La nostra incredulità
Gv 20, 19-31
«Perché credendo abbiate la vita nel suo nome»: nell'esperienza religiosa è in gioco il diventare viventi. Anche la lettera di Pietro che abbiamo ascoltato nella seconda lettura, finiva ricordando «la salvezza delle vostre anime». Il termine "anima", in greco "psichè", in ebraico "nefesh", vuol dire "l'uomo in quanto vivente", indica la vita. «Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la vita?». Gesù quando usava queste formule si richiamava sempre a quella ricchezza interiore che si prolunga nel dopo morte, cioè a quella che chiamava in Giovanni "vita eterna": una qualità della persona che già ora si sviluppa. Ricordate la formula di Giovanni 4: «Darò loro dell'acqua che diventerà fonte che zampilla fino alla vita eterna».
Questa ricchezza interiore si esprime in una forma nuova di comunione, di fraternità. La resistenza di TomMaso ad accettare la resurrezione del Signore di fatto consisteva nella difficoltà a vivere una profonda comunione con gli altri; tanto è vero che si esprime come sfiducia nei suoi amici: non crede a quello che gli dicono. La resistenza alla fede si concretizza nella sfiducia per gli altri.
Ma è l'espressione di superficie. In realtà è la non accettazione del Vangelo di Gesù, cioè della sua proposta. Non solo Tommaso - Tommaso lo esprime in maniera molto chiara, perché non era presente la sera di Pasqua, quando Gesù apparve - ma tutti i discepoli avevano resistenza a credere. Tanto è vero che secondo Marco, il cui Vangelo delle apparizioni non si legge abitualmente nei giorni di Pasqua e nelle feste, la prima parola che Gesù Risorto ha detto agli apostoli, dopo il saluto, è stata di rimprovero per la loro incredulità. (Sapete che Marco probabilmente è il primo Vangelo; in ogni caso è quello che riflette più immediatamente le esperienze iniziali e quindi non c'è stato il tempo per quell'addolcimento che è poi avvenuto nel corso della trasmissione orale, di generazione in generazione.
Con il passare del tempo le formule hanno acquistato un tono più dolce e delicato per esempio nei confronti degli apostoli).
Marco dice che non avevano neppure creduto ai due discepoli di Emmaus: «Due che erano andati in campagna e poi erano tornati. Ma neppure a loro credettero». Come non avevano creduto alle donne.
Ma se andiamo a fondo, non è semplicemente la mancanza di fede nel fatto della resurrezione, e quindi nello stato definitivo di Cristo. Quello a cui non credevano era la connessione tra la forma definitiva di vita a cui Gesù era pervenuto e il Vangelo che aveva annunciato. Non credevano nel Vangelo di Gesù come ragione di eternità. Il cambiamento che Gesù sollecitava era molto radicale e profondo, tanto è vero che ancora oggi non è realizzato. Era un cambiamento nella linea della spiritualità più elevata della tradizione di Israele, rimasta marginale. Gesù aveva accolto, vissuto e sperimentato alcune linee profetiche e le aveva proposte come leggi fondamentali di vita, per la continuazione della storia della salvezza. La sua proposta non era stata accettata, anzi, veniva rifiutata.
La possiamo enucleare in modo molto breve in due punti centrali.
Il Dio della vita
Primo: l'immagine di Dio che Gesù proponeva non era il Dio legislatore, il Dio che imponeva determinati comportamenti per assecondare la sua volontà. Gesù parlava dell'adorazione di Dio "in spirito e verità", cioè il rapporto con Dio come ragione e fonte della dimensione fondamentale della vita, quella eterna, per cui cresciamo e diventiamo figli di Dio. Ma questo è possibile solo se viviamo il rapporto con Dio come principio, come fonte, perché tutto il resto è inadeguato.
Secondo: la legge della fraternità come condizione fondamentale di crescita personale: esercitare amore dove c'è odio, portare il male, gestire l'aggressività in modo da giungere alla mitezza di fronte al violento, gestire la sessualità in modo da giungere ad un'oblatività radicale, consegnarsi senza riserve, amare i nemici. Cose che non possono essere imposte per legge, ma possono fluire solo da atteggiamenti interiori, da un rapporto con Dio tale, che diventa in noi sentimento, gesto, pensiero, fantasia, desiderio. È il cambiamento che tutti i santi, in tutte le religioni, hanno vissuto e stanno vivendo; che Gesù ha vissuto nel suo modo particolare e che ha indicato come cammino universale per giungere a vivere intensamente. Non per piacere a Dio o per avere un compenso eterno, bensì per diventare viventi: «Perché abbiate la vita e l'abbiate in pienezza», dice Giovanni 10,10.
Questo Vangelo sovvertitore dei meccanismi istintivi che ci portiamo dalla nascita, e che riflettono una fase ancora incompiuta e imperfetta della nostra condizione, non veniva accettato dai discepoli di Gesù, che pensavano ad altro e credevano che queste fossero illusioni. Di qui il rimprovero di Pietro, le resistenze di tutti e il tradimento di Giuda.
Essi non potevano capire la connessione esistente tra la fedeltà di Gesù al progetto che egli aveva intuito e la resurrezione, cioè la forma nuova di vita che egli aveva acquisito. La connessione profonda sfuggiva alla loro comprensione perché non accettavano i presupposti.
Ne conseguiva anche una incomprensione reciproca, l'incapacità di accettarsi, di accogliere la testimonianza gli uni degli altri: vivevano i rapporti in modo inadeguato e imperfetto. Ma il raggiungimento di nuove modalità di rapporti non passava attraverso l'imposizione di un comportamento attraverso la legge, ma attraverso la scoperta dell'azione di Dio, cioè l'adorazione di Dio in spirito e verità.
Credere al vangelo della vita
È questo cambiamento che anche noi oggi siamo sollecitati a realizzare. Finché non giungiamo alla nuova modalità di esistenza, non riusciremo mai a capire Gesù, la sua esistenza, la sua esperienza, e ad accoglierla, cioè a viverla pienamente. Non dico: a viverla alla perfezione (la perfezione sta alla fine), ma in pienezza nelle singole situazioni. Questo è possibile, però richiede un allenamento continuo nella fede, cioè nell'accettazione della proposta di Gesù. Le resistenze degli apostoli sono le nostre resistenze. Chi di noi può dire di aver assunto il Vangelo come norma concreta di vita? di non seguire più gli istinti, gli interessi privati, la volontà di emergere, di dominare gli altri? Chi di noi può dire che non sono questi meccanismi ad ispirare le sue azioni, i suoi pensieri, i suoi desideri? Chi di noi, in questi giorni di guerra, non ha alimentato dentro di sé sentimenti di avversione per gli uni o gli altri, di aggressività? Noi li giustifichiamo dicendo: «Fanno il male». Ma proprio quando c'è il male è necessario assumere un atteggiamento positivo e alimentare misericordia e diffondere atteggiamenti di condivisione, di pacificazione. Certo, siamo in cammino, non possiamo quindi presumere di essere già perfetti. Ma almeno perveniamo alla consapevolezza di questa situazione. Noi riteniamo di fare bene, quando giudichiamo il male e disprezziamo chi lo compie. Crediamo di fare bene, di essere dalla parte del giusto, mentre tradiamo una legge fondamentale della salvezza, come Gesù l'ha individuata e l'ha proposta; veniamo meno a delle condizioni essenziali, direi strutturali, per crescere come persone. Ci troviamo spesso vuoti, incapaci di ascoltare gli altri, di accogliere i limiti e le insufficienze di quelli che ci stanno vicini, perché abbiamo alimentato atteggiamenti che ci rendono incapaci di vivere. "Salvare la vita" significa non perdere nulla dei doni quotidiani che fluiscono in noi, dei frammenti che ci vengono continuamente consegnati nelle esperienze quotidiane. Non perdere nulla: questo è salvare la vita, crescere come figli di Dio. Se Gesù apparisse qui in mezzo a noi, certamente dovrebbe ancora, come dice Marco, rimproverarci per la nostra incredulità. Non solo Tommaso, ma tutti noi che ancora non abbiamo accolto il Vangelo e non lo consideriamo come criterio delle nostre scelte.
Chiediamo allora oggi al Signore di essere consapevoli della nostra incredulità e apriamoci alla Sua azione, perché certamente da questa consapevolezza fluiscono desideri di bene, pensieri positivi, gesti di misericordia e di perdono. L'azione di Dio in noi diventa efficace, quando diventiamo consapevoli della nostra insufficienza e del nostro male.