Giuseppe Sovernigo
(NPG 1990-06-48)
Perché il processo di integrazione si verifichi e permanga attivamente, è necessario che i due fattori in gioco, religione e persona, procedano verso una sempre maggior autenticità e che interagiscano a partire dal valore religioso. Ricordiamo le linee fondamentali lungo cui si snoda il processo di integrazione:
- la scelta del valore centrale della propria vita;
- l'interiorizzazione dei valori religiosi;
- l'unificazione di sé attorno al «vero sé»;
- un lavoro sul duplice movimento assimilativo;
- l'impegno di crescita personale. Abbiamo descritto le prime due fasi nell'articolo precedente.
L'UNIFICAZIONE ATTORNO AL VERO SÉ
La realtà religiosa anzitutto deve essere incontrata nella sua specificità e non in forme derivate o marginali, e affettivamente, a livello esperienziale.
Contemporaneamente è necessario che il soggetto collabori volontariamente in vista della sua crescita.
Una stima di sé sostanzialmente sana e realistica è indispensabile per l'integrazione; e al di là di qualunque velleitarismo e soprannaturalismo miracolistico occorre un serio impegno personale.
Tipi di stima di sé
La persona stessa si trova nella necessità di proteggere la stima di sé, perché vivere senza autostima è impossibile. La stima di sé è il risultato dell'immagine che una persona ha di sé, come frutto del rapporto tra io-ideale e io-attuale e delle loro componenti. Un'immagine che è valutazione cognitivo-affettiva di positività o negatività che emerge dal mondo interno ed esterno della persona.
Fondamentalmente sono tre le possibilità che si possono realizzare.
- la stima realistica: l'immagine di sé e sostanzialmente oggettiva; comprende sia la consapevolezza delle proprie ricchezze, con il senso della dignità personale, sia il riconoscimento sereno dei propri limiti. Inoltre vi è coscienza delle potenzialità non ancora espresse, da valorizzare;
- la non stima: non vi è valutazione oggettiva e positiva di sé, ma una prevalenza più o meno pesante di un tono negativo, con accentuazione e non accettazione dei propri limiti a livello conscio e inconscio. Diversi sono i sintomi di questa situazione: sbalzi di umore, dovuti a rappresentazioni contrastanti del proprio io, sentimenti di vuoto, difficoltà o incapacità di empatia verso altre persone e di giudizio oggettivo;
- la stima compensatoria creduta come realista: spesso la situazione di carenza personale viene coperta da una stima compensatoria e difensiva, che ha la funzione di dare sicurezza al soggetto, riparandolo dal dubbio su di sé. È il caso in cui si fa nascere l'autostima dal successo, dal consenso esterno... Naturalmente il problema non viene risolto alla radice, ma solo nascosto; l'equilibrio è fragile e la non stima pronta a riemergere e ad interferire.
Il compito dei meccanismi di difesa è proprio quello di proteggere in qualche modo la stima della persona da tutto ciò che potrebbe minacciarla: brutte figure, accuse da altri, umiliazioni, sentimenti negativi interni inaccettabili.
La legge dei meccanismi di difesa è la sopravvivenza; questo è il loro vantaggio. Ma lo svantaggio è notevole: lo stato di non realtà in cui la persona si chiude porta a negare o a distorcere anche il resto della realtà, in funzione di se stessi. Tutto ciò che non conferma la propria immagine non viene assunto dalla persona, ma debitamente tenuta a distanza o tramite indifferenza, non attenzione, o negandone l'esistenza, o distorcendone la configurazione.
I meccanismi di difesa hanno il potere di far credere reale alla persona ciò che è solo interpretazione o distorsione soggettiva, facendola perseverare in un funzionamento autocentrato. Questo può giungere fino al fenomeno della «distorsione percettiva» che incide pesantemente sull'integrazione.
Dietro la maschera del «falso sé»
La rimozione estesa e diffusa dà origine a una configurazione psichica detta «falso sé». Per «falso sé» si intende una condizione pre-psicopatologica diffusa che ha luogo nell'ambito dell'identità e in conseguenza della quale l'individuo non è quello che realmente è o potrebbe essere, ma una falsa personalità a varia gradazione.
Quella che presenta al mondo esterno è solo o prevalentemente una facciata esteriore che può anche avere successo, indurre in inganno ed essere presa per vera, ma di fatto non è reale, non è autentica. È imitazione, in quanto si è costruita su basi di prevalente compiacenza e sottomissione. La persona così non si sviluppa sulla base della propria dotazione innata, ma in conformità alle aspettative, alle sollecitazioni e alle pressioni del mondo esterno.
Alcune caratteristiche lo indicano, quali la accentuata vulnerabilità individuale, la docilità, la sottomissione, l'intelligenza pronta e sensibile, la passività, l'imitazione, talora la falsità. Tutte queste incontrano facilmente il favore e l'approvazione dell'ambiente familiare e sociale.
Alla base del falso sé c'è una distorsione a varia gradazione, determinata generalmente da un modello di influenze deformanti.
Al contrario, il vero sé è caratterizzato dalla capacità effettiva di vivere in modo propositivo, creativo e assertivo, dal reggersi in modo autonomo e consistente, dall'essere un membro attivo della comunità, dal vivere secondo schemi personali, con libertà interiore e non reattivamente, dallo sviluppare una personalità autentica e non eterodiretta.
Per una stima di sé realistica
Ci sono alcuni elementi da favorire perché alimentano la stima di sé.
Anzitutto la conoscenza oggettiva di sé. Si ha quando la persona è in grado di percepire realisticamente le varie componenti del suo io, dall'io manifesto all'io latente all'io ideale. Il non conoscersi sufficientemente e oggettivamente provoca il permanere di una stima artefatta e illusoria, o una non stima o autopercezione negativa.
Inoltre la capacità di apprezzare quello che si è. Si tratta di valutare positivamente ciò che si è e si ha per natura, con tutti i doni e le energie innate, a partire dal dono dell'esistenza. La stima di sé viene da dentro. Non si importa, ma si risveglia tramite riflessi veri e si alimenta attraverso atti sia di esistenza e di verità, sia di interscambio.
Occorre poi una sana tensione verso il bene. Non basta l'io attuale per fondare l'autostima. È solo un germe di positività. Per essere se stessi occorre tendere verso un completamento di sé, verso la realizzazione piena di germi innati. L'autostima infatti è una realtà dinamica.
Per rendere possibile una vera integrazione religione e persona è necessario infine integrare il negativo presente nella propria vita. Poiché il negativo e il limite sono una componente normale dell'uomo, la stima di sé richiede tale assunzione. Occorre perciò integrare il negativo fisiologico, come limiti e malattie; quello psicologico, come debolezze, carenze, immaturità, traumi propri della realtà umana, spesso non legati alla propria responsabilità; quello morale, come miserie e colpe di vario genere; quello spirituale, come assenze, forme di idolatria.
L'illusione che il limite sia superabile definitivamente e totalmente impedisce la vera soluzione dei conflitti nel senso di un progresso continuo. Questa illusione dà luogo a una ribellione interna o a un risentimento contro la vita o le persone, o a una passivizzazione di sé quando si rimane delusi.
Non si arriverà però mai a una totale soluzione del conflitto. La generale capacità di tolleranza dell'ambiguità è una disposizione di base necessaria per l'accettazione del conflitto. Si tratta della capacità di sopportazione di una situazione interna in cui non tutto è risolto, di un certo senso di provvisorietà che stimola al progresso senza generare ansia e insicurezza. Questo è possibile nella misura in cui la persona accetta l'esperienza del conflitto e il conflitto stesso come normale e necessario. La riprova dell'integrazione del proprio negativo si ha dalla lenta maturazione di una considerazione realistica e positiva di sé, indipendentemente da ciò che altre persone o circostanze possono dare. Il soggetto diviene allora per se stesso criterio, e insieme si riferisce a un aldilà di sé interiore e trascendente, ai valori autentici della vita.
Tutto questo rende possibile a poco a poco l'accettazione di questo negativo senza particolari angosce o 'fatalismo, il vivere le immaturità come parte del proprio io e come segno di un limite che l'uomo non subisce.
Perché il processo di integrazione religione e persona si realizzi, è dunque necessario un lavoro diretto e indiretto anche sulla personalità concreta del soggetto.
UN LAVORO SUL DUPLICE MOVIMENTO ASSIMILATIVO
Per favorire il processo integrativo è poi necessario che il punto di partenza nel vivere la propria religiosità quotidiana sia adeguato, tale cioè da consentire un suo reale radicamento nel vivo del divenire personale.
All'origine della religione c'è un punto di partenza duplice che dà luogo a un movimento ascendente e a un movimento discendente. Si tratta di un punto d'avvio e di nutrimento interscambiabile in base alle fasi della crescita.
Entrambe le partenze perseguono lo stesso esito, che è quello dell'unificazione di sé attorno al valore religioso, divenuto principio attivo del sentire, del pensare, dell'agire.
Il movimento ascendente
Esso si articola secondo le seguenti fasi principali.
- La problematizzazione di un aspetto centrale della vita.
Essa è data da una realtà o da un problema umano rilevante, come le situazioni cruciali, o un settore dello sviluppo di sé (ad esempio la crescita affettiva, sessuale, morale, progettuale perseguite nella loro pienezza, il compito del proprio avvenire, evidenziandone le ricchezze e i limiti, un senso valido per la vita, l'aspirazione a divenire uomini nuovi, liberi, riconciliati, veri, la realtà della sofferenza, le situazioni che chiamano, ecc.), o un aspetto sociale.
L'affrontamento di queste realtà non si limita al livello più o meno immediato e funzionale, ma ricerca una risposta a livello profondo. Sono situazioni di vita che interpellano la realtà religiosa presente nella propria esperienza o nella cultura attraverso i suoi simboli evocativi. Una successiva rilettura religiosa rivelerà, già in questa ricerca, un'azione di un'altra presenza trascendente.
- L 'annuncio.
Di fronte o entro queste situazioni umane tipiche, il radicalmente Altro rende presente il suo messaggio come proposta significativa. Si pone non come ricetta, ma di volta in volta come criterio di riferimento, strada nuova, parola di salvezza, forza e cammino verso la pienezza ricercata, risanamento delle ferite di ogni persona. Decidersi per lui, a partire dalla propria concreta situazione, è decisivo per la pienezza di vita ricercata.
- La propria risposta e il cammino di crescita.
C'è un'educazione alla fede e nella fede da vivere. Occorre individuare il proprio modo personale di rispondere, secondo l'inclinazione propria, e poi occupare il proprio posto entro il dise gno di salvezza.
- La celebrazione.
Si tratta di ricomprendere significativamente i fatti ritualizzandoli con il linguaggio dei simboli, per l'attuazione e il compimento di tale disegno di salvezza sul singolo, sull'umanità, sul cosmo fino alla pienezza sperata.
Il movimento discendente
Può avvenire anche che la stessa realtà religiosa interpelli la persona, ponga in causa il corso ordinario degli eventi, solleciti una scelta coinvolgente: ciò attraverso una «presenza» interiore alla persona che si propone come l'aprirsi dell'orizzonte su spazi nuovi per procedere oltre il verificabile, oppure attraverso mediazioni significative.
La persona è stimolata a revisionare la propria vita e a prendere posizione. Viene coinvolta in un'avventura.
Questa seconda partenza è prepara- bile attraverso la disponibilità, e non è producibile da parte della persona. Le varie età e situazioni di vita privilegiano, o rendono educativamente più opportuno, questo o quel punto di partenza, rinnovabile nel tempo.
Le principali modalità del movimento discendente sono le seguenti.
- L'annuncio della parola.
Nella sua originalità e perentorietà essa si colloca come un apriori che interpella, un apriori che può essere secondo le attese umane, ma anche diversamente o contro, in vista di un'autentica pienezza.
- Il confronto della vita con la parola.
Provocata dalla parola, la persona deve prendere posizione: la neutralità sarebbe già una risposta negativa. La persona può lasciarsi interpellare in profondità, così che il valore religioso si pone come punto di riferimento valoriale e operativo. È questo il caso delle conversioni religiose piccole e grandi, uniche o ripetute come tappe di un itinerario.
- Un cammino di sequela.
Discepoli non si diviene in un giorno, ma lungo la vita, seguendo varie tappe. C'è una ristrutturazione di sé, una conversione che richiede una crescita, una progressiva integrazione fede/vocazione/persona. Nessuna vera crescita avviene a strappo o per forzatura, ma secondo le leggi interne all'organismo.
I movimenti ascendente e discendente sono entrambi necessari e complementari per facilitare l'integrazione religione e persona nelle varie età. Corrisponde ai due poli dell'avventura del divenire religiosi, il soggetto e il radicalmente Altro.
Occorre sottolineare che per l'adolescenza e per la giovinezza, come anche per le fasi di ricerca iniziale, il movimento ascendente è preferibile: si innesta infatti più direttamente nei processi di crescita che sono in atto.
L'IMPEGNO DI CRESCITA PERSONALE
La dinamica reale del rapporto religione/persona in vista dell'integrazione comporta notevolissime implicanze nel campo della crescita personale e di gruppo. Ignorarle è porsi fuori dei normali dinamismi di crescita con attese spesso irrealistiche.
È indispensabile invece agire a partire dalle dinamiche in atto secondo la normale legge dell'incarnazione: «Dio non ha l'abitudine di manifestare la sua azione annullando i nostri meccanismi psicologici. L'importante è dunque riconoscere che lo psichico è tutto impregnato di spirituale e che lo spirituale è tutto nascosto nello psichico» (Raguin).
In generale si può affermare che nella misura in cui i diversi processi di maturazione della personalità avranno ottenuto soltanto una riuscita parziale, ci si dovrà aspettare nella persona adulta alcuni elementi di non maturazione e altri elementi di maturità. Anche nel campo del sentimento religioso una non maturazione di partenza tende a cambiare a poco a poco, divenendo maturità.
Attraverso crisi, rotture, integrazioni multiformi, durante l'età evolutiva, si può giungere alla maturità religiosa. Pure in questo settore i successi strutturano positivamente la persona religio sa, mentre gli scacchi fanno nascere dei disturbi, dei traumi, delle rimozioni, dei blocchi nella religione.
Sono rare le riuscite piene e il cammino costante. Infatti la religione è condizionata, non in senso deterministico, dalla sua storia umana, dalla sua evoluzione psichica.
Di qui la necessità di una educazione religiosa che tenga conto di tutta la personalità, sia per affrontare le difficoltà spirituali, sia per superare le resistenze permanenti.
L'interazione religione/persona comporta infatti molte implicanze a livello causale, sia per la maturazione spirituale che per quella psicologica.
Misconoscerle significa ignorare uno o più fattori centrali del processo di crescita, con ovvie conseguenze negative per lo sviluppo. Infatti molte difficoltà spirituali sono in realtà espressione di inconsistenze inconsce. Non è questione di valori o di buona volontà, ma di difficoltà ad armonizzarli con i bisogni.
Occorre discernere fin dall'inizio le fonti di difficoltà che la persona incontra nel suo impegno di vita; individuarle prima ancora che si organizzino e diventino talvolta irreversibili. Se alla base c'è uno o più problemi subconsci, non ci si può illudere che il problema possa essere risolto con i soli mezzi ascetici: preghiere, propositi, esperienze... La grazia di solito non rimedia i limiti di natura in un modo straordinario. Agli effetti educativi la considerazione di questa area subconscia è determinante.
Se si prescinde da questa, non ci può essere aiuto efficace.
Una adeguata pedagogia della religione
È necessario allora enucleare le strade per un'adeguata educazione alla fede e nella fede.
C'è un'educabilità indiretta della fede, che resta pur sempre dono gratuito, che impegna la concreta persona in un'opera di collaborazione con l'iniziativa divina.
Infatti la conoscenza della reale integrazione religione e persona fa porre il problema della loro unificazione su basi in parte nuove rispetto al passato. Più noto e agibile è il punto di partenza, l'uomo reale, quello studiato e promosso anche dalle scienze umane nella sua struttura e funzionamento psicosociale. Non è più sufficiente l'uomo della concezione filosofica e teologica, né quello del senso comune dell'uomo della strada. Diversa è anche in parte la strada da percorrere, non opposta; più precisa è la meta da perseguire.
Una corretta concezione del rapporto tra religione e persona è molto importante in questo campo. Essa si inserisce nel più ampio rapporto tra scienze teologiche e filosofiche e scienze umane. Questa concezione incide in modo diretto sull'azione educativa e pastorale, in particolare nel momento operativo che ne deriva.
Ogni azione di promozione della concreta persona si colloca infatti su un piano diverso rispetto sia a quello della teologia e filosofia, centrate prevalentemente sul dover e poter essere, sia a quello delle scienze prevalentemente descrittive (psicologia, sociologia, fenomenologia).
La pedagogia si riferisce e si serve delle une e delle altre da un'angolatura preferenziale, in base alla scelta teologica e antropologica senza identificarsi con nessuna in particolare. Essa è luogo di confluenza e di articolazione di vari apporti di diverse scienze; perciò ogni unilateralismo e ogni corto circuito tra il momento teorico o quello descrittivo e quello operativo sono molto dannosi. Portano a forme di riduzionismo mutilante sia di tipo teologico o filosofico, sia di tipo psicologico e sociologico.
Si hanno allora forme di teologismo, di intellettualismo e di spiritualismo semplicizzati perché tanto chiare e precise nei fini, quanto opache nella conoscenza della struttura e del funzionamento dell'organismo umano. Così pure le forme di psicologismo e di sociologismo. Possono essere chiare ed organiche nella conoscenza della struttura e del funzionamento degli organismi individuali e collettivi, ma riduzioniste nel precisare gli obiettivi adeguati alla globalità della persona. L'operatività educativa richiede la capacità di fare sintesi provvisorie e progressive a mano a mano che l'organismo evolve, con uno sguardo aperto e comprensivo della pluralità dei fattori presenti. Solo a queste condizioni si favorisce un effettivo servizio di crescita nell'integrazione religione e persona.
Nessuno può contestare che la fragilità psicologica dell'uomo corrode le sue dotazioni religiose altrettanto profondamente quanto quelle umane. L'età psicologicamente adulta condiziona la pienezza della fede. È ciò che vogliamo dimostrare situando la fede nei suoi rapporti con i due elementi che caratterizzano la psicologia dell'uomo adulto: l'autonomia affettiva e la responsabilità sociale.
L'avvento di una nuova tappa nell'atteggiamento dell'uomo verso la sua esistenza e verso il suo mondo può ogni volta mettere in questione la sua fede religiosa ed illuminarlo sull'insufficienza della sua adesione vissuta fino allora in una verità provvisoria.