Le fonti
della vita interiore
di Etty Hillesum
Oggi ancora: Michelangelo e Leonardo.
Anche loro sono nella mia vita, e la riempiono.
Dostoevskij e Rilke e sant'Agostino. E gli Evangelisti.
Frequento un'ottima società.
E non c'entra più il “bello spirito da letterati” di un tempo:
ognuno di loro ha qualcosa di vero da raccontarmi,
e molto da vicino.
BIBBIA E VANGELI
“L'espressione "parola di Dio" non riguarda soltanto la Bibbia; con ciò si intende in senso lato il sapere originario, l'ispirazione e il lavoro dello Spirito Santo che si manifesta nell'uomo” (citazione da S.)
Debbo occuparmi di me stessa, niente da fare. Non ho avuto bisogno di questo quaderno per un paio di mesi, la vita dentro di me era così limpida e serena e intensa, ero in contatto col mondo esterno come con quello interno, la mia vita si arricchiva, la mia personalità si ampliava; a Leida c'era il contatto con gli studenti: Wils, Aimé, Jan; c'era lo studio; c'era la Bibbia, Jung, e poi di nuovo S. e sempre ancora S.
Potrei ovviamente leggere la Bibbia ogni mattina, ma non credo di essere pronta per questo, e ritengo che la mia pace interiore sia insufficiente: continuo a preoccuparmi dell'intento di questo Libro, sicché non riesco mai ad afferrarne il significato profondo e a lasciarmi andare.
Ultimamente traggo alcune citazioni dalla Bibbia e le rileggo alla luce di un significato che per me è chiaro, nuovo, ricco e pieno di esperienza. “Dio ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza” – “Ama il prossimo tuo come te stesso”, ecc.
Mi toccherà finalmente affrontare i rapporti tra me e mio padre, con coraggio e amore. Ho aperto a casaccio la Bibbia ma stamattina non dava risposte.
Non importa molto, del resto, non c'erano vere domande da fare, c'è solo una gran fiducia e riconoscenza che la vita sia tanto bella, e perciò questo è un momento storico: non perché tra poco io devo andare con S. alla Gestapo, ma perché trovo la vita ugualmente bella e piena di prospettive per il futuro, qualunque cosa accada.
E quando ieri pomeriggio, tornata, sedevo accanto al fuoco, con una grande sensazione di tristezza – e questo era dapprima incomprensibile per me – e guardavo ancora un po' la lettera di Leonie, ho preso in mano la mia Bibbia e l'ho aperta alla Prima lettera ai Corinzi, 13, per l'ennesima volta. Sì. “Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi amore, sarei un rame risonante o uno squillante cembalo. Se avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non sarei nulla... “La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto”. E quando ho letto quelle parole, mi sono sentita come... già, come mi sono sentita? Non riesco ancora a esprimerlo bene. Le parole hanno operato su di me come una verga da rabdomante che sferzava il fondo duro del mio cuore, facendone improvvisamente scaturire sorgenti nascoste. D'un tratto mi sono ritrovata inginocchiata accanto al tavolino bianco e l'amore sprigionato scorreva di nuovo dentro di me, libero da desiderio, invidia, odiosità, ecc. Ma penso che ieri pomeriggio fossi solo leggermente isterica. Un po' dopo sedevo vicino al fuoco con gli occhi pieni di lacrime e tanto triste come non ero stata da tempo: con un grande desiderio e con una sorta di furia da donna disprezzata. Mi sono anche ribellata con me stessa, dicendomi che dovrei sapere che è proprio infantile sentirsi affranti in quel modo.
La mia pazienza deve crescere ancora. Ne ho già conquistata abbastanza per aspettare quello che verrà, per avere fiducia che qualcosa verrà. Non so se avrò la pazienza di camminare per ore da sola attraverso un paesaggio solitario, di vivere da sola per settimane in un villaggio di pescatori sul mare, paga dei miei pensieri. Non ho ancora abbastanza pazienza per occuparmi di fiori, ascoltare musica, guardare dipinti e leggere la Bibbia. Tutto questo devo ancora impararlo, e va imparato per un'intera vita. Credo però di essere all'inizio. E ogni tanto sopraggiunge una grande pazienza, quella che alla lunga sarà la sorgente interiore da cui potrò attingere per il lavoro creativo. Ma sono sicura che quella pazienza sarà ancora interrotta, sul più bello, da una tensione; devo imparare a raccogliere tutta la pazienza che c'è in me, mettere insieme tutti i frammenti di pazienza per formare un'unica grande pazienza.
Negli ultimi giorni al mattino mi sentivo bene solo quando leggevo la Bibbia, oppure Rilke, e in compagnia di queste righine. In quei giorni avevo la sensazione che, a un certo punto, mi sarei svegliata nel cuore della notte e avrei scritto un libro. Ma anche la sensazione di essere incinta, incinta spiritualmente, e avrei desiderato mettere al mondo qualcosa.
Forse mi disperdo ancora troppo come cenere al vento. Ma non so davvero da dove cominciare. Innanzitutto: sii salda. E non permettere ai tuoi giorni di scivolarti tra le dita esperte come granelli di sabbia. Succede così in fretta. Sono di nuovo le dieci. Mi sono alzata alle sette e mezzo. Ho preparato la colazione. Ho letto un paio di pagine di Rilke, una pagina della Bibbia, scribacchiato qualcosa in questo quaderno...
Ho ancora così tanto da fare che non mi rendo conto in realtà di come posso sprecare anche solo un minuto della mia vita. Lì c'è Jung e, dopo la lettura delle sue Trasformazioni seguirà Energetica psichica. C'è anche sant'Agostino e la Bibbia e non ho ancora letto l'ultima opera di Rilke.
Santo cielo, questa scrivania somiglia proprio al mondo nel primo giorno della creazione! A parte gli esotici gigli giapponesi, il geranio, le rose tee appassite, le pigne che sono diventate reliquie, e una ragazza marocchina dallo sguardo animalesco e limpido, ci sono in giro sant'Agostino e la Bibbia e le grammatiche russe e i dizionari e Rilke e innumerevoli piccoli taccuini, una bottiglia di surrogato di limone, carta per scrivere a macchina, carta copiativa, Rilke, cioè ancora una raccolta, e Jung. E tutto questo è solo ciò che si trova in giro al momento, ci sono anche gli ospiti fissi della scrivania, appoggiata contro il muro. E la cosa più straordinaria è che c'è ancora spazio per me e per il mio quaderno.
Ho già tentato di fare un'incursione in più punti della Bibbia; una volta con Giovanni, l'altra con i Salmi, ecc. Stamattina mi sono ripromessa di cominciare dalla prima lettera dell'Antico Testamento e ogni mattina, a stomaco vuoto, un passetto in avanti. Una volta dovrò chiedere al mio amico lettore-della-Bibbia perché trovo quel primo capitolo così naif da lasciarmene commuovere, in un modo o nell'altro.
Eccomi seduta davanti alla cucina a gas a stento baluginante, alle nove e mezzo di mattina. La grigia luce del giorno attraverso le ampie finestre senza tende si mescola alla luce proveniente dal calice della piccola piantana, come se fosse filtrata da un fiore di serra. Però, che formulazione bella e raffinata! I crisantemi ricevuti dall'affascinante coppia L. iniziano finalmente a dare segni di stanchezza di vivere. I Salmi, Vincent van Gogh e Botticelli – e i miei piedi freddi.
Erano un buon nutrimento a digiuno, quei pochi Salmi che ormai fanno parte della nostra vita quotidiana.
Abbiamo vissuto insieme il principio di un giorno ed è stata una cosa molto bella, una carica d'energia. E di nuovo quella stupida fitta al cuore quando ha detto che andava a far ginnastica e a vestirsi: come se, dovendo ritornare di sopra, io mi sentissi abbandonata e sola al mondo. Una volta ho scritto: vorrei poter condividere il mio spazzolino da denti con lui. Quanto bisogno di essere vicina a una persona fin nei suoi più piccoli gesti quotidiani! Però questa distanza è fruttuosa: ci si ritrova poi sempre, e tra poco verrà su a chiamarmi per far colazione alla sua piccola tavola rotonda, vicino al geranio che si dissangua ogni giorno di più. Oh, quegli uccelli e quel sole sul ghiaino del tetto. Ho nell'anima tanta calma e dolcezza, e un senso di appagamento che riposa in Dio. Che forza primordiale vien fuori dall'Antico Testamento e che radice “popolare”, anche. Magnifiche figure, forti e poetiche, vivono in quelle pagine. Un libro davvero avvincente, aspro e tenero, ingenuo e saggio, interessante non solo per ciò che dice, ma anche perché permette di conoscere chi lo dice.
È popolata da intere tribù di figure sconosciute: passando quei dieci minuti a legger la Bibbia con lui, mi ha colpito l'impressionante quantità di cose che quel Libro contiene. Dalla Bibbia scaturiscono tutte le correnti che in questo momento scorrono in ogni spirito e in ogni cuore umano, correnti che si sono cristallizzate in –ismi e differenti confessioni, dottrine e conflitti. Ma adesso che hai tratto forza da quella gentile, e infinitamente varia, sorgente, lasciami tornare alle mie stanche e impotenti parole.
Vorrei poter avere letto tutto di Rilke, prima che arrivi il giorno in cui forse non potrò più leggere, per molto tempo. M'immedesimo molto intensamente nel piccolo gruppo di persone che ho conosciuto per caso da Werner e Liesl, e che la prossima settimana sarà deportato per lavorare in Germania sotto la sorveglianza della polizia. Stanotte ho sognato che dovevo preparare la valigia. Era una notte inquieta, soprattutto le scarpe mi facevano male. Come si doveva fare con la biancheria e il cibo per tre giorni e le coperte, tutto in una valigia o in uno zaino? Però rimarrà ancora posto per la Bibbia in un angolino. E se possibile per Il libro d'ore, e per le Lettere a un giovane poeta di Rilke. E mi piacerebbe tanto portare con me i vocabolarietti russi e L'idiota, per non perdere l'esercizio della lingua. Questo mi può naturalmente succedere – e sarà un caso molto curioso – se io dichiaro alla nostra registrazione: insegnante di lingua russa: sarà un caso unico e le conseguenze non si possono prevedere facilmente. Dio sa per quali vani giri finirò ancora per andare in Russia, una volta che abbiano messo le mani sulla mia conoscenza delle lingue e del resto.
Mi chiedo che cosa farei effettivamente, se mi portassi in tasca il foglio con l'ordine di partenza per la Germania, e se dovessi partire tra una settimana. Supponiamo che quel foglio mi arrivi domani: cosa farei? Comincerei col non dir niente a nessuno, mi ritirerei nel cantuccio più silenzioso della casa e mi raccoglierei in me stessa, cercando di radunare tutte le mie forze da ogni angolo di anima e corpo. Mi farei tagliare i capelli molto corti e butterei via il mio rossetto. Cercherei di finire di leggere le lettere di Rilke. Mi farei fare dei lunghi pantaloni e una giacchetta con quella stoffa che ho ancora per un mantello d'inverno. Naturalmente vorrei ancora vedere i miei genitori e racconterei loro molte cose di me, cose consolanti – e ogni minuto libero vorrei scrivere a lui, all'uomo che – già lo so – mi farà morire di nostalgia. Certe volte mi sembra di morire sin da adesso, quando penso che dovrò lasciarlo e che non saprò più niente di lui. Tra qualche giorno andrò dal dentista per farmi otturare tutti quei buchi nei denti: sarebbe proprio grottesco che mi venisse mal di denti. Mi procurerò uno zaino e porterò con me lo stretto necessario, poco, ma tutto di buona qualità. Mi porterò una Bibbia e quei due libretti sottili, le Lettere a un giovane poeta e, in qualche angolino dello zaino, riuscirò a farci stare Il libro d'ore? Non mi porto ritratti di persone care, ma alle ampie pareti del mio io interiore voglio appendere le immagini dei molti visi e gesti che ho raccolto, e quelle rimarranno sempre con me.
Anche queste due mani vengono con me, con le loro dita espressive che sono come giovani rami robusti. Spesso saranno congiunte in una preghiera e mi proteggeranno; e staranno con me fino alla fine. E così questi occhi scuri col loro sguardo buono, dolce e indagatore. E se i tratti del mio viso diventeranno brutti e sconvolti dalla sofferenza e dal lavoro eccessivi, allora tutta la vita del mio spirito potrà concentrarsi negli occhi. Eccetera, eccetera.
Sento che questa casa comincia a scivolarmi giù dalle spalle ed è un bene che sia così: il distacco si compie definitivamente, e con molta cautela e malinconia, ma anche con la certezza che è un bene e che non può essere diversamente, lascio che tutto scivoli, giorno dopo giorno.
Con una camicia indosso e una nello zaino – com'era la fiaba dell'uomo senza camicia raccontata da Kormann? Un re cercava per tutto il reame la camicia del suo suddito più felice, e quando ebbe finalmente trovato quell'uomo, si scoprì che non aveva camicie – e con quella minuscola Bibbia, posso forse portarmi anche i vocabolari russi e i racconti popolari di Tolstoj, e magari ci sarà anche posto per un volumetto di lettere di Rilke. C'è anche quel maglione di pura lana di pecora, lavorato a mano da un'amica – quante cose possiedo ancora, Dio mio: e una persona come me vuol essere un giglio del campo? Dunque, con quell'unica camicia nello zaino me ne vado incontro a un “avvenire sconosciuto”. Così si dice. Ma sotto i miei piedi girovaghi non c'è forse dappertutto la stessa terra? E lo stesso cielo – ora con la luna, ora col sole, per non parlare di tutte le stelle – non si stende forse sopra i miei occhi rapiti? Perché si dovrebbe parlare di un “avvenire sconosciuto”?
Tanti uomini vengono uccisi dappertutto, mentre io sto scrivendo vicino al mio ciclamino rosso–rosa, e alla lampada d'acciaio della mia scrivania. Intanto il mio braccio sinistro riposa sulla piccola Bibbia aperta, ho mal di testa e mal di pancia, e in fondo al mio cuore ci sono quei soleggiati giorni estivi nella brughiera, e quel campo giallo di lupini che arrivava fino alla baracca di disinfestazione.
Ho afferrato d'un tratto questo quaderno con un gesto inconsulto, tra la trascrizione di un paio di lettere e un forte mal di testa. Un tale desiderio di annotare qualche parola! Con una sensazione di questo genere: qui, su queste pagine, io sto tessendo con un unico lungo filo. E infatti un'unica linea di continuità, che costituisce il mio autentico mondo, sta scorrendo nella mia vita come un'ininterrotta via, ma non so come devo formulare tutto questo. Il Vangelo di Matteo è lì per me, mattina e sera, e anche le poche parole che scrivo ogni tanto su questo quaderno. O meglio: in realtà non si tratta neanche delle parole imperfette su queste righine blu, ma della sensazione di tornare sempre al medesimo punto, là dove si insiste a tessere un unico filo, dove si crea una continuità che forma la vera vita. E in generale: c'è un crescente desiderio di raccogliersi con sempre maggiore concentrazione attorno al proprio centro; il bisogno di molto raccoglimento, di lavoro disciplinato e l'incessante esigenza di dare forma.
L'improvvisa visione cosmica di Liesl: una serata con Chianti bianco in una stanza appartata, quattro persone – due donne e due uomini – e il Vangelo di Giovanni
S. AGOSTINO
Non c'è bisogno di andare molto lontano da casa per vivere avventure e incontri eccitanti. Ho voglia di mettermi a letto per trascorrere un'oretta con sant'Agostino...
Ieri sera avevo preparato in anticipo la tavola per la colazione e la mia sveglia era puntata alle sette. Così, di buon'ora, ero già in compagnia di sant'Agostino e adesso vorrei fissare un paio di parole sulla carta. Sempre la stessa verità, dappertutto, in sfumature e toni che cambiano di continuo, ma il contenuto è sempre lo stesso: “...Ti lodi per le cose la mia anima, Dio creatore di tutto, ma senza lasciarsi in esse invischiare dall'amore, attraverso i sensi del corpo. Esse vanno ove andavano per cessare di esistere, e straziano l'anima con passioni pestilenziali, perché il suo desiderio è di esistere e di riposare fra le cose che ama.
Una commedia e un pubblico con un povero vocabolario: “affascinante”, “delizioso”, “magico” e di nuovo “affascinante” . Le lacrime mi scendevano copiose lungo le guance e sarò stata certo quella che ha riso più forte in tutta la sala, ma non so neanche cos'altro dire, se non: “affascinante”. E il fatto di aver a disposizione solo poche parole, davvero così poche, mi rattrista. In passato avvertivo un senso di pesantezza nel momento in cui il sipario calava sulla commedia. Questa volta la pesantezza era minore. Ma avevo comunque bisogno di fuggire quelle coppie sposate interscambiabili e turbolente, e correre al mio severo sant'Agostino. Proprio come se dovessi cercare rifugio in lui da tutte le commedie del mondo.
Adesso vado a dormire, dopo aver tentato di liberarmi, grazie a sant'Agostino, di quell'amaro retrogusto lasciato dal cabaret.
Rileggerò sant'Agostino. È così austero e così ardente. È così appassionato, si abbandona così completamente nelle sue lettere d'amore a Dio. In fondo, quelle a Dio sono le uniche lettere d'amore che si dovrebbero scrivere.
Sono presuntuosa nel dire che possiedo troppo amore per darlo a una persona sola? L'idea che per tutta la vita si debba amare sempre e soltanto una persona mi sembra così infantile. Può impoverire e inaridire parecchio. Chissà se la gente imparerà che l'amore per la persona reca assai più felicità e buoni frutti che l'amore per il sesso, e che questo priva di linfe vitali la comunità degli uomini?
Congiungo le mani in un gesto che mi è divenuto caro e attraverso il buio ti dico cose sciocche e serie, e imploro una benedizione sulla tua bella testa sincera – in una parola sola si direbbe che “prego”. Buona notte, mio caro!
RILKE E DOSTOEVSKIJ
In realtà sto crescendo in ritardo. Leggo dall'età di dodici anni ma probabilmente in maniera eccessivamente passiva. Forse ho letto troppo finendo per assuefarmi. Ogni cosa informe e indistinta, a dismisura. Sommersa e sprofondata, persa e sognante.
Era l'idea di “oh–sì–leggere”. La sensazione di potersi esprimere allo stesso modo, l'idea di averlo già possibilmente vissuto.
Soltanto ora, ora che ho ventisette anni, inizio a leggere in modo più consapevole, con maggiore indipendenza, per così dire, tutto quello che mi capita. Anche le figure degli scrittori emergono con contorni più netti.
Per esempio Rilke. Un solo verso d'un tratto è per me più essenziale di... già, di che cosa? Per mesi ho vissuto di alcuni versi del suo libro su Rodin. E Dostoevskij: mi ricordo ancora come l'ho letto – è stato durante le vacanze di Natale? – a casa. Finché non mi sono sentita frastornata, esausta e intontita da quelle centinaia e migliaia di pagine, l'una dopo l'altra. E adesso ogni tanto un paio di pagine, ma che riesco attivamente a ricreare, portandomele dentro per giorni.
Probabilmente le ragazze si sviluppano in modo diverso dai ragazzi. Un ragazzo che viva al mio stesso livello di intensità intellettuale riesce a rielaborare quello che legge magari già a diciotto anni, con consapevolezza, principalmente con la testa.
Nelle ragazze la maturazione emotiva e quella intellettuale procedono forse più in parallelo. Ora che sto raggiungendo la maturità spirituale, mi accorgo che sono più consapevole nei miei studi, quasi più creativa, anche se mi sembra di fare troppo poco e di lavorare troppo lentamente. La mia intuizione precede ancora di chilometri la mia conoscenza. Ma non posso forzare le fasi temporali, posso solo preoccuparmi di dividere il mio tempo nella maniera più disciplinata possibile.
Ultimamente Dostoevskij mi perseguita, assestandomi colpi sempre nuovi. Nel bel mezzo del libro di Betz su Rilke m'imbatto d'un tratto in una citazione di Dostoevskij con la quale concludo questa giornata: “È un errore giudicare l'uomo come fa lei. Non c'è amore in lei, solo una severa giustizia; lei dunque è ingiusto”.
Che miglioramento però, negli ultimi mesi! Una tale pace e una tale tolleranza. Un mutuo arricchimento, dopo aver sconfitto la gelosia. Tutto secondo la sua idea e senza disaccordi. E non è neanche di cattivo gusto. Sull'agendina tascabile che gli ha regalato per Natale, Tide ha scritto: Gott mit Dir. E per un attimo mi sono venuti i brividi: dappertutto Dio, quella familiarità con Dio, ma poi, d'un tratto, mi sono ricordata le parole di Rilke, dal Libro d'ore: Gioisci di chi ti impiega | come uno strumento.
Da Rilke “non si torna indietro”, una volta che lo si è letto bene. Se non lo si porta con sé per tutta la vita, non ha neanche senso leggerlo.
Non riuscendo a offrire i miei personali commenti, sono ancora in una fase in cui trascrivo con grande piacere i suoi brani. Ebbene, ora devo trascrivere passi come il seguente: “Voi siete così giovine, così al di qua d'ogni inizio, e io vi vorrei pregare quanto posso, caro signore, di avere pazienza verso quanto non è ancora risolto nel vostro cuore, e tentare di aver care le domande stesse come stanze serrate e libri scritti in una lingua molto straniera. Non cercate ora risposte che non possono venirvi date perché non le potreste vivere. E di questo si tratta, di vivere tutto. Vivete ora le domande. Forse vi insinuate così a poco a poco, senza avvertirlo, a vivere un giorno lontano la risposta”.
Ora mi sento vicina a colui che sta parlando al giovane poeta. E solo ora, ora che comincio a “vivere le domande”, capisco quelle parole. Nel periodo in cui dovevo ancora “viverle”, non ero assolutamente in grado di capire. Devo regalare questo libriccino a persone molto giovani per aiutarle a capire. Si può aiutare solo quando si vive in sintonia con ciò che si desidera chiarire agli altri; sento crescere in me, sempre più, la forza per dare una mano agli altri, anche semplicemente spiegando loro che nessun altro può davvero aiutarli, e che questo va accettato, e non come un qualcosa che renda di necessità infelici, bensì come un mezzo per diventare più consapevoli delle proprie forze e della propria interiorità, e chiarendo che bisogna ascoltare con pazienza la propria voce interiore fino ad acquisire delle certezze. Ma occorre pazienza.
Fritz Klatt comincia col dire questo: “Rilke sa molto più profondamente di quasi tutti i grandi maestri del passato e dei suoi contemporanei che cos'è davvero l'amore. “Egli sancisce con parole nuove il tema eternamente tragico dell'amore: "Non essere mai una sola cosa con la persona amata". Perciò l'amore più alto che dobbiamo imparare consiste in questo per lui: lasciare libera la persona amata. Nel Requiem Rilke si è espresso così: “"Perché, se c'è una colpa, è questa: non accrescere la libertà della persona amata offrendole tutta la libertà che in noi matura. Noi che amiamo abbiamo solo questo da offrire: lasciarci liberi l'un l'altro, perché trattenerci è facile, e non è arte da imparare"“. Portare con sé l'altro, sempre e ovunque, chiuso in se stessi, e lì vivere con lui. E non solo con uno, ma con molti. Accogliere l'altro nel proprio spazio interiore e lì lasciare che fiorisca, dargli un posto dove possa crescere e svilupparsi. Vivere davvero insieme all'altro, anche se non lo si vede per anni, lasciare che l'altro ci continui a vivere dentro e vivere con lui, questa è la cosa essenziale. E così si può continuare a vivere insieme a qualcuno, al riparo dagli eventi esteriori di questa vita. Ciò è una grande responsabilità. Adesso non riesco a continuare a scrivere.
Rainer Maria Rilke! Tra dieci anni scriverò un saggio straordinario su di te, ne sono convinta. Per ora continuo a vivere con te e a godere di te.
Le lettere di Rilke sono per me come un mare, nel quale immer tiefer und weiter hineinschwimme [“nuoto sempre più al largo e mi immergo sempre più in profondità”] una cosa simile in olandese non riuscirei proprio a formularla.
Rilke. Sto leggendo le sue lettere. Ogni giorno trovava nuove parole, buone e affettuose per il mondo della natura e degli uomini. Ogni giorno, per così dire, trovava nuovi vezzeggiativi e gesti amichevoli, per l'aria, la pioggia, il sole, per le “cose”. Eppure non era un uomo avvezzo a lagnarsi con i fiorellini e gli uccellini, ha sempre lavorato e duramente. Perché mai non si dovrebbero trovare ogni giorno nuove parole e vezzeggiativi per le cose quotidiane che ci circondano e per l'aria che respiriamo?
Per il momento il mio desiderio si concentra su questo: leggere tutto Rilke, ogni lettera, e assorbirlo in me, per poi espellerlo, dimenticarlo e vivere di nuovo della mia sostanza; capire quando vivo sotto la sua influenza e dove i suoi umori e i miei si incontrano; del resto, non è una questione di influenza. È quasi una febbre: ho la sensazione di essere sempre affamata della sua voce, che non mi basta, prima che si sia integrata in me ogni parola che lui abbia mai pronunciato. E poi dimenticare di nuovo. E vivere di nuovo della propria sostanza. Bisogna crescere continuamente verso questo traguardo: vivere del proprio essere. Per far ciò bisogna ogni volta dimenticare tutto, tutto quello che in passato si è assorbito e letto e sentito da altri. E credo che dovrò stare ancora molto, molto tempo da sola, anche mesi, e se ne vengo fuori bene, quando troverò il coraggio di essere sola con me stessa a lungo, cercando dentro ciò che non è stato appreso dall'esterno, solo allora forse potrò dire di essere davvero nata.
Dovrei proprio dormire, per giorni e giorni, dovrei lasciar andare tutto quanto. Il medico diceva ieri che ho una vita interiore troppo intensa, che vivo troppo poco sulla terra, anzi, che vivo quasi ai confini col cielo, che il mio fisico non può reggere a tutto ciò. Forse ha ragione. Quest'ultimo anno e mezzo, mio Dio! E questi ultimi due mesi, che da soli sono stati come una vita intera.
E non ho forse avuto delle ore di cui ho detto: se dovessi morire tra poco, quest'ora mi è valsa una vita? Ho' avuto spesso delle ore simili. E perché poi non dovrei vivere in cielo? Il cielo esiste, perché non ci si potrebbe vivere? O piuttosto: il cielo vive dentro di me. Devo pensare a un'espressione di una poesia di Rilke: “spazio interiore del mondo”.
Ora devo dormire, e lasciar andare tutto. Mi gira tanto la testa. Non c'è niente che funzioni nel mio corpo. Vorrei guarire presto, ma dalle Tue mani accetto tutto come viene, mio Dio. So che è sempre un bene. Ho imparato che un peso può esser convertito in bene, se lo si sa sopportare.
Una citazione tratta da Suarès su Dostoevskij: “Amor vitae: questa non è ancora l'espressione giusta. La vita non è né così grande né così potente come l'amore. Egli si attende dall'amore la bellezza perfetta, quella che il nostro anelito si è ripromessa. Non amor vitae, ma piuttosto vita amoris: ecco il fondamento ultimo in Dostoevskij. Tocca all'amore creare la vita e salvarla. I migliori vivono esclusivamente a questo scopo. E l'amore più puro è amore che tutto trascende”.
Ecco, l'albero è sempre lì, l'albero che potrebbe scrivere la mia biografia. Però non è più lo stesso albero – o forse sono io che non sono più la stessa persona? E a un metro dal mio letto c'è la sua libreria, basta che allunghi il braccio sinistro e ho in mano Dostoevskij o Shakespeare o Kierkegaard. Ma non lo farò, ho un gran capogiro. Mi metti davanti ai Tuoi massimi enigmi, mio Dio. Ti sono riconoscente per questo, ho anche la forza di affrontarli, di sapere che non c'è risposta. Bisogna saper sopportare i Tuoi misteri.