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    Esperienza di morte

    Carlo Molari

     

    Nei giorni scorsi ho esaminato una prima componente dell'esperienza religiosa: l'accettazione della condizione di creature.
    La seconda componente è l'incontro con la morte. Consiste nella scoperta della nostra situazione transitoria. Non siamo sulla terra per rimanervi sempre.
    Ogni sforzo che compiamo per eludere o dimenticare questa condizione o peggio per rifiutarla si traduce in una perdita di capacità vitale, in una stanchezza interiore, in un rifiuto di tutto. Tutto infatti nella nostra esistenza è segnato da questa tensione profonda verso la morte.
    Cerchiamo di capirne il perché.
    Occorre prima di tutto liberarci da alcuni pregiudizi diffusi.
    In primo luogo, non è esatto dire che, secondo la fede cristiana, la morte sia semplice pena del peccato e che, secondo la sua originaria natura, l'uomo non debba morire. Ciò non fa parte della fede, anzi se ci riferiamo ai racconti biblici è il contrario che essi affermano quando narrano che l'uomo fu cacciato dal luogo originario della tranquillità proprio perché non mangiasse anche dell'albero della vita e divenisse immortale (cfr. Genesi 3, 22).
    D'altra parte, il racconto biblico non ha l'intenzione di descrivere lo stato primordiale dell'uomo, che non è noto, ma l'esperienza di un processo di crescita e la tensione che esso comporta. È più l'indicazione di una chiamata che la descrizione di una situazione primitiva. Il dono della vita è tanto ricco e profondo che non può essere accolto dall'uomo se non in una successione di eventi, in una frammentarietà di situazioni e quindi in una continua tensione. Certo, in questa crescita il rifiuto dell'uomo ha incidenze notevoli e la morte per questo acquista un carattere drammatico che altrimenti non avrebbe. Questo spiega le affermazioni di S. Paolo sul rapporto peccato-morte (cfr. Rm 5). Ma falsa completamente la comprensione della nostra condizione l'idea che l'uomo non sarebbe morto se non avesse peccato. La morte senza il peccato avrebbe un carattere diverso, ma in ogni caso noi siamo nati per morire e per uscire da questa condizione.
    Come il feto è nel seno della madre per venirne fuori, così noi siamo in questa situazione per uscirne e per concluderla.
    Imparare a morire perciò, amare questa nostra condizione, è l'unica possibilità che abbiamo per vivere intensamente ogni nostra giornata. Anche quella appena cominciata, amici, è una occasione per riempire di vita la nostra esistenza.


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