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    Il Vaticano II: una dilatazione dello Spirito


    I grandi temi del Concilio /8

    Luis A. Gallo

    (NPG 2001-01-48)


    Spesso si è ripetuto che lo Spirito Santo è «il Dio sconosciuto», che la fede vissuta dei cristiani, soprattutto dei cristiani occidentali, è mancante della dimensione pneumatologica, che lo Spirito è il grande Assente nelle riflessioni teologiche... Sono denunce che hanno un certo fondamento oggettivo. Circostanze storiche portarono infatti a riprodurre, con caratteristiche diverse naturalmente, ciò che racconta il libro degli Atti degli Apostoli circa quei discepoli che, interrogati se avessero ricevuto lo Spirito Santo, risposero di non avere nemmeno sentito dire che ci fosse uno Spirito Santo (At 19,2). Il Vaticano II non può essere accusato di una simile ignoranza. Anzi, la presenza dello Spirito è ampiamente presente nei suoi documenti, e con delle note di novità degne di attenzione.

    La presenza dello Spirito nei documenti conciliari

    Anzitutto, il Concilio manifesta una chiara coscienza di essere adunato nello Spirito Santo. Lo dichiara espressamente nel suo Messaggio iniziale (n. 3), all’inizio della Costituzione dogmatica sulla Chiesa (LG 1), e nel Breve di chiusura di Paolo VI. Si riconosce, quindi, non come un evento puramente istituzionale, frutto cioè della sola organizzazione umana, ma come un autentico evento «spirituale», suscitato, guidato e assistito dallo Spirito. Giovanni XXIII lo qualificava, nella solenne chiusura della sua prima tappa (8.12.1962), come una «nuova Pentecoste» nella vita della Chiesa.
    Inoltre, innumerevoli testi fanno costante riferimento alla presenza e all’azione dello Spirito nella Chiesa e nel mondo. L’unico documento che – stranamente – non ne fa esplicita menzione, è l’Inter Mirifica, che tratta sui mezzi di comunicazione sociale.
    Occorre però osservare subito che il Concilio non si preoccupò di dire che cosa sia – o, forse meglio ancora, chi sia – lo Spirito, ma piuttosto cosa egli faccia. In questo senso si può dire che assume un andamento più biblico che dogmatico. I dogmi, infatti, sono in genere risposta alla domanda sulla natura delle realtà di fede alle quali si riferiscono, una natura che si propongono di chiarire autorevolmente in risposta alle eresie che la oscurano; la Bibbia, invece, parla prevalentemente del loro agire.
    Lo Spirito, quindi, è presente nei documenti conciliari come grande protagonista dell’azione divina di salvezza. È colui che, insieme con il Padre e il Figlio Gesù Cristo, porta avanti nel tempo il piano di grazia concepito sin dall’eternità in favore degli uomini.
    È protagonista, anzitutto, nella Chiesa. Proprio perché il Vaticano II guarda la Chiesa come «mistero», ossia come una realtà in cui è presente Dio stesso, si premura di far risaltare il suo spessore pneumatologico, più che quello istituzionale, evidenziando la funzione insostituibile che lo Spirito svolge in essa. La Chiesa, infatti, è vista nei documenti come una creazione dello Spirito che, in quanto tale, porta il sigillo della sua azione costante. Egli è il suo principio di comunione (LG 4.4.13.49; UR 4.7.24), genera la sua santità (LG 39-40), e la arricchisce con la varietà dei doni e dei ministeri (LG 7.32). Si potrebbe dire che è la fonte e il motore del suo essere e del suo agire. La sua liturgia, soprattutto quella sacramentale, trova in lui la fonte e il principio (SC 6; LG 10.34), così come la trova in lui la sua luce per comprendere la Parola di Dio (DV 8). Egli la lancia ancora alla missione, come inviò agli inizi gli Apostoli (AG 4), e l’accompagna affinché possa dare il grande annuncio del Vangelo nel mondo (LG 17; AG 4). Egli è anche il principio della sua perenne giovinezza e del suo rinnovamento (LG 4).
    È anche protagonista nella vita dei singoli credenti, nei cui cuori, come diceva S.Paolo nelle sue lettere, dimora come in una casa o in un tempio (Rm 8,9.11; 1Cor 3,16), li rigenera (LG 9), li santifica (LG 39), e li fortifica fino alla testimonianza del sangue (LG 15).

    Lo Spirito oltre la Chiesa

    Come abbiamo ricordato in più di uno dei temi precedenti, le mutate condizioni culturali del momento attuale hanno sollecitato la Chiesa a ripensare la sua comprensione della fede, calandola nelle nuove sensibilità del mondo. Anche la figura dello Spirito Santo ne è rimasta coinvolta. E il Vaticano II è una chiara conferma di tale coinvolgimento.
    È stata soprattutto la Costituzione pastorale Gaudium et Spes quella che, pur senza proporselo esplicitamente, ha dato il contributo più ricco e stimolante al ripensamento della presenza e dell’attività dello Spirito non solo nella Chiesa, come si vede negli altri documenti sopra citati, ma anche e particolarmente nel mondo. Due sono le principali ricomprensioni da essa operate: una riguarda la portata extraecclesiale di tale presenza e attività, l’altra la loro portata storica.
    Della prima il testo più rappresentativo è quello nel quale la Costituzione, dopo aver parlato dell’Uomo nuovo che è il Cristo Risorto, e dopo aver fatto riferimento alla novità operata dallo Spirito nel cuore di ogni credente in Cristo, fa un’affermazione che può destare sorpresa: «Ciò [quello che si è detto precedentemente dei credenti in Cristo] non vale solo per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia». E conclude dicendo: «Perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale» (n. 22).
    Bisogna riconoscere che un certo modo di considerare la presenza e l’azione dello Spirito, condizionato da un’ecclesiologia che trovava nel detto «fuori dalla Chiesa non c’è salvezza» la sua più chiara espressione, aveva portato in passato a pensarle in termini restrittivi: il luogo della salvezza era la Chiesa, e quindi solo chi ne era membro poteva ottenerla. Con le conseguenze pneumatologiche che ne seguivano, e cioè la restrizione della presenza santificante dello Spirito. Il Concilio, invece, proprio perché abbandonò quella prospettiva ecclesiologica per assumerne un’altra molto più aperta, afferma che non solo si può pensare ad un’azione dello Spirito in tutti gli uomini di buona volontà, ma che si deve farlo. In base a tale affermazione si può, quindi, arrivare a questa equazione: lì dove c’è buona volontà, lì c’è presenza dello Spirito, anche al di fuori della Chiesa.
    Cosa sia questa buona volontà di cui si parla nel testo viene precisato dalla Costituzione Lumen Gentium: è lo sforzo «per condurre una vita retta» (LG 16). Chi realizza un tale sforzo lo fa, dunque, secondo il pensiero del Concilio, mosso dallo Spirito Santo. Chiunque egli sia, cristiano o non cristiano, credente o non credente.
    Ma forse ancora più innovativo è quanto viene detto dalla Gaudium et Spes sulla presenza viva e operante dello Spirito Santo nella storia umana come tale. È la seconda delle «dilatazioni» da essa operate in questo campo.
    Ci sono tre testi in cui si ritrova tale idea. Anzitutto il n.11, con cui si apre la prima parte della Costituzione. In esso si parla della responsabilità che incombe al Popolo di Dio nel discernimento della presenza o del piano di Dio negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni di cui partecipa insieme ai suoi contemporanei. Il testo afferma che tale discernimento si fonda sulla fede, «per cui [il Popolo di Dio] crede di essere condotto dallo Spirito del Signore che riempie l’universo». Si tratta, come si vede, di una presenza dello Spirito, oltre che nei membri della Chiesa, anche nell’universo, e particolarmente di un suo stretto collegamento con quanto avviene nella storia. Anche se il testo non lo afferma espressamente, si può cogliere tra le sue righe l’idea che i veri segni della presenza o del disegno di Dio che i credenti sono chiamati a discernere nella storia, sono effetti di questa presenza dello Spirito, così come è frutto della sua assistenza il loro discernimento.
    La stessa idea viene asserita ancora più chiaramente nel secondo testo, quello del n.26, in cui, affrontando il tema della comunità degli uomini, e più in particolare al suo interno quello della promozione del bene comune, la Costituzione conclude con queste parole: «Lo Spirito di Dio che, con mirabile provvidenza, dirige il corso dei tempi e rinnova la faccia della terra, è presente a questa evoluzione». Si tratta, come si desume dal contesto, dell’evoluzione dell’ordine sociale ad ogni livello, e specialmente a livello mondiale, che è uno degli aspetti in cui si rispecchia il «rinnovamento della faccia della terra». Il testo la attribuisce alla presenza attiva dello Spirito. Come a dire che non c’è vero progresso né vero mutamento in meglio nella società umana, che non sia opera sua. E si sa che tale progresso e tale vero mutamento in meglio è frutto degli sforzi non solo dei cristiani, ma di tanti altri che non lo sono, e che perfino a volte sono dei non credenti.
    Il terzo e ultimo testo è il n. 38, che si trova nel punto culminante del capitolo dedicato all’attività dell’uomo nel mondo. Si dice in esso che, «costituito Signore mediante la sua risurrezione, Cristo [...] tuttora opera nel cuore degli uomini con la potenza del suo Spirito, non solo suscitando il desiderio del mondo futuro, ma per ciò stesso anche ispirando, purificando e fortificando quei generosi propositi con i quali la famiglia degli uomini cerca di rendere più umana la propria vita e di sottomettere a questo fine tutta la terra». Il contenuto di questo testo è molto denso e meriterebbe una dettagliata esplicitazione. Si riferisce, tra l’altro, alla diversità di vocazioni esistenti nel seno del Popolo di Dio che è la Chiesa. Ci limitiamo solo a rilevare ciò che interessa più direttamente la nostra tematica: l’attribuzione allo Spirito di ogni sforzo fatto dagli uomini per «rendere più umana la propria vita e sottomettere a questo fine tutta la terra». Al di là della critica che si potrebbe fare alle parole finali di questo testo oggi, in un momento come il nostro in cui il modo selvaggio di rapportarsi con la natura sta rendendo sempre più acuto il problema ecologico, c’è in esso un enunciato di altissimo valore. Lo si potrebbe formulare così: lo Spirito Santo che il Cristo risorto comunica agli uomini è la forza umanizzante della storia; Egli è la sorgente che nutre, purifica e rafforza ogni sforzo fatto in quella direzione; è Colui che, quale potenza divina vivificante, aiuta gli essere umani a diventare umani, sempre più veramente e integralmente umani.
    Non è da stupirsi che il Concilio abbia fatto simili affermazioni. In realtà, esse non fanno che riprendere la linea della rivelazione biblica riguardanti lo Spirito, alquanto dimenticata in qualche momento della vita ecclesiale.
    Infatti, già l’Antico Testamento parla dello Spirito come partecipe della creazione del cosmo (Gen 1,1; Sal 104,30), come generatore di vita (Gen 2,7), come Colui mediante il quale Dio rinnova la faccia della terra (Sal 104,30), come liberatore (Es 14,21).
    Particolarmente rilevante, in questo contesto, è il brano della visione di Ezechiele nella quale il Profeta è invitato da Dio stesso a invocare lo Spirito dai quattro venti, affinché mediante la sua presenza le ossa aride che ricoprono la grande pianura, e che rappresentano le speranze morte d’Israele in esilio, tornino alla vita. È uno dei testi in cui lo Spirito di Dio appare più chiaramente come risuscitante (Ez 37,4-10).
    Portando a culminazione questa rivelazione, il Nuovo Testamento presenta lo Spirito come forza divina vivificante che opera durante la vicenda storica di Gesù di Nazaret, nella quale egli viene mosso dallo Spirito ad andare nel deserto per essere tentato (Lc 4,1-2), a lanciarsi alla sua attività evangelizzatrice in mezzo alla gente (Lc 4,16-18), ad arrecare salute e benessere ai bisognosi (Lc 6,18-19; 11,20), ma soprattutto nell’avvenimento pasquale, nel quale egli viene strappato dai lacci della morte e portato alla pienezza della vita dal Padre mediante la potenza dello Spirito (Rom 1,4; 8,11).
    Ispirandosi a queste linee bibliche, il Vaticano II liberò lo Spirito da un modo di pensarlo in chiave prevalentemente intimista – il «dolce ospite dell’anima»! –, o in chiave puramente intraecclesiale, per aprirlo nuovamente alle dimensioni del mondo e della storia.


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