Domenico De Masi
(NPG 1995-4-38)
In fin dei conti - sostiene Borges - tutte le storie del mondo si riducono a quattro, sia pure narrate in forme sempre diverse: la storia
di una città assediata, la storia di un viaggio, la storia di una ricerca, la storia del sacrificio di un Dio. Nel 1995 l'ennesima versione di queste storie perenni consisterà nell'assedio della giustizia, nell'odissea della vecchiaia, nella ricerca del lavoro e nel sacrificio dei leader politici.
La cittadella assediata
Chiunque, negli ultimi anni della Prima repubblica, si fosse azzardato a denunziare la disinvoltura della corruzione e ad invocare un minimo di severità, sarebbe stato tacciato di moralismo e di infantilismo.
Poi gli affondo di Borrelli hanno cambiato segno ai comportamenti collettivi e l'intransigenza ha trionfato coprendo di sputi e di monetine i vari Craxi e De Lorenzo.
Ma ora si diffonde il bisogno di nuove tolleranze, di generosi condoni. Gli affari sono affari e non saranno quattro articoli del codice penale a fermare le magnifiche serie progressive della settima potenza post-industriale. Tutti di nuovo in corsa dunque, con le bustarelle pronte a lubrificare gli ingranaggi e con i protettori già piazzati nei posti che contano.
Il nuovo anno vedrà i magistrati nuovamente rinchiusi nella loro cittadella assediata, dalla quale il preveggente
Di Pietro ha fatto appena in tempo a scappare.
Lungo viaggio nella vecchiaia
Continuerà nel 1995 l'odissea dei pensionati e pensionandi. La nostra vita media dura ormai 700.000 ore, ma noi lavoriamo non più di 70.000 ore; e poiché i fondi destinati alle pensioni non sono drenati in base al prodotto crescente delle imprese ma in base al numero decrescente dei lavoratori, l'Inps è ridotta ad un pozzo sfondato, dal quale più nessuno può sperare una senile tranquillità. Per la prima volta, dunque, la longevità ci appare non solo come una fortuna ma anche come un problema.
La ricerca del lavoro
Il vello d'oro più ricercato nel 1995 sarà il posto di lavoro. Nei paesi avanzati la percentuale di popolazione attiva che lavora nell'industria non supera il 25 per cento. I servizi, che prima assorbivano l'esodo dalle fabbriche, ora sono a loro volta in overdose di personale. Persino nel mitico Giappone, l'impiego sicuro è riservato appena al 30 per cento della forza lavoro.
Grazie alle nuove tecnologie e ai nuovi espedienti organizzativi, è possibile produrre sempre più beni e servizi impiegando sempre meno personale: nell'Europa occidentale tra il 1960 e il 1990, il prodotto lordo è quasi triplicato mentre il volume globale delle ore lavorative è sceso di un terzo. Occorre incrementare di 4 punti il Pil perché aumenti di un punto percentuale il tasso di occupazione.
Appare sempre più chiaro che il numero degli occupati non è direttamente proporzionale alla produzione e non basta uscire dalla crisi per incrementare i posti di lavoro: in Italia, nel 1994, la produzione industriale è aumentata del 4 per cento, ma i posti di lavoro sono diminuiti di 400mila unità.
Questo fenomeno nuovo, che gli americani chiamano jobless growth - sviluppo senza lavoro - farà del lavoro la merce più rara, e poiché ci ostiniamo a non ridurre gli orari, dentro le imprese aumenteranno i dipendenti costretti ad annoiarsi in mansioni inutili pur di fare qualcosa, fuori delle aziende cresceranno i conflitti tra occupati e disoccupati, tra vincitori e perdenti.
Il sacrificio dei nuovi dei
Proprio sull'incapacità politica di riorganizzare sia il lavoro che la vita, recuperando il welfare troppo disinvoltamente accantonato, si giocherà la sorte dei leader politici. L'Italia esalta gli uomini in cui più si riconosce, per poi subito affossarli proprio a causa di questa loro tipicità. Nei primi mesi del '94 aveva proclamato l'intenzione di sostituire la partitocrazia con la meritocrazia, ma poi ha promosso al ruolo di nuovi e di meritevoli molti personaggi inetti e decrepiti. Ora si divertirà a farli fuori, sostituendoli con altre finte primizie.
Rivivremo così, nel 1995, le quattro storie di sempre e, italiani come siamo, non ci mancherà la fantasia per trovare altre infinite versioni.
(Repubblica, 2 gennaio 1995)