Severino Cagnin
(NPG 2003-02-33)
Crescere leggendo
Crescere leggendo: esperienze della lettura dall’infanzia all’età adulta di Joseph Albert Appleyard esprime le due principali funzioni della lettura. Se l’autore considera la dimensione cronologica e personale e della crescita di ognuno, egli documenta il contributo che la lettura porta ad ogni fase dello sviluppo. Senza il libro la mente umana, dall’età del bambino a quella matura, verrebbe privata di un importante e indispensabile percorso di acquisizione di capacità e sviluppo di facoltà specificatamente umane, connesse con la sua intelligenza, la comprensione della vita, la partecipazione alle situazioni sociali, storiche e progettuali della comunità.
Nel bambino della prima infanzia, a livello delle classi elementari del primo ciclo, attraverso la lettura si sviluppa il mondo cognitivo della fantasia e il potere affettivo delle emozioni di simpatia e curiosità verso gli altri. Fantasia, gioco, fiducia sono componenti primarie della mente infantile, che esigono i percorsi della fiaba, del racconto e dell’avventura.
Nella seconda infanzia e preadolescenza il giovane lettore sviluppa gli aspetti cognitivi dei racconti nella struttura dei personaggi e dei loro rapporti tra protagonista e antagonista. Con tali meccanismi il ragazzo è attratto dagli aspetti affettivi; la loro vitalità lo attrae rendendo un personaggio modello o nemico, un soggetto in crescita a cui il lettore partecipa e spesso si identifica. Il sogno, il ruolo sessuale dei protagonisti e la loro capacità di affrontare la realtà per riuscire a superarla da vincitori attirano il ragazzo in modo costruttivo e progressivo. Quello che per il bambino era solamente un gioco ora diventa in lui un’attività, di cui impadronirsi. Farsi leggere qualcosa, come i racconti letti dalla mamma o le storie raccontate dai nonni, era un intrattenimento; ora, imparare a legge da soli è un lavoro. Diventano abili nel capire (“decodificare”), interiorizzare e raccontare essi stessi. Si interessano a racconti di viaggi e autobiografie. Si identificano con Robinson Crusoe, Alice, Robin Hood, Zanna Bianca e il mondo nuovo di Piccole donne e Tom Sawyer li affascina, se aggancia nel loro profondo i motivi vitali di tipo affettivo e sessuale proiettati nel futuro.
Dopo l’adolescenza le tematiche civili
La scoperta del mondo storico e sociale con l’inserimento di ogni persona nel contesto della famiglia, nell’ambiente di lavoro, dei ruoli politici e di trasformazione della società verso progetti più giusti e umani è l’area ricercata dalla adolescenza, dove il lettore da eroe si trasforma in pensatore e in un leader che è convinto di cambiare il mondo in cui vivere. È questa l’età dalla scuola superiore all’università, prima come scoperta e poi come partecipazione, a cui si rivolge il presente dossier. Nella lettura di vicende sociali, di contrasti e di lotte, di progetti e realizzazioni, il giovane sente che la propria vita si realizza, anche solo interiormente, senza assumere di fatto alcun ruolo o incarico pubblico, ma questa fase deve avvenire sotto il pericolo e la pena di sentirsi escluso dalla società e vivere fuori dal mondo. Egli vuole diventare adulto attraverso la conoscenza e la partecipazione al mondo di tutti gli uomini, soprattutto poveri e oppressi, violati nei loro diritti fondamentali, impediti di realizzarsi nel contesto storico e sociale, in cui devono vivere. Tale passaggio si basa sulla coscienza di essere persona, di conoscere la verità reale, di partecipare al corso storico e di inserirsi nei rapporti con gli altri, interpretando la propria esistenza come un contributo piccolo o grande, ma indispensabile al progresso dell’umanità. La scelta delle opere allora si orienta su libri problematici, per cui non si deve imporre a questa età letture con soluzioni precostituite ma testi intelligibili, razionali, fondati sulle scienze della Sociologia, della Politica e del Diritto. Si apre qui l’ingresso efficace e rafforzativo delle letture religiose, supporto alle altre discipline sotto l’aspetto di tipo etico fondamentale.
Preferenza del giovane lettore per il realismo sociale
Il lettore, maturando verso l’età adulta approfondisce e si appropria di principi morali necessari: perché anche un nero deve avere gli stessi diritti dei bianchi? E perché un malato, un handicappato, perfino un carcerato e un condannato a morte può reclamare il suo diritto a vivere, espiare, rifarsi una seconda vita positiva e utile? Oggi tali problematiche domande si impongono, talora con polemiche e provocazioni, ma seriamente fondate e in cerca di ripristino nel mondo sessuale dei “diversi”, negli stati a forma governativa dittatoriale, nelle ingiustizie dello sfruttamento nel lavoro e nella manipolazione dell’intelligenza e operatività economica e creativa. Si pensi al mondo dei media.
Il lettore giovane, che diventa adulto, e sono gli ideali destinatari del presente dossier, e del criterio di scelta delle dieci opere di narrativa presentate come scelta esemplificativa, riconoscerà nei protagonisti e nelle loro esistenziali situazioni e rapporti sociali, le condizioni uniche e necessarie per la loro vita, per cui lottare e morire a favore dei quali creare strutture civili, amministrative e politiche tali da favorire l’affermazione dei loro diritti umani. Poiché questi oggi sono riconosciuti a livello universale e giuridico per ogni persona, chiunque sia e dovunque si trovi. Tali soggetti possono essere i miserabili “cafoni” di Fontamara, ingannati e sfruttati, oppure il disabile figlio di genitori benestanti o il giovane recluso nel lager nazista, come gli affamati che mancano del pugno di riso e dell’acqua per sopravvivere nel quartiere più squallido di Calcutta. Ma ciò si può verificare anche per qualcuno nella Sicilia moderna, nella Russia staliniana o nelle economie neocapitaliste occidentali. La lettura di opere che rivivono queste situazioni si trasforma in presa di coscienza e acquisizione di responsabilità. Possono incidere fortemente sulla vita personale di un giovane, come l’esperienza ci conferma.
La ricerca di realismo si fa impegnativa. Anche sotto forme letterarie varie, o di contenuto documentaristico o ideologico o religioso e in linguaggi diversi, come quello ironico, psicologico, autobiografico o fantasioso fino al fantastico e simbolico, ma nelle opere riuscite avviene senza perdere la forza della affermazione dei diritti personali. Il simbolismo molteplice di Vittorini con le sue scarpe rotte nel fango e nella solitudine, oppure il sorriso e la comicità di Paolo disabile di Pontiggia riescono ad avere la medesima forza comunicativa del deportato nel lager o del sereno moribondo tra le braccia di Madre Teresa. Perfino il viaggio di Siddharta e il surreale mondo di Orwell, dove si elimina la libertà individuale e la capacità intellettuale e affettiva di ogni persona, esprimono soluzioni non di evasione ma di affermazione dei diritti umani, comunicata anche se in forma indiretta.
Sarà facile rintracciare nei libri che proponiamo alcuni filoni costanti, che vanno opportunamente segnalati e su cui si può costruire (lavorando in gruppi omogenei, classi o gruppi formativi e “culturali”) un percorso di riflessione, di scambio, di proposta: la persona nella sua inalienabile dignità come radice di ogni diritto, la troppo facile violazione dei diritti e i colpevoli silenzi (personali, collettivi) su di essi, l’allargamento costante degli effettivi diritti esigiti e proclamati, la comune etica condivisa al di là delle culture, popoli, religioni, la pace come somma personale e collettiva, contesto e presupposto, per ogni discorso sui diritti...
In conclusione, si potrebbe aprire un altro discorso molto concreto: come utilizzare i libri indicati nelle schede.
E come anzitutto sollecitare alla lettura e al gusto di essa, che sembra essersi perduto per pigrizia, per cattiva educazione, per disinteresse degli educatori?
E poi, quale metodo seguire: lettura individuale o in gruppi omogenei (classe scolastica, piccolo gruppo guidato), con momenti di intervento della guida?
È importante pure definire il percorso, dall’analisi linguistica al contesto dell’opera, e le modalità interdisciplinari e multimediali (vari dei dieci presentati sono stati tradotti anche in un film).
Ma torneremo su questo, raccontando due esperienze, condotte per anni in una scuola superiore o in una biblioteca, che possono confermare la validità del progetto e del metodo.
ALCUNI LIBRI CON PERCORSI TEMATICI
A cura di Stefano Stradiotto e Francesca Pascuttini
Le schede che seguono offrono dieci esempi di opere di narrativa del Novecento dell’area italiana ed europea. Sono titoli scelti tra molti, anche più riusciti e famosi, con i criteri della diversità di argomento, di contesto storico, di sottogenere letterario, che va dal diario autobiografico di Primo Levi alla ricostruzione storica di Giuseppe Berto, e alla possibilità di un confronto tra due opere analoghe ma diverse, come quelle sui lager.
Ecco le dieci opere in ordine alfabetico per autori:
Premessa: Tahar Ben Jelloun, Il razzismo spiegato a mia figlia, Bompiani, 1999
1. Giuseppe Berto, Il cielo è rosso, Rizzoli, 1979
2. Imre Kertész, Essere senza destino, Feltrinelli, 1999
3. Dominique Lapierre, La città della gioia, Mondadori, 1985
4. Primo Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, 1988
5. George Orwell, 1984, Mondadori, 1949
6. Giuseppe Pontiggia, Nati due volte, Mondadori, 2000
7. Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, Einaudi, 1988
8. Ignazio Silone, Fontamara, Monadadori, 1988
9. Aleksandr Solgenitsin, Una giornata di Ivan Denissovic, Garzanti, 1976
10. Elio Vittorini, Conversazione in Sicilia, Bompiani, 1941
Tahar Ben Jelloun
IL RAZZISMO SPIEGATO A MIA FIGLIA, Bompiani 1999, p. 93
Biografia
Nato a Fès (Marocco) nel 1944. Vive a Parigi ed è padre di quattro figli. Poeta e romanziere e giornalista, è noto in Italia per i suoi numerosi libri e per i suoi acuti e attenti articoli di osservazione internazionale che appaiono frequentemente sulla stampa. Per il profondo messaggio contenuto in questo volume, nel 1998 gli è stato conferito dal Segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, il “Global Tolerance Award”.
Ha pubblicato anche L’Islam spiegato ai nostri figli (2001), e numerose opere in prosa e poesia in riferimento al mondo attuale, arabo e occidentale, ispirate ai valori della tolleranza e della promozione umana.
Nota tematica
Il tema è chiaro e oggi trattato in molti libri di saggistica, di attualità e di narrativa.
Anche se questo volume non appartiene al genere narrativo, viene qui aggiunto come introduzione agli altri, perché in forma breve e facile offre utili spunti di riflessione. L’UNESCO lo ha segnalato come un’opera da leggersi in tutte le scuole del mondo.
Attualizzazione
Intervista
D. Il suo mi sembra un libro estremamente utile. Non crede che potrebbe addirittura essere adottato nelle scuole?
R. Penso, anzi mi auguro, che lo possa essere. Penso che i professori lo considerino un utile supporto al loro lavoro.
D. Lei prima di tutto parla del linguaggio, delle parole che si usano e che richiederebbero maggiore attenzione.
R. Il razzismo si esprime in una prima fase con insulti, con espressioni abituali, umilianti, e piene di disprezzo. Dapprima quindi le parole, poi si passa all’azione, a fatti, a luoghi separati (come avveniva con l’Apartheid) per i bianchi e neri, a scuole separate… Ma penso che le parole siano importanti, le parole in sé non sono niente, sono lo strumento che ci permette di esprimerci. Se analizziamo le parole che vengono abitualmente dette, si può vederne poi sempre anche l’applicazione pratica.
D. Qual è, secondo lei, il compito della scuola?
R. La scuola è un momento molto importante. La scuola deve raddrizzare gli errori che magari vengono fatti in famiglia. Bisogna che l’impegno su questo tema sia continuo, non ci si deve mai sentire “in vacanza”, non c’è “domenica” insomma… Bisogna sempre vigilare, bisogna essere molto attenti anche ai media. Penso che si debba introdurre nei media ogni giorno qualche frase, delle immagini, delle parole che spingano al rispetto dell’altro. Questa deve essere una pedagogia quotidiana. Se c’è poi disarmonia tra famiglia, scuola e media, se i messaggi che arrivano sono fra loro contraddittori, il bambino non sa più che cosa si debba dire o che cosa non si debba fare.
Fonti
www.alice.it
www.alice.i/cafeletterario/222/cafelib.htm
Giuseppe Berto
Il CIELO È ROSSO, Longanesi 1947, p. 351
Biografia
Giuseppe Berto è nato a Mogliano Veneto nel 1914. Nel 1934 parte volontario per l’Africa orientale dove rimarrà per quattro anni. Rientrato dall’Etiopia in Italia, si laurea in lettere a Padova e insegna per qualche anno a Treviso. Durante la seconda guerra mondiale torna, nel 1942, in Africa con le “Camice nere”, fatto prigioniero nel 1943, viene internato nel campo di Hereford (Texas), dove matura in lui la scelta del mestiere di scrittore. Nel 1964, realizzando un caso unico, con Il male oscuro ha vinto, contemporaneamente, il Premio Viareggio e il Premio Campiello. Muore il 1° novembre 1978.
Opere principali
Il Cielo è rosso (1947), Il male oscuro (1964); La passione secondo noi stessi (1972); La Gloria (1978)
Ha collaborato ad una ventina di film, ed ha pubblicato numerosi articoli giornalistici.
Vicenda
Tra le rovine di Treviso, devastata dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, le storie drammatiche di quattro ragazzi con una tragedia illuminata dalla speranza, come ricorda la frase del Vangelo di Matteo XVI, 2-4, posta all’inizio e nel titolo. Storie realistiche e umanamente appassionate. Qualcuno lo ha definito il più grande successo del dopoguerra.
Protagonista
È Daniele, figura autobiografica che, dopo la morte tragica dei genitori, fugge dal collegio religioso dove studia. L’amicizia con alcuni ragazzi, che vivono in città anche attraverso esperienze rischiose e moralmente negative, lo fa affrontare la dura realtà del momento e cercare un senso alla propria vita. La speranza (espressa anche nel titolo del racconto) e la delusione per il male che sembra prevalere, lo portano ad una tragica soluzione.
Nota tematica
Nella particolare situazione di una città distrutta dalla guerra, questi giovani protagonisti esprimono una decisa volontà di vivere da persone umane, riacquistando i fondamentali diritti di ogni uomo. Tentano di ricostruirsi una propria abitazione, cercano del cibo quotidiano, vogliono soprattutto vincere la solitudine attraverso rapporti affettivi che diano loro una sicurezza e una sufficiente dignità umana. Anche se il finale della vicenda è per loro negativo, prevale nel racconto lo spirito di speranza nel futuro. Alcuni episodi lo concretizzano in modo aperto e vivo: le parole del prete del collegio a Daniele di fronte alla sua casa distrutta e alla ricerca dei genitori perduti; importante anche in questo senso tematico il discorso finale del vecchio maestro sulla necessità di avere una fiducia per un domani meno difficile e più sereno. E anche la tragica soluzione finale di Daniele.
Attualizzazione
Il romanzo, pur sentito intensamente e composto a metà del secolo ventesimo, si rivela anche molto attuale, quando oggi leggiamo testimonianze, osserviamo fotografie e filmati su popoli e regioni ancora travagliati da un conflitto.
Fonti
Olga Lombardi, Invito alla lettura di Berto, Mursia 1974
Corrado Piancastelli, Berto, La Nuova Italia 1978
Giuseppe Berto, la sua opera, il suo tempo, a cura di Everardo Artico e Laura Lepri, Marsilio Editore (Atti del convegno di Venezia, 1989)
Imre Kertész
ESSERE SENZA DESTINO, Feltrinelli 1999, p. 223
Biografia
Nato nel 1929 a Budapest, Kertész è stato deportato nel 1944 ad Auschwitz e liberato a Buchenwald nel 1945. Traduttore di Freud, Nietzsche, Canetti, Wittgenstein e altri. Ha scritto pezzi teatrali per finanziare la propria carriera di scrittore. Impiegò dieci anni a scrivere questo romanzo e per molto tempo nessuno glielo pubblicò. Quando finalmente, nel 1975, apparve in Ungheria, venne totalmente ignorato e l’autore messo al bando. Dovette attendere il crollo del Muro per vedere riconosciuta la sua opera, in patria e all’estero.
Per il modo di ricordare e narrare la deportazione e l’Olocausto, Kertész non è stato accettato nell’Ungheria comunista post-bellica, quasi lui non condannasse con forza il Nazismo. Visse poveramente con la moglie in un monolocale, scrivendo scenette per varietà. La sua opera narrativa e saggistica non fu conosciuta all’estero. Solamente Essere senza destino, che gli era costata sedici anni di rifinitura, fu pubblicata a Berlino e in Italia nel 1999 da Feltrinelli con il titolo che suona come una drammatica risposta alla domanda dubbiosa di Primo Levi Se questo è un uomo. Ora, dopo l’assegnazione del Nobel 2002 è letto in tutta Europa e sta al primo posto nelle vendite in Italia. Tutti riconoscono l’originalità del modo di recepire quel periodo storico e la cura immediata della formulazione narrativa. Nel 2000 la Fiera del libro di Lipsia lo segnalò come opera valida “per la comprensione tra i popoli”. Recente trionfo alla Bookmesse 2002 di Francoforte.
Vicenda
A metà dell’internamento del campo di lavoro forzato del quindicenne ungherese Gyurka, avviene in lui e nei compagni dell’Arbeitdienst un cambiamento radicale e drammatico. Apparentemente diventano calmi e consenzienti. Interiormente, il loro animo si spegne in una specie di incoscienza e rassegnata accettazione. È questa la caratteristica unica e singolare dell’opera. Dopo la caduta del muro di Berlino, il racconto autobiografico del suo internamento ad Auschwitz e Buchenwald, non fu più considerato come una interpretazione fatale e quasi umanamente sopportabile del nazismo. La sua narrazione, infatti, scorre piana e concreta nei dettagli, senza reazione e condanne, tutta intenta a gesti particolari, alle piccole elementari soddisfazioni e vantaggi da procurasi pur dentro un lager, mostruoso e disumano a vedersi.
Nota tematica
La tematica sulla violazione dei fondamentali diritti umani è sviluppata in modo del tutto particolare e diverso dalla abbondante bibliografia sull’argomento. Apparentemente i reclusi nel suo lager sembrano tranquilli e adattati alle quotidiane privazioni, quasi soddisfatti della loro possibilità di sopravvivenza. Ma ciò è il risultato di annullamento interiore profondo, a livello psicologico e morale: non hanno neppure la forza di capire e di opporsi in qualche modo. Ma il massimo della violenza, inflitta pacatamente a questi “esseri senza destino”, fu quella di far annullare in loro qualsiasi forma di reazione, a livello mentale e volitivo. Per questo motivo, tutto diventa normale, anche la quotidiana tragedia della fame e della sete, del tradimento e della morte.
L’analisi del linguaggio conferma la tesi morale dell’autore e ne diventa la sostanza esistenziale: la sintassi coordinata, l’assenza di aggettivazione emotiva, un lessico allineato sul passivo, il momento reale che domina ed esclude il pensiero riflesso, l’avverbio più ricorrente nella rievocazione dell’io narrante è “naturalmente”. L’estremo risultato è addirittura di ridurre queste persone ad esseri, totalmente svuotati di umanità, che arrivano a sentire il nulla, che hanno da vivere come felicità. “Persino là, accanto ai camini, nell’intervallo tra i tormenti, c’era qualcosa che assomigliava alla felicità… È di questo, della felicità dei campi di concentramento che dovrei parlare loro, la prossima volta che me lo chiederanno”.
Analisi di tre episodi esemplificativi dell’annullamento progressivo
Lungo questo percorso il lettore può analizzare tre scene dei due anni di prigionia. Un primo episodio (da pag. 67), l’arrivo al lager, dove si nota come tutti provano reazioni normali, si svegliano e si allarmano, chiedono e sperano, si spaventano e scoprono il loro destino. Sentono cioè di avere ancora un destino possibile. Una seconda scena (a pag. 150) si svolge nella infermeria dell’ospedale, dove Gyurka vede con indifferenza interventi chirurgici, amputazioni e decessi, come fossero momenti normali di un essere umano. È qui che lui viene salvato da un’occasionale scoperta delle sue gravi ferite in avanzata cancrena: un quadro assurdo, in cui il protagonista sta nella massima incuria e incoscienza. Al contrario, alla fine, come terzo esempio, avviene il ritorno ad una “umanità umanamente normale”, quando uno che ha sofferto quelle situazioni, finalmente libero, riprende a sentire il dolore, ricorda il numero del tram, quello giusto, che una volta lo portava a casa, riconosce al bigliettaio di essere senza biglietto e si scusa…
Fonti
Dimensioni nuove 2003 /1
www.repubblica.it
www.feltrinelli.it
www.edscuola.it/archivio/antologia/recensioni/Kertész.htm
Dominique Lapierre
LA CITTÀ DELLA GIOIA, Mondadori 1985, p. 474
Biografia
Dominique Lapierre ha sempre avuto un grande interesse per le epopee umane. Dopo dieci anni di réportages per Paris Match, nel 1960 con l’amico Larry Collins pubblica alcuni libri, bestsellers in tutto il mondo, tradotti in trenta lingue e letti da più di cento milioni di persone.
Nel 1980 Lapierre si separa provvisoriamente da Collins e fonda un associazione (Action pour les enfants des lèpreux de Calcutta) che si occupa di bambini lebbrosi a Calcutta. Cerca di sopperire alle necessità di questi duecento bambini scrivendo romanzi: l’associazione vive dei diritti di autore.
Opere principali
Oltre a La città della gioia (1985), ha scritto Mille soli, Più grande dell’amore, Gli eroi della città della gioia.
Ha collaborato, poi, con vari scrittori: con Larry Collins ha scritto Parigi brucia? (dal quale sarà tratto un film), Il quinto cavaliere, Alle cinque della sera, Stanotte la libertà, Gerusalemme! Gerusalemme!; con la collaborazione di Javier Moro, Mezzanotte e cinque a Bhopal.
Vicenda
Riesce difficile definire questo libro: romanzo? saggio? indagine giornalistica? Niente di tutto ciò o tutto questo contemporaneamente.
È la storia di alcuni dei trecentomila abitanti di uno dei quartieri più poveri e popolosi di Calcutta, Aband Nagar, la “città della gioia”, appunto, sobborgo di diseredati, accattoni e lebbrosi.
Un mondo fatto di povertà e di eroismo, di bruttura e di dedizione, dove agiscono pochi generosi volontari, tra i quali un giovane chirurgo americano in crisi di identità. Il racconto di Lapierre nasce da una esperienza di vita vissuta: è stata un’immersione totale in una realtà che a noi occidentali appare allucinante e invivibile, ma che invece sa produrre esempi di grande umanità. Il romanzo ha imposto per la prima volta all’attenzione del mondo una situazione agghiacciante e la luminosa figura benefica di Madre Teresa di Calcutta.
Protagonista
Deluso e amareggiato sotto il profilo professionale, un giovane medico americano lascia il suo paese e va in India, alla ricerca di qualcosa che gli restituisca il senso dell’esistenza. La realtà che lo aspetta è però sconvolgente, un vero e proprio inferno di miseria e degradazione, nel quale gli uomini cercano di sopravvivere tra topi e scarafaggi, nella più assoluta mancanza di mezzi. Ma proprio qui, nelle allucinanti colonie dei lebbrosi della “Città della gioia”, in mezzo a inondazioni, fame e malattie, il protagonista riuscirà a trovare la forza di riscattarsi.
Nota tematica
Il contenuto del libro è un grande affresco della cultura indiana nei suoi vari aspetti: dalle cerimonie alle mafie locali ai giochi alle cremazioni. Il tutto vissuto anche in compagnia dei personaggi che si sono inseriti in quel mondo allo scopo di fornire il loro personale contributo per alleviare le sofferenze di quel popolo.
Dice lo stesso Lapierre dell’esperienza di vita vera da lui vissuta e che qui racconta: “Tutto ciò che non viene donato va perduto”. “I sorrisi dei miei fratelli della Città della gioia sono luci che non potranno mai spegnersi dentro di me”. “Ho imparato a mantenere sempre il sorriso, a ringraziare Dio per il più piccolo beneficio, ad ascoltare gli altri, a non avere paura della morte, a non disperare mai”.
Attualizzazione
Il libro, anche se pubblicato nel 1985, racconta quella che è ancora la quotidianità nei quartieri più poveri di Calcutta. “In questo inferno” – dice l’autore – “ho trovato più eroismo, più amore, più solidarietà, più gioia che in molte altre metropoli del nostro ricco occidente. Ho incontrato gente che non ha niente e tuttavia possiede tutto. In tanta bruttura, nel fango e nella sporcizia ho scoperto più bellezza e speranza che in molti dei nostri paradisi”.
Fonti
www.alice.it
www.inclasse.it
www.it.bol.com
Letture, aprile 1986
Primo Levi
SE QUESTO È UN UOMO, Einaudi 1947, p. 227
Biografia
Nato a Torino nel 1919, si laureò in chimica nel 1941. Entrato nel 1943 nelle formazioni partigiane di Giustizia e Libertà, fu catturato dai Tedeschi e deportato nel Lager di Auschwitz, in quanto ebreo. Riuscito a scampare allo sterminio e a ritornare a Torino, nel dopoguerra esercitò la professione di chimico, dedicandosi alla pubblicazione di proprie opere. È morto tragicamente nel 1988.
Altre opere
Con Se questo è un uomo (Torino 1947), ha pubblicato La tregua (Torino 1963); La chiave a stella (Torino 1979).
Vicenda
Racconto-diario del periodo di prigionia in un campo di concentramento tedesco presso Auschwitz. Catturato nel dicembre del ’43 a causa della sua origine ebraica e per attività anti-fascista, Levi viene mandato nel lager. Qui l’autore – ormai numero 174517 – descrive le varie fasi in cui viene scandita la giornata di un prigioniero tra torture psicologiche e fisiche di ogni tipo.
Particolare attenzione in tutto il romanzo è prestata alla situazione dei suoi compagni di prigionia. Ne emerge una galleria di ritratti e profili drammaticamente nuova, tesa a dimostrare come in assurde situazioni di vita ognuno reagisce al di fuori spesso di ogni valore umano e civile. Ognuno dei condannati a morte ha così la propria filosofia di vita, all’interno della quale, sovente, i compagni di prigionia sono nemici quanto i carcerieri.
Il disperato tentativo di sopravvivenza può generare dei mostri. Il libro si chiude con la descrizione degli ultimi episodi della sua vita nel lager: i bombardamenti, la fuga delle SS, la liberazione finale.
Protagonista
Primo Levi si denota e stacca dai compagni di prigionia per la sua tenacia a sopportare le privazioni e maltrattamenti.
Nota tematica
Nelle estreme condizioni verificatesi nella Seconda Guerra Mondiale, nel tragico programma dello sterminio della razza ebraica, l’autore esprime con forza drammatica la violazione dei fondamentali diritti umani. Qui il deportato diviene un numero senza poter esigere né avere alcun rispetto per la propria persona. Ad ognuno è vietato disporre del tempo, dello spazio e delle cose materiali necessarie per vivere la vita quotidiana. In molti altri racconti, narrati o autobiografici, sui lager nazisti, gli autori si sono espressi in forme tematiche completamente diverse: si veda la scheda n° 3 (Essere senza destino). Invece per Primo Levi, l’annullamento dei diritti umani è denunciato apertamente nella poesia all’inizio dell’opera.
Attualizzazione
Ancora oggi i campi di detenzione in regimi dittatoriali si trasformano in campi di sterminio, in cui i diritti umani vengono soppressi. Però anche in certe forme attuali di violenza sociale negli stadi, nelle carceri e perfino in certi luoghi di divertimento, l’autore vede presente e non ancora vinto questo grave male del nostro tempo, che si considera civilizzato.
Si veda a questo proposito la raccolta di poesie di Primo Levi, Ad ora incerta.
Chiave di lettura dell’opera
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando a casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli
(Primo Levi, dalla lirica all’inizio dell’opera)
Fonti
F. Castelli, La civiltà cattolica, marzo /1964
A. Scurani, Letture, ottobre 1975
C. Toscani, Il ragguaglio librario, 1979
George Orwell
1984, Mondadori 1949, p. 342
Biografia
Pseudonimo dello scrittore, saggista e giornalista inglese Eric Arthur Blair.
Nato nel 1903 in Bengala, in quanto figlio di un modesto funzionario dell’amministrazione britannica, studia in Inghilterra. Si arruola nella polizia imperiale, prestando servizio per cinque anni in Birmania. Tornato in Inghilterra, dopo aver dato le dimissioni nel 1928, si avvicina al socialismo e, scoppiata la guerra civile in Spagna, va a combattere nelle file del partito comunista. Si allontana presto, però, e in modo deciso, da questa posizione, come appare anche nelle sue opere. Muore a Londra nel 1950.
Opere principali
La fattoria degli animali (1945); 1984 (1949)
Vicenda
Il romanzo narra di tre super-stati (Oceania, Eurasia e Estasia) con un proprio governo, una propria lingua e in costante guerra tra loro. Tutti, però, agiscono nello stesso modo nei confronti dei loro cittadini: li spiano in ogni momento perché vogliono manipolare il loro pensiero. Lo fanno attraverso l’uso di una lingua ufficiale, così che si abolisca, per consolidare uno stato dittatoriale, tutto il pensiero non ortodosso, e attraverso i teleschermi, che controllano il cittadino in ogni momento, spiando azioni, pensieri o parole, per sapere chi potrebbe non essere allineato con il pensiero ufficiale.
Protagonista
Il personaggio principale è Winston Smith, un uomo che dubita della giustezza del governo totalitario (detto “Grande Fratello”) nel mondo di 1984. Il suo tentativo passa attraverso l’affermazione del diritto di amare una donna.
Nota tematica
Surreale romanzo, che prefigura un mondo dominato da tre immani superstati perennemente in guerra tra loro, scientificamente organizzati in modo da controllare pensieri e azioni dei propri sudditi. Ogni libertà viene abolita, ma l’individuo sente di dover vivere da uomo libero in tutto, a cominciare dalle sue scelte affettive.
Attualizzazione
Mentre la storia progredisce, ci rendiamo conto che la situazione non è poi così fittizia come credevamo. Orwell, infatti, sconcerta quando ci mostra cosa c’è veramente dietro il “Grande Fratello”: un governo non molto diverso dalla società attuale. Questo libro ci ricorda cosa è andato male e cosa può ancora andare male quando un governo diventa troppo potente.
Fonti
Enciclopedia NOVA, UTET 2002
www.it.bol.com
spazioinwind.libero.it/societadimassa/orwell%20italiano.htm
Giuseppe Pontiggia
NATI DUE VOLTE, Mondadori 2000, p. 232
Biografia
Nato a Como nel 1934, trascorre l’infanzia ad Erba. Nel 1948 si trasferisce a Milano e nel ‘51 diventa impiegato di banca, ma si interessa di cultura tanto da prendere parte alla fondazione della redazione della rivista d’avanguardia Verri (1956), diretta da Luciano Anceschi. Si laurea nello stesso anno all’Università Cattolica di Milano con una tesi sulla tecnica narrativa di Italo Svevo. Svolge attività saggistica e critica, occupandosi di autori classici, moderni e contemporanei.
Opere
Il suo esordio avviene nel 1959, con il racconto autobiografico La morte bianca. A questo fanno seguito Il giocatore invisibile (Premio selezione Campiello 1978). Con La grande sera, ottiene il Premio Strega (1989), e a Nati due volte viene assegnato un altissimo punteggio dei critici e dei 300 votanti del Premio Campiello 2001.
Vicenda
È un racconto autobiografico e ha per tema il rapporto del padre con il figlio disabile. È il padre che racconta, ma è la realtà del figlio, che si inserisce nella vita e nel comportamento di ciascuno di coloro che entrano in rapporto con la sua difficile situazione di “diverso”. I genitori di Paolo accettano di far vivere le normali situazioni della sua età: lo portano a scuola, dove la figura del direttore didattico è esagerata nella sua severità, gioca con i compagni, partecipa (disastrosamente) alla recita teatrale di fine anno; lo portano a Creta in ferie: decidono, insomma, che debba essere se stesso e affrontare gli sguardi e il giudizio degli altri. Solo in questo modo, il ragazzo impara a vivere la propria vita, a modo suo, e anche i genitori sono costretti a vivere serenamente la propria. È la loro seconda vita, quella vera.
Protagonista
È Paolo e i suoi genitori, che fanno rinascere il figlio disabile, accettandolo con una vita come gli altri e rinascono essi stessi. Soprattutto la madre, con la sua intuizione e affetto, capisce e convince anche il marito.
Attualizzazione
Oggi il problema dei disabili è diffuso e molto sentito dall’opinione pubblica.
Frase chiave dell’opera
“Non posso prevedere come diventerà vostro figlio” dice il medico. Aggiunge però la soluzione forse senza saperlo: “Voi dovete vivere giorno per giorno, non dovete pensare ossessivamente al futuro. Sarà un’esperienza durissima, eppure non la deprecherete. Ne uscirete migliorati. Questi bambini nascono due volte. Devono imparare a muoversi in un mondo che la prima nascita ha reso difficile. La seconda dipende da voi, da quello che saprete dare. Sono nati due volte e il percorso sarà tormentato. Ma alla fine anche per voi sarà una rinascita. Questa almeno è la mia esperienza. Non posso dirvi altro”.
Fonti
www.giuseppepontiggia.net
Severino Cagnin, Dimensioni nuove, novembre 2001
Leonardo Sciascia
IL GIORNO DELLA CIVETTA, Einaudi 1961, p. 120
Biografia
Nato a Recalmuto (Agrigento) nel 1921. Figlio di un impiegato e di una casalinga, ha frequentato la scuola magistrale a Caltanissetta. Conobbe personaggi che furono dei maestri per lui, come Vitaliano Brancati, Luigi Monaco e Calogero Bonavia, i quali fornirono allo scrittore la prima base di una condizione morale orientata verso l’antifascismo e la coerenza dei principi. Le due più importanti esperienze di vita furono per Sciascia quella di impiegato, nel 1943, negli uffici per l’ammasso obbligatorio del grano che gli consentì di acquisire una precisa conoscenza del mondo contadino, e quella di maestro elementare nella natìa Recalmuto, a contatto con i figli degli zolfatari di Gibili.
Le sue opere più note
Le parrocchie di Regalpietra (1956), Il giorno della civetta (1961), Il consiglio d’Egitto (1963), A ciascuno il suo (1966), Todo Modo (1974), La scomparsa di Majorana (1975).
Vicenda
Ci troviamo in un paese dell’hinterland palermitano, dove viene ucciso Salvatore Colasberna, modesto impresario edile. Contemporaneamente scompare Paolo Nicolosi, di professione potatore. Il capitano Bellodi, giovane ufficiale dei carabinieri originario di Parma, affronta, assieme al maresciallo Ferlisi, la situazione con intelligenza e lucidità. Connette i fatti, fiuta l’angoscia della vedova Nicolosi, scarta la pista passionale, blandisce il confidente Parrinieddu. Da lui ottiene un nome e al momento della morte una confessione epistolare.
Seguono tre omicidi: tra cui quello di Don Mariano Arena, “galantuomo” di paesana saggezza e provate amicizie. Viene annullata l’inchiesta. Scarcerati i colpevoli, trasferito il maresciallo Ferlisi, Bellodi, spedito per licenza a casa, è colto “nell’indolente sera di Parma” a passeggiare con l’amico Brescianelli, a riflettere sul suo allontanamento e a promettere, soprattutto alla sua coscienza di ex partigiano e “servitore di Stato”, un prossimo ritorno in Sicilia.
Protagonista
Fisionomica: uomo serio ed elegante, è giovane ed ha i capelli biondi ben tagliati, molto alto, ha una voce calma ma si mangia le “s”.
Psicologica: intelligente, sensibile, buon osservatore, buono, astuto e ambizioso.
Ideologica: il suo ideale è quello di annientare la mafia e combattere contro le ingiustizie. Purtroppo è un compito duro che non riesce a svolgere.
Sociale: la sua famiglia è originaria di Parma e lui è capitano dei carabinieri.
Culturale: l’autore non ci fornisce informazioni specifiche su questo punto.
Nota tematica
Il giorno della civetta è il più celebre racconto sulla mafia, ma che per virtù del senso civile dello scrittore siciliano si apre a tematiche e messaggi di più ampio significato. Infatti le vicende dell’ufficiale dei carabinieri Bellodi, che si dimena accanitamente tra le spire invisibili dell’ambiente mafioso, sono piuttosto un pretesto per un profilo morale del protagonista ed un’interpretazione di una società intera attraverso il tema della giustizia, fondamento di ogni convivenza. Si rilegga l’ultima pagina per verificare con quanta sapienza e studiata professionalità l’autore intrecci nel finale del racconto il piano narrativo dell’incontro con gli amici al ritorno del protagonista a casa, con l’analisi psicologica e un messaggio universale.
Attualizzazione
Il problema della mafia e della giustizia sociale è ancora molto vivo e ancora da risolvere.
Chiave di lettura
È lo stesso don Mariano a tributare all’ufficiale dei carabinieri un doveroso riconoscimento. “ Io – proseguì poi don Mariano – ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, belle parole piene di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà. Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, che mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini. E invece no, scende ancora più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi. E ancora più in giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere con le anatre nelle pozzanghere che la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre. Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo”.
Fonti
www.skuola.net/libri/girno-civetta.asp
Claude Ambrosie, Invito alla lettura di Sciascia, Mursia 1978
Luigi Cattanei, Leonardo Sciascia, Le Monnier 1979
Scrittori italiani, Letture 1982
Ignazio Silone
FONTAMARA, Mondadori 1988, p. 208
Biografia
Nato a Pescina (L’aquila) nel 1900, morto a Ginevra nel 1978. Dovette abbandonare gli studi in seguito al terremoto del 1913 nella Marsica, durante il quale gli morirono i genitori e cinque fratelli. Fu in un orfanotrofio religioso e conobbe Don Orione, apostolo dei poveri. Datosi all’attività politica, partecipò alla fondazione del Partito Comunista, che rappresentò a Mosca con Togliatti nel Komintern, ma dal quale si staccò nel 1930, non avvallando le purghe staliniane. I principali scritti politici, morali e autobiografici sono raccolti nel volume Uscita di sicurezza: una serie di racconti-saggio ove viene ripercorsa la vicenda autobiografica. Nelle sue opere narrative è sempre presente la tematica sociale e quella religiosa. che lo portò ad uscire dal partito comunista.
Opere principali
Fontamara (Zurigo 1933); Pane e vino (Zurigo 1937); Una manciata di more (Milano 1952); Il segreto di Luca (Milano 1956); Uscita di sicurezza (Firenze 1965); L’avventura di un povero cristiano (Milano 1968)
Vicenda
Attraverso il racconto di una famiglia del paese di Fontamara viene rievocata la storia di sopraffazione e violenze abbattutesi sulla comunità di contadini di un paese del Fucino negli anni Venti del secolo. “La nostra scarsa istruzione ci impediva di capire come l’acqua potesse essere divisa in due porzioni di tre quarti ciascuna”. Così commentavano le donne di Fontamara. La sottrazione dell’acqua di un fiumiciattolo, che serviva ad irrigare i campi da parte degli arroganti pezzi grossi locali, è solo l’ultimo episodio di una schiavitù silenziosa e millenaria subita dagli umili. I “galantuomini” rappresentanti il potere economico, politico e religioso della zona, esercitano il potere, sui poveri “cafoni”, unendo alla loro protervia e avidità la violenza di spedizioni punitive fasciste.
Protagonista
Dall’interno di questa situazione corale emerge la figura del contadino Berardo Viola, il cui viaggio a Roma lo porterà sino al martirio. La sua morte si tradurrà, nelle coscienze degli umili paesani, nel riconoscimento del proprio stato di degrado culturale e nella consapevolezza dell’inumanità della condizione servile, cui da secoli sono soggetti.
Nota tematica
Il romanzo nasce sulla finzione di tre fontamaresi, che, scampati alla catastrofe finale del villaggio, raccontano, a Silone in esilio, gli avvenimenti accaduti a Fontamara prima della repressione delle autorità. Si può idealmente annodare su tre piani: il primo, la fraudolenta spogliazione dell’acqua del ruscello che irriga i campi dei cafoni e la rivolta delle donne; sul secondo, dalla disorganica manifestazione dell’istintivo ribellismo, alla lenta maturazione della responsabilità di classe spinta fino al martirio; sul terzo, svolto come sintesi dei primi due, ritorna protagonista la popolazione di Fontamara, che dalla lezione di coraggio di Berardo inizia la lotta per ottenere i propri diritti.
Attualizzazione
Fontamara presenta l’argomento dei diritti umani, tema molto attuale sia nei paesi occidentali che del terzo mondo. In questo romanzo, infatti, viene affrontato il tema del diritto al lavoro in giuste condizioni e con adeguate retribuzioni, nonché il diritto di essere rispettati nella dignità, dalle autorità politiche, amministrative e religiose.
Fonti
Carlo Annoni, Invito alla lettura, Mursia 1986
Carmelo Aliberti, Come leggere Fontamara di Ignazio Silone, Mursia 1989
Aleksandr Solzenicyn
UNA GIORNATA DI IVAN DENISSOVIC, Garzanti 1970, p. 200
Biografia
È il romanzo che ha rivelato al grande pubblico lo scrittore A. Solzenicyn.
Ed è un terribile atto d’accusa contro i lager stalinisti e tutti coloro che vogliono soffocare la libertà dell’uomo. Nel racconto di una giornata “tipo” del deportato Ivan Denissovic, Solzenicyn dà una immagine realistica, anche se molto cruda, dei campi di concentramento siberiani, dove la vita di ogni uomo era quotidianamente costretta, dove non era solo l’esistenza fisica ad essere prigioniera, ma pensieri e i sentimenti erano condizionati. È una vasta rassegna di situazioni e destini umani, stravolti e mutati da un meccanismo incomprensibile, in cui ogni personaggio diventa quasi il simbolo delle vittime ingiustamente accusate e condannate dal regime. Durante la Seconda Guerra Mondiale, benché decorato due volte, lo stesso Aleksandr Solzenicyn fu condannato per motivi politici e successivamente deportato in Siberia. Venne liberato solo dopo, e riabilitato nel 1957. Nell’ottobre del 1971 gli venne assegnato il Nobel per la letteratura.
Opere principali
Tra le sue opere più significative sono Arcipelago Gulag (1973), Primo cerchio (1968).
Vicenda
A differenza di Arcipelago Gulag, monumentale atto d’accusa in tre volumi sull’universo concentrazionario dell’URSS di Stalin, Una giornata di Ivan Denissovic rappresenta, del grande scrittore russo, una mirabile sintesi. L’ingiustizia universale della prigionia senza colpa, della persecuzione politica e dell’illegalità di un regime dispotico e oppressivo è qui perfettamente riassunta e anche “scolpita” nelle poche, memorabili pagine di questo singolare “manuale di sopravvivenza” nei campi di lavoro, o meglio di “rieducazione” della Siberia negli anni di Stalin. Come già nelle prime pagine di Arcipelago Gulag, anche la prosa di Ivan Denissovic è quasi fotografata, depurata dalle emozioni, come sterilizzata, priva di ogni emotività. Scritto in forma di romanzo breve, descrive una giornata nel gulag, ed è la spietata registrazione del regime di prigionia politica: tra minacce, percosse, esecuzioni, fame e gelo.
Un efficace atto d’accusa contro gli anni peggiori del comunismo sovietico e quindi anche contro ogni forma di dittatura e di oppressione: coi suoi libri, dalla sua difficile condizione di prigioniero politico, poi di dissidenza e di esule, Solzenicyn ha voluto denunciare e “smascherare” il vero volto di un regime che pure era nato da una rivoluzione popolare.
Nota tematica
L’annullamento della persona nel romanzo di questo autore è attuato attraverso la privazione degli elementari diritti umani, da quelli fisici a quelli affettivi e mentali. Vi sono persone con nome, cognome e numero di matricola. Vi sono tavolacci e celle con le loro misure, buglioli, scodelle di sbobba, tutte le terribili minuzie dell’industria carceraria. Il suo mondo è nelle prigioni, nei luoghi di deportazione, negli interminabili viaggi sui treni blindati, nelle perquisizioni dei domicili coatti. Da quell’universo di reietti è nata “la benedizione della dignità umana”, come disse lo scrittore francese Claude Roy. Solzenicyn, inoltre, apriva una nuova tematica per la letteratura russa: il diritto a credere in Dio e a pregarlo prima di ogni altro, affrontato in Ivan Denissovic, idea che diverrà dominate in tutta la sua opera. Con Solzenicyn, Dio finisce di essere “problema”. Semplicemente, Dio è! Non esiste scrittore che abbia squadernato sotto i nostri occhi una quantità così grande di cose orribili, documentate e minuziosamente descritte: egli ha rinunciato a intessere trame sentimentali sul canovaccio della sua spaventosamente realistica narrativa. Non ci ha risparmiato alcuna miseria fisica e morale, e con lui ci troviamo di continuo in mezzo a tematiche d’angoscia. Ma Solzenicyn non vuole questo. Al contrario, la conoscenza del “sottosuolo”, dominato dagli ossessi del male, rafforza in lui la convinzione della “divinità” dell’uomo, che diventa mostro solo quando Dio in lui si oscura, sopraffatto dall’ancestrale smania del potere e del demonio sull’altro.
Fonti
www.it.ciao.com/ProductId/167876
www.stpauls.it/letture00/000let/00081123
Elio Vittorini
CONVERSAZIONE IN SICILIA, Bompiani 1941, p. 186
Biografia
Nato nel 1908 a Siracusa, morto a Milano nel 1966. Cresciuto in un ambiente di piccola borghesia, autodidatta, dotato di spiccatissima personalità, Elio Vittorini è già di per sé un personaggio, oltre che uno scrittore, attraverso una vicenda esemplare in ordine all’itinerario di molti giovani intellettuali nell’ultimo periodo fra le due guerre e nell’immediato dopoguerra. La sua prima collaborazione giornalistica si attua ne “La Stampa” di Malaparte. Nel 1941 pubblica Conversazioni in Sicilia, la sua prova più determinante e personale. Parallelamente alla sua esperienza di narratore, si svolge l’attività giornalistica che ha la sua punta più alta nella fondazione “Il Politecnico”, poi rifiutato per una scelta personale contro il Partito Comunista.
Opere principali
Il garofano rosso (1935); Conversazione in Sicilia (1941); Uomini e no (1945); Le donne di Messina (1949).
Vicenda
Il volume di Vittorini narra un viaggio dell’uomo, che ritorna nella sua terra e ricorda episodi, luoghi e persone. La memoria diventa ricerca del senso della vita attraverso gli incontri con vari personaggi, che gli fanno capire le difficoltà dell’esistenza umana e le possibili soluzioni. Ad esempio, le figure dei contadini che ritornano nella nave-traghetto con le arance invendute, il giapponese venuto da lontano a vendere cravatte per poter mangiare, la madre che va nelle famiglie del paese a fare un semplice servizio di infermiera per gli ammalati, il fratello morto nella guerra civile di Spagna… indicano ripetutamente la tematica di queste conversazioni, cioè il dolore inflitto all’uomo dall’uomo e i tentativi di toglierlo. Ma alcune soluzioni sono evidentemente rifiutate dallo scrittore: quella legale di “Con baffi e Senza baffi”, quella moralistica dell’oste, quella violenta dell’affilatore di coltelli, quella patriottica del monumento ai caduti. Vittorini offre una soluzione etica ed umana, che però non è del tutto chiara, né concretamente storicizzata. Invece è molto vivo il problema della sofferenza, come si può vedere fin dagli inizi della prima pagina dell’opera.
Nota tematica
La tematica delle riflessioni, all’inizio del dolore umano, che rende difficile e sofferta la giornata di ciascuno, è poeticamente esposta all’inizio attraverso i simboli della pioggia, delle scarpe rotte e della solitudine. Si indica la privazione dei fondamentali diritti al cibo, alla sanità, al vestito, all’occupazione, alla casa… Molte persone ne sono prive anche in un moderno paese occidentale.
Attualizzazione
Conversazione in Sicilia ha un valore allegorico assoluto. Nello stile di Vittorini, nelle cantilenanti anafore e iterazioni di cui il romanzo è ricco, c’è magia, simbolismo e lirismo. Leggere Conversazione significa scoprire e capire un mondo che è vivo e puro, ai confini della memoria e del mito. Geno Pampaloni ha scritto che è difficile ancora oggi leggere o rileggere Conversazione in Sicilia, perché nessun altro scrittore italiano dopo Foscolo ha saputo interpretare con tanta eloquenza la coscienza inquieta dei contemporanei.
Fonti
Sandro Briosi, Invito alla lettura di Vittorini, Mursia 1971
Folco Zanovini, Elio Vittorini, Le Monnier 1976
Scrittori italiani, Letture 1982