone che sono fatte oggetto del maggior numero di comunicazioni sono quelle che manifestano opinioni, valori, atteggiamenti diversi da quelli della maggioranza dei membri del gruppo. Allo stesso modo è stata osservata una relazione direttamente proporzionale tra frequenza delle comunicazioni ed uniformità all'interno del gruppo. Naturalmente la spinta a comunicare è maggiore nei gruppi che trattano di realtà immateriali rispetto a quelli che hanno a che fare con realtà materiali.
La locomozione di gruppo
La pressione verso l'uniformità nel gruppo è esercitata, oltre che da questi due bisogni, anche dalla cosiddetta locomozione di gruppo (Festinger, 1950).
L'espressione «locomozione di gruppo» indica l'attività del gruppo finalizzata al conseguimento delle proprie mete.
Quando in una determinata situazione i membri percepiscono che la locomozione del gruppo sarà favorita dall'uniformità al suo interno, allora, immediatamente, si sviluppa una forte pressione di conformità.
Lo stesso fenomeno si verifica quando è viva tra i singoli la coscienza che il raggiungimento delle proprie mete personali dipende dal gruppo. La pressione di conformità, in questo caso, risulta poi accentuata se nell'ambiente sociale non vi sono altri gruppi in grado di consentire alle singole persone di perseguire i loro obiettivi. La situazione di monopolio del gruppo determina un forte aumento della pressione verso l'uniformità al suo interno. L'esistenza di un insieme pluralistico di gruppi centrati su scopi simili determina le condizioni per lo sviluppo al loro interno di uno spazio significativo per la diversità e la devianza.
LA FORMAZIONE DELLE NORME NEL GRUPPO
Parlando della coesione del gruppo si è accennato più volte alle norme senza peraltro chiarirne il significato.
All'interno degli studi sui gruppi la parola «norma» è utilizzata con un significato leggermente più ampio di quello del linguaggio comune. Infatti essa designa «i criteri pratici e morali che fanno preferire una certa persona ad un'altra o una certa azione ad un'altra in un dato insieme di circostanze» (Klein, 1956).
Le norme sono, secondo questa definizione, un sistema di riferimento di valori che consente alla persona di giudicare e ordinare la realtà materiale, sociale e culturale nella quale si trova ad agire. Le preferenze individuali sono il prodotto del sistema di riferimento costituito dalle norme.
Nella maggior parte dei casi le norme non sono scritte, esistono cioè solo nella mente delle persone.
Vi sono però alcuni casi in cui esse trovano espressione in veri e propri codici. Nonostante questo, le norme non sono mai dei principi razionali astratti, bensì dei veri e propri orientamenti affettivi che fanno si che esse non siano facilmente inquadrabili all'interno di modelli logici di spiegazione.
Lo stesso Freud dimostrava questa difficoltà allorché scriveva: «Se esistesse una psicologia che, essendosi impegnata nell'esplorazione degli istinti, dei motivi e dei fini di un individuo fino a studiare le sue azioni ed i suoi rapporti con coloro che gli sono più vicini, avesse esaurito completamente il suo compito, e avesse spiegato questi problemi nella loro totalità e con tutte le loro interconnessioni, essa tuttavia si troverebbe di fronte un nuovo compito insoluto. Si troverebbe infatti a dover spiegare il fatto sorprendente che esiste una situazione in cui questo individuo, che era stato finalmente compreso, pensa, sente ed agisce in modo del tutto inaspettato. E questa situazione è il suo inserimento in una collezione di persone che ha acquistato il carattere di gruppo psicologico. Ma cosa è un `gruppo'? E come fa ad acquistare la capacità di esercitare un'influenza tanto decisiva sulla vita mentale di un individuo? E qual è la natura del cambiamento che gli impone?».
La funzione delle norme nel gruppo
La norma è il risultato dell'attrazione e consente la formazione dell'uniformità e della coesione nel gruppo. Come l'attrazione, l'uniformità e la coesione, le norme vengono acquisite attraverso la comunicazione e, quindi, attraverso le interazioni.
Le norme sono sempre apprese dagli individui interagendo con gli altri all'interno di un gruppo. Non esistono norme innate. La persona può, del resto, cambiare il suo sistema di norme di riferimento nel corso della sua esistenza o, ancora più semplicemente, nel passaggio da un gruppo ad un altro.
Molte ricerche di psicologia sociale hanno posto in evidenza la tendenza degli individui umani di modificare la loro condotta quando passano da un gruppo ad un altro. Ciò per l'azione esercitata dalle norme del gruppo attraverso la pressione di conformità.
L'unica possibilità per l'individuo di sottrarsi a questa variabilità di comportamento è quella di possedere un «gruppo di riferimento», del quale seguire fedelmente le norme anche quando è fisicamente presente in un altro gruppo.
La stessa funzione è esercitata dalle norme della cultura sociale quando l'individuo non riesce a comprendere le norme che regolano la vita del gruppo nel quale è inserito.
Nel caso, invece, di un individuo perfettamente integrato in un gruppo, se si verifica un contrasto tra norme della cultura sociale e norme di gruppo, egli può facilmente schierarsi dalla parte del gruppo ed ignorare o contrastare le norme culturali.
Le norme sono, quindi, il nome che prendono le forze che agiscono, attraendole, sulle persone umane per uniformarle. La loro azione è facilitata e resa possibile dal bisogno di certezza e di approvazione, dalla locomozione di gruppo e dall'esistenza di efficaci processi di comunicazione, meglio se nella forma dell'interazione.
Non bisogna, però, pensare che l'azione delle norme coinvolga allo stesso modo tutti i membri del gruppo. Vi sono persone che resistono alla loro pressione e altre che se ne lasciano immediatamente sedurre. Ciò provoca l'esistenza nello stesso gruppo di persone fortemente integrate e di persone poco integrate o devianti.
DEVIANZA, MARGINALITÀ E RIFIUTO DELLA COMUNICAZIONE
Come si è visto, la pressione di conformità non agisce allo stesso modo su tutti i membri del gruppo, che, di conseguenza, manifestano significative differenze rispetto alle norme; c'è, infatti, chi le accoglie pienamente e chi, invece, solo parzialmente o, addirittura le rifiuta ignorandole o opponendosi ad esse.
Nel gruppo possono, cioè, manifestarsi dei comportamenti individuali che non si conformano alle norme contemporaneamente ad altri che risultano, invece, pienamente conformi.
I comportamenti, così come le persone, che non si rifanno alle norme, sono solitamente detti «devianti». I comportamenti, e le persone, pienamente conformi alle norme sono detti, invece, normali.
La devianza, tuttavia, si manifesta in vari gradi differenti di intensità perché, di solito, comprende un arco di comportamenti che va da un piccolo scarto dalla norma al suo rifiuto totale.
Ogni gruppo ha una propria norma intorno alla devianza. Non è questo un facile paradosso, ma solo la constatazione che alcuni gruppi sono in grado di sopportare solo piccole devianze, mentre altri ne sopportano anche di consistenti. Ogni gruppo ha un suo livello di tolleranza e di metabolizzazione della devianza. A questo punto sorge il problema di come la devianza, o la normalità, di un comportamento possa essere riconosciuta, visto che la norma, essendo un sentimento che esprime un valore, è astratta. La soluzione è semplice e la fornisce l'osservazione pratica della vita di un qualsiasi gruppo.
Gli standard di gruppo
Ogni gruppo manifesta le proprie norme di riferimento attraverso la richiesta di particolari standard di condotta ai suoi membri.
Gli standard sono degli stili di comportamento che caratterizzano i membri di un determinato gruppo, differenziandoli dai membri di altri gruppi.
In un certo gruppo, ad esempio, gli individui che lo formano evitano gesti ed atteggiamenti chiassosi e vistosi, sono sempre molto sobri, precisi e puntuali nella loro vita di relazione. In un altro gruppo, viceversa, può accadere che i membri siano un po' caciaroni, ridondanti nelle loro espressioni, apparentemente privi di qualsiasi regola che orienti i loro comportamenti sociali. In questi casi i gruppi hanno due insiemi differenti di standard di gruppo stesso, che traducono nella vita quotidiana del gruppo il suo sistema di riferimento costituito dalle norme.
Ora, dato che le norme, solitamente, non si esprimono sempre direttamente per mezzo degli standard, è rischioso stabilire una sorta di uguaglianza tra queste due realtà psicosociali del gruppo. Alcune svolgono, infatti, un'azione molto più intima e profonda, e si manifestano all'interno dei normali comportamenti, oltre che degli stessi standard. Di conseguenza non sono facilmente leggibili ad un approccio rapido e superficiale. La norma, ad esempio, del rispetto dell'altro si può manifestare tanto all'interno di un comportamento chiassoso ed estro- verso, quanto di un altro riservato ed in- troverso. In questo caso lo standard di condotta non è in grado di esprimere la norma del gruppo.
Questa osservazione è molto importante ai fini dell'animazione culturale, in quanto serve ad orientare i membri del gruppo alla comprensione del perché lo standard di condotta non debba essere confuso con il valore, anche quando ne è una manifestazione diretta. Significa, in altre parole, favorire la presa di coscienza che ogni gruppo, cosi come ogni cultura umana, ha un modo proprio di esprimere i valori e che nessun modo può essere ritenuto più giusto di un altro, ma solo più tipico di una certa realtà culturale e di gruppo.
La realtà della vita quotidiana, sovente, sembra però smentire questa affermazione. La stessa vita dei gruppi ne è un esempio lampante. Infatti solitamente nei gruppi lo standard di condotta viene confuso con il rispetto delle norme, ragion per cui si dà la palma del normale ai membri che più fedelmente interpretano gli standard e quella del deviante a coloro che interpretano male o, peggio, rifiutano o contestano gli stessi standard. Tutto questo prescindendo dalla effettiva fedeltà dei membri alle norme del gruppo.
Quante volte capita che delle persone molto ligie nel rispetto degli stili di comportamento di un dato gruppo, di fatto poi non rispettano le norme più importanti dello stesso gruppo a livello dei loro comportamenti privati? Molto spesso! E quanto volte, al contrario, persone alquanto anticonformiste negli atteggiamenti esteriori, sono poi sostanzialmente fedeli alle norme del gruppo che abitano? Anche qui la risposta non può che essere: molto spesso!
Purtroppo la vita sociale offre spesso occasioni per confondere la norma con lo standard, comportamento e fedeltà ad un valore, esteriorità con interiorità e, infine, apparenza con autenticità.
L'animazione culturale deve offrire le occasioni per aiutare le persone a prendere coscienza, partendo dalla loro esperienza concreta della vita di gruppo, di questa fallacia del giudizio-pregiudizio sociale e consentire, di conseguenza, il loro cammino verso la scoperta delle interazioni umane autentiche.
Non è questa una operazione facile, perché è ormai ampiamente provato come questa presa di coscienza sia ostacolata dalle interferenze affettive, tra cui gioca un ruolo del tutto particolare la coppia simpatia-antipatia.
Gli standard e la simpatia-antipatia dei membri del gruppo
Le persone che meglio interpretano gli standard del gruppo sono anche quelle che godono della maggior popolarità e, quindi, della maggior simpatia tra i membri del gruppo. Al contrario, quelle meno fedeli agli standard godono della maggior antipatia o, comunque, della minor simpatia.
Questo aspetto della vita di gruppo è quello che consente di ottenere una misura indiretta della coesione del gruppo. Infatti, grazie a questo fenomeno è possibile affermare che i gruppi in cui i membri al loro interno dimostrano un elevato livello di simpatia reciproca sono anche i più coesi. Mentre quelli che manifestano la minore simpatia reciproca tra i membri sono i meno coesi. Molti sperimentatori utilizzano perciò il test sociometrico di Moreno per ottenere una misura indiretta della coesione di gruppo.
Questo significa che laddove le norme, gli standard di condotta sono ampiamente condivisi, perché esiste una forte coesione reciproca, i membri del gruppo manifestano una forte accettazione reciproca a livello affettivo. Questo significa anche ribadire che è più facile accettare affettivamente le persone simili piuttosto che quelli differenti come stile di vita e sistema di riferimento normativo.
È questa una grossa sfida per l'animazione. Una sfida che essa deve vincere, se vuole costruire un gruppo in cui le persone possano maturare una socialità autentica. In un altro articolo sarà offerta una indicazione su come sia possibile questa «educazione del gruppo alla solidarietà nella diversità».
L'ATTEGGIAMENTO VERSO IL DEVIANTE
Dopo aver visto cosa significano normalità e devianza all'interno del gruppo, è necessario cercare di comprendere qual è, usualmente, l'atteggiamento del gruppo nei confronti del deviante.
Il gruppo esercita nei confronti del deviante due distinte azioni:
- il tentativo del suo recupero alla normalità;
- la sua emarginazione;
Quasi tutti i gruppi, prima di passare all'emarginazione del deviante, tentano di recuperarlo. Questa azione varia però a seconda di:
- il livello di coesione del gruppo.
È provato che più un gruppo è coeso e più tenderà a recuperare il deviante e, se non ci riesce, ad emarginarlo. Un gruppo poco coeso è assai più indifferente nei confronti del deviante;
- l'importanza del compito che il gruppo deve svolgere.
Anche qui vale la stessa regola precedente: più il compito è vissuto dai membri del gruppo come importante e più essi tenderanno a non tollerare la devianza e, quindi, a esercitare tutti i tentativi necessari al recupero e dopo all'emarginazione. Se, viceversa, il compito è sentito come poco importante, allora la tolleranza alla devianza sarà di gran lunga maggiore e le iniziative per il recupero del deviante minori;
- la posizione all'interno del gruppo di colui che devia.
È stato osservato che le persone che godono all'interno del gruppo del maggior prestigio possono permettersi alcune «devianze» senza per questo essere rifiutate o messe in discussione.
Al contrario, ai membri di minore prestigio non è tollerata alcuna devianza.
Tuttavia se il membro di maggiore prestigio devia troppo, allora la reazione sarà molto più forte di quella che si avrebbe nei riguardi di un membro di minore prestigio.
Da tutto questo emerge come l'azione del gruppo verso il deviante sia sempre il risultato di un insieme complesso di variabili.
Dato che questa azione avviene sempre attraverso le interazioni, è necessario introdurre alcune riflessioni sul tema del rapporto tra comunicazione e devianza.
Comunicazione e devianza nel gruppo
All'inizio si è visto come la coesione ed il conformismo in un gruppo siano direttamente collegate con lo sviluppo delle interazioni. Il tema dello sviluppo delle interazioni comprende perciò anche, necessariamente, il problema del recupero del deviante. Infatti il conformismo richiede l'assenza di forme significative di devianza all'interno del gruppo. La comunicazione, aumentando la coesione e il conformismo, contribuisce perciò a ridurre al devianza.
Molte ricerche, da L. Festinger e J. Thibaut (1951) a S. Schachter (1951), hanno dimostrato che in un gruppo, quando vi è una gamma di opinioni diverse, compare la tendenza ad indirizzare la comunicazione verso quei membri le cui opinioni si collocano agli estremi della gamma. Questa tendenza risulta accentuata quando la pressione di conformità è più forte.
I gruppi con maggiore tendenza alla omogeneità e al conformismo sono quelli che attivano la maggiore quantità di comunicazione verso chi manifesta la maggiore diversità o devianza. In questi gruppi le persone «normali» ricevono, invece, un basso numero di comunicazioni. Allo stesso modo, quando il deviante abbandona la sua posizione per assumerne una normale, diminuisce progressivamente anche la quantità di comunicazione che il gruppo gli indirizza.
Non bisogna però pensare che la comunicazione del gruppo verso il deviante duri perennemente.
Infatti, dopo un certo periodo di tempo, se il deviante non modifica la sua posizione, il gruppo diminuisce progressivamente la comunicazione nei suoi riguardi, sino ad interromperla del tutto ed a mettere in atto nei suoi riguardi il processo di emarginazione. Da notare che i gruppi giovanili, di solito, rifiutano meno degli adulti i devianti. Qualcuno sostiene che questo avviene perché i giovani in generale sono meno sicuri di sé. La spiegazione però potrebbe anche essere quella della maggior disponibilità del giovane all'instabile, al precario ed alle situazioni di transizione in genere.
La situazione gruppo-deviante si modifica radicalmente quando il deviante non è solo ma, anzi, si coalizza con qualcun altro e forma una minoranza. È stato provato che una minoranza che si costituisce in sottogruppo è in grado di influenzare anche una maggioranza ben più numerosa. Questo è valido in modo particolare in quelle situazioni di gruppo in cui l'oggetto del giudizio contiene elementi di ambiguità.
Il dialogo tra «normali» e «devianti»
Concludendo questa parte, si può affermare che la comunicazione deve essere considerata lo strumento attraverso cui il gruppo esercita la sua influenza sociale, dando forma al potere che è condensato in esso.
La maggioranza degli studiosi di dinamica di gruppo è concorde nell'osservare che .quando il gruppo mantiene dei rapporti di comunicazione con i devianti, nonostante il permanere di questi nelle loro posizioni, si produrrà in esso un rinnovamento delle forme, finalizzato ad una sua migliore capacità di adattamento all'ambiente sociale e culturale. La tolleranza, o meglio l'accordare fiducia ad deviante, è un investimento che il gruppo compie per assicurarsi una più efficace capacità di cambiamento.
Il gruppo di animazione deve stimolare le interazioni, al fine di aumentare la coesione e la comprensione reciproca, e nello stesso tempo tenere aperto il dialogo tra normali e devianti. Questa esperienza è fondamentale rispetto agli obiettivi educativi dell'animazione.
L'emarginazione del deviante non consiste solo nella sua espulsione, più o meno cruenta, dal gruppo, ma anche semplicemente nel suo rifiuto. Rifiuto che può manifestarsi nella sua esclusione dalla comunicazione o nell'attribuirgli gli incarichi meno gratificanti o più sgraditi: quelli, cioè, che nessuno vuole. In questi casi il gruppo tende a togliere al deviante la motivazione alla sua permanenza nel gruppo e, nel contempo a motivarlo a lasciare il gruppo «spontaneamente». Molte organizzazioni utilizzano questo metodo per costringere i devianti ad abbandonarle.