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    Cento anni dopo

    Memoria cristiana della Grande guerra

    Mons. Luc Ravel

    grandeguerra

    «Commemorare permette alla Chiesa di evangelizzare il suo tempo proponendo una visione della storia come scrittura di una storia santa». A partire dal significato che la fede cristiana attribuisce alla storia e alla lettura dei suoi avvenimenti, mons. Luc Ravel, ordinario militare francese, propone in un documento pubblicato in marzo una riflessione sui cento anni dallo scoppio della prima guerra mondiale, che permetta alla Chiesa di «fare memoria insieme» e di proporre delle iniziative durante il ciclo delle commemorazioni, che in Francia ha preso avvio nel novembre 2013 e proseguirà per alcuni anni. «Se è stato possibile affermare che "all'alba del XX secolo, nazionalismo e internazionalismo si confrontano", all'inizio del XXI secolo è sempre da ripensare e da mettere in atto una sana articolazione fra una rinnovata autorità politica mondiale, alla quale i nostri papi fanno appello, e sovranità nazionali senza le quali la persona umana non può trovare la propria pienezza. I tentativi infelici sortiti dalla Grande guerra ci orientano verso nuovi equilibri ove la memoria non si trovi più mutilata di Dio» (Il Regno 11/2014, pp.373-384).

    Perché commemorare nella Chiesa la prima guerra mondiale? All'inizio del ciclo delle commemorazioni vi può essere chi non comprende questo bisogno di ritornare al passato, considerato talvolta «memoria inflazionata» o sotterfugio utile di fronte al presente, ma capace di risvegliare dissidi sopiti da lungo tempo: «[Le commemorazioni] permettono soprattutto di non affrontare il presente e un futuro da costruire con fatica».1 Altri, senza contestare l'opportunità di una commemorazione civile, non vedono perché mai la Chiesa dovrebbe associarvisi, avendo altre urgenze pastorali.
    Ma commemorare fa parte della missione della Chiesa. Affermando «l'eterna novità» di Cristo, papa Francesco richiama anche l'importanza della memoria: «Neppure dovremmo intendere la novità di questa missione come uno sradicamento, come un oblio della storia viva che ci accoglie e ci spinge in avanti. La memoria è una dimensione della nostra fede che potremmo chiamare "deuteronomica", in analogia con la memoria di Israele. Gesù ci lascia l'eucaristia come memoria quotidiana della Chiesa».2
    Su quali principi si basa il papa per affermare ciò? È quello di cui tratteremo nella nostra prima parte. Su quali fatti della Grande guerra getteremo una luce profetica? Ecco ciò che occuperà la nostra seconda parte. Quali azioni concrete proporre durante il ciclo delle commemorazioni? Questo verrà sviluppato nella terza parte. 

    IL TEMPO, LA STORIA E LA MEMORIA: I PRINCIPI

    L'uomo nella memoria o la questione della saggezza

    Per la Chiesa commemorare è innanzitutto contribuire insieme ad altri a mettere in luce un dato antropologico fondamentale: l'uomo saggio partecipa a una memoria collettiva «anteriore» alla memoria individuale.
    È il primo elemento della nostra commemorazione.
    In effetti, come il tempo è nell'uomo (la durata) e l'uomo nel tempo (il trascorrere), la memoria è nell'uomo e l'uomo nella memoria. Quando l'uomo ricorda, egli ritorna alla propria memoria individuale ove si sono incisi degli elementi del suo passato: ma l'uomo abita una memoria collettiva espressa dalle tradizioni dei suoi padri: «Le nazioni, in maniera analoga agli individui, sono dotate di una memoria storica».3
    Nella sua poesia «Quando penso "Patria"...», Karol Wojtyla così lo esprimeva:
    «Quando penso Patria esprimo me stesso, affondo le mie radici, / è voce del cuore, frontiera segreta che da me si dirama verso gli altri, / per abbracciare tutti, fino al passato più antico di ognuno: / da questo emergo... quando penso "Patria" - / quasi celando dietro di me un tesoro. / Mi chiedo come accrescerlo, come dilatare lo spazio che esso riempie».4
    Nella persona formata, memoria individuale e memoria collettiva s'incontrano per comporre la memoria personale da cui discende la saggezza. Poiché la saggezza viene dalla memoria. A livello individuale, la saggezza deriva dall'esperienza accumulata dalla memoria. E a livello collettivo la saggezza di un popolo dipende dalla sua «esperienza collettiva», denominata anche cultura, che è la forma elaborata della sua memoria collettiva. La questione della saggezza si presenta dunque legata alla memoria individuale e alla memoria collettiva: la saggezza propria di una persona s'inscrive in essa come la risultante della sua saggezza individuale, frutto della sua esperienza, e della saggezza collettiva, frutto della cultura.
    Passare sotto silenzio questa memoria collettiva sarebbe dunque trascurare la saggezza a favore di una razionalità astorica: «Di fronte a una ragione a-storica che cerca di autocostruirsi soltanto in una razionalità a-storica, la sapienza dell'umanità come tale - la sapienza delle grandi tradizioni religiose - è da valorizzare come realtà che non si può impunemente gettare nel cestino della storia delle idee».5 Oltre la commemorazione vi è dunque la questione della verità stessa: «Possiamo parlare, a questo riguardo, di un grande oblio nel nostro mondo contemporaneo. La domanda sulla verità è, infatti, una questione di memoria, di memoria profonda, perché si rivolge a qualcosa che ci precede e, in questo modo, può riuscire a unirci oltre il nostro "io" piccolo e limitato. E una domanda sull'origine di tutto, alla cui luce si può vedere la meta e così anche il senso della strada comune».6
    Commemorare è dunque collegare la ragione alla storia per permetterle di raggiungere la saggezza.

    Il tempo e la storia dal punto di vista della fede: la missione della Chiesa

    Il secondo elemento è quello della missione della Chiesa, poiché la fede getta una luce nuova sul tempo e sulla storia.

    Il tempo
    Il tempo appare all'inizio, zoccolo primordiale, intervallo ove si dispiega l'iniziativa divina verso la materia.
    Una sorta di diffrazione dell'eternità operata dalla luce: «E fu sera, e fu mattina».7 Poi si stabilisce il cosmo, innestato sul ritmo e sullo slancio del tempo. Lo spazio viene solo in seguito: il tempo presiede alla terra, e la durata alla costruzione dei popoli.
    Meditando sulla tensione fra la pienezza e il limite, papa Francesco nota la superiorità del tempo sul momento e, in definitiva, sullo spazio: «Il "tempo", considerato in senso ampio, fa riferimento alla pienezza come espressione dell'orizzonte che ci si apre dinanzi, e il momento è espressione del limite che si vive in uno spazio circoscritto. I cittadini vivono in tensione tra la congiuntura del momento e la luce del tempo, dell'orizzonte più grande, dell'utopia che ci apre al futuro come causa finale che attrae. Da qui emerge un primo principio per progredire nella costruzione di un popolo: il tempo è superiore allo spazio».8 Sta dunque alla Chiesa evangelizzare il tempo come evangelizza lo spazio. All'appello «fate discepoli tutti i popoli»,9 aggiungiamo: «Tutte le generazioni mi chiameranno beata».10
    La Chiesa non può ridurre questa evangelizzazione del tempo a quella dell'istante, oggetto degli appelli ripetuti a vivere l'oggi di Dio: «Non facciamoci rubare la speranza, non permettiamo che sia vanificata con soluzioni e proposte immediate che ci bloccano nel cammino, che "frammentano" il tempo, trasformandolo in spazio. Il tempo è sempre superiore allo spazio. Lo spazio cristallizza i processi, il tempo proietta invece verso il futuro e spinge a camminare con speranza».11 La Chiesa evangelizza il tempo lungo che sfugge alla fugacità dell'istante e unifica una vita orientandola alla pienezza.
    Il lavoro della Chiesa sul tempo è dunque duplice. Prima essa assicura al quotidiano l'applicazione della salvezza al nostro tempo: è la salvezza dentro la storia, al momento presente nel mondo di oggi. Poi s'impegna a mettere in opera la salvezza della storia. Essa la realizza attraverso una concezione singolare della storia di cui l'atto della commemorazione è la chiave.

    La storia
    La storia, alla luce della fede, è questo tempo accessibile all'uomo ma riletto e collegato per divenire un vettore a doppio senso, dal divino entro l'umano e dall'umano verso il divino. La fede svela l'origine, il termine e il senso del tempo: Cristo, Signore del cosmo e della storia. «[La Chiesa] crede anche di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana. Inoltre la Chiesa afferma che al di là di tutto ciò che muta stanno realtà immutabili; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli (Eb 13,8)».12«[Il Verbo di Dio] entrò nella storia del mondo come uomo perfetto, assumendo questa e ricapitolandola in se»." Giovanni Paolo II lo scriveva a suo modo: «Ecco dunque la risposta alla domanda cruciale: il senso più profondo della storia va al di là della storia e trova la sua piena spiegazione in Cristo, Dio fatto uomo. La speranza cristiana si proietta al di là del tempo. Il regno di Dio s'innesta e si sviluppa entro la storia dell'uomo, ma il suo fine è la vita futura».13
    Per guardare il tempo e il suo concatenamento, passato, presente e futuro, senza cadere nell'amarezza, senza errare nelle false interpretazioni, la Chiesa utilizza una chiave singolare: Cristo illumina il tempo come rischiara il cosmo.
    Così, commemorare permette alla Chiesa di evangelizzare il tempo proponendo una visione della storia come scrittura di una storia santa: «La teologia della storia è un aspetto importante, essenziale della nuova evangelizzazione, perché gli uomini del nostro tempo, dopo la nefasta stagione degli imperi totalitari del XX secolo, hanno bisogno di ritrovare uno sguardo complessivo sul mondo e sul tempo, uno sguardo veramente libero, pacifico».15 La Chiesa evangelizza il tempo ritrovandovi Gesù Cristo, il solo in grado di dare unità al tumulto degli avvenimenti: come fece del caos un cosmo, egli fa di un susseguirsi effervescente un racconto pacificato, di una successione disordinata di speranze una viva tensione di Speranza.
    La teologia della storia ci assicura che vi è solamente una storia, poiché vi è solamente un tempo, nonostante la complessità delle forze che la attraversano. Ad esempio, la storia è simultaneamente storia santa, dove si disegna l'amore divino, e storia peccatrice, ove s'inscrive «il mistero dell'iniquità».16 Ma essa è anche, nella misura in cui la Chiesa è una specifica realtà sociale, contemporaneamente storia della Chiesa e storia del mondo. Il Concilio lo ricorda: «La comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia».17 Dunque, l'impegno della commemorazione ecclesiale può richiamare la storia. del mondo inscritta nella storia della Chiesa (e non l'inverso), con la coscienza acuta di una Chiesa nel suo mistero di lievito, di coscienza o di anima del mondo: «Israele ha intuito che questa verità di Dio si estendeva oltre la propria storia, per abbracciare la storia intera del mondo, a cominciare dalla creazione. La conoscenza della fede illumina non solo il percorso particolare di un popolo, ma il corso intero del mondo creato, dalla sua origine alla sua consumazione».18 Il discrimine che il suo metodo le impone non si basa sul fatto che la Chiesa sia o meno sulla scena in modo diretto.
    Questo approccio propone dunque una visione unitaria e piena di senso della storia umana. Essa manifesta anche la fonte della sua novità. Infatti non è semplice spiegare perché la storia avanza, perché non si risolve nella ripetizione continua dei medesimi fatti, invecchiando nell'accumulo dei secoli. La vera novità della storia proviene anch'essa da Cristo. Ignorare questa sorgente conduce al fatalismo, nel momento in cui il fallimento dei miti moderni, come quello del progresso, sprofonda l'uomo in un'inquietudine inesplicabile. «L'Apóstolo di Dio, considerando con sapienza la portata del mistero, dice: "Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre!" (Eb 13,8), intendendo dire in tal modo che il mistero è sempre nuovo e non invecchia mai per la comprensione di nessuna mente umana».19
    Questa visione della storia mostra la necessità della fede per una corretta lettura del tempo. Solo la fede può discernere nel groviglio del bene e del male l'evoluzione dell'uno e dell'altro. Essa sola può anche distinguere il progresso (progressum) terreno, importante per il regno di Dio, e la crescita (augmentum) del regno di Cristo.20 Essa sola, afferma il concilio Vaticano II, può percepire la mescolanza delle due città: «Tale compenetrazione di città terrena e città celeste non può certo essere percepita se non con la fede; resta, anzi, il mistero della storia umana, che è turbata dal peccato fino alla piena manifestazione dello splendore dei figli di Dio».21 Essa sola propone al mondo il mistero ultimo della storia.

    L'arte ecclesiale della memoria: la liturgia della storia

    La Chiesa scopre il mistero per mezzo della propria singolare arte della memoria, una sua specifica maniera di commemorare. Dal proprio punto di vista nuovo sul tempo e sulla storia, la Chiesa trae un'arte della memoria che, secondo la parola del poeta Giovanni Paolo II, le permette di fare della storia una liturgia:
    «Debole è il popolo quando acconsente alla sconfitta, / quando dimentica che è stato chiamato a vegliare / fino a che giunga la sua ora. / Le ore ritornano sempre sul grande quadrante della storia. / Ecco la liturgia degli eventi. (...) / Andiamo a partecipare all'eucaristia dei mondi».22
    Qual è quest'arte della memoria?
    Quest'arte ecclesiale della memoria si fonda sull'opera degli storici. La Chiesa non inventa il passato. Essa trova nella conoscenza storica la materia prima a partire dalla quale mette in opera il proprio metodo, come il vasaio mette in opera la propria arte a partire dalla creta, come Cristo a Cana fa un vino squisito a partire dall'acqua delle giare. La Chiesa fa memoria alla sua maniera ma a partire da uno zoccolo comune a tutti. Quindi, quando commemora, la Chiesa non si oppone alle altre maniere di commemorare. Allo stesso modo in cui la sua liturgia non condanna le feste umane, la sua memoria non svuota le memorie degli uomini. Essa aggiunge il proprio metodo a quelli degli altri per fecondarli o per purificarli.
    La storia santa ci insegna quest'arte della memoria: una pia assiduità alla memoria celeste tesse l'Alleanza. Dimenticando il comandamento, Adamo conduce l'umanità su di un cammino dai baratri mortali. Dunque l'Antico Testamento è traversato da questo ritornello: «Ricorda Israele...». L'autorivelazione di Dio si realizza nel corso della storia fino a Cristo. Per questo fatto, l'impegno della memoria fa parte dell'identità del credente. La fede stessa è un atto di memoria grazie al quale il passato e il futuro prendono posto nelle nostre vite. L'affermazione di papa Francesco si inscrive in questa nobile ascendenza: «E vero che, in quanto risposta a una Parola che precede, la fede di Abramo sarà sempre un atto di memoria. Tuttavia questa memoria non fissa nel passato ma, essendo memoria di una promessa, diventa capace di aprire al futuro, di illuminare i passi lungo la via. Si vede così come la fede, in quanto memoria del futuro, memoria futuri, sia strettamente legata alla speranza».23
    Se dimentica Dio, l'uomo religioso cade nell'idolatria poiché cade vittima della molteplicità degli istanti: «L'uomo, perso l'orientamento fondamentale che dà unità alla sua esistenza, si disperde nella molteplicità dei suoi desideri; negandosi ad attendere il tempo della promessa, si disintegra nei mille istanti della sua storia. Per questo l'idolatria è sempre politeismo, movimento senza meta da un signore all'altro».24 La messa in atto della «liturgia della storia» protegge dall'idolatria.
    All'alba del Vangelo, la memoria di Maria 25 corrobora l'affermazione di Giovanni Paolo II: «A ben vedere, la memoria appartiene al mistero della donna più che a quello dell'uomo. Così è nella storia delle famiglie, nella storia delle stirpi e delle nazioni, e così è anche nella storia della Chiesa».26 San Paolo non manca di ricordare questo sforzo di memoria: «Ricordati di Gesù Cristo».27 E la Chiesa a sua volta mai vi verrà meno: «Vi è nella Chiesa una facoltà di memoria, più precisa e più ferma che in qualunque altra personalità individuale o collettiva. Gli stati hanno la loro tradizione e i loro archivi, le burocrazie la loro routine, ma nulla di tutto questo spiega la fedeltà della Chiesa ai suoi ricordi (e quali ricordi!) antichi come il mondo, e considerati rivelazioni o confidenze di Dio».28 Senza questo dono della memoria la Chiesa e il mondo vacillerebbero insieme, la Chiesa nella sua fede e il mondo nel suo progresso.
    La specificità di quest'arte ecclesiale della memoria viene dal suo oggetto e dal suo metodo propri.

    Il suo oggetto
    La memoria della Chiesa riprende e rivela in ogni circostanza la presenza e l'azione di Dio, che trascende il tempo ma che è coinvolto nel tempo come creatore e redentore. È in questo che essa diverge fondamentalmente da una logica memoriale che, per principio, escluderebbe Dio. In questo senso la memoria della Chiesa completa le memorie degli uomini o le contraddice quando questi vogliono dimostrare la sconfitta di Dio basandosi sulla storia. Nel caso di una guerra o di eventi catastrofici, non mancano le confutazioni di questa presenza attiva.
    La Chiesa ne prende atto come un tempo i salmi: «Lo stolto pensa: "Dio non c'è".29
    In ogni occasione opportuna la Chiesa offre al mondo la memoria di Dio. Accetta gli inevitabili confronti che una tale memoria può suscitare: confronti fra le logiche
    caso, quelle della predestinazione ecc. Ne Va d 4 -ria collettiva come della memoria individuale: la th:‹---al, risaltare la libertà dell'uomo e il dono di Dio, Fax anzarr del bene e le spinte del male, senza tacere il meccanismo delle concatenazioni e la casualità delle coincidenze.
    La Chiesa, contro le apparenze se occorre, canta la presenza di Dio: «E chiaro che la storia umana si sviluppa nello spazio e nel tempo secondo una dimensione orizzontale. Tuttavia, essa è attraversata anche da una dimensione verticale. Di fatto, non sono soltanto gli uomini che scrivono la storia. Anche Dio la scrive insieme a essi. Da questa dimensione della storia, che si potrebbe definire trascendente, si è risolutamente allontanato l'Illuminismo».30
    Essa canta anche l'opera di Dio, il suo regno di Dio sul mondo e sulla storia: «Il senso teologico della storia: i rivolgimenti epocali, il succedersi delle grandi potenze, stanno sotto il supremo dominio di Dio; nessun potere terreno può mettersi al suo posto».31
    Cogliere, sottolineare e quindi celebrare questa presenza di Dio nella storia degli uomini fa parte della missione della Chiesa. Per questo Dio le ha conferito un carisma profetico che vede il tempo a partire dall'eternità. Se «il memoriale è spesso macchiato di anacronismo, in quanto giudica il passato secondo i criteri odierni»,32 la Chiesa non cade nell'anacronismo poiché essa giudica il passato (e l'insieme del tempo) dal punto di vista di Dio, non secondo i riferimenti del presente ma secondo i criteri dell'eternità. Da profeta essa vede i fatti in modo diverso dagli altri. Partendo da Dio, vede il tempo percorso da un Amore. In questo modo essa è capace di vedere la quercia nella ghianda e la spiga nel chicco. Ma sa anche annunciare il chicco nella spiga e la ghianda nella quercia. Il concatenamento delle cause passate, degli effetti presenti e delle conseguenze future le appare con chiarezza come favorevole o pregiudizievole per l'uomo. Essa conserva la propria visione contro le valutazioni mondane. Ci tiene a proclamare e a ripetere il sentimento di Dio per il mondo. Presa essa stessa nel proprio tempo, esprime il cammino coerente dell'amore nelle oscillazioni della storia.

    Il suo metodo
    L'arte ecclesiale della memoria offre dunque al mondo una lettura profetica della storia utilizzando il suo proprio metodo.
    Essa scruta i segni dei tempi come la invita a fare il suo Maestro (Lc 12,54-56; XII 16,2-3). La costituzione Gaudium et spes si riallaccia a questo metodo: «Per svolgere questo compito è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche».33
    Inspirata dallo Spirito, la Chiesa non ha proceduto altrimenti per fare memoria della vita di Cristo. Dopo uno studio preliminare sui fatti attestati,34 gli scrittori sacri ne hanno tratti alcuni dalla storia di Cristo, ciascuno secondo la propria ispirazione: così, solo l'evangelista Giovanni ci parla di Cana, particolarmente importante per lui.
    La Chiesa opera dunque in tre momenti. Poiché «scruta i segni dei tempi», essa innanzitutto mette in evidenza determinati fatti della storia. Ma non li seleziona in funzione dell'importanza a loro attribuita dagli uomini. Essa sceglierà anche avvenimenti giudicati secondari dallo sguardo umano. Avendo poi estratto certi fatti presentati dalla storia più obiettivamente possibile, ne mostra il valore di segni: quel «qualcosa» in essi che diverge dalla continuità in cui sono collocati. Infine, a partire da questo valore, ne fa una lettura particolare, dando loro un senso evangelico. E questa lettura è fonte di vita per il mondo solo alla condizione formale di scoprirvi Cristo e la sua potenza di salvezza. E una storia irrigata anche e soprattutto dalla forza dell'amore che essa offre al mondo: in caso contrario, ritornare sul passato può risvegliare vecchie dispute, odi antichi. Ora, non si tratta di portare a galla la melma di uno stagno che il tempo ha lentamente lasciato decantare, ma di risalire alla fonte di un torrente per riprendere slancio.
    Così la Chiesa opera solamente nel momento storico in cui si trova essa stessa, ed è in esso che parla alla propria epoca. Noi commemoriamo per i nostri contemporanei. Della grande storia della Grande guerra, non possiamo né evitare né escludere una lettura profetica differente fra cinquant'anni.
    Infine, l'arte ecclesiale della memoria culmina nell'eucaristia che la condensa e la realizza. Papa Giovanni Paolo II condivideva questa convinzione: «Ne consegue che i cristiani, celebrando l'eucaristia, facendo cioè "memoria" del loro Maestro, scoprono continuamente la loro identità». Ma sarebbe poco fermarsi a questa funzione «interna» dell'eucaristia. Papa Giovanni Paolo II era molto netto: «L'eucaristia evidenzia qualcosa di più profondo e insieme di più universale, evidenzia la divinizzazione dell'uomo e la nuova creazione in Cristo. Parla della redenzione del mondo». Ora, questa evidenziazione del grande mistero mediante l'eucaristia agisce sulla memoria. «Questa memoria della redenzione e della divinizzazione dell'uomo (...) è nello stesso tempo fonte di molte altre dimensioni della memoria, a livello sia personale che comunitario. Permette all'uomo di comprendere se stesso nelle sue radici più profonde, e insieme nella prospettiva definitiva della sua umanità. Gli permette anche di comprendere le varie comunità nelle quali si forma la sua storia: la famiglia, la stirpe, la nazione. Gli permette infine di comprendere la storia della lingua e della cultura, la storia di tutto ciò che è vero, buono e bello».35
    Fonte e culmine della commemorazione ecclesiale, il memoriale eucaristico assicura la profezia della Chiesa e l'evangelizzazione del tempo. Questa affidabilità della memoria è assicurata da Dio: «L'anamnesi impegna innanzitutto la responsabilità di Dio. La coscienza credente non sceglie di fare memoria, ma vi è obbligata».36 Nell'eucaristia si opera la trasformazione della storia in regno di Dio. Se la storia umana è la pasta, composta degli avvenimenti plasmati insieme dalla memoria collettiva, allora la parola profetica è la cottura che con questa pasta della storia fa il pane di Dio. La commemorazione ecclesiale è la messa nel corso del tempo.

    Commemorare con il mondo la storia del mondo

    Un ultimo aspetto merita di essere citato. La Chiesa commemora insieme agli altri. Non commemoreremo in modo indipendente dal mondo, poiché commemorare significa «fare memoria insieme». Certo, la storia del mondo comporta degli avvenimenti che non riguardano direttamente la Chiesa nella sua struttura o nel suo funzionamento. Ma noi siamo la memoria divina del mondo e «nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco» nel cuore dei cristiani.37 Questo modo di fare si spiega per tre ragioni.
    Innanzitutto poiché la guerra è un fatto del passato e la commemorazione un fatto del presente. E i fatti esistono, che li abbiamo voluti o meno, e a questi fatti i cristiani applicano il principio di realtà. «Il ricordo della Grande guerra è sulla Francia come la cenere sulle pendici del vulcano».38 Il mondo commemorerà, e questa commemorazione incontra in Francia un consenso straordinario, anche fra i giovani. Fra gli «avvenimenti che hanno segnato la storia», le due guerre mondiali vengono collocate di gran lunga al primo posto.39 Possiamo lasciar accadere senza di noi la commemorazione di una guerra che non è stata fatta senza di noi?
    In secondo luogo per manifestare la solidarietà, assicurare la credibilità e promuovere la saggezza della Chiesa: «Come è importante per il mondo che esso riconosca la Chiesa quale realtà sociale della storia e suo fermento, così pure la Chiesa non ignora quanto essa abbia ricevuto dalla storia e dall'evoluzione del genere umano».40 La Chiesa non finge d'interessarsi alla storia, come se in realtà non avesse da ricevere che da Dio. Come realtà storica, essa impara veramente dalla storia: «La Chiesa sa bene quanto essa debba continuamente maturare imparando dall'esperienza di secoli, nel modo di realizzare i suoi rapporti col mondo».41
    Infine, per trovarvi un'occasione pastorale: la commemorazione offre alla Chiesa un cortile concreto dove incontrare persone o istituzioni spesso molto lontane dalle nostre cerchie abituali e con cui essa può costruire avvenimenti comuni. Tale fu l'intuizione di Benedetto XVI creando «il cortile dei gentili» e invitando a moltiplicare questi luoghi «dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l'accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa».42 

    LETTURE DELLA GRANDE GUERRA

    Andiamo dunque ad applicare questi principi alla commemorazione della Grande guerra. Proponiamo alcuni «fatti» che gravano sulle spalle delle nazioni o che sono incisi nei cuori. La lista non è esaustiva. Per «fatti» intendiamo avvenimenti storici precisi, ma anche posizioni intellettuali o spirituali. Li disporremo su due livelli, collettivo e personale.

    Guerra e pace: sul piano politico

    La dismisura della violenza in una guerra industrializzata: lo sconvolgimento dell'ordine mondiale
    La dismisura sembra un primo fatto significativo. Dismisura nelle cifre e nell'estensione geografica. La potenza industriale e la costituzione degli imperi coloniali spingono i contemporanei a chiamare questa guerra «la Grande guerra» o «la prima guerra mondiale».
    Alcune cifre parlano chiaro: in Francia, 8 milioni di combattenti mobilitati; quasi 1.400.000 caduti (36% fra i 19 e i 22 anni), ossia una media di 900 al giorno; più di 4 milioni di feriti (di cui 1.100.000 invalidi). La Grande guerra fa vacillare il mondo. Le perdite subite da parte di Francia e Germania rappresentano solamente un terzo dei 10 milioni di morti di questi 52 mesi di scontri. Combatterono gli uomini di quasi 100 stati odierni, poiché gli imperi mobilitarono le proprie colonie. Da quel conflitto derivò direttamente la libertà per alcuni popoli, mentre altri vi trovarono la propria reale identità: Australia, Nuova Zelanda, Canada...
    Queste cifre e questa estensione ci spingono a interpretare il dato della dismisura alla luce della fede e delle parole di Benedetto XVI: «Questo mi induce a riflettere oggi ancora una volta sul dramma della libertà umana nel mondo. (...) Avviene così che gli uomini cedono alle tentazioni del Maligno e si fanno guerra gli uni gli altri. La conseguenza è che, in questo stupendo "giardino" che è il mondo, si aprono anche spazi di "inferno"».43

    La prova del sangue, la vera risposta all'«infame diceria»: il clero nelle trincee
    La Chiesa non ha guardato la guerra da lontano. Sarebbe tradire i nostri padri farne i dimenticati della storia come si è voluto che fossero i dimenticati della guerra. Il 13 febbraio 1916 il quotidiano La Dépénche de Toulouse fa correre una voce subdola: «Sfido qualunque soldato (ma soldato vero!) a dire che ha visto un prete o un milionario montare di guardia in trincea». La Chiesa risponde con «il tableau d'onore cattolico», minuziosamente raccolto in un'opera notevole, La preuve du sang.44 Questo elenco comprende per la Francia 45.253 arruolati, di cui 23.418 dal clero secolare, 9.281 dal clero regolare (molti rientrati dall'estero partirono volontari), 12.544 religiosi; 4.953 caduti, di cui 3.101 secolari, 1.517 regolari, 335 religiosi. Oltre 14.000 citati e decorati. Cifre che danno la misura dell'effettivo coinvolgimento.
    Che cosa pensare alla luce del Vangelo di questa partecipazione eccezionale del «clero» alla guerra, come cappellani, barellieri o combattenti? Dobbiamo fare nostra l'affermazione di un padre domenicano, reduce dal fronte: «Il campo di battaglia non è in questo mondo il più bel campo d'apostolato? Nel turbine della morte, la voce del prete porta così lontano».45 Oppure, a partire da questo dato, cogliere la solidarietà fondamentale della Chiesa con il mondo fin dentro le lotte più feroci?

    Il ruolo di papa Benedetto XV, un'influenza profetica piuttosto che un ruolo politico
    A Roma, la posizione di Benedetto XV merita di essere accuratamente esaminata. Fin dalla sua elezione tutta la sua opera è il tentativo di evitare o fermare la guerra predicando la pace. Essa culmina nella sua nota alle potenze belligeranti del 1° agosto 1917: «Mentre imperversava quell'immane conflitto, il papa ebbe il coraggio di affermare che si trattava di un'inutile strage". Questa sua espressione si è incisa nella storia. Essa si giustificava nella situazione concreta di quell'estate 1917, specialmente su questo fronte veneto. Ma quelle parole, "inutile strage", contengono anche un valore più ampio, profetico...».46 Profezia di pace che fu accolta con circospezione e anche ostilità da parte di alcune élite ecclesiastiche: il domenicano p. Sertillanges, il 10 dicembre 1917, gridava: «Santissimo padre, noi non possiamo attualmente accogliere i vostri appelli di pace... vogliamo una pace della potenza che spezza la violenza, la pace del soldato».
    Attraverso il papa, il rapporto fra la Chiesa e le nazioni cambia: il papa non sarà più ormai una voce fra le altre. Per suo tramite la Chiesa intera trova il proprio ruolo di coscienza del genere umano. L'interdizione previa a papa Benedetto XV a partecipare alla Conferenza di pace fu a servizio, pare, del disegno di Dio. Può la Chiesa avere un'influenza politica senza usare l'autoritàpolitica, senza essere una nazione fra le altre? Essa promuove la pace ma con i propri mezzi. Appena eletto, Benedetto XV sposa il partito della pace giusta senza cercare di giustificare la guerra. Si pone dalla parte di Dio, non prendendo partito - «l'imparzialità» che raccomandava, per lui era tutto salvo indifferenza - poiché Dio non accetta di scegliere un campo. I cattolici dei due schieramenti (180 milioni in totale) pregavano per la vittoria: «Lo si è (Benedetto XV) talvolta paragonato ai capi di stato neutrali. Non è esatto: per il re di Spagna ad esempio, nella guerra in corso vi sono solo stranieri che combattono contro stranieri. Per il papa, ancora una volta, sono i suoi figli che si battono fra di loro... una situazione unica!».47
    Più sul concreto, la Grande guerra ha modificato tutto un insieme di relazioni fra la Chiesa e gli stati, e prima di tutto all'interno dell'Impero austro-ungarico e della sua dislocazione in nuovi paesi con i quali Benedetto XV intesserà nuovi legami. Quanto alla «Figlia primogenita della Chiesa», la complessa relazione fra la Chiesa e la République dal 1905 al 1924 trova nella Grande guerra un luogo di ravvicinamento anche se non fu subito evidente. Un'apertura che porta a una laicità vivibile addirittura positiva. Alla luce della fede, che cos'è la laicità «alla francese»?

    La pace senza Dio: da una pace senza Dio a un internazionalismo senza Dio
    «E più facile fare la guerra che la pace»,48 confessava Georges Clemenceau. «Il padre della vittoria» e altri con lui esclusero subito la Germania dalla conferenza di pace. L'odio aveva guidato la guerra, la vendetta orientava la pace. I veri valori in grado di rendere solida la pace attenderanno un'altra guerra mondiale ancora.
    Creata immediatamente dopo la Grande guerra, la Società delle nazioni voluta dal presidente americano Wilson non sfugge, anch'essa, a una fragilità originale: alla cattolicità della Chiesa succedono teorie internazionaliste che escludono Dio. Da un lato questa sostituzione decanta il ruolo della Chiesa (vedi sopra) ma dall'altro il sogno dell'uomo auto-costruito s'impadronisce del processo di pace e distribuisce i ruoli allontanando Dio. Alla luce della fede, Benedetto XVI scriveva a mons. Franygis Maupu, vescovo di Verdun, per il 90° anniversario della battaglia di Verdun: «Verdun (...) deve restare nella memoria dei popoli come un avvenimento da non dimenticare mai e da non rivivere mai (...). Possano i nostri contemporanei, in particolare le giovani generazioni, trarre tutti gli insegnamenti della storia e, fondandosi sulle radici e sui valori cristiani che hanno largamente contribuito a modellare l'Europa delle nazioni e l'Europa dei popoli, impegnarsi a creare vincoli di fraternità e di carità fra loro».
    Se è stato possibile affermare che «all'alba del XX secolo, nazionalismo e internazionalismo si confrontano»,49 all'inizio del XXI secolo è sempre da ripensare e da mettere in atto una sana articolazione fra una rinnovata autorità politica mondiale, alla quale i nostri papi fanno appello,50 e sovranità nazionali senza le quali la persona umana non può trovare la propria pienezza.51 I tentativi infelici sortiti dalla Grande guerra ci orientano verso nuovi equilibri ove la memoria non si trovi più mutilata di Dio.

    L'inossidabile ferocia umana, sotto il manto della cultura, sposa le potenze oscure della storia
    Quanti premi Nobel in Germania all'inizio del XX secolo? Quanti filosofi e uomini di lettere in Francia e nelle nazioni della Triplice intesa? Da entrambi lati, le più alte istituzioni culturali patrocinano la guerra. Uomini di lettere o di scienza non si peritano di giustificarla. Ciononostante, tuttavia, presidio ai massacri fu la barbarie. «La coscienza europea non s'identificò più con l'idea di civiltà, poiché in piena Europa era comparsa la barbarie».52 Già vacillanti prima della guerra, il mito del progresso scientifico come chiave del successo umano e quello della cultura come eliminazione del male caddero, feriti a morte, nelle foreste di Verdun e sulle pianure della Somme.
    È ancora sostenibile una salvezza per mezzo della cultura o del progresso oppure, rivelazione cristiana per eccellenza, solo la croce costringe il male a ripiegare? «Dio è più forte di tutte le potenze oscure della storia», scriveva papa Benedetto XVI.53

    «Matrice del XX secolo»: la Grande guerra o la filosofia moderna?
    Vi sono storici i quali affermano che la Grande guerra fu la «matrice» del secolo scorso. In effetti è inquietante la coincidenza fra la fine della guerra da una parte, e dall'altra l'avvento del comunismo in Russia, gli inizi del nazionalsocialismo in Germania e del fascismo in Italia. Ma è nella guerra che se ne devono rinvenire le radici? Ci inspira un diverso giudizio di saggezza: «Nel corso degli anni si è venuta formando in me la convinzione che le ideologie del male sono profondamente radicate nella storia del pensiero filosofico europeo».54 Molto prima della guerra, le ideologie prendono voce e forma. La gravità di quella guerra, e il suo fardello di morti, nascono direttamente dalle leggi di coscrizione obbligatoria, inventati dalla Rivoluzione francese e contro le quali papa Benedetto XV insorgerà con violenza.

    Cittadino e credente: fatti, segni e letture sul piano personale

    Che cosa avveniva nell'anima dei nostri soldati? E nello spirito dei cittadini, coinvolti tutti in questo conflitto?
    Le descrizioni della catastrofe fisica ci sono pervenute, spaventose: nei crateri delle granate, nelle trincee, nelle distese bruciate, nelle baracche sconvolte la carne si mescola alla melma. Il fronte è disseminato di brandelli di corpi più impressionanti che mucchi di cadaveri. La terra veniva lavorata dalle granate e seminata di carne umana. Che uomini poteva germinare quel campo? Quale raccolto di umanità mietervi? Che strada hanno preso i cuori? Come hanno resistito in quelle fatiche estreme, in quei confini ultimi della vita? Fra quegli uomini, sui due fronti, molti cristiani: fino a qual punto erano evangelizzati? Si sono lasciati guidare dall'odio, come gli altri? «Gli orrori delle due guerre mondiali, ridestando quelli delle guerre di religione, impediscono di vedere dov'è la salvezza, come oggi sia efficace. Il cristianesimo diffuso dovunque non trattiene gli uomini dal cedere alla peggiore delle violenze, ai più terribili peccati».55

    L'amore per la guerra: le false virtù
    - L'amor di patria trasformato in nazionalismo, attraverso l'odio per l'altro.
    Con l'Illuminismo e la Rivoluzione francese cominciano a diffondersi in Europa dei «nazionalismi senza nazione», un amore per la propria patria che prescinde dai valori di cui essa è portatrice. Questa frattura in un sano amor di patria discende in linea diretta dall'oblio delle radici religiose: il Kulturkampf in Germania, la «laicità» in Francia, le campagne anticlericali in Italia. Quasi dovunque nel corso del XIX secolo queste ideologie emarginano il cristianesimo.
    Il card. Ratzinger vedeva nel concilio Vaticano I la risposta «anticipata» alla tentazione nazionalista: «È importante, tuttavia, che nel momento in cui il principio della nazione celebrava il proprio trionfo, quando la nazione giungeva quasi a essere adorata, il concilio (Vaticano I) vi opponeva il principio dell'unità. La nazione è un valore, non si tratta di contestare questo. Ma laddove è assolutizzata, diviene un pericolo. Nella storia degli ultimi 140 anni vediamo quanto sangue e lacrime sono stati versati a causa dell'ebbrezza del nazionalismo, non soltanto in Europa ma nel mondo intero. E questo perché tutti (compresi i nostri cristiani, i nostri cattolici) eravamo in prevalenza prima di tutto tedeschi, francesi, italiani, inglesi, e solo in un secondo momento cristiani e cattolici».'56 Nonostante un autentico pacifismo cristiano,57 vi erano forse fra i cattolici degli inconsapevoli seguaci di Montaigne: «Siamo cristiani allo stesso modo in cui siamo tedeschi o del Périgord»?58
    Di qui, per la spinta febbrile di ideologie totalitarie, il nazionalismo, questa «peste detestabile» (Benedetto XV), si abbandona a mire imperialiste imbevute di razzismo. L'amore legittimo per la patria si svilisce in odio per l'altro. Il nazionalismo nasce dalla cultura dell'odio coltivata da pensatori di ogni dove, che giustificano la guerra come lotta di civiltà contro la barbarie: Bergson, Hemingway, Kipling, Chesterton, D'Annunzio ecc. Con il meccanismo della demonizzazione dell'altro, nello scontro s'introduce l'odio, l'odio come forza. Come riallacciarsi a un patriottismo che non si trasformi in nazionalismo? A partire da quali esperienze storiche (la cristianizzazione, la colonizzazione o la Rivoluzione) e da quali valori (la vocazione di una nazione o il razzismo) è possibile infondere un autentico amore per la propria nazione permeato di impegno per la pace e sgombrato dal gusto per la guerra? L'amor di patria può essere cristiano? In definitiva, esso nasce dalla signoria di Dio che costituisce le nazioni per farle abitare insieme.

    - Il falso «umanesimo» della violenza.
    Questo nazionalismo dell'odio trova terreno favorevole nell'«umanesimo» della violenza. Tale «umanesimo» faceva la sua comparsa in un universo sociale carente di ideali autentici. Secondo questa teoria «umanista», solo la guerra può valorizzare l'uomo e liberarlo dal tedio. Ci si attende dalla guerra che essa sviluppi le virtù guerriere, la forza. il coraggio, la virilità. Gli uomini delle retrovie non potranno mai provare l'ebbrezza del guerriero: Ernst Jünger ne è persuaso. Quanto a coloro che
    predicano la pace, vengono additati come antipatriottici. La guerra sembra l'unico modo di costruire un mondo nuovo con uomini nuovi cresciuti nella lotta, anziché un mondo vecchio, spento, scialbo, senza slancio patriottico. In prospettiva religiosa, si celebra la guerra redentrice.
    La guerra, la rivoluzione appaiono come le sole forze che trasformano il mondo infiammando l'uomo. La pace scompare dalla sfida umana, soltanto qualche voce segnala la potenzialità di un'umanità trascinata dall'amore per lo sviluppo, più esigente dell'ideale della guerra. La pace eleva l'uomo attraverso virtù differenti da quelle nate dalla guerra: la giustizia, la verità, l'amore per il nemico.

    - La separazione fra guerra e morale.
    I soldati dei due schieramenti vivranno, più o meno consapevolmente, la terribile frattura fra patria e valori morali, e tramite questa la separazione fra guerra e morale: «Benedetto XVI è spesso ritornato su un avvenimento fondamentale, la prima guerra mondiale. Anche in precedenza vi sono state certamente guerre terribili, ma la Grande guerra del 1914-1918 rappresenta una sinistra novità non soltanto per l'utilizzo massiccio di armi di distruzione di massa - tali sono considerati, ancora oggi, i gas asfissianti - ma anche perché vi si teorizza e pratica la separazione fra la guerra e la morale».59
    Si sa come, in contrasto con le prime elaborazioni di un diritto internazionale,60 le azioni di guerra calpesteranno la dignità umana: esecuzione di prigionieri e feriti, uso dei gas, bombardamento degli ospedali. Il crimine non nasce con la Grande guerra e nemmeno la barbarie, ma è la loro giustificazione che li rende nuovi. In questo senso, Edward Grey (1862-1933), ministro degli Esteri britannico, confessa che l'inizio della guerra segna il giorno in cui «le lampade si spengono in tutta Europa, e nel corso della nostra vita mai più le vedremo accese».

    - La nostalgia del fronte, strana pienezza del soldato in prima linea.
    Accanto a questo «odio», spesso smorzato dalla durata del conflitto, si palesa un elemento psicologico rilevante presso i combattenti che la guerra teneva in prima linea. In un testo destinato «agli eserciti, con i fucilieri», nel 1917 p. Teilhard de Chardin descrive questo sentimento: «Tutti gli incanti dell'Oriente, tutto il calore spirituale di Parigi non valgono, nel passato, il fango di Douaumont. Quando dunque verrà la pace desiderata dalle nazioni (e da me per primo), qualcosa si spegnerà bruscamente sulla terra, come una luce. Con la guerra, uno strappo si è prodotto nella crosta delle banalità e delle convenzioni. Una "finestra" si è aperta sui meccanismi segreti e gli strati profondi del divenire umano. Si è formata una regione ove agli uomini è possibile respirare aria carica di cielo. Alla pace, ogni cosa si ricoprirà del velo della monotonia e delle antiche meschinità. (...) Gli altri, i reduci dal fronte, conserveranno nel cuore un posto sempre vacante, così vasto che nulla di visibile potrà riempirlo. Se lo dicano allora, che nonostante le apparenze per sconfiggere la nostalgia è ancora loro possibile sentire in sé qualcosa della vita del fronte. Lo sappiano: la sovrumana realtà che a essi si è rivelata, fra i crateri delle granate e il fil di ferro, non si ritirerà completamente dal mondo pacificato. Lo abiterà sempre, anche se più nascosta. E la potrà riconoscere, e unirvisi ancora, chi si dedicherà all'opera dell'esistenza quotidiana, non più egoisticamente, come prima, ma religiosamente, con la coscienza di perseguire, in Dio e per Dio, la grande opera di creazione e di santificazione di un'Umanità che nasce soprattutto nei momenti di crisi, ma che non può trovare realizzazione che nella pace».61
    Le ultime righe rivelano il prete e annunciano le vere virtù che non avranno atteso la fine della guerra per trovare uomini alla propria altezza.

    L'amore in guerra: le vere virtù
    - La fede durante la guerra. Dio con noi o noi con Dio.
    I preti nelle trincee sono stati testimoni di atti di pietà e innumerevoli ritorni alla fede: la morte riporta all'essenziale. In un tempo in cui gli uomini si allontanavano dalla pratica (o dalla fede), questo ritorno ha segnato il resto del XX secolo. Ma quei ritorni individuali sotto la pressione della guerra, per autentici che furono, non devono impedirci di esaminare quanto la fede sia «giusta», il modo di percepire Dio in guerra. Era assente? «Dio è assente dai campi di battaglia», scrive Blaise Cendrar.62 E se è presente, da che parte sta? In tutti gli schieramenti si esprime questa logica pagana: «Dio è con noi, quindi vinceremo. Se perdiamo, è perché Dio non è più con noi. Se ci impone la guerra, è per punirci della nostra infedeltà e condurci a un pentimento nazionale». Il ragionamento è semplice ma efficace per mobilitare le forze religiose al servizio della propria parte.
    All'opposto, Maurice Barrès riferisce che i predicatori cattolici proclamano: «Non Dio con noi, ma noi con Dio»,63 mentre dei protestanti scrivono: «Si può pregare Dio, non per quell'esercito piuttosto che per quell'altro, ma per la salvaguardia della giustizia».64 Così, Dio non si allea ai nostri eserciti per darci la vittoria, ma dona la fede fino a pregare per i propri nemici: «Pregare per questi trucchi dannati?... Sì, poiché in quanto nemici, hanno diritto alla mia preghiera. Ma che fede bisogna avere per capirlo bene!».65

    - La speranza durante la guerra. Il sacrificio del soldato e il sacrificio di Cristo.
    La speranza personale ha resistito, o è addirittura nata, nelle incredibili sofferenze sul fronte e nelle retrovie. Si è innalzata molto al di sopra della speranza di vincere o di ritornare vivi. Ma come per la fede, una domanda ricorre quasi in ogni lettera o in ogni omelia: questa speranza, fondamento della resistenza spirituale,66 su quale sacrificio si basa? Quello di Cristo salvatore o quello del soldato per la sua patria? Sacrificarsi per la propria patria equivale a dare la vita per Cristo?
    Il sacrificio per la patria: «Né i cristiani, né i membri del clero possono avere il monopolio dell'eroismo e del sacrificio. Le numerosissime teorie moderne del sacrificio hanno preso in esame lo statuto di vittima. Si è giunti alla categoria più vasta e più vaga di sacro. Questo sacro ha potuto agevolmente scivolare verso la patria per la quale era legittimo e glorioso sacrificarsi (...) La patria ha il diritto di reclamare il sacrificio dei propri figli, ai quali, in contropartita, al momento degli elogi funebri riconosce la qualità di eroi. Si ritrova allora qualcosa del vecchio patto stipulato fin dall'epopea omerica: la morte (data o ricevuta) del guerriero contro "la gloria imperitura". Si inaugura così una religione civile del sacrificio di sé che diventerà una "formidabile scuola di servitù volontaria" e, da ciò, uno dei terreni di coltura dei totalitarismi futuri».67 Il contesto preliminare alla guerra, già portatore del fenomeno totalitario,68 trova nella Grande guerra il luogo della propria espressione e della propria applicazione.
    Non mancano grida di vera speranza: « Viventibus lumen soli, dormientibus lumen Dei». Sono le parole scritte sulla meridiana situata davanti alla cappella di Dormans che commemora le due battaglie della Marne.

    - L'amore durante la guerra. I ridestati dall'amore.
    La Grande guerra ha confermato l'affermazione di Giovanni Paolo II: «Ogni sofferenza umana, ogni dolore, ogni infermità racchiude una promessa di salvezza, una promessa di gioia. (...) Il male della violenza, del terrorismo, della corsa alle armi. Tutto questo male esiste nel mondo anche per risvegliare in noi l'amore, che è dono di sé nel servizio generoso e disinteressato a chi è visitato dalla sofferenza».69
    Le testimonianze abbondano su questo tema: «Voi che, per mesi, avete montato la guardia e vegliato laggiù; durante queste notti di guerra così lunghe e così dure; al bagliore degli incendi, delle granate, dei razzi, cosa avete visto? Dite, cosa avete visto? Rispondo oggi con il profeta: ho visto venire il mattino, ho visto salire all'orizzonte l'alba nuova di un sole radioso, la carità, la carità così raggiante e così calda, che il vecchio mondo se ne trovava ringiovanito!».70 «Se sono tentato di dire oggi che la guerra del 1914 ha fatto di me un altro uomo, è indiscutibilmente poiché essa ha risvegliato in me il senso della compassione (...)».71
    Questa carità in guerra e a causa della guerra trova alcuni luoghi di verifica e di spiegazione: in figure splendide di uomini e di donne cresciuti per la guerra e in guerra, preti o laici. che rifiutano l'amore per la guerra ma vivono l'amore in guerra. mettendo in prati( a certezza espressa da Georges Valois, uomo politico d'altronde molto atipico:72 «Non abbiamo più il diritto di vivere per noi stessi».73
    Vi sono innumerevoli opere di carità, civili per la maggior parte,da quelle di papa Benedetto XV fino a quelle dei cattolici, si contano più di 2200 opere o istituzioni create nell'arcidiocesi di Parigi
    Vi sono scambi epistolari, dialoghi e atti di cui ri((-- viamo la testimonianza e che illuminano argomenti ancora oggi scottanti. Citiamone alcuni. Un amore per la vita che si oppone alla cultura della morte: «Ho troppa fede nella vita e nel suo valore per fermarmi a questa ipotesi. Non voglio prepararmi alla morte, ma alla vita. Alla vita eterna senza dubbio, ma più immediatamente alla vita terrena i quando ritornerò, occorrerà che io sia cambiato. (...) Imparo a vivere».74
    L'amore coniugale e familiare si svela nella corrispondenza fra i soldati e le loro famiglie. Il pudore naturale cede davanti alla forza del pericolo e dell'allontanamento fisico. Per questo. l'amore si esprime con una tenerezza e una chiarezza rare: «Domenica scorsa abbiamo avuto una messa all'aperto. Il cappellano aveva installato il suo altare su un cassone di munizioni. Era davvero commovente, ma trovo tutto questo molto triste, poiché è in questi momenti che penso di più alla mia mogliettina e ai miei tre marmocchi».75
    L'ecumenismo trae origine dalle trincee e l'episodio celebre del rabbino Bloch conferma ciò che il futuro card. Liénart racconta. a proposito di una cena con il maggiore ebreo del suo reggimento: «È la sola volta durante la guerra in cui ho affrontato l'ecumenismo a livello dottrinale, ma questo ecumenismo è stato vissuto quotidianamente fra gli uomini».76 Egli parla di ecumenismo laddove dove noi diremmo «dialogo interreligioso»: in questo senso, il dialogo con gli ebrei occupa un posto speciale.

    - La devozione in trincea.
    Approfondite, scoperte o ritrovate, le devozioni s'inscrivono con forza nella preghiera e nella pietà del fronte e delle retrovie. Fra di esse, alcune avranno una continuità ben al di là della fine del conflitto: ancora possono essere riprese anche nel quadro della nostra evangelizzazione.
    La devozione al Sacro Cuore di Gesù ha già una lunga storia in Francia prima dell'inizio della guerra, ma «il Sacro Cuore trova durante la guerra tutta la forza del suo messaggio di redenzione. In questo caso non è il Gesù dell'infanzia, quello della sacra famiglia, non è il Cristo in croce».77 Fra molte deviazioni, si trovano gemme come questo atto di consacrazione del forte da parte del comandante del forte di Vaux, 1'11 febbraio 1917: «In mezzo alle terribili prove che attraversa la nostra patria, vengo, Signore, a rispondere per quanto è in mio potere, all'ardente desiderio del vostro cuore (...). Vi consacro questo forte (...) a voi i nostri cuori; che vi amino sopra ogni altra cosa (...)».78 Nel dicembre 1981 e
    nel gennaio 1919 tutti i vescovi francesi innalzarono nella propria cattedrale il vessillo nazionale del Sacro Cuore in segno di riconoscenza.
    Soprattutto si pregò la Madonna, in terra e in mare. Oltre all'attribuzione di miracoli in guerra, fra cui la vittoria della Marne, 1'8 settembre 1914, il suo culto si riflette dovunque prima, durante e dopo la battaglia. I santuari, La Salette e Fourvière in particolare, custodiscono le testimonianze dei ringraziamenti. L'opera del Rosario vivente conosce uno sviluppo notevole; la parte finale dell'Ave Maria si applica perfettamente al combattente: «Adesso e nell'ora nella nostra morte».
    La beata Giovanna d'Arco, canonizzata nel 1920 quando la sua festa viene elevata in Francia a festa nazionale, occupa un posto importante: «Ella è il generalissimo invisibile del 1915»,79 che ha la funzione di radunare francesi, inglesi (!) e americani affascinati dalla sua storia.
    Suor Teresa del Bambin Gesù, il cui culto presso i militari comincia prima della guerra, diventa la sorellina di innumerevoli soldati (sui due fronti) che le affidano la loro protezione: «Questa cara sorella mi tiene compagnia».80 Il suo processo di beatificazione fu aperto da Pio X il 10 giugno 1914 e sarà beatificata nel 1923. 

    REALIZZAZIONI, PROPOSTE, SUGGERIMENTI NAZIONALI E LOCALI

    Il ciclo ufficiale delle commemorazioni della Grande guerra ha preso avvio in Francia nel novembre 2013. Nel 2014 si congiunge alla memoria dei 70 anni della liberazione della Francia e, in particolare, dello sbarco sulle spiagge della Normandia e della Provenza. Essendo ancora possibile coinvolgere alcuni anziani reduci, sarà fatta memoria anche della fine della guerra d'Indocina nel 1954.
    La conclusione di questo ciclo memoriale non è ancora fissata: si può immaginare che, per la Chiesa, esso vada oltre il 2018, fino al 2019, con il ricordo dei trattati di pace e, per la Francia, fino agli anni 2020-2024 con gli accordi fra la Francia e la Santa Sede e il rientro delle congregazioni religiose.
    La Chiesa può accogliere la sfida di partecipare agli avvenimenti proposti dallo stato e dalle collettività territoriali con la propria presenza. In tal caso essa s'inscrive in un percorso di evangelizzazione diretta. Ma può anche essere fonte di proposte, patrocinate o meno dal comitato pubblico creato per l'occasione.
    Ciascuna comunità può approfittare di queste commemorazioni per raggiungere la memoria e la vita delle persone lontane o molto lontane dalla Chiesa (nel nostro cortile). Il ministro con la delega ai reduci affermava, a proposito degli avvenimenti sportivi legati al centenario: «Attraverso lo sport, si raggiunge un pubblico differente da quello composto di specialisti e storici, si apre la memoria di persone diverse da quanti frequentano le conferenze e le biblioteche». Potremmo aggiungere «e da coloro che frequentano le nostre chiese».
    Tutte le diocesi possono impegnarsi a contribuire, secondo il modello degli ordini o delle congregazioni, anche se a titolo differente: a cominciare dalle dieci diocesi direttamente toccate dall'occupazione o dalla linea del fronte. Ma non vi è comune che non sia legato dalla memoria dei soldati caduti negli anni 1914-1918, non vi è diocesi i cui preti o seminaristi non si siano distinti nel corso dei combattimenti. Le congregazioni religiose, maschili e femminili, furono praticamente tutte coinvolte nella Grande guerra, anche «nelle retrovie» per i molteplici servizi connessi ai feriti.

    Alcune proposte del comitato direttivo per questo centenario

    - Un sito Internet dedicato al centenario con tutti i progetti di diocesi, congregazioni, movimenti o associazioni. Questo sito è essenzialmente alimentato dai documenti inviati da diocesi, congregazioni o dai singoli. Sarà così possibile sapere quanto viene realizzato altrove per profittarne o per evitare duplicazioni. Una condizione: far giungere l'informazione attraverso i propri delegati alla comunicazione.
    - Percorsi commemorativi attorno e verso luoghi di combattimento o di memoria: marce guidate, veri «pellegrinaggi» proposti a tutti (famiglie, scuole, associazioni di camminatori ecc.).
    Schede destinate ai docenti per un insegnamento che non passi sotto silenzio il ruolo dello spirituale durante la guerra. L'Enseignement catholique è già stato sollecitato a elaborare un kit che presenti agli insegnanti lo sguardo della Chiesa sulla Grande guerra e delle riflessioni tematiche: patria-nazione-stato, guerra e pace ecc.
    Una traccia di testi e di canti per una veglia da organizzare nelle chiese.
    - Una mostra itinerante sul tema: «La trascendenza e la presenza del sacro al fronte».
    - La realizzazione e l'apposizione di una targa nella cattedrale des Invalides, la chiesa dei soldati, che ricordi l'impegno e il sacrificio di tutti i preti, i religiosi e le religiose caduti durante la prima guerra mondiale.

    Alcune proposte da realizzare localmente

    - Mettere a disposizione le fonti: così gli archivisti del Sud-est della Francia, che hanno realizzato una Guida alle fonti ecclesiastiche sulla prima guerra mondiale per il Sud-est della Francia. Il pregevole lavoro è consultabile su Internet (www.dioceseauxarmees.catholique.fr; ndrj.
    - Mettere in luce una o più figure sacerdotali notevoli della diocesi o della comunità adatte a illuminare la questione del prete (e di conseguenza della vocazione sacerdotale). Più ampiamente, ricordare personalità cristiane idonee a illustrare la vocazione religiosa e battesimale.

     

    NOTE

    1 A. GROSSER, in La Croix 8.1.2014, 24.
    2 FRANCESCO, es. ap. Evangelii gaudium sull'annuncio del Vangelo nel mondo attuale, 24.11.2013, n. 13.
    3 GIOVANNI PAOLO II, Memoria e identità. Conversazioni a cavallo dei millenni, Rizzoli, Milano 2005.
    4 K. WOJTYLA, Poesie. L'opera completa, a cura di S. Spartà, Newton Compton, Roma 1994.
    5 BENEDETTO XVI, Allocuzione prevista per la visita all'Università «La Sapienza» di Roma, gennaio 2008.
    6 FRANCESCO, lett. enc. Lumen fidei sulla fede, 5.7.2013, n. 25.
    7 Gen 1,5.
    8. FRANCESCO, Evangelii Gaudium, n. 222
    9. Mt 28,19.
    10. Lc 1,48.
    11 FRANCESCO, Lumen fidei, n. 57.
    12 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, cost. past. Gaudium et spes (GS) sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, n. 10.
    13 GS 38.
    14 GIOVANNI PAOLO II, Memoria e identità.
    15 BENEDETTO XVI, Omelia della messa in occasione del I incontro internazionale dei nuovi evangelizzatori, 16.10.2011.
    16 2Ts 2,7.
    17 GS l.
    18 FRANCESCO, Lumen fidei, n. 28.
    19 MASSIMO IL CONFESSORE, Capitoli sulla carità, Centuria I, 8-13, nell'Ufficio delle letture del 4 gennaio.
    20 Cf. GS 39.
    21 GS 40.
    22 WOJTYLA, Memoria e identità, 94s.
    23 FRANCESCO, Lumen fidei, n. 9.
    24 FRANCESCO, Lumen fidei, n. 13.
    zs Lc 2,51.
    26 GIOVANNI PAOLO II, Memoria e identità, 176s.
    27 2Tm 2,8.
    28 H. CLÉRISSAC, Le mystère de Dismas, Dion-Valmont 1985, 56-57.
    29 Sal 14,1.
    30 GIOVANNI PAOLO II, Memoria e identità.
    31 BENEDETTO XVI, Omelia della messa in occasione del I incontro internazionale dei nuovi evangelizzatori, 16.10.2011.
    32 B. RACINE, in La Croix, dicembre 2013.
    33 GS 4.
    34 Lc 1,2.
    35 GIOVANNI PAOLO II, Memoria e identità, 171.
    36 J-Y. LACOSTE, Note sur le temps. Essai sur les raisons de la Mémorie et de l'Espérance, PUF, Paris 1990, 199.
    37 GS 1.
    38 BERNARD, La tranchée de Calonne, citato da Joseph Zimet nel Rapporto preliminare alle commemorazioni dell'il settembre 2011, 3.
    39 Con le percentuali del 93% e 92% rispettivamente per la seconda e la prima guerra mondiale, molto più del maggio 1968, in un'inchiesta realizzata da Harris Interactive il 9 e 10 gennaio 2014.
    4° GS 44.
    41 GS 43.
    42 BENEDETTO XVI, Discorso alla curia per la presentazione degli auguri natalizi, 21.12.2009.
    43 BENEDETTO XVI, Angelus nella ricorrenza dei 90 anni della nota del l° agosto 1917 di Benedetto XV ai belligeranti, 22.7.2007.
    44 La preuve du sang. Le livre d'or du clergé et des congrégations, Bonne presse, Paris 1925.
    45 Pj. RAYMOND, Froc et épée. Impressions de guerre d'un moine-of ficier, Société d'éditions artistiques, Paris 1919, 6.
    46 BENEDETTO XVI, Angelus nella ricorrenza dei 90 anni della nota del l° agosto 2017 di Benedetto XV ai belligeranti.
    47 E. DUPLESSY, «Le pape et la guerre», in Le prétre aux armées. Bulletin bimensuel des prétres et des religieux mobilisés, 15.7.1917, 615.
    48 Discorso di Verdun, 14.7.1919.
    49 M. VAISSE, citato da J.J. BECKER, G. KRUMEICH, La Grande guerre, Taillandier, Paris 2012, 21.
    50 Cf. BENEDETTO XVI, lett. enc. Caritas in ventate sul progresso umano integrale nella carità e nella verità, 29.6.2009, n. 67.
    51 Compendio della dottrina sociale della Chiesa, § 384ss.
    52 0. CHALINE, «L'Église et la grande guerre», in Communio 38(2013), 32.
    53 BENEDETTO XVI, lettera a mons. F. Maupu in occasione del 90° anniversario della battaglia di Verdun, 21.10.2006.
    54 GIOVANNI PAOLO II, Memoria e identità, 18.
    55 É. DE MOULINS-BEAUPORT, in Revue théologique des Bernardins (2011) 1, 35.
    56 J. RATZINGER, conferenza «Dal Vaticano I al Vaticano II», Marktl am Inn, 13.6.1997.
    57 «Al concilio Vaticano I, un gruppo di vescovi aveva chiesto che fossero ricordate le grandi linee del pacifismo cristiano ma la guerra franco-tedesca non lo permise», afferma Olivier Chaline; fra i teorici del pacifismo cristiano: l'abbé Graty, Alfred Vanderpol, Marc Sangnier.
    58 M. DE MONTAIGNE, Les Essais, Il, 12.
    59 M. INTROVIGNE, «La prima guerra mondiale nel magistero di Benedetto XVI», intervento alla conferenza «Il beato Carlo d'Asburgo e l'Europa» per i 65 anni dell'incontro fra Alcide De Gasperi e Georges Bidault, Santuario di Crea (AL), 31.5-1.6.2013.
    60 Citiamo ad esempio le conferenze dell'Aja del 1899 e del 1907 per iniziativa dello zar Nicola II.
    61 P. TEILHARD DE CHARDIN, La nostalgie du front. Écrits du temps de la guerre, Seuil, Paris 1965, 239-241.
    62 B. CENDRAR, La main coupée, Gallimard, Paris 1974, 184.
    63 M. BARRÈS, P. MILZA, Les diverses familles spirituelles de la France, Imprimerie nationale, Paris 1997, 186.
    64 Ivi, 74.
    65 P. Joseph Baetman, lazarista.
    66 Cf. Card. D.J. MERCIER, Patriotisme et endurance, lettera pastorale per il Natale 1914.
    67 Franois Naudin, e-mail del 4.6.2013.
    68 CL LENIN, «Che fare?», 1902.
    69 GIOVANNI PAOLO IL Memoria e identità, 198s.
    70 PJ. RAYMOND, Froc et épée. Impressions de guerre d'un moine-officier, Société d'éditions artistiques, Paris 1919, 6.
    71 G. Marcel, citato da A. BECKER, La guerre et la foi, Armand Colin, Paris 1994, 103.
    72 Fondatore nel 1925 del Faisceau, partito fascista francese, e morto a Bergen-Belsen nel 1945.
    75 Citato da BECKER, La guerre et la foi, 103.
    74 Testimonianza ripresa da M. BARRÈS, Les diverses familles, 160-161.
    75 Léon Pénet a sua moglie, 24.8.1915, da J.-P. GutNo, Mon papa en guerre, 1914-1918. Lettres de poilus, mots d'enfants, Librio, Paris 2012, 30.
    76 Citato da BECKER, La guerre et la foi, 43.
    77 Ivi, 81. Ivi, 79.
    79 S. Coubé citato da BECKER, La guerre et la foi, 74.
    80 Louise de Bettignies imprigionata a vita, citata da BECKER, La guerre et la foi, 75.

     


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