Giuseppe De Rita
(NPG 1995-04-40)
Il privato, la sfera privata del vivere, è sempre fuori della storia. È quindi difficile capirlo e prevederlo anno per anno, sia in termini di interpretazione sia in termini di previsione.
Se i riti di fine d'anno ci costringono ad esercitarci su interpretazioni e previsioni, allora si deve aver la modestia di non badare allo scarto fra anno ed anno, ma alla gradazione che anno per anno i fenomeni assumono. Ed allora, in libero modesto esercizio, devo dire che nel '95 vedo un'accentuazione di un fenomeno comunque già presente nella realtà attuale: la crisi dell'individualismo.
La crescita della soggettività individuale è la saga dell'ultimo quarantennio: tutto è diventato soggettivo, «mio»: il corpo, il tempo, il lavoro, la vacanza, il coniuge, i consumi, la religiosità, l'impresa, i figli, il peccato.
Una società da secoli abituata a sottostare (anche senza convinzione) alle norme e al controllo sociale ha goduto di un processo di felice liberazione dei propri individuali criteri di compórtamenti, anche fossero vicini all'egoismo e al solipsismo. Se siamo stati una società aperta, in cui ognuno si è sentito padrone del proprio destino (facendo il piccolo imprenditore, studiando per fare il rampante, cambiando residenza e famiglia, ecc.) lo dobbiamo a questa prorompente saga di soggettività, di individualismo.
Ma il '94 è stato un anno di flesso di tale saga, e il '95 è destinato a vedere accentuare i fenomeni di flessione. Il fai da te sul piano del lavoro è una bandiera sempre meno accattivante, perché si ha paura di finire nel precariato eterno; l'individualismo un po' eccitato dei consumi lascia il posto ad una prudente volontà di scegliere in base a criteri razionali (qualità, prezzo, durata, ecc.); il tono un po' guappo dell'imprenditorialità individuale piccola e piccolissima tende ad essere sostituito da paure inconsce di non farcela; l'uso del tempo è meno individualistico, si cerca di usarlo con gli altri e per gli altri; la stessa religiosità vede declinare gli aspetti di misticismo tutto soggettivo e diventa disponibilità ad un impegno ecclesiale di tipo comunitario; e la stessa sfera privatissima (il coniuge, i figli, il proprio corpo) assume via via aspetti meno vincolati alla soggettività individuale.
Si tratta, come si può capire, di tendenze lente e profonde che «non fanno salti» di anno in anno, ma che tuttavia hanno in questo periodo (direi in questo inverno '94-95) una precisa accentuazione, se è vero che anche la crisi della politica assume il significato di un cedimento dell'ideologia del «fai da te» come base portante della politica stessa; e se è vero specialmente che si avverte in giro la sensazione di aver toccato il fondo nella discesa in se stessi, nella propria individuale soggettività.
Se guardiamo i dati e le ricerche relative a questi ultimi mesi vediamo che c'è una crescente disillusione per le possibilità di esser totalmente se stessi in se stessi; c'è una tendenza a radicalizzare la propria soggettività nei primordiali rapporti di sangue (dal familismo spicciolo all'esasperata volontà di figli anche senza coniuge); c'è una crescente incapacità di controllare il «rimosso» della propria psiche (si pensi alla violenza, al satanismo, alla stessa nuova voglia di case chiuse, ecc.); c'è una crescente solitudine, specie giovanile, e una crescente paura della solitudine; e c'è di conseguenza un aumento di compensazioni e cure alla solitudine incapace di gestire il rimosso (si pensi all'aumento del consumo della psicofarmacologia e della psicoterapia). La saga dell'individualismo e del soggettivismo
ha dato tutto; sta oggi raschiando il barile. Da adesso in poi, nel '95 per cominciare, ricominceremo a salire la china del rapporto sociale.
Saremo all'inizio un po' impacciati, quasi focomelici, perché gli altri ci fanno paura e rabbia in quanto sono riconducibili alla nostra soggettività; ma è una strada obbligata se siamo coscienti che, oltre un certo limite, la soggettività non libera più, anzi può creare mostri, almeno nella psiche.
(Repubblica, 2 gennaio 1995)