Evangelizzare l'Europa contemporanea


Godfried Danneels

(NPG 1992-03-46)


Nel corso degli anni '60, la Chiesa si è preparata ad evangelizzare un uomo europeo completamente secolarizzato, l'ateo sorridente, al di sopra del bene e del male e di ogni morale, il perfetto nietzscheiano, che non aveva praticamente più alcuna motivazione religiosa.

Evangelizzare una religiosità selvaggia

È davvero arrivato quell'uomo? Sembra di no. L'uomo della fine di questo secolo non è ateo, è anche sorprendentemente religioso, ma di una religiosità selvatica. È innegabile che una gran parte dei nostri contemporanei occidentali sono pervasi di un virus religioso, che era assolutamente imprevedibile vent'anni fa e che nessun profeta né sociologo ha previsto per quest'epoca.
La nostra evangelizzazione non dovrà dunque raffrontarsi tanto ad un uomo a-religioso, quanto ad un uomo religioso in modo diverso. Il successo delle nuove religioni - della New Age in particolare - è immenso.
Queste «religioni» sono contraddistinte da una violenta sete di felicità, un bisogno di guarigione dell'uomo intero, un desiderio di recuperare l'armonia interiore ed esteriore perduta che permetta di esorcizzare lo stress, il tutto sviluppato in una mescolanza di elementi dottrinali ed etici improntati a diverse religioni, in oriente ed occidente, alla scienza e alla mitologia: in una parola, si tratta di un cocktail di convinzioni teoriche e di ricette pratiche, il tutto in obbedienza al solo precetto della legge naturale riconosciuta dai nostri contemporanei: «Tu devi essere felice».
La nuova evangelizzazione dell'Europa contemporanea non potrà dunque evitare di rispondere a questa domanda: «Come la fede nel Cristo Gesù può rendere felice l'uomo?». È sotto questa angolazione della ricerca della felicità che l'evangelizzazione dovrà aprirsi una strada nelle coscienze. D'altronde ciò non è nuovo: la Summa di S. Tommaso comincia con la stessa domanda.
Abbiamo ancora il coraggio di annunciare il Cristo?
Ciò che è più grave in materia di evangelizzazione, è che all'interno della Chiesa, nelle nostre parrocchie, nei nostri movimenti e nelle scuole, c'è un'erosione dello specifico cristiano, che impercettibilmente sembra venire a galla.
Eccone qualche indizio.
- Il dubbio fondamentale sull'unicità del Cristo Salvatore.
Non si nega il Cristo, anzi, lo si ama anche. Ma egli prende il posto degli dei e dei profeti nel Walhalla, come uno tra i tanti. Soprattutto agli occhi dei giovani, è quasi arrogante e inaccettabile affermare che il Cristo è l'Unico Salvatore. Le affermazioni fondamentali di S. Giovanni e di S. Paolo, sono giudicate pretenziose e trionfaliste, intolleranti: «Nessuno può giungere al Padre se non per me».
Poiché essi dicono che tutte le religioni si equivalgono e sono solo cammini che conducono allo stesso Dio. Scegliere il proprio cammino non è una questione di decisione morale, ma il frutto di una tradizione, del luogo in cui si nasce, delle vicende del proprio itinerario umano, o semplicemente del caso. Allo stesso tempo, la teoria dei «semina verbi» presente in tutte le religioni, è anche presente nel cuore dei giovani, senza che gliene sia mai stato parlato esplicitamente; per una sorta di «scientia innata», che non si sa bene da dove venga, se non attraverso i «persuasori occulti» che sono i media.
L'evangelizzazione dell'Europa deve affrontare questo grande problema: come far accettare l'unicità del Cristo- Salvatore e come spiegare al tempo stesso il valore soteriologico esatto delle altre religioni? Come spiegare che, se è giusto che al di fuori delle frontiere visibili della Chiesa l'uomo si può salvare seguendo la sua coscienza giusta, ciò non è possibile che attraverso la grazia unica di Cristo soltanto, a cui è legato per mezzo di vie misteriose che Dio solo conosce, come afferma il Concilio?
- La separazione dei valori evangelici dalla persona del Cristo.
C'è una seconda tendenza: quella di separare i valori evangelici dalla persona stessa del Cristo vivente; in altri termini, di rompere il legame tra morale e culto.
Molti nostri fedeli, nelle nostre parrocchie, scuole e movimenti, restano fortemente attaccati ai valori evangelici, soprattutto a quei valori che sono condivisi da tutti gli uomini di buona volontà: ad esempio la giustizia, la pace, la solidarietà, la salvaguardia del creato.
Ma questo culto dei valori è separato dal culto della persona vivente del Cristo: dalla preghiera, dall'adorazione, dalla pratica sacramentale.
Il Cristo allora è relegato in un discorso in terza persona: dice questo, ha mostrato quello con il suo esempio.
In questo discorso, c'è una curiosa assenza del vocativo della preghiera e dell'incontro sacramentale: «Tu sei il mio Salvatore», «Io ti adoro...».
Un tale cristianesimo, ridotto ad un'etica, non potrà sussistere a lungo. Perché? Primo: larghi strati del discorso tipicamente evangelico sono scomparsi: l'elogio della povertà, della castità, dell'obbedienza, della preghiera continua, del valore redentore della sofferenza e della croce è scomparso. Un'etica senza mistica, una morale staccata dalla preghiera e da una vita sacramentale, anche se sorprendentemente assomigliano ancora a un corpo vivente, non sono che mummie, destinate alla cenere, quando le si guarda più da vicino.
La nuova evangelizzazione dell'Europa dovrà risvegliare nel profondo le radici della preghiera e di una vita cristiana radicata nei sacramenti della riconciliazione e dell'eucaristia.
- La separazione di Dio dal Cristo.
In seguito alla nuova religiosità, molti nostri cristiani sono diventati più o meno teisti, senza neppure rendersene conto. Essi accettano Dio e questo deve bastare. D'altronde, dicono, tutte le religioni non hanno altro scopo che di condurre i popoli e le culture alla conoscenza del Dio unico.
Ogni profeta o fondatore di religioni non ha che un compito provvisorio e limitato: condurre per parte sua coloro che incontra a questo Dio unico, comune a tutti. Poi, il suo ruolo è finito; come lo stadio di un razzo spaziale, viene eiettato, per essere disintegrato nell'atmosfera.
La sua opera è compiuta: ha messo i suoi discepoli in orbita. Era ed è il caso del Cristo e di tutti gli altri. Il Cristo non lo dice d'altronde lui stesso: «È bene che io me ne vada, se no non potrà venire lo Spirito»? Il Cristo, Maometto, Budda: sono «provocatori» momentanei, non dei mediatori insostituibili.
Ma il Cristo non può essere sostituito; non è un provocatore o un profeta; è un mediatore stabilito per sempre, al di fuori del quale non abbiamo alcun accesso al Padre. Non è nella categoria dei mezzi, ma è il fine stesso.
Il Cristo non conduce a Dio e basta, ma al Dio trinitario: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. La sola evangelizzazione che ha come esito la conoscenza di Dio uno e trino è quella di Gesù: «che essi conoscano te, Padre, e colui che tu hai mandato». È particolarmente difficile da realizzare oggi, anche tra i cristiani.
Riassumo.
L'evangelizzazione di questo fine secolo sarà prima di tutto l'annuncio del Cristo unico Salvatore.
Bisognerà dirlo forte e chiaro e spiegare come questo non entra in contraddizione con la volontà salvifica universale di Dio né con la dottrina tradizionale del valore soteriologico delle altre religioni.
Non basta limitare l'evangelizzazione alla promozione dei valori evangelici e basta: bisogna predicare il Cristo. Poiché il regno di Dio secondo il vangelo non è uno spazio, un tempo, ma una persona. I valori evangelici separati dall'adorazione del Figlio di Dio finiscono per diventare folli, come dice Chesterton.
Infine lo scopo dell'evangelizzazione non è di produrre un popolo teista ma trinitario, un popolo che crede che il solo Dio vero è il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo.
Noi vi accediamo attraverso il Cristo, che non è un medium passeggero, ma Mediatore e Sacerdote per l'eternità.
Coloro che mi hanno seguito se ne saranno resi certamente conto: tutto quello che ho appena detto, non sono nient'altro che le tre idee fondamentali dei primi capitoli della «Redemptoris missio», senza dubbio una delle encicliche più notevoli di questa fine del secolo. Ciò che vale per la «Missio ad gentes», si è dimostrato di estrema attualità anche per l'evangelizzazione dell'Europa.
Poiché c'è forse un'altra domanda oltre a questa: «Abbiamo ancora il coraggio di annunciare il Cristo, tutto il Cristo e nient'altro che il Cristo»?