Giovanni Fransini
(NPG 1995-05-62)
Per comprendere l'esperienza che andiamo a raccontare, è necessario avere presenti i contesti all'interno della quale si è articolata e continua a svolgersi. Innanzitutto il contesto cittadino: Fano è una piccola città marchigiana, posta sulla costa adriatica, con una popolazione di poco superiore alle cinquantamila unità; i ragazzi compresi tra gli 11 e i 20 anni (e quindi i preadolescenti e gli adolescenti) rappresentano poco più del 10% della popolazione (nel 1986, anno di nascita del progetto, erano circa 8.300; oggi - dati del 1993 - sono circa 6.500, sempre con una leggera prevalenza di maschi). Il secondo contesto, quello che ha «partorito» il Progetto Adolescenti è una associazione di volontariato: il Centro di Solidarietà di Fano, gruppo nato circa 15 anni fa dalla realtà ecclesiale fanese; alcune parrocchie cittadine e del circondario diedero vita a quest'esperienza con l'apertura di servizi di accoglienza residenziale e non, rivolti soprattutto ai bambini, agli adolescenti e ai giovani. Ed è proprio nei primi anni '80 che l' attenzione del gruppo, stimolata dalle sempre maggiori richieste per adolescenti in difficoltà, si è focalizzata, pur senza dimenticare gli altri ambiti, sulla tematica adolescenziale. In un nostro con-
vegno dell' 85 introducemmo il tema «Adolescenti: terra di nessuno». L'anno successivo partì, gestito dal nostro Centro in collaborazione con i Servizi pubblici, il «Progetto Adolescenti» cittadino (con finanziamenti C.E.E. e della locale Cassa di Risparmio). Il terzo contesto è quello parrocchiale: la parrocchia di S. Pio X, a cavallo tra il centro storico e l'hinterland periferico, ha poco più di 30 anni di vita e conta circa 4.000 parrocchiani. Il rapporto tra questa realtà e il Centro di Solidarietà è molto stretto sia in termini affettivi che di collaborazione: le forze maggiori del Centro vengono da questa parrocchia. È stato quindi inevitabile nella fase di stesura del progetto cittadino farvi entrare idee e proposte educative che nascevano dall'esperienza ecclesiale ed in particolare di catechesi e animazione con i gruppi adolescenziali (ragazzi e giovanissimi), e d'altra parte ci è sembrato logico al termine della gestione del progetto medesimo cercare di trasferire alcune esperienze maturate a contatto con gli adolescenti di tutta la città, in ambito parrocchiale.
Per comprendere meglio questa dinamica bisogna dapprima illustrare a grandi linee la sostanza del Progetto adolescenti cittadino per vedere poi cosa abbiamo «passato» in parrocchia.
PROGETTO ADOLESCENTI CITTADINO
Il progetto si proponeva come obiettivo primario la prevenzione della devianza sociale nei cosiddetti adolescenti a rischio. Per meglio identificarli abbiamo individuato una serie di situazioni. Precisamente i ragazzi:
- espulsi dalla scuola dell'obbligo senza licenza media;
- licenziati dalla scuola media, ma con storia di grave difficoltà scolastica; - che frequentano abitualmente gruppi dei pari a rischio (bande adolescenziali);
- partecipanti ad attività di piccola delinquenza;
- coinvolti, in maniera marginale o iniziale, nel giro della tossicodipendenza;
- «chiusi» in casa o isolati socialmente (senza amicizie).
Accanto agli adolescenti a rischio, di cui principalmente il progetto si è occupato, abbiamo incontrato gli adolescenti già problematici o «scopppiati»: tossicodipendenti e/o etilisti, malati psichiatrici, quelli già entrati nel circuito penale, i disoccupati «cronici».
A parte vanno poi considerati gli adolescenti portatori di handicap che, almeno in parte, abbisognano di sostegni specifici. Esiste poi tutto il variegato mondo degli adolescenti «normali» con i loro problemi, le loro fatiche, le loro trasgressioni. Certamente, soprattutto in adolescenza, il confine tra normale, a rischio e patologico, a volte, è sfumato. Con il progetto siamo venuti a contatto con tutte queste realtà, ma abbiamo cercato di lavorare soprattutto nel campo preventivo: di individuare cioè le situazioni a rischio e di offrire, a questi ragazzi e alle loro famiglie, dei percorsi per non uscire dalla «normalità sociale».
In concreto il motore del progetto è risultato il lavoro di ricerca e ascolto territoriale con il quale si è dapprima creata una rete di osservatori (scuole, parrocchie, società sportive, servizi pubblici e privati) da cui poi si raccoglievano le segnalazioni di ragazzi con una qualche difficoltà; una piccola équipe formata da un neuropsichiatra infantile, un assistente sociale ed un educatore valutava, quindi, queste situazioni con contatti personali e familiari e decideva se proporre l'inserimento in un qualche servizio del progetto o, nei casi più lievi, fornire consigli pedagogici generali favorendo l'inserimento in gruppi sportivi
o associativi. Rimanevano sempre come punto di riferimento per il ragazzo, la famiglia e chi aveva proposto la situazione come «a rischio».
I servizi per adolescenti messi in piedi all'interno del Progetto sono stati:
- Centro Diurno per adolescenti (ancor'oggi aperto e gestito dal Centro di Solidarietà);
- Centro Pomeridiano (oggi gestito da una cooperativa di servizi sociali);
- Laboratori di Educazione al lavoro artigianale (oggi gestiti da una cooperativa di servizi sociali).
Il Progetto ha avuto una durata di 4 anni e dopo questa fase sperimentale lo si è trasferito, non senza fatica, nelle mani dell'Ente Pubblico perché lo facesse diventare un qualcosa di stabile, a servizio della città di Fano.
Ora, per quello che a noi interessa in questa sede, dobbiamo chiederci quali sono stati, in estrema sintesi, i «noccioli duri» che da quest'esperienza abbiamo ricavato. Li elenchiamo:
- centralità del rapporto educatore-adolescente;
- peculiarità nell'ascolto della realtà adolescenziale;
- pluralità di offerte educative;
- rete dei punti di riferimento, anche logistici;
- stesura di programmi educativi, anche personalizzati;
- programmi educativi ritmati;
- importanza del coinvolgimento della famiglia;
- necessità di valutazione del lavoro.
Centralità del rapporto educatore-adolescente
Il progetto, più che farci scoprire, ci ha confermato quanto l'esperienza fatta in parrocchia ci aveva insegnato: sono importanti le offerte logistiche e di servizi (v. dopo), ma il centro «terapeutico» rimane la qualità della relazione educatore-adolescente e in particolare l'offerta relazionale che l'educatore è in grado di mettere in gioco: in altre parole conta lo spazio interiore, che si riflette anche sullo spazio esterno (legato ad es. al tempo), che l'educatore può offrire all'adolescente con cui viene a contatto.
Ora questa centralità del rapporto educatore-adolescente potrebbe sembrare la scoperta dell'acqua calda; in realtà per noi si è trattato di una riproposta forte perché le disponibilità finanziarie e logistiche non indifferenti che per la prima volta ci siamo trovati in mano, sono risultate secondarie (non certo inutili), quando siamo andati a verificare il lavoro rispetto al problema della qualità degli educatori.
Ma chi è l'educatore qualitativamente valido, o come detto sopra, capace di offerta relazionale valida? Non esiste un rigido identikit; diciamo che è un giovane o un adulto (di età non inferiore ai 20 anni ma... non anziano) che vive al di dentro dei normali percorsi sociali (studio, lavoro) motivato ad un rapporto con gli adolescenti. Bisogna anche capire che l'educatore, partendo dalle caratteristiche di base sopra elencate, si «costruisce», puntando soprattutto a due cose: stabilità e preparazione specifica.
La stabilità è intesa come stabilità relazionale, cioè stabilità nel rapporto: il suo termometro è «il tempo», sia quello che l'educatore ogni giorno dedica al ragazzo, sia quello «lungo» inteso come durata del rapporto nei mesi e negli anni. Perché una relazione incida nella storia di un ragazzo, l'educatore ogni giorno dovrà dedicarvi del tempo inteso sia come tempo che trascorre insieme al ragazzo (non necessariamente da soli, anzi con gli adolescenti è norma il contrario), sia come tempo in cui pensa» al ragazzo (non è infatti possibile vedersi tutti i giorni).
Da ciò deriva che chi non ha tempo non può essere educatore in questa fascia di età, e che non si possono avere rapporti con troppi adolescenti.
Altrettanto importante, anche se con gli adolescenti è più fluttuante, è il tempo lungo: l'educatore sa offrire una disponibilità relazionale duratura nel tempo, se cioè sa attendere le pause e le fughe dell'adolescente.
Per quanto riguarda la preparazione specifica dell'educatore, essa va modulata in base all'età e al tipo di ragazzi con cui si viene a contatto: consta di momenti di formazione, di momenti periodici di confronto con i responsabili del settore, di momenti di verifica dell'andamento globale del progetto educativo. L'educatore infine è colui (o colei) che permette al ragazzo con cui è in rapporto di fare sintesi di quanto emerge nelle multiformità delle esperienze vissute (per quest'ultimo aspetto v. i punti seguenti).
Una nota finale su questo punto riguarda la possibilità di avere, specie nei servizi con gruppi misti di adolescenti, degli educatori di sesso maschile e femminile, che al di là del fatto che si completano nell'approccio relazionale con i ragazzi offrono importanti opportunità di identificazione sessuale.
Ascolto della realtà adolescenziale
L'ascolto è necessario, altrimenti non è possibile capire.
L'adolescente per sua costituzione non ama recarsi in sedi «istituzionali» ma costituirsi in gruppi liberi, specie amicali, con sedi a «cielo aperto». È pressoché impossibile, di conseguenza, pensare ed entrare in contatto con il mondo adolescenziale stando arroccati nei propri uffici o servizi, e quindi l'ascolto è possibile muovendosi (andando da loro) e, in base a quanto detto al punto precedente, offrendo rapporti personali.
Pluralità di offerte educative
La società nella quale viviamo, che ci piaccia o no, è multiforme e complessa e quindi genera più che uno stereotipo di adolescente (anche se alcuni tratti «consumistici» sono comuni a molti ragazzi) tanti percorsi adolescenziali diversi.
Se vogliamo entrare in rapporto educativo con gli «adolescenti» dobbiamo quindi pensare a più offerte educative che rispondano a percorsi diversi; queste non debbono «fare il verso» alle proposte d'aggregazione consumistiche (sale giochi, discoteche...) in cui il ragazzo è oggetto di consumo, ma debbono essere centrate, pur avvalendosi anche di ausili tecnici, sulla figura dell'educatore e quindi su un'offerta relazionale. A ciò abbiamo pensato nel progetto quando abbiamo messo in piedi il Centro Diurno, i Centri Pomeridiani e i Laboratori.
Accanto a questi servizi, visibili e ben definibili, esistevano degli «spazi di attesa»: anche quando il ragazzo non veniva inserito in un servizio specifico, o perché non c'era posto o lui stesso non voleva frequentarlo, veniva mantenuto un contatto (l'operatore incaricato ricercava periodicamente l'adolescente) in attesa che la situazione maturasse favorevolmente; lo scopo era di mantenere una porta aperta, un contatto da utilizzare al momento opportuno. Diversamente da quanto pensato in fase di elaborazione del progetto, abbiamo verificato nei fatti che molti adolescenti «difficili» hanno accettato questo «ponte».
D'altra parte questi servizi specifici del progetto non ci hanno fatto dimenticare che sul territorio esistevano già delle realtà a loro modo educative, rivolte agli adolescenti, società sportive, gruppi ecclesiali; per non parlare delle istituzioni scolastiche. Di qui l'importanza del punto seguente.
Rete di punti di riferimento
Siccome la pluralità di offerte educative non è patrimonio esclusivo di nessun gruppo, ente, pubblico o privato che sia (e questo è una fortuna, considerando anche la fisiologica allergia che gli adolescenti hanno verso le istituzioni e le esperienze «rigide» in genere), è necessario un lavoro per coordinare le diverse esperienze che vengono offerte all'adolescente. Si tratta di costruire una rete di riferimenti e di proposte a cui l'adolescente può rivolgersi, fluttuando anche da un punto all'altro.
Quindi la pluralità di offerte educative, collegate a rete, permette di fare un'offerta oltreché seria (perché educativa e centrata sulla figura dell'educatore) anche flessibile, e in questo modo diventa un'offerta accessibile all'adolescente che per sua natura ha necessità di fluttuare. Quando l'adolescente è «in crisi» in una di queste realtà è già inserito in una seconda, o almeno la conosce. Questo vale anche per le figure educative che sempre devono accompagnare l'offerta educativa. Se il rapporto, ad esempio, con il gruppo e l'educatore scout va in crisi, c'è sempre l'allenatore della squadra sportiva ad appoggiare il ragazzo.
Stesura di programmi educativi
Ogni servizio del progetto aveva delle sue finalità educative, studiate e messe per iscritto.
Per ogni ragazzo che entrava nel progetto veniva inoltre steso un programma educativo personalizzato aggiornato nel tempo.
Ciò si è rivelato faticoso ma estremamente fruttuoso, sia perché «obbliga» l'educatore a pensare al ragazzo, anche quando le cose non vanno come si desidererebbe, sia perché permette di verificare il reale andamento della relazione (l'educatore a volte, in perfetta buona fede, crede di vivere la relazione in modo diverso da quanto i fatti concreti, riportati nell'aggiornamento, fanno intravvedere).
Nello stendere il programma educativo bisogna sforzarsi di partire non dalle nostre idee ma dalla realtà dell'adolescente: quali sono i suoi interessi, cosa ha in testa, cosa lo preoccupa, quali sono i suoi problemi.
Percorsi educativi ritmati
È nella natura umana la necessità di scandire con tappe (traguardi e partenze) ogni percorso significativo. Ciò è ancor più evidente (e forse anche più faticoso) nell'adolescenza, laddove esiste la necessità fisiologica di «svolgere» i cosiddetti «compiti evolutivi»: è una vera e propria corsa ad ostacoli. C'è oltretutto l'esigenza di percorsi che evidenziano il raggiungimento di traguardi concreti, palpabili.
Nei nostri programmi educativi ci siamo sforzati di tenere presenti queste necessità facendo precedere l'inizio del percorso con la stipula di un «contratto educativo», ritmando il percorso medesimo con delle tappe intermedie e caratterizzandolo anche con una conclusione. La stabilità del rapporto educativo non va confusa con un'errata idea di eternità e immaterialità: anch'esso vive nello spazio e nel tempo ed è caratterizzato da tappe successive.
Importanza del coinvolgimento della famiglia
Al di là dell'idea generale che coinvolgere la famiglia in un percorso educativo è sempre importante, va rilevato che:
- in preadolescenza coinvolgere la famiglia significa aiutarla a prendere coscienza di un figlio che sta cambiando;
- in adolescenza significa aiutarla ad uscire dall'isolamento educativo per cercare «alleati» nelle altre agenzie sociali.
Quando un figlio entra in adolescenza, è tutta la famiglia che va incontro ad una ristrutturazione; la famiglia e in particolare la coppia genitoriale può essere soggetto di questo cambiamento (che può portare anche ad un'apertura sociale) o può esserne la vittima (con grande carico di sofferenza e chiusura). Il coinvolgerla in un percorso educativo
può aiutarla e quasi sempre aiuta anche il cammino del figlio.
Lavorando concretamente con le famiglie degli adolescenti, soprattutto degli adolescenti a rischio, ci si rende conto sempre più come, pur non negando responsabilità personali anche degli stessi ragazzi, il cuore del problema sulla fatica ad essere adolescente, oggi, sia la poca consistenza educativa ed esistenziale del mondo degli adulti.
Tant'è che più volte ci siamo chiesti se era più importante continuare a gestire il progetto o mettere in piedi un «progetto adulti».
Valutazione del lavoro
Quest'ultimo punto costituisce la nota dolente di quasi tutti i progetti educativi, specie quelli che riguardano gli adolescenti. È bello progettare, è faticoso valutare e controllare il lavoro. Per la valutazione dei risultati non si ha mai tempo sufficiente per fermarsi e guardarsi indietro.
Eppure se non si valutano i risultati, come si può dire che il cammino che si sta facendo sia quello giusto?
Nel concreto del lavoro del progetto abbiamo visto quanto sia prezioso, in una visione d'insieme il tempo (che sembra, al momento, sprecato) che si dedica alla verifica dei risultati.
Quanti errori che si pensava di non aver fatto! E quanti cambi di rotta per correggere il tiro!
Questi sono, per sommi capi, i «noccioli duri» usciti alla fine di tutto un lavoro di rielaborazione di questa prolungata esperienza fatta dentro il mondo adolescenziale della nostra città.
Il problema che si è successivamente posto e che continua a porsi è di come trasferire, o meglio mediare l'esperienza nella realtà parrocchiale e più precisamente nella nostra realtà concreta. Evidentemente non abbiamo la pretesa di proporre una ricetta valida per tutti.
PROGETTO ADOLESCENTI IN PARROCCHIA
La parrocchia è una realtà composita. Nel lavoro con bambini, ragazzi e giovani ci sono sfaccettature diverse: c'è, ad esempio, un valore «sociale», riconosciuto anche da chi non la frequenta (oggi va di moda dire che è una delle agenzie di socializzazione presenti sul territorio); c'è una valenza educativa in senso lato, tant'è che anche genitori non credenti invitano i figli a frequentare la parrocchia perché «lì comunque si imparano cose buone».
Ma abbiamo ricordato che l'aspetto socio-educativo non è il primario; la parrocchia è innanzitutto comunità di credenti in Cristo, dove quindi ciò che più interessa è vivere e trasmettere la fede in Gesù. Questo «senso primo» di tutto quello che al suo interno si fa, non va perso.
D'altra parte siccome la fede è una realtà incarnata, non possiamo, ad esempio nella sua trasmissione, non tener conto di aspetti sociali e pedagogici. Questo è particolarmente vero per la catechesi degli adolescenti.
Quindi seppur rimane primario e centrale l'aspetto di fede, esso si intreccia con problematiche sociali ed educative.
Pertanto, se alcuni principi sono risultati validi nel lavoro sociale con gli adolescenti, lo possono essere anche nella catechesi, anche se non la esauriscono.
Se accettiamo questo principio, che non è ovvio per tutti, dobbiamo anche accettare la necessità di una elaborazione perché non si possono trasferire i principi sopra enunciati, sic et sempliciter, nella vita parrocchiale, in quanto la parrocchia non è un servizio sociale e non deve diventarlo (tutt'al più in certi casi può ospitare o collaborare alla gestione di servizi primariamente sociali).
Dal progetto cittadino al progetto parrocchiale
* Innanzitutto una domanda: chi è l'adolescente a rischio nella fede? Chi non ha fatto la cresima, chi non viene a messa, chi non prega, chi non si vede più in parrocchia, chi ha trovato il fidanzato? o altri?
È difficile rispondere, ma bisogna pur pensarci se vogliamo puntare il nostro sguardo e i nostri sforzi verso i ragazzi.
Se ricalchiamo lo schema proposto nel progetto cittadino è più facile capire, almeno a livello teorico, chi è il ragazzo «normale» o, purtroppo, il ragazzo «patologico», anche se, ben sappiamo, i confini sono labili, specie in un contesto sociale e culturale come il nostro, in cui per molti la parrocchia è realtà accessoria. Il primo potremmo individuarlo in colui che frequenta, pur con le sue difficoltà e i suoi alti e bassi, l'itinerario di fede proposto dalla comunità. Il secondo in colui che assolutamente non vuol saperne di religione e di fede.
Più difficile è individuare la situazione di «rischio» nella fede per l'adolescente. Crediamo che sia da guardare con preoccupazione il distacco permanente dell'adolescente dalla vita della comunità: è a rischio l'adolescente che non si vede più in parrocchia.
Questo non per esasperare un criterio sociologico, dimenticando tutte le specificità del cammino di fede (che è e rimane sempre un dono di Dio), ma per porre l'attenzione su un aspetto che è visibile e misurabile e che è uno specchio, anche se parziale, dell'itinerario catechistico.
Ciò evidentemente non significa che il ragazzo che sta in parrocchia non avrà dei problemi e che tutto procederà bene, come non vuol dire che chi è lontano dalla parrocchia è anche sempre lontano da Dio.
Significa però per noi catechisti avere un punto di riferimento con cui fare i conti: un punto non troppo difficile da capire e misurare in qualsiasi realtà parrocchiale. È altresì vero che non bisogna mitizzare questo riferimento: non si può fare di tutto, dimenticando quella che è la finalità ultima del cammino di catechesi, pur di non far uscire l'adolescente dal giro parrocchiale. Non ci si può snaturare per questo.
Bisogna trovare un equilibrio tra finalità e metodi propri della catechesi e problematiche personali e sociali degli adolescenti, sapendo che il ragazzo che, pur con le sue fluttuazioni, non «rompe» con la parrocchia, prima o poi si interrogherà sulla proposta cristiana e darà la sua personale risposta. Centrare l'attenzione su questo «misuratore» della catechesi adolescenziale non significa poi non interessarsi e non lavorare con gli adolescenti che normalmente vengono (non molti, in termini numerici) o dimenticarsi di quelli mai venuti e che hanno già troncato permanentemente (per i quali, al di là di proclami idilliaci sui «lontani», bisogna pensare programmi specifici, oltretutto di difficile realizzazione e per i quali solo poche parrocchie hanno forze disponibili); significa invece programmare una catechesi attenta a chi frequenta in modo saltuario o a chi ha interrotto pur avendo per un certo periodo frequentato (e dalle nostre parti molti preadolescenti frequentano la parrocchia in occasione della catechesi per la cresima). Ciò andrà a beneficio anche dei pochi frequentatori «abituali».
La vita della comunità parrocchiale
L'importanza della presenza degli adolescenti in parrocchia è tanto più grande quanto più in essa troveranno una vera comunità cristiana e non solo un locale ed un prete isolato. Nella parrocchia stiamo cercando di curare molto il nostro essere chiesa, il vivere ed il manifestarci come Santa Chiesa di Dio, Sposa di Cristo, Corpo vivente del Signore. Manifestare cioè una relazione che salva, nella quale evidentemente si manifesta anche la miseria della nostra fedeltà.
Vediamo brevemente come la nostra vita si è strutturata nel tempo.
La parrocchia, come già ricordato, è sorta 32 anni fa. Il primo parroco, che ancora regge la parrocchia, è un sacerdote di 63 anni, affiancato, durante questi anni, da diversi vice-parroci.
La vita della parrocchia è improntata in modo «essenziale» intorno alla realtà fondamentale della vita cristiana; parola, comunione fraterna, eucaristia, preghiera (Atti 2,42).
Questa impostazione semplice ed essenziale potrebbe creare tensione tra i diversi modi di intendere la vita cristiana. In realtà in tutte le scelte si è cercato di mediare tra le esigenze di incarnare in modo autentico il dato biblico e magisteriale sulla vita della Chiesa, e la realtà che è frutto del passato e dei molti ritardi nella nostra adesione di fede a Cristo. Senza creare traumi si è cercato di far nascere un gruppo sempre più vasto di persone che vivendo l'essenzialità della fede potessero mettersi al servizio di tutta la parrocchia. Infatti se la preoccupazione di essere Chiesa viene vissuta autenticamente, non si generano mai élites esclusive ma «fermento» della massa.
Ecco come tentiamo di vivere.
L'eucaristia domenicale è il centro di tutta la vita parrocchiale. Una celebrazione in modo particolare è quella a cui si cerca di fare riferimento. Nelle altre si garantisce un servizio dignitoso di animazione.
La Sacra Scrittura, letta secondo le indicazioni della Dei Verbum, è la «catechesi» ordinaria della comunità e viene letta, studiata e pregata ogni venerdì sera, durante tutto l'arco dell'anno. Questo momento costituisce l'assemblea infrasettimanale della comunità. Ad essa partecipano giovani ed adulti insieme, in un clima di preghiera e di dialogo. Fa parte dell'ordinario cammino formativo l'educazione alla lectio divina.
La preghiera comunitaria è innanzitutto l'eucaristia (anche feriale... ma pochi lo hanno compreso).
Accanto, la Liturgia delle Ore che viene celebrata in chiesa ogni giorno con la celebrazione delle lodi (separate dall'eucaristia) e del vespro, con particolare risalto nelle feste, solennità e domeniche. Ad essa si sono sensibilizzati sempre più sia gli adulti che i giovani. Un piccolissimo gruppo garantisce la celebrazione quotidiana dell'Ufficio delle letture. Il servizio della carità spazia dalla catechesi alla condivisione con diverse iniziative (una casa di accoglienza per extracomunitari, una mensa, il rapporto con alcuni missionari, ecc.).
Naturalmente non si può vivere da «adulti» nella fede senza essere aiutati a crescere. Ecco perché particolare attenzione è rivolta agli itinerari di iniziazione cristiana (sacramentale ed anche per coloro che, pur avendo ricevuto i sacramenti, non hanno maturato la fede e la vita cristiana). Bambini, giovani ed adulti si preparano a vivere da cristiani attraverso molti itinerari specifici in vista dei sacramenti e dopo di essi.
Non esistono nella nostra parrocchia associazioni o movimenti ecclesiali.
La comunità nella quale vorremmo far crescere i nostri adolescenti è una comunità senza «particolarità», semplice ed essenziale, legata alla «tradizionale» vita della chiesa.
E allora scendiamo nella concretezza.
Centralità del rapporto educatore-adolescente nella catechesi
Il catechista è innanzitutto testimone della fede della comunità e della propria fede, all'interno di un rapporto con il ragazzo. Non sono quindi prioritari i contenuti, pur importanti, e neppure i metodi, anch'essi importanti. È prioritaria l'offerta di una relazione, attraverso cui passa la fede. Questo è centrale.
La relazione, poi, si sostiene anche con contenuti, metodi e ausili tecnici.
In altre parole l'investimento a cui la parrocchia deve puntare quando pensa agli adolescenti è innanzitutto la formazione dei catechisti: questo è un investimento non a breve ma a medio e lungo termine.
Per quanto riguarda i catechisti degli adolescenti, essi dovrebbero:
- essere giovani o adulti (avere almeno 20 anni ma... non essere anziani);
- essere in grado di offrire una stabilità relazionale (avere del tempo da dare ai ragazzi, non essere catechisti occasionali o per periodi brevi);
- avere una preparazione di base riguardo ai contenuti di fede e alle metodologie di animazione per adolescenti.
Concretamente nella nostra parrocchia, ai catechisti degli adolescenti chiediamo, oltre la vita di fede e di comunità come si conviene a degli adulti, di frequentare dei corsi di formazione e aggiornamento (quest'anno si è parlato del metodo narrativo); inoltre di dedicare del tempo ai loro ragazzi (segno anche di uno spazio interiore e quindi di una possibilità relazionale): ad esempio i catechisti dei preadolescenti vivono tre momenti settimanali con i ragazzi (incontro di catechesi, spazio ricreativo, messa domenicale), sono invitati poi a dedicare ogni giorno, magari per pochi minuti, uno spazio nella loro mente e nel loro cuore ai ragazzi, pregando per loro. Così nella concretezza e nel tempo nasce e si struttura una possibilità relazionale significativa, attraverso la quale lo Spirito di Dio può trasmettere la fede.
Sempre in ordine alla stabilità noi prevediamo (quando le forze ce lo consentono), per ogni gruppo, due catechisti che chiamiamo «lunghi», che accompagnano il ragazzo dalla prima media fino all'ingresso nella comunità adulta (intorno ai 25 anni); è preferibile che siano un uomo e una donna; valutiamo con interesse la possibilità che possano essere marito e moglie (facendo anche della loro casa un punto di ritrovo, purché non sia sostitutivo della parrocchia); siamo invece poco propensi a che siano una coppia di fidanzati, essendo questa una condizione di non stabilità e in cui possono instaurarsi dinamiche relazionali particolari tra la coppia e il gruppo o una parte di esso.
Accanto ai catechisti «lunghi», prevediamo per i preadolescenti (11-14 anni) un catechista «corto» per ogni gruppo: si tratta di un catechista che affianca i catechisti «lunghi» nei 3 anni delle scuole medie (che da noi coincidono con la preparazione alla cresima) e che ha una preparazione più specifica per la catechesi e l'animazione dei preadolescenti. Infine ogni gruppo ha anche 1 o 2 aiuto-catechisti: si tratta di giovani di 18-20 anni che collaborano con i catechisti soprattutto nello spazio ricreativo e nell'animazione (sono utili al gruppo e si fanno un po' le ossa come futuri catechisti).
Nei gruppi degli adolescenti (15-20 anni) ci sono solo i catechisti «lunghi», con cui ormai i ragazzi hanno instaurato un rapporto e che sono sufficienti anche per il minor numero di partecipanti.
Ascolto della realtà adolescenziale in parrocchia
Di fatto un ascolto si fa, magari non rendendosene ben conto, in tutte le parrocchie dove c'è un'esperienza di catechesi per adolescenti, perché stare a contatto con i ragazzi, anche se sono pochi, vuol dire poi anche ascoltarli. È importante però affinare l'udito, scrostandolo dai nostri pregiudizi, e imparare a sistematizzare il lavoro: per esempio al di là delle lamentazioni «sciolte» dei catechisti sui propri ragazzi sarebbe bene istituzionalizzare un incontro annuale, anche interparrocchiale, in cui i catechisti si scambiano, magari guidati da qualche esperto del settore, le proprie impressio
ni sugli interessi, i problemi, i modi di vita dei loro ragazzi (che tra l'altro cambiano rapidamente). Questo aiuta meglio ad entrare in sintonia con i ragazzi stessi. Accanto a questo lavoro, fattibile in molte parrocchie, c'è un altro lavoro di ascolto più difficile che riguarda i ragazzi che venivano e che non vengono più e che bisogna andare a cercare. Ma la possibilità di ascoltarli, e se possibile di ricondurli nell'ambito parrocchiale, esiste solo se nel periodo in cui sono stati in parrocchia si è creato un minimo di rapporto con il catechista, altrimenti è meglio sperare in un miracolo.
Pluralità di offerte educative
L'idea di percorsi adolescenziali differenziati è vera anche in campo ecclesiale: proporre modelli «rigidi» di itinerari di fede per adolescenti (anche ben fatti e studiati) significa di fatto, oggi, escludere una gran fetta di ragazzi. Ci si deve sforzare di offrire la relazione educativa in «formati» diversi: quindi ben vengano (e ci devono essere) degli incontri di catechesi opportunamente preparati, ma non basta; occorrono altri spazi aggregativi, ricreativi, di incontro: ogni parrocchia ha le sue risorse e le sue tradizioni da sfruttare. Non si tratta qui di farne un elenco (anche se può essere utile il confronto di esperienze), ma di fissare alcuni limiti generali:
- pluralità non significa confusione: non si tratta di proporre miriadi di esperienze, ma in ogni parrocchia offrire alcuni spazi;
- gli spazi possono essere organizzati per gruppo (fascia di età) o per attività (indipendentemente dall'età); in genere con i preadolescenti è migliore la prima soluzione, con gli adolescenti la seconda (è chiaro comunque che non ci può essere uno scarto di età troppo grande);
- ogni spazio deve avere come responsabile un catechista o quantomeno un educatore (e riproporre la centralità relazionale);
- gli spazi ricreativi non devono essere affidati (almeno come responsabilità primaria) agli «scarti» dei catechisti (è un errore prendere i giovani «più bravi» per fare i catechisti e quelli «indecisi» per fare gli animatori, gli allenatori);
- il catechista deve accettare come fisiologico che un ragazzo del suo gruppo, per un periodo più o meno prolungato, lasci il gruppo di catechesi per partecipare ad un altro gruppo parrocchiale; deve cercare di mantenere un rapporto con il ragazzo. È fondamentale poi la collaborazione tra il catechista e l'educatore del gruppo ricreativo; quest'ultimo deve accettare che, se possibile, sia il catechista a tentare con il ragazzo una sintesi delle diverse esperienze;
- è essenziale che ci siano responsabili, super partes, dei catechisti e degli animatori per evitare conflittualità tra i gruppi (in particolare se la parrocchia ospita dei movimenti).
Due altre note:
- cosa significa in parrocchia avere degli spazi di attesa? dove i ragazzi non fanno parte di nessun gruppo specifico, ma stanno lì (stranamente in parrocchia) in attesa di tempi migliori;
- sarebbe interessante sperimentare (nella nostra parrocchia più volte ne abbiamo parlato ma poi non siamo riusciti a concretizzare) la figura del cosiddetto «catechista di strada», catechista senza gruppo e senza sede (ma evidentemente con una chiara comunità alle spalle) che cerca un contatto con i ragazzi che non vengono in parrocchia. Per questo tipo di esperienza ci vogliono catechisti «solidi».
Lavoro di rete in parrocchia
La prima rete va costruita in parecchia, collegando:
- sia i vari spazi per adolescenti (come già detto);
- ma soprattutto la realtà adolescenziale con le altre realtà e in particolare quella adulta. Se l'adolescente non vede cosa c'è davanti, quali sono i modelli, qual è
il tipo di vita cristiana adulta, come potrà scegliere di continuare e verso cosa?
A livello più generale, pedagogico, c'è poi da lavorare per costruire, dove possibile, delle collaborazioni con altre agenzie di socializzazione presenti sul territorio della parrocchia (ad esempio società sportive, realtà scolastiche, servizi pubblici).
Programmi educativi o itinerari catechistici?
In realtà in parrocchia sono la stessa cosa perché un itinerario catechistico è anche programma educativo.
Nella nostra parrocchia chiediamo ai catechisti ogni anno a settembre di stilare un itinerario annuale che tenga conto:
- della realtà di partenza dei ragazzi (sia di fede che socio-pedagogica) sia come gruppo che come singoli;
- delle mete che si vogliono raggiungere sia in fatto di relazione che di contenuti;
- dei cammini proposti dai catechisti della C.E.I.;
- di eventuali approfondimenti su temi specifici proposti per quell'anno a tutta la comunità.
Per quanto riguarda eventuali programmi individualizzati, senza la pretesa di avere una scheda per ogni ragazzo (cosa comunque da discutere), abbiamo iniziato a chiedere ai catechisti che partono con un nuovo gruppo in prima media di tenere una rubrica con uno spazio per ogni ragazzo in cui annotare impressioni e andamento del cammino di fede del ragazzo. Questo potrebbe apparire un lavoro al limite della pignoleria; in realtà non si tratta di fare aggiornamenti troppo frequenti e bisogna soprattutto coglierne lo spirito di fondo, che è quello di avere un quadro di massima per ogni ragazzo, del cammino fatto (ed un conto è averlo scritto e un altro tenerlo confusamente a mente) e di «costringere» il catechista a fermarsi periodicamente a ripensare (scrivendo) alla situazione dei propri ragazzi (ciò contribuisce insieme alla preghiera quotidiana, e agli incontri a mantenere per loro uno spazio interiore).
Percorsi catechistici ritmati
Che la vita di fede sia un cammino è idea evangelica ed ecclesiale ormai diffusa in quasi tutte le parrocchie; che inizi col battesimo è altrettanto riconosciuto da tutti, ma non si può pretendere, specie con gli adolescenti, che si accetti l'idea di un cammino uguale, teso uniformemente verso la meta dell'incontro con Dio dopo la morte.
C'è necessità ad ogni età di dare un ritmo, delle tappe. Con gli adolescenti questa necessità, per i motivi spiegati nella prima parte, è ancora maggiore.
Nella nostra esperienza si cerca di far riferimento al ritmo liturgico proprio della Chiesa, sia a tappe specifiche. Il ritmo liturgico ha una sua cadenza settimanale legata in particolare all'eucaristia domenicale e una sua cadenza annuale legata ai tempi forti. Pertanto noi chic- diamo ai catechisti non solo di inviare i ragazzi all'eucaristia domenicale, ma di celebrarla con loro e accanto a loro, come pure chiediamo nella stesura dell'itinerario catechistico annuale di ritmare i contenuti degli incontri su tre tempi:
1. verso Natale;
2. verso Pasqua;
3. verso Pentecoste.
Per quanto riguarda le tappe specifiche prevediamo per i preadolescenti:
- in I media: celebrazione di consegna del catechismo (Sarete miei testimoni) all'inizio dell'anno;
- in Il media: celebrazione di consegna del catechismo (Vi ho chiamati amici) all'inizio dell'anno
- III media: messa di presentazione della comunità (domenica di Cristo Re); consegna dell'icona di Gesù (a Pentecoste); sacramento della confermazione (al termine dell'anno catechistico).
Per gli adolescenti, al momento, prevediamo:
- a 16 anni: consegna, all'interno di una celebrazione comunitaria, della preghiera del Padre Nostro;
- a 18 anni: consegna del libro della liturgia delle ore.
Per i giovani si sta pensando ad una ulteriore tappa:
- a 20 anni: la professione di fede.
Come e perché coinvolgere la famiglia degli adolescenti
È più facile dire perché, piuttosto che come. La famiglia si può cercare di coinvolgerla perché possa, per parte sua, aiutare il ragazzo nel cammino di fede: ben sappiamo quant'è difficile per il catechista lavorare se c'è in casa chi rema contro.
La stessa famiglia d'altra parte riceve un beneficio dalla crescita nella fede dei propri figli, e l'interessarsi alla catechesi dei propri figli può essere un motivo per rispolverare quella dei genitori, per riavvicinarli alla fede.
Di fatto non è per nulla semplice coinvolgere le famiglie prese dai ritmi lavorativi sempre più vorticosi, dalle loro abitudini, dalla voglia di delega.
Nella nostra parrocchia ogni catechista è invitato periodicamente a fare un «giro domiciliare» dei propri ragazzi, e quindi incontrare, anche per brevi chiacchierate e scambi di opinioni, i genitori (in genere le madri); poi all'inizio e alla fine dell'anno catechistico si invitano le famiglie (soprattutto questo con i preadolescenti) ad un incontro in parrocchia.
Non è molto, anzi è poco. Ci sarebbe in programma qualcosa di più serio: proporre degli incontri periodici (mensili) per i genitori dei preadolescenti e degli adolescenti, pensati proprio come catechesi.
Si tenta, cioè, di far capire agli adulti che la loro presenza in parrocchia non è motivata innanzi tutto dall'essere genitori, ma anche per il bisogno di tutti di approfondire e vivere autenticamente la fede.
E chi valuta il lavoro dei catechisti?
Se proviamo ad uscire dall'ottica della valutazione come giudizio (scolastico) sul lavoro del catechista, si riuscirà a capire che il servizio catechistico sarà completo quando lo avremo sottoposto ad una verifica.
Molti dicono: «è già difficile trovare un catechista, vogliamo anche sottoporlo ad un esame? e poi se uno fa catechismo è perché ci crede, e quindi lo fa sicuramente bene». Non è in discussione la buona fede, la buona volontà o la gratuità; è però da verificare la qualità del servizio che si offre proprio perché è un servizio importante.
È necessario, in questa direzione, non solo avere dei catechisti (che, come più volte ripetuto, costituiscono la materia prima ed indispensabile), ma formare pian piano anche dei responsabili di settore della catechesi (per bambini, preadolescenti, adolescenti, giovani, adulti) che possibilmente abbiano già maturato una buona esperienza sul campo, che siano disponibili a formarsi come responsabili e che si impegnino del servizio di affiancare i catechisti a livello di indirizzo, programmazione e anche verifica.
Una nota finale
Non riusciamo a renderci conto se le cose scritte siano molte o poche. Forse sono molte, se pensiamo al poco tempo che abbiamo per fermarci a leggere; forse sono poche, se pensiamo alla vastità del tema e alla molteplicità delle esperienze. Altre cose si potrebbero aggiungere; alcune probabilmente meritano di essere rivisitate e corrette. Ma non è con l'idea di essere completi che ci siamo accostati al tema; abbiamo solo raccontato un'esperienza e l'elaborazione concettuale che partendo da essa ne è derivata.
Per noi è stato un lavoro utile, fatto, almeno nelle intenzioni, a servizio del vangelo e dei nostri adolescenti. Speriamo che possa essere utile anche ad altri.