La gioia di scoprire
Dio misericordioso
Lc 15, 1-32
Forse non ci è difficile renderci conto del contrasto che Gesù sperimentava tra l'immagine di Dio giudice e punitore, che veniva proposta ufficialmente dalla struttura religiosa del tempo, e l'immagine di Dio misericordioso e gratuito che egli proponeva. Quest'ultima non era di per sé ,un'immagine esclusiva di Gesù, perché già nell'Antico Testamento ci sono molte indicazioni della misericordia di Dio e lo stesso ebraismo ha fatto poi un lungo cammino in questa direzione. Ma è innegabile che nella mentalità del suo tempo prevaleva l'immagine di Dio che giudica e punisce il peccato dell'uomo. Per questo non ci è difficile capire il contrasto che Gesù viveva tra l'immagine di un Dio misericordioso, che egli sperimentava, e l'immagine di un Dio punitore, con cui si confrontava.
L'umanità ha compiuto questo stesso processo che noi viviamo personalmente, attraversando fasi diverse nel rapporto con Dio ed elaborando diverse sue immagini. Per questo motivo ci sono delle tappe reali nella storia della spiritualità umana. Gesù rappresenta un momento di svolta particolare - che non è l'ultima, né la definitiva. Gesù stesso era consapevole di questo, quando diceva: «Verrà lo Spirito e vi guiderà alla verità tutta intera». Noi siamo inseriti in questo processo, chiamati ad un rapporto più vero con Dio, a coglierne un'immagine più adeguata.
Condizioni per lo sviluppo della conoscenza di Dio
Ora, questo passaggio, che ciascuno di noi vive e che Gesù allora ha segnato con chiarezza nel cammino della storia umana, è la scoperta del Dio della misericordia. Essa implica alcune consapevolezze su cui voglio fermarmi brevemente.
1. La scoperta del Dio della misericordia non è la conoscenza adeguata di Dio (perché noi non potremo mai sapere che cosa è Dio) bensì è l'accoglienza di un'azione che Dio svolge in noi, per cui diventiamo capaci di gesti misericordiosi.
Il luogo di questa scoperta è la nostra vita, è la nostra esperienza. Crescendo diventiamo ambiti più profondi dell'azione di Dio, cioè della forza della vita. L'energia vitale che ci investe acquista forme nuove, giunge ad esprimersi in gesti inediti, in pensieri mai avuti prima. Per questo siamo in grado di capire qualcosa di più dell'azione di Dio. Gesù aveva vissuto con tale fedeltà il rapporto col Padre, era cresciuto in umanità in modo così profondo, da essere in grado di dire Dio diversamente, di rivelare il volto misericordioso di Dio in un modo inedito, al punto da scontrarsi con le strutture religiose del suo tempo e da provocare l'incomprensione anche dei suoi discepoli.
È il cammino che anche noi dobbiamo fare. Non è una scoperta puramente intellettuale di Dio, ma un'immagine che ad un certo momento sorge dentro perché siamo in grado di esprimere la sua azione in modo nuovo.
Le due parabole iniziali di questo capitolo 15 di Luca (che è certamente una delle pagine più straordinarie del Vangelo, forse la parabola più bella è proprio quella del Padre misericordioso) mostrano che l'iniziativa è di Dio: il pastore va alla ricerca della pecora smarrita, la donna cerca la dramma perduta, la gioia è la gioia del cielo: «Ci sarà più gioia in cielo per un peccatore che si converte». L'iniziativa è di Dio, e noi diventiamo capaci di cogliere la misericordia di Dio perché la sua azione in noi diventa misericordia.
Ricordiamo sempre questo dato fondamentale per vivere bene il rapporto con Dio: l'azione di Dio non sta fuori di noi, ci perviene attraverso la creazione, attraverso gli altri, ma diventa realtà nostra, perfezione interiore. Se non diventa perfezione nostra non c'è azione di Dio per noi, o se esiste è impercettibile e inconoscibile. Noi giungiamo a conoscerla in quanto diventa noi, diventa pensiero nostro, sensibilità nostra, gesto nostro. Per questo solo il momento in cui in noi fiorisce misericordia noi scopriamo Dio misericordioso. Non è quindi una realtà da trovare in qualche luogo, in qualche tempio, è una realtà da scoprire diventando viventi, diventando umani - diventando figli, per usare il termine di Gesù. Allora scopriamo la paternità, la maternità di Dio, cioè la sua misericordia.
Questo vale per tutti gli aspetti dell'azione di Dio: Dio è la struttura portante della nostra esistenza, finché noi non diventiamo, non siamo, in grado di coglierlo. Per questo Gesù ha potuto rivelare Dio misericordioso: perché in Lui Dio era giunto ad esprimere forme di misericordia straordinaria.
2. La seconda condizione per vivere questa esperienza è la consapevolezza della nostra inadeguatezza, della nostra insufficienza, del nostro male, del nostro peccato. L'illusione di essere già umani, perfetti, ci accompagna fin dall'inizio perché è l'illusione narcisistica di identificarci col tutto, col mondo, con la perfezione; ma noi non siamo che un piccolo frammento in processo, stiamo diventando, non siamo ancora noi stessi. Ogni volta che noi facciamo scelte, che giungiamo a un determinato livello di libertà, ogni nostra azione ha componenti inquinate, non solo per il peccato originale o per l'incidenza del peccato degli altri, ma per la nostra struttura di creature. Per la nostra condizione incompiuta, ogni pensiero contiene errori, ogni atto d'amore contiene elementi di egoismo, di odio, di avversione, di ricerca di noi. Siamo costantemente attraversati dal male, dalla insufficienza della nostra condizione: noi emergiamo dal nulla, emergiamo dal male e quindi ogni nostro giorno .è segnato dalla incompiutezza della nostra condizione.
Non è definitiva questa condizione ma è quella del presente. Dobbiamo alimentarne la consapevolezza, per non cadere nell'errore dei farisei e degli scribi, di ritenerci giusti. Lo stesso errore del fratello maggiore della parabola, che Gesù delinea in un modo efficace: «Non ho mai trasgredito un tuo comando». Ricordate il fariseo al tempio: «Io non sono come gli altri, io pago le tasse, io compio anche le pratiche non obbligatorie, digiuno tre volte la settimana, pago le decime, non sono un ladro, non sono un adultero, osservo la legge». Era vero, Gesù non lo nega, ma questo non è il rapporto giusto con Dio, tanto è vero che Gesù dice: dopo questa preghiera egli tornò a casa non giustificato. Era stato a pregare, aveva ringraziato Dio... che male aveva fatto? Eppure tornò a casa non giustificato. A differenza del pubblicano, il peccatore che riconoscendo la sua miseria e accogliendo la misericordia del Padre tornò a casa giustificato.
La consapevolezza del male della nostra vita è difficile, noi tendiamo sempre a giustificarci, diciamo come il fratello maggiore: «Io ho obbedito sempre ai tuoi comandi». Non abbiamo coscienza. Abbiamo ascoltato nella I lettera a Timoteo l'affermazione di Paolo: «Io sono il primo dei peccatori» (1,15).
Dobbiamo arrivare ad avere la consapevolezza del male della nostra vita. Più entriamo dentro, più scopriamo l'ambiguità che ci attraversa e ci accompagna. Eppure quante volte, di fronte agli altri che scoprono i nostri limiti, che mettono in luce le nostre insufficienze, noi ci risentiamo, respingiamo questi giudizi, diciamo che non corrispondono a verità. Perché abbiamo un'immagine falsa di noi. E ad essa corrisponde una falsa immagine di Dio, perché noi riusciamo a vivere il giusto rapporto con Dio solo quando siamo consapevoli del nulla della nostra realtà e della grandezza della Sua azione in noi. Allora assumiamo l'atteggiamento adeguato: accogliamo tutto il dono che ci viene fatto. E la gioia, la gioia di Dio ci investe, la gioia che Egli ha per la nostra corrispondenza, la gioia nostra per essere centrati sulla sua presenza.
Questa è la condizione fondamentale, la consapevolezza del male della nostra vita, della nostra insufficienza, della nostra inadeguatezza.
C'è un momento importante nella nostra giornata, quello dell'esame di coscienza; non è semplicemente l'analisi degli atti che abbiamo compiuto, è la scoperta dell'insufficienza degli atteggiamenti con cui noi viviamo. Questa consapevolezza ci deve accompagnare sempre, non per vivere nell'angoscia, ma nella gioia: è la gioia della pecorella smarrita, della dramma perduta, del figlio che ritorna, o meglio, che giunge veramente a casa. Perché sarebbe un errore pensare di essere già a casa. Noi siamo in cammino, la casa è altrove e giungeremo alla casa solo il giorno in cui incontreremo il Padre, cioè scopriremo Dio come ragione della nostra vita.
Chiediamo al Signore questa consapevolezza, per vivere così di fronte a Lui, alla sua presenza, consapevoli che tutto è dono suo e che nostro è il limite necessario per accogliere il dono che continuamente ci viene rinnovato, il dono della vita. Chiediamo la consapevolezza continua della presenza di Dio e del nostro limite, per scoprire ogni giorno la gioia di Dio che pronuncia il nome del figlio, il nome scritto nei cieli per noi.