Solitudine piena
Carlo Molari
Continuo a esaminare le difficoltà sorte dalle riflessioni sulla necessità dei rapporti come luogo per accogliere le offerte della vita o, come dicono i credenti, il dono di Dio.
Alcuni hanno chiesto: come considerare la pratica dell'eremitaggio, che fin dall'antichità ha accompagnato la storia del cristianesimo e che ha avuto, e ha tuttora forme molto note in altre religioni? Anzi da alcuni la sua diffusione viene presentata come una delle soluzioni per i molti problemi della nostra convulsa società. In primo luogo occorre distinguere bene la vita eremitica dalle diverse forme di vita claustrale. Queste ultime, infatti, si fondano su intrecci di rapporti personali e costituiscono, o dovrebbero costituire comunità di vita intensa. La forma eremitica di vita religiosa, invece, è molto più rara e spesso è solo transitoria. In ogni caso essa suppone una ricchezza interiore già acquisita, una maturità di affetti, una capacità di offerta totale che, sole, possono rendere fruttuose prolungate esperienze di silenzio.
In altre parole, solamente chi è stato molto amato ed ha accolto senza riserve i doni che gli sono stati fatti, è in grado di godere periodi di solitudine. Solamente chi ha interiorizzato molte persone ed ha riempito il vuoto che caratterizza l'inizio di ogni esistenza, può affrontare il deserto senza traumi. Si potrebbe dire che solamente chi ha già imparato a morire è capace di vivere con diletto e con frutti positivi la solitudine. Perché in realtà non è solo: il mondo che lo ha costruito l'accompagna, e tutte le esperienze che egli fa rievocano presenze e suscitano vicinanze che continuano ad arricchire la sua esistenza.
Per questo le forme di vita religiosa che contemplano la possibilità di esperienze eremitiche pongono condizioni molto rigorose per con sentirne l'avvio.
Ciò evidentemente vale per i lunghi periodi, perché forme brevi di solitudine o di silenzio intenso sono consigliabili a tutti. Essi servono alla concentrazione dello spirito, alla purificazione della memoria, al riequilibrio degli affetti. Ci sono delle imprese umane, delle intuizioni luminose, delle avventure dello spirito che possono maturare solo nel silenzio di prolungate solitudini.
Ma la solitudine è fruttuosa solo quando è animata da una moltitudine di presenze e da una quantità di affetti. Altrimenti diventa espressione della aridità del proprio spirito e infrut, tuoso ripiegamento su se stessi.
Provate, amici, a vivere oggi momenti di solitudine profonda, e troverete nuove sorgenti per la vostra gioia.