Una presenza luminosa

Gv 14, 15-21

 

C'è un intreccio, in questa pagina del Vangelo, tra i verbi presenti e i verbi futuri, perché essa riflette tempi diversi della storia delle prime comunità cristiane.
Richiama la sera dell'Ultima Cena, in cui viene posto questo discorso; quindi ci sono riflessi dell'esperienza vissuta quella sera dagli apostoli, che non sapevano bene cosa sarebbe accaduto, ma già presentivano che avvenimenti drammatici si avvicinavano.
C'è poi una seconda esperienza: la venuta dello Spirito. Anche nella prima lettura, l'apostolo Filippo e poi Pietro e Giovanni vanno in Samaria per imporre le mani e comunicare lo Spirito. Questa pagina riflette quindi anche il rinnovamento che gli apostoli e gli altri discepoli sperimentavano, quando, accogliendo il Vangelo, vivevano una novità suscitata da una forza nuova.
C'è poi un terzo ambito, riflesso in questa pagina del Vangelo: quello della comunità giovannea, di cui questi brani riportano le riflessioni.
Questo intreccio spiega perché ci sono alcuni verbi al presente, altri al futuro; perché ci sono espressioni che si riferiscono allo stato glorioso di Cristo, mentre il racconto è posto nel momento dell'Ultima Cena, quando ancora doveva morire.
Il messaggio centrale della liturgia è espresso nella formula di Gesù: «Invierò un altro Consolatore». Altrove dirà: «Verrà lo Spirito, vi condurrà alla verità tutta intera», oppure: «Verremo e faremo dimora».

La presenza dello Spirito

Cerchiamo di capire quale esperienza sta alla base di queste formulazioni, perché quando gli apostoli le utilizzavano si riferivano a ciò che stavano vivendo.
Era l'esperienza della novità di vita che stavano facendo, del nuovo modo di vivere i rapporti fra di loro, del nuovo modo di perdonarsi reciprocamente. Prima non avevano mai vissuto così. Le prime esperienze in questo senso devono essere state per loro straordinarie. La prima espressione che Giovanni riporta, proprio nel giorno della Pasqua, da parte di Gesù Risorto, è appunto: «Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi». Richiama l'esperienza della pace interiore, del superamento del male, dell'armonia. E poi il nuovo tipo di rapporti: «Amatevi come io ho amato voi. Come il Padre ha amato me e io rimango nel Suo amore, così io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Amatevi gli uni gli altri». Quando Giovanni esprimeva questo insegnamento di Gesù, si richiamava all'esperienza che stavano facendo.
Questo richiamo serve a capire che la comprensione del Vangelo è legata al nostro cammino spirituale. Interpretiamo le espressioni in modo diverso nella giovinezza, nella maturità, quando giungiamo a vivere intensamente il Vangelo. Allora le formule acquistano significati nuovi perché risuonano diversamente nel lettore.
Chiediamoci ora: che cosa vuol dire "presenza", "Dio presente in noi"?
Una formula diventata tradizionale nella storia della spiritualità cristiana, "inabitazione dello Spirito".
Queste formule della presenza, dell'inabitazione, sono formule ambigue, perché sono analogiche, cioè partono dalla nostra esperienza della presenza, dell'abitazione. Noi diciamo: «Io abito una casa». Ma la casa è un'altra realtà. Quindi ci riferiamo allo spazio. Anche nei rapporti che abbiamo tra di noi, sono sempre rapporti che avvengono con realtà diverse: ciascuno di noi è diverso. Non solo distinto, ma anche diverso, nel senso che ciascuno ha i propri meccanismi, sentimenti, pensieri, stati d'animo, ciascuno ha il proprio spazio. Quando parliamo del rapporto con Dio, invece, questo non vale. Perché l'azione di Dio in noi non è diversa dalla nostra azione, alimenta e diventa la nostra azione.
La luce che entra in questa stanza di per sé non aggiunge altre molecole a quelle dell'aria, ma conferisce loro una qualità nuova, per cui l'aria diventa luminosa. Così quando l'azione di Dio ci investe, la forza creatrice entra nella nostra vita. Non aggiunge di per sé pensieri divini ai nostri pensieri, ma suscita in loro una perfezione inedita, una qualità nuova. Non è un pensiero di Dio che si aggiunge al nostro pensiero, un'azione di Dio che si aggiunge alla nostra azione, ma i nostri pensieri e le nostre azioni diventano luminosi.
Nei secoli scorsi, siccome usavano un modello di tipo statico per interpretare l'uomo e la realtà, quando parlavano della presenza di Dio dovevano supporre un'altra azione che si aggiungeva all'azione della creatura e la chiamavano "soprannaturale". Così distinguevano un amore naturale e un amore soprannaturale. Era un modo certamente ambiguo di parlare, ma con i modelli statici non avevano altra possibilità.
Nella prospettiva dinamica, invece, riusciamo a capire bene come la forza fondante, l'energia creatrice che ci investe, induce una qualità nuova in noi e diventa nostro pensiero, nostra parola. Non per merito nostro o perché siamo più bravi o più onesti, ma perché consentiamo all'azione creatrice di esprimersi in noi, di diventare in noi modalità inedita di pensiero, di misericordia, di perdono, di rapporto.
Comprendiamo ora cosa vuol dire diventare consapevoli della presenza di Dio in noi. Significa aprire le nostre finestre, consentire che la luce ci inondi. Uscire dal nostro egoismo, dai nostri piccoli problemi, per far sì che l'azione di Dio in noi acquisti forma umana e in noi fioriscano qualità nuove di vita e ci scopriamo diversi. Prima non sapevamo perdonare e ad un certo momento il perdono fluisce; noi stessi restiamo meravigliati: com'è possibile? E possibile perché non siamo noi a vivere, ma è la Vita che in noi si inventa, secondo caratteristiche particolari: ciascuno di noi è una modalità specifica di esprimere l'azione di Dio, è un inedito.
Di qui la responsabilità che abbiamo: se rifiutiamo, chiudendoci in noi stessi, impediamo all'azione di Dio di assumere una forma che non ha mai acquistato altrove e che può acquistare solo in noi. Un piccolo frammento di vita, certo, ma un frammento nuovo, inedito, che la vita inventa per la prima volta.
Chiediamo allora al Signore questa consapevolezza, perché quando diventiamo consapevoli della presenza di Dio in noi, ogni giornata diventa luminosa. Anche se il cielo è oscurato la luce risplende, perché una Presenza qualifica in modo nuovo tutta la nostra realtà.
Preghiamo, perché la preghiera serve a questo: a prendere coscienza della presenza del Signore in noi.