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    Che cosa significa

    l’espressione

    «che sei nei cieli»? 

    Commento al Compendio del Catechismo /44

    Enzo Bianchi

     

    Questa espressione biblica non indica un luogo, ma un modo di essere: Dio è al di là e al di sopra di tutto. Essa designa la maestà, la santità di Dio, e anche la sua presenza nel cuore dei giusti. Il cielo, o la Casa del Padre, costituisce la vera patria verso cui tendiamo nella speranza, mentre siamo ancora sulla terra. Noi viviamo già in essa “nascosti con Cristo in Dio” (Col3,3).

    (Compendio del Catechismo n. 586) 

    Gesù ci ha insegnato a pregare: “Padre nostro che sei nei cieli”. Quest’ultima specificazione fornisce un chiarimento decisivo: Dio è un Padre celeste, non terreno! Ovvero, Dio è certamente un Padre caro e amato, ma non è come i nostri padri terreni, e noi dobbiamo sempre rammentare questa “differenza”, proprio per preservare la sua identità da quelle proiezioni che rischierebbero di attribuirgli un volto creato secondo le nostre attese e i nostri schemi troppo umani.

    È tipico del vangelo secondo Matteo sottolineare che il Padre sta “nei cieli”, è “celeste” (cf. Mt 5,16.34.43.45.48; 6,9.14, ecc.), probabilmente in analogia con l’espressione giudaica presente anche nell’importante preghiera dettaQaddish (“Sia accolta la preghiera e la supplica di tutta la casa di Israele davanti al loro Padre che è nei cieli”). Più in generale, in tutta la Scrittura il cielo è il simbolo per eccellenza dell’alterità di Dio: “I cieli sono i cieli del Signore, la terra l’ha data agli uomini” (Sal 115,16); Dio è in cielo nel senso che è Altro, è Santo, anzi è tre volte Santo (cf. Is 6,3; Ap 4,8), ma resta anche vicino agli uomini, come ci ricorda uno splendido passo del profeta Isaia: “Così parla l’Alto e l’Eccelso, che ha una sede eterna e il cui Nome è Santo: ‘In un luogo eccelso e santo io dimoro, ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati, per ravvivare lo spirito degli umili e rianimare il cuore degli oppressi’” (Is 57,15).

    I pensieri di Dio non sono i nostri (cf. Is 55,8-9; Rm 11,33-35; 1Cor 2,11.16), ma egli è capace di mettere in noi i suoi pensieri e i suoi sentimenti, attraverso la potenza dello Spirito santo. E se lo invochiamo quale Padre, egli ci rende figli nel Figlio Gesù Cristo, in una vicinanza che possiamo sperimentare come la più forte e intensa possibile: quella della paternità-filialità, in cui la stessa vita, lo stesso sangue del Padre è presente in noi suoi figli (cf. Gv 1,13)!

    Infine, quando preghiamo “Padre nostro che sei nei cieli”, attestiamo di essere “pellegrini sulla terra” (Eb 11,13; cf. 1Pt 2,11), in cammino verso “la nostra patria che è nei cieli” (Fil 3,20), cioè verso il Regno che Dio prepara come dimora per tutti gli uomini. Pregare il Padre nostro ci richiede dunque di restare pienamente fedeli alla terra, con tutto ciò che tale fedeltà comporta, cercando nel contempo con un intenso desiderio le cose dell’alto, quelle secondo il volere di Dio.

    (Famiglia cristiana, 23 giugno 2013)

     


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