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    Europa chiama educazione



    Carlo Nanni

    (NPG 1991-09-22)

    Gli avvenimenti del 1989 hanno fatto rinascere speranze di libertà e di democrazia per tutto il mondo. L'Europa ha dato segno di poter finalmente respirare con tutti e due i polmoni della sua tradizione, quello occidentale e quello orientale. La caduta del muro di Berlino, la «rivoluzione gentile» della Cecoslovacchia, il trapasso pacifico al post-comunismo in Polonia, l'instaurarsi di regimi non comunisti in altri paesi dell'Est, la «perestroika» di Gorbaciov, il nuovo corso delle repubbliche sovietiche, hanno fatto diventare non più illusorio il vecchio sogno di fare dell'Europa (quella che va dall'Atlantico, da Capo de Roca, agli Urali, e non solo quella comunitaria) una «casa comune».
    I popoli europei, come fratelli ansiosi di ritrovarsi insieme, dopo essere stati a lungo forzatamente separati, si dimostrano vogliosi di trovare forme di una superiore unità che non si limitino a garantire una coesistenza pacifica, ma che permettano di valorizzare la specifica identità di ognuno, in termini di cooperazione e progressiva integrazione. Le stesse prospettive della Comunità europea del secondo dopoguerra, quella di Adenauer, Schumann, De Gasperi appaiono oggi decisamente ristrette.
    A cinquant'anni lo spirito di Yalta è al suo termine. Sgretolati dal basso gli edifici di pietra che le ideologie avevano innalzato, si è rifatto forte l'intreccio profondo delle comuni radici, culturali e soprattutto spirituali, dell'Europa.

    Dopo il sogno

    A distanza di due anni, oggi viviamo come nel momento del risveglio e del ritorno alla realtà dopo un bel sogno.
    Se la democrazia e la voglia di libertà trovano nuovo impulso all'Est, chiedono di essere incrementate anche all'Ovest. Il modello economico occidentale liberistico ha vinto il modello collettivistico e statalistico dell'Est. Ma - come ha detto lo storico francese Emile Poulat - si è trattato di una «vittoria ai punti», per dirla in termini pugilistici. La «sfrenatezza» capitalistica occidentale, con il suo materialismo economicistico e la sua subordinazione delle persone ai fini di profitto delle «lobbies» che dominano il mercato nazionale ed internazionale, non è senza preoccupazione per il nostro futuro di civiltà e per l'esito della «modernità» europea ed occidentale.
    Di fronte a noi sta un quadro complesso, fatto di piani e di dimensioni molteplici dell'Europa comunitaria, degli stati nazionali, delle realtà regionali, delle diverse identità etniche e culturali, e prima ancora delle diverse situazioni di ricchezza e di povertà, di modernità ed arretratezza, delle zone ad alto sviluppo e ad elevato livello di benessere accanto a zone con forti squilibri socio-economici e sacche di profonda povertà.
    Se l'Europa comunitaria sembra vincere l'Europa delle ideologie, ha indubbiamente da fare i conti con l'Europa dei popoli, delle nazioni, delle culture locali e dei gruppi sociali (e con i loro nazionalismi, le loro intolleranze, il loro fondamentalismo) o con quella dei movimenti alternativi.
    La questione dei Balcani e la riunificazione della Germania, così come la questione ecologica, sono i nuovi problemi politici degli anni Novanta.

    Europa oltre l'Europa

    Ma la guerra del Golfo ha mostrate a chiare note che l'Europa ha da fare i conti con il resto del mondo; che non vale chiudere i propri pensieri entro la configurazione geografica continentale. La libertà e la democrazia europea risultano troppo legate a modelli individualistici ed imperialistici. Nonostante che non vi siano più gli imperi coloniali, l'Europa e le sue nazioni sembrano essere ancora dalla parte dei dominatori e di coloro che hanno in mano il potere economico e il mercato internazionale. Finito l'imperialismo nazionalistico del secolo scorso, molti paesi europei sembrano dare sostegno al neo-imperialismo dell'occidente nei confronti dei paesi in via di sviluppo o del sottosviluppo. La cultura europea appare per tanti versi ancora la cultura dei dominatori, che poco rispetta la diversità delle altre culture e che chiede quasi solo l'adeguazione e l'assimilazione dei modelli di vita e le forme politiche occidentali.
    L'appello del papa per uno sviluppo sotto il segno della interdipendenza e del valore-dovere della solidarietà appare molto profetico, ma forse poco attuato. Per tal motivo la pace - o meglio la coesistenza - ha bisogno ancora di affidarsi alle portaerei, ai missili teleguidati, ai carri armati, ai computer di guerra.

    Una nuova carta geografico interna

    Ma i problemi vengono ad emergere già a livello di tessuto vitale comunitario.
    L'immagine dell'Europa non cambia solo per la caduta della cortina di ferro tra Ovest ed Est. Le cartine geopolitiche europee non cambiano solo tra Est e Ovest. Nell'Europa occidentale e comunitaria è da aspettarsi anche un ridisegnamento interno a livello di composizione della popolazione. Per un verso essa appare sempre più segnata dal basso tasso di natalità della popolazione indigena e da un progressivo invecchiamento di essa. Per altro verso va soggetta a mutazioni e a rimescola menti, dovuti all'immigrazione interna ed internazionale, e - come negli USA e Canada - riferibili all'immigrazione dai paesi ex-coloniali, dal terzo mondo o dall'est per motivi politici o di lavoro.
    L'attenzione alla terza età ed ai problemi degli anziani, per tali motivi, va bilanciando l'enfasi sui giovani e sulla condizione giovanile, tipica del ventennio trascorso. Ma in molti paesi si deve già provvedere molto seriamente alla presenza di una larga percentuale di popolazione non nativa, con cultura, religione, attese diverse da quelle tradizionalmente europee; con una mentalità e una impostazione di vita, non solo diversa da quella europea, ma non necessariamente legata neanche a quella tradizionale o ufficiale dei paesi di provenienza. Difficile immaginare una pura e semplice assimilazione di questi «nuovi barbari» che invadono e penetrano nell'«impero europeo occidentale» da terra o da mare o da oltre oceano.
    La vita e la cultura europea, presto o tardi, dovranno farne i conti, non senza costi da una parte e dall'altra. Si fanno sempre più urgenti problemi di convivenza interculturale, non sempre agevolmente controllabile e non sempre priva di rigurgiti di razzismo, di intolleranza, di rigida difesa della diversità (se non addirittura del privilegio o degli «status» consolidati).

    La quotidianità europea

    Queste emergenze si incrociano con altre questioni connesse con gli effetti della modernizzazione della produzione, con i processi di urbanizzazione, con la crescente informatizzazione della vita pubblica e privata, con la burocratizzazione della vita civile e politica, con la presenza sempre più massiccia dei sistemi della comunicazione sociale nella quotidianità della vita familiare e sociale. Invece del controllo onnipresente del «Grande Fratello» dei totalitarismi comunisti, si ha la sofistica persuasione più meno occulta tramite mass-media. Per tali motivi le battaglie politiche in molti paesi sono spesso molto legate al potere sui mass-media e sulle reti dell'informazione sociale.
    La cultura non si cambia in un giorno. Certe prospettive di vita sono secolari e resistono al cambiamento. Ma forse possono essere «distratte». Le stimolazioni dell'ambiente e le richieste sociali di moda possono spostare l'attenzione verso altri obiettivi ed urgere certe priorità piuttosto che altre.
    In una cultura sempre più pluralistica e differenziata, dominata dai valori della prestazione efficace, dall'istanza del successo, del benessere, del buon posto di lavoro e nella società, ci si preoccupa che non manchino ai figli le opportunità di avanzamento sociale, ma forse si trascura la presa di coscienza sui valori di fondo che danno senso o mettono le fondamenta per una vita umanamente degna.
    Il sistema della comunicazione sociale, con la sua enfasi su ciò che fa notizia e spettacolo più che su ciò che è importante e vero, rischia di stimolare al culto dell'apparenza, abbandonando a sé i mondi dell'interiorità personale. Televisione, radio e personal computer, videogames sono diventati, sotto ogni cielo, gli amplificatori di questi valori di moda, nel bene e nel male.
    Ma forse sono soprattutto i portatori delle intenzionalità che il mercato internazionale cerca di imporre ai popoli e alle singole persone, per i fini di profitto e non certo per fini umanitari. Le ricadute sulla vita personale di giovani ed adulti è abbastanza evidente. La relativa incidenza negativa o positiva è oggetto di continuo e preoccupante dibattito sociale, sia nei paesi dell'Occidente che in quelli che cercano di uscire dal dramma dei sistemi politici totalitari di stampo comunista.
    La volontà di libertà e di democrazia rischia infatti di venire inquinata dalla voglia individualistica di riuscita e di benessere privato. L'aspirazione sacrosanta a compartecipare ai frutti della produzione economica, scientifica e tecnologica, rischia di esasperare i popoli e le persone, non solo allargando le disparità tra ricchi e poveri, ma imponendo modelli di sviluppo assolutamente estranei alle tradizioni locali e alle particolarità personali.
    Nella testa e nel cuore delle persone, soprattutto giovani, entra sempre più prepotentemente una venatura di materialismo, di possesso, di godimento sfrenato ed individualistico. I pensieri e i desideri delle persone, vale a dire quello che con parola complicata viene detto «l'immaginario» individuale e collettivo, diventa sempre più corposo, oggettuale, edonistico; e non riesce più ad immaginare realtà immateriali, spirituali, che non si toccano, che rimandano oltre l'esperienza momentanea, fisica, immediata, o che richiedono di «darsi pena», per il loro conseguimento, che pur «varrebbe la pena».
    I ritmi temporali vengono ad essere schiacciati sul presente, senza troppa memoria del passato e con l'impulso incontenibile di portare il futuro al «tutto insieme e subito», «qui ed ora».
    Gli stessi valori della pace, dello sviluppo integrale per tutti, della protezione della natura e dell'ambiente, della difesa dei diritti umani, di città dal volto umano, profondamente sentite da larghe fasce della popolazione europea, trovano assertori a parole, ma non molte persone impegnate nei fatti.

    Una «nuova evangelizzazione» per l'Europa

    Si dice invero che ci sia un certo risveglio religioso.
    Forse lo scontrarsi con una realtà dura o illudente apre alla coscienza e al desiderio dell'oltre e dello spirituale. Ma anche questa esigenza spirituale e religiosa spesso non riesce a trovare esaudimento nelle grandi religioni ufficiali. La ricerca di una nuova religiosità (dove c'è), trova molte volte il suo termine piuttosto nelle «sette», che si vanno per questo allargando a macchia d'olio, quando non si perde nei meandri dell'occultismo, della parapsicologia, della magia o della superstizione pura e semplice. In tal modo non sono solo indebolite le religioni tradizionali, ma ne è devitalizzata la vita religiosa delle persone; e spesso ne consegue anche l'abbandono della partecipazione fattiva e corresponsabile della vita comunitaria, civile ed ecclesiale, di qualsiasi denominazione essa sia.
    Oppure si viene a cadere in forme di «integralismo» che riducono la molteplicità culturale e reale, rifiutando e combattendo qualsiasi posizione differente dalla propria. O ancora si arriva a forme di «fondamentalismo», che pretende di dedurre dalle scritture sacre del proprio gruppo di appartenenza le regole della condotta sociale, senza alcuna mediazione culturale.
    Da tempo il papa evidenzia con drammaticità l'esigenza di una nuova evangelizzazione.
    Sono infatti venuti meno o sono perlomeno piuttosto estenuati e privati della loro funzionalità i canali tradizionali di quella che in termini tecnici si dice la «traditio fidei», vale a dire la trasmissione della fede da una generazione all'altra.
    Anche nei paesi di tradizione cristiana, le famiglie non riescono più per tanti motivi e di fatto non sono più l'agenzia della socializzazione primaria dei propri figli, sia in generale sia in particolare per ciò che concerne l'educazione religiosa. La famiglia urbana isolata ed anonima, il lavoro delle donne, i ritmi sociali dell'esistenza, le difficoltà dei rapporti interconiugali, le istanze di una prioritaria autorealizzazione personale dell'uomo e della donna rendono le cose difficili.
    Le parrocchie vengono ad essere piuttosto ridotte nel loro raggio d'azione all'interno delle «città secolari», piccole e grandi. Hanno perso la loro centralità di riferimento nella vita delle comunità. Nelle metropoli, ma sempre più anche nei piccoli centri, la vita comunitaria è impostata come se esse non ci fossero. L'assenza di Dio dalla vita pubblica, prima che essere una volontà intenzionale o polemica, è un dato di fatto che si impone da sé. La dimensione religiosa o è dimenticata per altre preoccupazioni vitali o viene vissuta nel sommerso del privato e dei mondi vitali o relegata nel sottobosco cittadino, non senza doppiamenti di comportamenti tra il pubblico e il privato.

    La sfida dei giovani europei

    Nessuno, piccolo o grande che sia, può dirsi estraneo da questa «temperie» socio-culturale che caratterizza la vita europea di questo fine secolo; ma certo tocca prima di tutti i giovani e le giovani.
    Quelli o quelle che si trovano in situazione di agiatezza economica hanno magari molte opportunità materiali, ma forse risentono di eccessività di stimolazione. Pressati dagli stessi familiari a riuscire ad ogni costo, economicamente e socialmente, blanditi dalla propaganda consumistica, forse trovano difficile reperire idee e valori significativi o centri di riferimento, che aiutino loro a fare la sintesi, e a far chiarezza sulla propria identità personale, culturale, sociale, religiosa. E pur godendo di simile cose, non riescono magari a vedere il senso profondo della loro esistenza e del loro agire.
    Altri o altre hanno invece da fare i conti con le ristrettezze economiche familiari o con la fragilità personale, in un mondo sempre più difficile per chi non è adeguatamente attrezzato o non dispone del sostegno familiare o sociale.
    Altri o altre, soprattutto quelli o quelle che vivono nelle periferie cittadine e nei centri politicamente inquinati, vengono spesso coinvolti nei cammini tremendi della devianza, della droga, della prostituzione, dell'emarginazione o peggio nel sottobosco della delinquenza e della criminalità organizzata.
    Tutti trovano spesso difficoltà ad entrare nei circuiti pesanti della convivenza sociale, nei giochi non sempre limpidi della burocrazia e della prassi istituzionale, nei circuiti duri dell'ingresso o in un sicuro e valido posto professionale o comunque nella permanenza in un adeguata e dignitosa attività lavorativa.
    E se si allarga lo sguardo un po' più là dell'Europa, è dato facilmente costatare che nei paesi poveri i giovani e le giovani sono le prime vittime dei progetti imposti alle nazioni in via di sviluppo o delle ideologie totalizzanti che promettono paradisi che non mantengono.

    La via educativa all'Europa

    Tale sfida, come si può vedere, non riguarda questo o quell'aspetto dell'esistenza personale e comunitaria, e neppure solo una fede staccata da esse.
    Sono le basi umane profonde della vita e dell'esistenza individuale e collettiva che non vengono tenute in conto o che sono costrette ed immiserite.
    Sono i valori formativi che sono molto spesso dimenticati o travisati.
    In questo orizzonte di problemi si fa evidente che la «questione europea» non è solo politica o economica.
    Non è solo questione finanziaria o monetaria, ma anche - forse in primo luogo - culturale, valoriale, etica, religiosa, ed in particolare formativa.
    Infatti diventa compito prioritario aiutare giovani e adulti a leggere e comprendere la storia personale e collettiva, sostenere capacità personali e comunitarie di libertà e responsabilità, formare capacità culturali di cambiamento; e più radicalmente, diventa impegno di lungo termine formare a modelli di essere uomini e donne capaci di pensare ed agire in modo ragionevolmente «preventivo», rispetto alle trasformazioni in atto e sulla base della diversificata sensibilità di appartenenza.

    L'istruzione e l'addestramento all'Europa

    Gli organismi della Comunità europea e le forze politiche di molti paesi membri si sono impegnati da anni a sensibilizzare l'opinione pubblica e la generazione in stato di scolarizzazione sulla realtà europea. Come certamente si sa, nell'ambito del Consiglio d'Europa è in preparazione una Conferenza dei Ministri dell'Educazione, destinata specificatamente alla «dimensione europea dell'educazione». Essa dovrebbe favorire e stimolare progetti comuni attuabili nei vari paesi aderenti.
    Generalmente si cerca innanzitutto di stimolare allo studio e alla conoscenza della realtà europea comunitaria, in particolare per ciò che riguarda l'organizzazione socio-economico-politica.
    A questo proposito sono promossi o resi presenti nei programmi scolastici nazionali «pacchetti» di istruzione per sensibilizzare ai problemi dell'Europa e sostenere il formarsi di una coscienza comune europea, pur nel rispetto e nel radicamento nelle differenti realtà nazionali, regionali o locali. Conoscere l'Europa come realtà storica, geografica, economica, sociale, politica, culturale, artistica, letteraria, religiosa; favorire l'apprendimento di categorie e chiavi di lettura della complessità europea, può aiutare ad essere simultaneamente cittadini della propria terra, cittadini europei e cittadini del mondo.
    Molto sentito è pure il problema linguistico. La conoscenza di altre lingue europee, oltre la lingua nativa, diventa un capitolo impegnativo dei sistemi scolastici nazionali in vista della libera circolazione dei professionisti e lavoratori all'interno della comunità e più largamente in prospettiva della sperata integrazione politica comunitaria.
    Gli organismi comunitari sono pure molto attenti alla formazione culturale e professionale scolastica, al fine di evitare forti dislivelli nella preparazione intellettuale e professionale di base. Da questo punto di vista viene attribuita molta importanza alla conoscenza e all'addestramento competente, relativo alle nuove tecnologie computerizzate.

    La preoccupazione per la formazione della coscienza europea

    Oltre questi obiettivi istruttivi e addestrativi non sono del tutto assenti - anche se poco chiari e operativamente praticati - intenzioni e propositi più largamente educativi.
    Tra questi sono senz'altro presenti:
    1. la volontà di educare al superamento del pregiudizio e di stereotipi culturali negativi, fonte di discriminazione e di intolleranza;
    2. l'educazione alla convivenza democratica, nel rispetto del pluralismo e delle differenze individuali e di gruppo, ed ancor più nella fruttuosa interazione e valorizzazione delle specificità personali, sociali, culturali, religiose delle diverse parti del corpo sociale;
    3. la formazione di una coscienza insieme radicata nella propria particolarità nazionale, regionale o locale, e tuttavia capace di sentimenti, atteggiamenti e comportamenti aperti, disponibili ed impegnati a livello comunitario, internazionale, mondiale;
    4. la promozione di comportamenti sociali e religiosi che aprano all'incontro tra le persone ed i gruppi etnici, alla comprensione tra le culture e le religioni, alla cooperazione tra i popoli, alla solidarietà tra le nazioni, allo sviluppo civile ed umano per tutti ed ognuno;
    5. la formazione a stili di accettazione, di tolleranza, di comprensione, di collaborazione, di intesa, di ricerca di soluzioni non violente, giuste, pacifiche nell'insorgenza di conflitti inter- etnici, politici, economici, religiosi.

    Il «viaggio» educativo attorno alla persona europea

    Proseguendo in queste indicazioni, si intravvede un lavoro educativo che chiede di andare alle strutture profonde della personalità, dove nasce l'impulso alla libertà creativa o dove si muore alienati e conformisti; dove maturano le decisioni responsabili o dove ci si lascia andare ai giochi ripetitivi dell'individualismo; dove il cuore si apre agli altri, alla comunità, a Dio o dove ci si chiude negli egoismi individuali, di gruppo, o in quelli nazionali; dove le volontà si assumono gli impegni e le conseguenze dei propri atti o dove ci si abbandona alla passività e alla deresponsabilizzazione totale.
    Non è un'impresa facile e subitanea. Si gioca sui tempi lunghi, lasciando spazio a crisi, riprese, sviluppi, cambiamenti, in relazione alle diverse età della vita e alle diverse situazioni in cui si viene a vivere l'esistenza individuale e comunitaria. Non basta l'intervento formativo istituzionalizzato. Occorre il consenso e la partecipazione interiore. Non basta l'istruzione scolastica. Ma ci vuole l'integrazione tra i molteplici interventi delle varie figure educative e delle diverse agenzie che portano avanti l'aiuto sociale di formazione. E forse richiede persino una certa moderazione nelle pretese di efficacia del proprio ed altrui intervento. Il successo non è assicurato o perlomeno non è sempre secondo o come si vorrebbe o ci si potrebbe aspettare.
    È come intraprendere un «viaggio», percorrendo piste diverse, nell'orbita ed attorno ai mondi personali, per promuoverne la crescita in libertà e responsabilità.

    Verso il mondo dell'interiorità personale

    Una prima pista è quella che va verso il mondo dell'interiorità personale, in vista di una coscienza critica, riflessa, aperta agli sviluppi e alla crescita di quanto viene dall'esperienza quotidiana e dal patrimonio sociale di cultura; ed in vista della creazione di uno spazio per un buono e giusto concetto di sé, e per la presenza interiore dell'altro, del nuovo, del diverso.
    C'è infatti da aiutare il formarsi di una identità che sappia fare i conti con «lo straniero dentro di noi», rappresentato dal mondo degli impulsi inconsci, dalle aspirazioni e dai desideri insoliti, nuovi, improvvisi che crescono dentro di noi, dai meccanismi di difesa che ci sono stati indotti o ci siamo costruiti, dai sostrati profondi del nostro io che non abbiamo mai messo o che non si vorrebbero mai mettere in discussione.
    C'è da superare una identità troppo «necessitata», che dà per scontato il «sono fatto così», «non posso fare altrimenti», «da noi si è fatto sempre così», «non cambierei, neanche a morire!».
    C'è da sostenere il formarsi di una identità capace di articolazione, che sappia comporre la propria interna differenziazione o almeno sopportare la fatica di far comunicare pensiero e cuore, desideri e azione, sogni e realtà, sentimenti ed espressioni esterne, passato e presente, presente e futuro, stabilità e mutamento interiore, esperienza ed innovazione.
    In particolare ci sarà da formare ad un'identità non rigidamente fissata ed invece capace di autotrascendenza, vale a dire capace di prendere distanza da sé, dai propri schemi, dai propri ruoli, dai bisogni indotti. E connessa con essa, sarà da pensare di promuovere la capacità di assumere quel minimo di solitudine che la coscienza di queste distanze e scarti interiori comportano, prima ancora di ogni distanza o isolamento fisico dagli altri. Peraltro, nella buona coscienza che tali spazi interni permettono un minimo di agibilità e di flessibilità tra «i molti sé» che coabitano dentro di noi; e nella speranza che a loro volta possono diventare i luoghi dove accogliere gli altri, Dio, se si vuole.

    Verso il mondo delle relazioni interpersonali

    Una seconda pista va verso il mondo delle relazioni interpersonali, in vista di un passaggio dalla prospettiva dell'«altro», considerato unicamente come nemico, come «oggetto ostile» (= «hostis», in latino) a quella in cui è possibile considerarlo come «ospite» (= «hospes», in latino), che si accoglie e da cui si è accolti, che si conosce e da cui si è conosciuti, con cui ci si incontra, si dialoga, si discute, ci si «associa» nell'affrontare problemi e perseguire indicazioni di senso umanamente degni.
    Ma ciò comporta di superare anche la pretesa, talvolta rigida ed ossessiva, della ricerca del/dei «sosia» rassicuranti, di colui o di coloro che la pensano come noi o con cui ci si capisce subito e totalmente; che diventano il nostro «doppione», entro cui spesso finiscono per essere circoscritte tutte le nostre relazioni, e viene a terminare il nostro mondo; senza che si sappia spendere un grammo di fatica, di fantasia e di coraggio verso l'ignoto, il diverso, il nuovo e fors'anche l'avventuroso. Occorrerà invece aiutare a sapersi rivolgere all'altro in quanto altro, senza farsi pigliare dalla paura e d'altra parte senza lasciarsi «ingoiare» completamente dall'altro; senza volersene ad ogni costo impossessare e senza d'altra parte lasciarsi «oggettivare» o dominare da lui; senza volerne fare un nostro «satellite», ma d'altra parte senza alienarsi in lui o in lei, fosse anche la persona «perdutamente amata». Anche nei confronti dell'altro è da esercitare infatti la capacità soggettiva di trascendenza. Ed è da trattare come persona, non come una cosa o un oggetto; e viceversa senza farne un «mito» o un idolo. Sarebbe scorretto in entrambi i casi.

    Verso il mondo dell'organizzazione sociale

    Una terza pista va verso il mondo dell'organizzazione sociale, in vista di una presenza personale, partecipata e corresponsabile, all'interno di una convivenza democraticamente orientata e qualificata, allo scopo di dar corpo istituzionale e legale ai bisogni individuali e comuni in «città dal volto umano», organizzando i desideri e le speranze di tutti ed ognuno.
    Anche a questo livello si avrà da aiutare il formarsi di quella capacità di trascendenza, di cui si è ripetutamente parlato, per non fissare e non farsi fissare nei ruoli e nei generi sociali troppo precocemente assegnati (come succede per ragazzi e ragazze, troppo mascolinizzati o viceversa troppo femminilizzati, o magari troppo spinti ad essere asessuati). E senza lasciarsi imbrigliare da progetti sociali di parte, gretti, intolleranti.
    In fondo si tratta di educare al senso critico, per vincere le spinte all'omologazione, al conformismo e per stimolare la creatività personale e la partecipazione responsabile. Ma occorre anche educare a saper gestire la complessità, in modo libero ed umano, senza lasciarsi prendere dal panico e senza utilizzare solo meccanismi di difesa o comportamenti discriminanti ed aggressivi.

    Verso il mondo della cultura e della civiltà

    Una quarta pista va verso il mondo della cultura e della civiltà, interiorizzate attraverso la socializzazione e la partecipazione alla vita comunitaria, in vista di una consonanza sulla comune/differente appartenenza all'umanità e all'impegno per una cultura dell'umano.
    È certamente la pista educativa meno agevole, perché maggiormente ostacolata dagli «occultamenti» dell'ovvietà e dei pregiudizi etnocentrici.
    Si avrà invece da aiutare ad evitare precoci fissazioni mentali e ad essere agili nel pensare nel giudicare. Sarà in particolare da andare oltre una certa mentalità occidentale, per tanti versi «prevenuta» a favore dell'individuo e delle sue libertà, della razionalità «pura», di una scienza e tecnica «positiva», dell'esaltazione dell'operatività e del dominio della natura o dello stra niero ed invece piuttosto «ostica» verso la sovraindividualità della comunità e del bene generale o comune, della razionalità «analogica», della ricerca «fondativa» e teorica, della contemplazione, con l'altro, con il cosmo, con Dio. C'è di certo da superare un laicismo secolarista e settario, ma pure un certo cristianesimo troppo clericale e poco evangelico, troppo invididualistico e moralistico, poco comunitario e poco contemplativo, sospettoso della libertà di coscienza e poco coraggioso nel camminare nelle vie dello Spirito.
    C'è infine da approfondire lo stesso riferimento all'«umano», per togliere ad esso genericità ed ambiguità, e dargli invece determinatezza e fondatezza, attorno ad un preciso e chiaro quadro di valori, quali la persona, la giustizia, la pace, l'ambiente, lo sviluppo, la cultura, l'appartenenza ad un popolo e ad una comunità libera, i diritti umani in genere o quelli delle diverse categorie di persone o di componenti del corpo sociale (diritti dell'uomo, del fanciullo, del cittadino, del malato, dell'anziano, della donna, del migrante, ecc.). Nell'orizzonte di questi valori è da formarsi al rispetto, alla correttezza, alla trasparenza, all'impegno attuativo, alla partecipazione corresponsabile.

    L'educazione all'incontro

    In un'Europa che invece di ringiovanirsi sembrava invecchiare, molti giovani e molte giovani già da tempo avevano preso a muoversi e a incontrarsi, oltre i confini nazionali e quelli degli schieramenti politici. Turismo, trasferimenti di studio e di lavoro, scambi di alloggio, di informazioni, di servizi, di incontri internazionali di cultura, di festa e di sport sono state e rimangono iniziative che coinvolgono, creano rapporti, rinsaldano relazioni amichevoli, aprono all'arricchimento derivante dalla conoscenza reciproca.
    In tal senso si muovono oggi gli organismi internazionali. Ne è classico esempio il «progetto Erasmus», per l'interscambio tra studenti e docenti o ricercatori a livello universitario.
    Ma forse c'è da educare a stare insieme, prima ed oltre ogni viaggio od incontro, nei luoghi dove quotidianamente si vive.
    Vorrei provare ad indicare alcune strategie educative particolari che possono essere utili a questo scopo.
    1. Saper analizzare la realtà contestuale, saper cogliere la «trama» della convivenza sociale e saper individuare i «trends», le linee di tendenza dei processi storici in atto, sono degli obiettivi che entrano a far parte di una azione formativa di tipo istruttivo ed abilitativo.
    2. Saper sostenere la fatica dell'accettazione di se stessi e del comunicare, come anche il disagio, la frustrazione e il dislocamento nel tempo per ciò che riguarda il conseguimento di obiettivi prefissati, di desideri o di aspirazioni (contro la tentazione di «voler tutto/ insieme/subito»), diventa importante se non si vuole scaricare troppo sull'altro e sulla relazione interpersonale e sociale la propria insoddisfazione e le proprie voglie inesaudite.
    3. Contro «la fretta del comunicare», occorrerà non solo aiutare l'apprendimento delle «regole» e delle dinamiche della comunicazione interpersonale e sociale, per non farsi idee sbagliate sulla possibilità, il senso, i limiti della comunicazione umana, ma bisognerà aiutare a saper «mettersi di fronte» alle persone, per guardarle e trattarle come effettivamente sono, non come oggetti e cose, ma appunto come persone, rispettando i ritmi, i tempi e i modi propri di ognuno.
    4. Il dialogo, il confronto, la discussione, aiutano a conoscersi ed a valutare correttamente idee e valori che ognuno ha ed in cui si crede od a cui ci si riferisce. Affinché non degenerino o provochino insoddisfazione e malcontento, forse potranno aiutare la conoscenza delle dinamiche di gruppo, o anche tecniche particolari, quali il così detto «role-taking», vale a dire il sapersi «mettere nei panni dell'altro», o il metodo della «chiarificazione dei valori», che aiuta le persone a saper distinguere utile e vero, fatto e valori valori propri e valori altrui. Lo scopo ultimo è di aiutare a saper passare da la tolleranza e dal rispetto alla comprensione ed al riconoscimento/apprezzamento delle ricchezze (umane culturali) insite nelle differenze individuali e di gruppo, sapendosi metter nella prospettiva della «utilità» di un loro reciproca integrazione.
    5. Siccome si tratta di conoscenze o di atteggiamenti mentali, emotivi e< operativi, ma anche di pratiche e d comportamenti concreti, occorrerà far fare pratica di tali prospettive e modi di essere personali, in modo da saper concretamente modulare ricerca intellettuale ed operatività concreta, itinerari di apprendimento ed esperienze di servizio, saper far silenzio, ascoltare e parlare quando occorre, saper intervenire e partecipare corresponsabilmente ad iniziative d'interesse comune o generale. A questo scopo potranno essere molto proficue le occasioni di festa e di gioco, come anche la promozione di iniziative e l'attuazione di «micro-progetti» di gruppo o d'insieme: operare insieme può aiutare a sentirsi partecipi di qualcosa che è comune e che è da portare avanti insieme, nella collaborazione e nella solidarietà.
    6. La pratica religiosa della contemplazione e della meditazione, la partecipazione alla liturgia o a forme di preghiera comune, anche tra credenti di confessioni e religioni diverse, la condivisione in opere di generale interesse umanistico, mentre sarà un far pratica di quella religione che in vari modi, in tutti i tempi, e sotto ogni cielo, adora Dio «in spirito e verità», aiuterà anche a sapersi riconoscere, rispettare ed apprezzare come persone e come gruppi, oltre le barriere confessionali e le credenze religiose particolari.
    7. L'obiettivo dello stare insieme richiede di scegliere anche strategie, metodi e mezzi educativi congruenti. Una didattica passiva, una relazione educativa vissuta in senso «duale» (come se educando ed educatore fossero isolati dagli altri e dal resto del mondo), una pratica scolastica o di gruppo o di associazione tutta sbilanciata sulla competizione e l'eccellenza individualistica, non sono certamente le vie migliori per la formazione di stili di pensiero e d'azione collaborativi e solidaristici.

    Oltre i «monolinguaggi» e l'etnocentrismo della cultura educativa

    Piccoli e grandi, nell'Europa occidentale, siamo sempre più esposti a quella che da alcuni è stata detta la frantumazione e da altri la moltiplicazione dei «punti di vista» e dei linguaggi. Il sistema della comunicazione sociale e l'incontro delle molte culture, invece di produrre l'incontro e la trasparenza tra i diversi, fanno sperimentare, anche all'interno delle singole nazioni, «la babele dei discorsi» e fanno spesso vivere lo sconcerto mentale, che diventa foriero di comportamenti intolleranti o di chiusure nell'isolamento privatistico ed individualistico. Per altro verso, il prorompente progresso informatico e le accresciute possibilità di mezzi tecnici, portano ad una crescente specializzazione dei linguaggi e alla sopravvalutazione della logica scientifico-tecnologica. Non si vuole minimamente negare la loro validità in termini di «oggettività», di aderenza ai fatti, di operatività pratica, di cui certamente abbisognano gli uomini e le donne europee per stare ed operare insieme al di là ed oltre le differenze culturali di ciascuno. La rigorosità della logica e del linguaggio matematico che linguaggi e logiche utilizzano è di indubbia forza formativa. Tuttavia in proposito è da essere abbastanza vigili, perché il monolinguaggio è rischioso, come la monocultura e l'etnocentrismo rigido.
    In questo senso diventa particolarmente importante abilitare alle molteplici forme di linguaggio che, all'interno della propria cultura o altre tradizioni culturali, differenti dalla nostra, ci mettono a disposizione. E sarà pure da abituare a saper utilizzare in modo organico le diverse logiche e linguaggi di cui la persona ed i gruppi umani sono capaci. In particolare sarà da favorire l'educazione al linguaggio simbolico, al ragionamento analogico, al discorso narrativo, alle forme espressive, verbali e non-verbali, gestuali e globali, per i vantaggi che essi offono al fine di aprire alla differenza, al trascendente, alla distanza, ma anche alla sottile continuità tra «mondo osservabile» e «mondo immaginabile», alla scoperta delle somiglianze ed analogie tra forme e modi culturali diversi, alla possibilità di stare insieme e di relazionarsi tra diversi.

    Un'educazione religiosa all'altezza dell'Europa e del suo futuro

    Il richiamo alle comuni radici cristiane per lo sviluppo di una cultura europea non è solo del Pontefice o dei vescovi. Peraltro la storia passata e recente testimonia abbondantemente spaccature tra popolazioni, guerre tra popoli, divisioni profonde tra confessioni religiose, tutto sotto l'insegna della religione e del cristianesimo europeo in particolare.
    Per tal motivo, ancora di recente, papa Giovanni Paolo II, parlando alla XLI Settimana Sociale della Chiesa Italiana (che si interrogava su «I cattolici italiani e la nuova giovinezza dell'Europa») ha invitato ad interrogarsi sul «progetto di Dio sulla nostra storia, sulla storia di questa nuova Europa che si va faticosamente ridefinendo».
    Secondo il Papa, gli europei, fatti esperti dalla loro storia di divisioni, dolorose e tragiche, sono chiamati a dare una risposta di civiltà in termini di solidarietà con tutti i popoli che invocano ancora libertà e autodeterminazione per poter compiere un cammino di sviluppo e di progresso nel rispetto dei diritti fondamentali della persona.
    Allo stesso tempo essi devono assicurare al processo di cambiamento un'anima religiosa e culturale che ne garantisca l'avanzamento nella direzione della verità e del valore della persona e del bene comune. L'accoglienza degli immigrati che hanno culture e religioni diverse, il dialogo ecumenico, lo sforzo comune dell'Est e dell'Ovest per un progresso globale attraverso una nuova cultura della convivenza, sono - a detta del Papa - impegni non eludibili per i cristiani.
    In tal senso egli afferma che «l'Europa, oggi, ha bisogno di essere ripensata alla luce delle sue più vitali tradizioni, delle più antiche ed autentiche aspettative dei suoi popoli, che affondano le loro radici nella fede in Gesù Cristo».
    Si possono intravvedere, in questa linea, interessanti prospettive per un insegnamento, una educazione religiosa ed una catechesi all'altezza dell'Europa e del suo futuro di sempre maggiore unità. Lungo questi cammini potrà probabilmente camminare quella «nuova evangelizzazione» di cui anche l'Europa, le sue nazioni e i suoi diversi popoli hanno bisogno per il loro presente e per il loro futuro di civiltà e di collaborazione.


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