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    La valenza simbolica del fuoco nella bibbia


    Per una rilettura nel contesto della pastorale giovanile

    Giuseppe De Virgilio

    (NPG 2003-04-46)



    “Il fuoco è bello perché risplende e brilla insieme all’idea” (Plotino, 1, 6, 9). Oggetto di numerose considerazioni ed analisi, presente in molteplici analogie e simboli mitologici, scientifici, filosofici e religiosi, il fuoco occupa un posto preminente per la sua realtà insieme dinamica e misteriosa, silenziosa e terribile, naturale e al tempo stesso ineffabile.

    Il fuoco presenta delle caratteristiche singolari, amate e odiate, apprezzate e invise: illumina e riscalda, vivifica e distrugge, rende visibili le forme e non ha forma in sé, è sulla terra ma si protende verso il cielo, dà speranza e incute timore, è sublime ma tremendo, può essere visto e usato, mai circoscritto e definito.
    Esso è raffigurato all’inizio (arché) dell’universo, ma visto anche come al fine di esso (ecpirosi).
    Senza dubbio il fuoco e la sua utilizzazione costituì una delle prime grandi scoperte dell’umanità, all’alba della civiltà.
    La produzione del fuoco da parte dell’uomo primitivo segna dunque una tappa importante nell’evoluzione dell’umanità e del suo pensiero.
    Agli albori del pensiero filosofico greco il fuoco è ritenuto uno dei quattro elementi che stanno alla base dell’universo.
    La presenza della categoria del fuoco nella tradizione biblica dell’AT e del NT è centrale e merita una elaborazione approfondita per poterne scoprire la valenza simbolica e pastorale. Infatti esso assurge ad una funzione di mediazione simbolica sia nei contesti di rivelazione divina che nella prassi cultuale e liturgica (illuminazione, consumazione dei sacrifici, ecc.), costituendo un simbolo comunicativo che collega la domanda dell’uomo al misterioso manifestarsi di Dio.
    Su piano narrativo gli avvenimenti biblici che raccontano le distruzioni con la rappresentazione del “fuoco”, vengono spesso riletti nel quadro del giudizio divino.
    Il simbolismo del fuoco è prevalentemente impiegato in una prospettiva escatologica secondo tre figure: segno premonitore “del giorno di Jahvè”, elemento escatologico di giudizio e di annientamento dei nemici, e strumento di sofferenza dei perduti nel “fuoco infernale”.
    Dopo aver delineato l’aspetto etimologico e linguistico, focalizzeremo la valenza della nostra categoria biblica seguendo l’itinerario tematico, articolato secondo due fondamentali aspetti ermeneutici: il fuoco come distruzione e giudizio; il fuoco come manifestazione di Dio e rinnovamento dell’uomo. Dall’analisi dei singoli aspetti emergeranno alcune linee interpretative per l’applicazione al contesto comunicativo e motivazionale del mondo giovanile.

    SCHEDA

    Etimologia e uso linguistico nella Bibbia

    Il termine “ fuoco”, la cui genesi etimologica rimane incerta, si incontra nelle varie ramificazioni delle lingue semitiche con la parola ‘esh (378 volte nell’ebraico del TM; nur solo 17 volte), tradotta in greco da pyr circa 490 volte nel greco della LXX). L’uso linguistico si caratterizza per una duplice accezione, “naturale” e “traslata”.

    * Nell’uso tecnico il termine ‘esh pyr indica concretamente il fuoco, elemento naturale della civiltà umana, utilizzato nella vita quotidiana, nel lavoro e nell’industria dei metalli. Una prima dimensione del suo impegno è costituita dall’uso domestico e artigianale: preparazione di vivande, riscaldamento domestico, illuminazione, attività produttive di vario genere. Inoltre esso veniva impiegato come espediente bellico per la difesa contro i nemici in battaglia (persone e animali: Nm 31,10) e la distruzione di quanto si riteneva fosse contaminato (Dt 7,5.25).

    Una seconda dimensione concerne l’azione cultuale. Nell’officiatura del culto si usa variamente il fuoco: esso è presente sugli altari per immolare olocausti, vittime e sacrifici (fuoco perenne: Es 29,18; Lv 1,9.13; 3,5; 6). Talora, presso le popolazioni limitrofe pagane, si soleva fare sacrifici di bambini adoperando il fuoco (2 Re 16,3; 21,6; Ger 7,31); l’espressione tipica indicante tali sacrifici era: “far passare i propri figli o le proprie figlie attraverso il fuoco” (2 Re 17,17; 21,6). L’uso linguistico è esteso alla purificazione di persone, luoghi e oggetti consacrati (Lv 13,52; Nm 31,23; Is 6,6), alla eventuale distruzione di elementi sacri per evitarne la profanazione sacrilega (Es 12,10; 29,34; Lv 4,12), alla cremazione di cadaveri (Gn 38,24; Lv 20,14; 21,9; Gs 7,15).

    Una terza dimensione concerne la connessione tra fuoco e fenomeni naturali, di frequente letti teologicamente. In tal senso il termine designa la folgore come “fuoco di Dio ” (Gb 1,16; 2 Re 1,12) ed è in relazione con tuoni (Es 9,28; Sal 29,7), grandine (Es 9,24; Sal 78,48; 105,32), tempeste, bufere, venti, neve e ghiaccio (Is 29,6; Sal 104,4; 148,8), come anche la particolare siccità (Am 7,4; Gl 1,19). Per ultimo nella allusione al fuoco in Gb 28,5, si pensa al lavoro in una miniera per estrarre minerali.

    * Nella sua accezione traslata, il fuoco assume connotati diversificati secondo i soggetti e i contesti: riferito a Jahvè, il fuoco acquista un valore prevalente di distruzione e violenza, espressione antropomorfica dell’ira divina. La presenza dei fuoco indica un aspetto di Dio: il potente che minaccia giudizio e compie la purificazione. In questo contesto il fuoco è in relazione con la manifestazione della divinità e della sua gloria, fascinosa e tremenda. Tale considerazione viene prolungata negli esseri angelici: cherubini e serafini (Gn 3,24; Es 25,18ss; Is 6,2 6; serafino significa “fiammeggiante – bruciante”). Riferito all’uomo, esso viene assunto a metafora per descrivere i sentimenti e le situazioni più disparate, grovigli di passioni umane di ogni sorta; l’amore e la voluttà (Ct 8,6 7; Sir 9,8), l’adultero (Gb 31,12; Prv 6,17), l’ardore per la verità (Gn 20,9), il peccato (Sir 8,10), la calunnia e la litigiosità (Prv 26,20), la situazione di persecuzione (Sal 118,12), la salvezza dopo grave pericolo (Am 4,11; Mic 1,4; Sal 68,3), l’ira e la rissa (Sir 28,10s), l’ingiustizia (Is 9,17), fino all’omicidio (Sir 11,32; 22,24). In qualche caso il simbolo del fuoco è applicato alla missione e alla personalità di un protagonista biblico: il profeta Elia: 2 Re 1,10 14; Sir 48,13; così Giovanni Battista in riferimento al Cristo: Mt 3,11 12; e la stessa missione del Signore: Lc 12,49 50. Ulteriori immagini sono legate al fuoco: l’incendio boschivo (Ger 21,14) inarrestabile (Prv 30,16), la fornace (Sal 21,10), il rogo (Is 30,33), il fonditore (Ml 3,2), la brace e i carboni ardenti (inferno e punizione: Sal 18,9.13.14; Mt 13,40.42.50; 18,8), la teofania (in connessione con sconvolgimenti cosmici) simile all’eruzione vulcanica (Es 19,18). È menzionato in alcuni detti proverbiali: “come un ciocco strappato al fuoco” (Am 4,11; Zc 3,2); “come la cera fonde al fuoco” (Mic 1,4; Sal 68,3; 97,5). Si ricordi, infine, il rapporto fuoco dolore purificazione (Is 1,22.25; Ger 6,27; Ez 22,17 22; Ml 3,2; Prv 17,3; Sir 2,5; Zc 13,9). Nell’utilizzazione dell’immagine del fuoco si cela un significato di rinnovamento e nuova creazione, specie perché esso ha la funzione di illuminare, purificare e confermare nella fede. Sì pensi al sacrificio di Abramo (Gn 15,17 20), a Mosè di ritorno dal Sinai (Es 35,29 35), alla vocazione del profeta Isaia (Is 6,6 7), alla visione del profeta Ezechiele (Ez 10,2.7), a quella di Daniele (Dn 7,9 14); e, per il NT, alla trasfigurazione di Cristo (Mt 17,1 8pp), alla risurrezione (Mt 28,1 8pp.), al giorno di Pentecoste (At 2,1-13).

    Da questa rassegna biblica sembra possibile ricondurre la molteplicità dei significati teologici della categoria del fuoco a due aspetti fondamentali:
    – il fuoco come elemento di distruzione e giudizio;
    – il fuoco come elemento di manifestazione di Dio e di rinnovamento dell’uomo.

    Il fuoco “elemento di distruzione”

    Ogni avvenimento di distruzione, annunciato oppure imprevisto, contro il popolo ebreo o le nazioni straniere, in pace o in guerra, viene letto come uno strumento del giudizio divino.
    Jahvè interviene nel corso della storia per punire il disordine ed eliminare il peccato.
    La distruzione è sempre legata a una motivazione teologica e diviene occasione di riflessione e di autocoscienza per il popolo.
    Nella memoria teologica dell’Israele biblico primeggia una esemplare distruzione che viene assunta a tipo per l’intero decorso della storia della salvezza: la punizione inflitta a Sodoma e Gomorra mediante fuoco e zolfo (Gn 19,24). Viene così tratteggiata l’azione di Jahvè attraverso l’immagine del fuoco divoratore: il dissolvimento del potere e dell’arroganza egiziana (la settima piaga: Es 9,23s), l’annientamento degli idoli del popolo (Es 32,20; Dt 9,21), la morte di Nadab e Abiu (Lv 10,2), la parziale distruzione dell’accampamento a Tabera (Nm 11,1 3), la tragica fine dei duecentocinquanta uomini impuri (oltre quelli di Core: Nm 16,35; 26,10), la vittoria sui figli di Anak (Dt 9,3), la promessa “distruttrice” fatta dal Signore presso il torrente Merom (Gs 11,6), l’esperienza violenta del profeta Elia (2 Re 1,9-44), la sorte di Giobbe (Gb 1,16; 15,34; 22,20).
    Nella letteratura profetica la distruzione mediante fuoco rappresenta uno degli strumenti consueti del giudizio divino, sia per colpire i rappresentanti politici e militari del regno che i nemici: l’infedeltà del popolo provoca l’ira bruciante di Jahvè (Is 9,17 18), che si “incendia” di collera per il peccato di Israele (Ger 15,14; 17,4.27). Così il profeta Geremia annuncia la distruzione del regno, causata dal male e dal disordine (necessità della circoncisione: Ger 4,4; della giustizia: 21,12) con parola simile a fuoco (Ger 5,14; 23,29). Malgrado il crogiuolo a cui il popolo è sottoposto, esso non si purificherà, soccomberà per le sue scorie (Ger 6,29). Come ulivo verdeggiante arderà nella sventura (Ger 31,16), sarà raso al suolo come bosco (Ger 21,14; 22,7). In ugual modo si esprimono Amos (Am 2,5), Osea (Os 8,14) ed Ezechiele (Ez 15,7; 16,41; 24,942). Circa i nemici di Israele, Jahvè compie un giudizio “violento”, “bruciante”: contro gli Aramei (Am 1,4), Gaza e i Filistei (Am 1,7 8), Tiro e i Fenici (Am 1,10), la casa di Edom (Am 1,12), la casa di Rabbà (Am 1,14; Ger 49,2), quella di Moab (Am 2,2), il regno di Egitto (Ger 43,12), il regno di Assiria (Na 3,13.15), la casa di Damasco (Ger 49,27), la grande Babilonia (Ger 50,32; 51,32).
    L’intervento distruttore di Dio è descritto attraverso il fuoco con immagini suggestive di ineguagliabile forza: Is 30,27 33 (oracolo pronunciato nel contesto della guerra siro efraimita per l’invasione del re assiro Sennacherib). La descrizione antropomorfica mostra Jahvè come possente guerriero, che giunge da lontano con sdegno e ira ardente (v. 27), le labbra piene di collera, la sua lingua come fuoco divorante; la sua voce e il suo braccio fanno tremare tutta l’Assiria (v. 30 31); il suo soffio farà ardere come sacrificio ligneo i nemici, consumandoli nella cenere, come torrente di zolfo (v. 33).
    Sal 18,8-46. Jahvè giunge in soccorso all’orante attraverso una teofania ad altissima tensione; la sua irruzione nell’universo provoca un terremoto (v. 8); si scatena una collera di fuoco, quasi palpabile, con un’eruzione vulcanica dalle tinte mostruose (v. 9) cui segue l’ingresso del Pantocratore nel cosmo attraverso i cieli (vv. 10 13). Al simbolismo teofanico succede quello bellico in cui Jahvè vittorioso fuga il nemico (vv. 14 15), scongiurando la minaccia (v. 16) e trae in salvo il suo fedele (v. 17).
    Ez 1,4 28. Il fuoco è come l’involucro che “contiene” la presenza di Jahvè (v. 4; v. 27); la sua apparizione minacciosa di giudice è legata alla figura di un carro (trono) fiammeggiante (vv. 15 21), trainato da quattro esseri alati, con sembianze umane (vv. 10 12), da cui sprigionano fiamme e carboni ardenti (vv. 13-14); e una voce tonante riempie il firmamento (vv. 22 25), mentre il profeta crolla di fronte alla gloria di Jahvè (vv. 27 28). “Lo stretto legame tra immagini di condanna e teofania esprime l’idea che il fuoco non è una cieca forza della natura, ma uno strumento di punizione in mano al giudice divino”.

    Il fuoco simbolo del “giudizio escatologico”

    La categoria biblica del fuoco simboleggia l’intervento di Dio nel giudizio escatologico. Occorre sottolineare come nell’apparizione escatologica e nel conseguente giudizio finale del Signore l’accento non cade tanto sulle modalità dell’accadimento (fuoco e conflagrazione cosmica, trasformazione, ecc.), bensì sulla “forza teologica” di questo atto finale, che si collega a tre principali eventi: il giorno di Jahvè, l’annientamento dei nemici, la descrizione della punizione infernale.
    Il fuoco è segno premonitore del “giorno di Jahvè” (G1 3,3; M1 3,19). Si tratta di un tema importante per la letteratura biblica in quanto accompagna le vicende del popolo ebreo: il giorno del Signore come avvenimento di distruzione (presenza del fuoco), come avvenimento di speranza e di illuminazione, come definitivo giudizio che assicura il trionfo dei giusti e la fine dei peccatori.
    Il fuoco è visto come elemento escatologico di giudizio e di annientamento dei nemici (Dn 3,22ss.; 7,11; Is 66,15; Ez 38,22; 39,6; il maggior nemico ad essere distrutto è la “bestia”: Dn 7,11; Ap 19,20; si veda la relazione con il vitello d’oro: Es 32,20).
    Abbiamo, infine, la situazione di sofferenza dei perduti nel “fuoco infernale” (la pena finale: Is 34,9s.: zolfo pece fuoco; Is 66,24, Gdt 16,17: verme fuoco; Sir 21,9: inferi fuoco).
    Nella medesima scia si pongono le affermazioni di Gesù o sulla sua missione, riguardanti il fuoco: Giovanni il Battista (Mt 3,10.12; Lc 3,16), la Geenna (Mt 5,22), l’albero infruttifero (Mt 7,19), la parabola della zizzania (Mt 13,40s), lo scandalo (Mt 18,7 9; Mc 9,43), il sarmento senza vita (Gv 15,6), la pula (Mt 3,12; Lc 3,17), la vicenda di Sodoma e Gomorra (Lc 17,29). Le metafore impiegate designano prevalentemente un atto di giudizio e di annientamento da parte di Dio (valenza escatologica); ne è conferma l’atteggiamento di Giacomo e Giovanni, i figli del tuono (Mc 3,17) di fronte al villaggio samaritano (Lc 9,54). Il fuoco come strumento dell’intervento divino è presente soprattutto in due passi evangelici:
    Mc 9,48 49 (relazione verme fuoco sale); “... dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue. Ciascuno infatti sarà salato con fuoco”. Un’affermazione va intesa come enigma paradossale, legato al rapporto fuoco sale. Il fuoco è elemento distruttore mentre il sale è elemento per conservare purificare (concetti antitetici). Viene così designata paradossalmente la strategia divina di distruzione e salvezza (giudizio finale) di ogni singolo uomo.
    Lc 12,49 50 (relazione missionefuoco battesimo): “Sono venuto a portare fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso. C’è un battesimo che devo ricevere e come sono angosciato finché non sia compiuto”. È l’unico testo evangelico nel quale Gesù parla della sua missione adoperando la metafora del fuoco e del battesimo. La forma sintetica permette di comprendere l’aspetto sofferente della missione del Figlio: il battesimo allude alla tribolazione (battesimo di fuoco), e si riferisce alla passione e, come completamento dell’opera divina, al dono dello Spirito; mentre il fuoco è in correlazione al giudizio che metterà alla prova la qualità dell’opera umana. Nella persona di Gesù il giudizio si compie già al presente, nell’atto della sua missione terrena.
    I testi paolini sul fuoco sono inseriti nel contesto del giudizio (1 Cor 3,13 15: la tradizione patristica allude al purgatorio di fuoco), della relazione tra i cristiani (Rm 12,20) e della parusia (2 Ts 1,7s). La distruzione e la violenza sono ancora espressi nella letteratura del NTI Eb 11,34 (fuoco violenza); Es 12,29 (fuoco divoratore); Gc 3,5s (fuoco iniquità); Gc 5,3 e 2 Pt 3,7 (fuoco giudizio); 1 Pt 1,7 (fuoco prova purificazione); Gd vv. 7.23 (fuoco eterno).
    Soprattutto l’Apocalisse offre una completa lettura del concetto di fuoco, attraverso immagini straordinarie: fuoco e zolfo (per indicare la dannazione eterna): Ap 14,10; lago (stagno) sulfureo di fuoco (per indicare l’inferno l’abisso): Ap 19,20; 20,10.14.15; 21,8); turibolo infuocato (per indicare la distruzione) Ap 8,5; corazza di fuoco (per indicare l’invulnerabilità dei cavalieri distruttori): Ap 9,17s.; la bestia nel fuoco (per indicare la sconfitta del male personificato): Ap 18,8; 19,20.
    Da quanto è emerso si comprende bene come la categoria del fuoco caratterizzi le immagini e le simbologie bibliche, specie quelle del giudizio e della punizione, e questo ampio uso ha avuto una ricaduta notevole sulla comunicazione pastorale e sulla simbolica religiosa (si pensi ad esempio, all’uso di questa categoria nell’omiletica e nella catechesi del passato).

    Il fuoco come “manifestazione di Dio e rinnovamento dell’uomo”

    Un secondo versante legato al simbolismo del fuoco riguarda l’intervento positivo di Dio, che si manifesta nella gloria luminosa delle teofanie e rinnova il popolo nella celebrazione dell’alleanza. Tale rinnovamento è operato da Dio stesso nel cammino dell’AT e in modo pieno con Gesù e la Chiesa, quando nella missione del Figlio Dio rivela e offre la salvezza formando il nuovo popolo vivificato nello Spirito Santo.

    L’intervento di Dio: le teofanie

    Di frequente l’epifania divina viene preceduta e accompagnata dalla presenza del fuoco in due forme: nella volontà di agire e “comunicare” con i singoli protagonisti del popolo e nell’accettare un’offerta o un sacrificio gradito. Jahvè si serve di questo elemento naturale (mediazione) per “manifestare” la sua gloria (kabod), indicare la sua presenza (shekinah), rinnovare l’alleanza (berit), confermare la santità (qadosh). Infatti “... nell’AT il fuoco è visto in modo del tutto teocentrico quale forma descrittiva della misteriosa, inavvicinabile, terribile e beatificante gloria di Jahvè nel processo rivelativo e quale strumento e immagine costante del suo atteggiamento di giudice” (F. Lang). L’apparizione di Dio fa riferimento alle tradizioni dell’Esodo e del Deuteronomio e si impernia sulle emblematiche figure di Mosè e del monte Horeb: dalla vocazione missione del profeta (Es 3,2: contemplazione di un roveto che arde senza consumarsi) all’intervento contro il paese egiziano (Es 9,23s: la grandine e i fulmini); dalla protezione del popolo nella fuga (Es 13,21s; 14,24: la colonna di fuoco) al dono della legge sinaitica (Es 19,18; 24,17: Jahvè è presente nel monte infuocato: la torah come il fuoco di Jahvè).
    L’intero itinerario di salvezza e di conquista della terra è stato contrassegnato dalla manifestazione di Jahvè sotto forma di fuoco: Jahvè è guida luminosa nella notte (Es 40,38; Dt 1,33); è colui che, rivelandosi nel fuoco, ha offerto alleanza e vita al popolo (Dt 4,11.12.15.24.33.36); è l’unico Dio che ha parlato faccia a faccia (Nm 14,14; Dt 5,4.5.22 26). Jahvè si definisce un Dio geloso (Dt 4,24) perché la sua manifestazione è un dono gratuito, efficace, come luce e fuoco, che produce il rinnovamento per eccesso di amore; un amore unico (hesed), bruciante, tanto che “ la luce di Israele diventerà un fuoco, il suo santuario una fiamma” (Is 10,17).

    La risposta dell’uomo: i sacrifici di alleanza

    Segno della grazia divina, l’intervento del fuoco “dal cielo” (rivelatore e consumatore) manifesta il compiacimento di Jahvè nei riguardi dei personaggi biblici, attraverso il gradimento dei sacrifici e olocausti (contesto liturgico-cultuale): l’offerta di Abele e di Caino (Gn 4,3-5: interpretazione cultuale); l’alleanza con Abramo (Gn 15,17; 22,6.7); con Mosè e Aronne (Lv 9,24); l’angelo del Signore e Gedeone (Gdc 6,21); la prova di Elia (Me 18,38); il sacrificio di Davide (1 Cr 21,26); la dedicazione del tempio di Salomone (2 Cr 7,1); il sacrificio di Neemia (2 Mac 1,18 22). Nella consumazione della vittima sacrificale, per mezzo del fuoco che sale verso il cielo, viene espressa da parte dell’uomo la lode nei riguardi di Dio Creatore e insieme il desiderio di purificazione e di espiazione totale. Il fuoco nella sua valenza simbolica è segno rivelatore e rinnovatore, rivelatore della maestà divina, rinnovatore della miseria umana.
    Nel giudaismo ellenistico si riassumono tre funzioni fondamentali che assume il fuoco: illuminare, bruciare, riscaldare. Accanto all’aspetto di distruzione e di angoscia, il fuoco è ritenuto e stimato come strumento di progresso e bene di civiltà (si pensi alla concezione di esso nella mitologia greca). Nella letteratura misrashica il fuoco è ritenuto uno dei tre elementi preesistenti: “Tre cose create precedettero la formazione dell’universo: acqua, vento, fuoco. L’acqua concepì e partorì l’oscurità; il fuoco concepì e partorì la luce; il vento concepì e partorì la sapienza” (A. Cohen (ed.), Il Talmud, Bari 1935, 65).
    È innegabile che il fuoco assurga ad una funzione intermediaria sia per la forma della teofania che per la consuetudine dei sacrifici cultuali. In tal modo esso rappresenta una forma di mediazione, di comunicazione tra la domanda dell’uomo e la risposta di Dio. In qualche caso il suo “entrare nel mondo” viene finalizzato al “rapimento estatico” per l’accoglienza di uomini nel cielo (cf 2 Re 2,11). Senza dubbio la sua utilizzazione simbolica tocca il vertice espressivo nell’accostamento del fuoco allo Spirito e alla sua azione trasformante.

    Il fuoco e lo Spirito

    La potenza di Jahvè, espressa nel simbolo del fuoco, è soprattutto applicata all’identità “personale” dello Spirito di Dio, datore di vita e rinnovatore del cosmo. Lo Spirito è il protagonista dell’azione e della rivelazione di Jahvè nel mondo, secondo tre linee: linea messianica della salvezza, linea della profezia (annuncio della Parola e testimonianza), linea del culto e del servizio. In modo tutto particolare il rapporto fuoco-Spirito viene proposto nel NT come segno di rivelazione del Padre e di rinnovamento dei credenti. Due testi in particolare mettono in risalto la relazione tra fuoco e Spirito Santo: l’annuncio del Battista (Mt 3,11 e p.) e l’evento della Pentecoste (Lc 2,1-13), l’uno posto all’inizio del ministero pubblico del Cristo e l’altro posto all’inizio del ministero pubblico della Chiesa.
    Mt 3,11 (cf Lc 3,17): “Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco”. Giovanni il Battista annuncia la rivelazione del Messia attraverso l’immagine del battesimo “in Spirito Santo e fuoco”. La presenza del fuoco mette in relazione il battesimo di Gesù con la successiva venuta dello Spirito sulla comunità del giorno di Pentecoste (cf At 2,2; pneuma significa vento soffio). Oltre al riconosciuto valore escatologico di tale affermazione (Mt 3,12: “fuoco inestinguibile”; cf Lc 3,17), è possibile scorgere una connessione con la realizzazione dell’era messianica preannunciata dai profeti (Gl 3,3; At 1,5; 2,16 21) per cui il testo di Mt 3,11, nella rilettura post pasquale, assume valore prolettico, collegato al compimento della missione di Gesù, con il dono dello Spirito (At 2,1-13). “Poiché nella tradizione cristiana sia il fuoco che il vento sono simboli dello Spirito Santo, la predizione di Giovanni di un battesimo devastante con il vento e con il fuoco poteva perciò facilmente essere trasformata nella tradizione della Chiesa in una predizione di un battesimo rigeneratore con lo Spirito Santo che era effettivamente sperimentato in ogni conversione” (L. Sabourin).
    Secondo At 2,1 13 l’evento straordinario del dono dello Spirito, quale definitivo “battesimo” (alleanza nuova) del nuovo popolo di Dio, si completa nel giorno di Pentecoste. Sussiste una mirabile relazione tra lo Spirito donato e il fuoco (v. 2), rivelatore del contesto teofanico e della potenza divina. La pericope della Pentecoste, configurata nell’ambito della teologia lucana, permette di puntualizzare la triplice dimensione dello Spirito fuoco di amore:
    – lo Spirito-amore illumina la Chiesa rendendola consapevole del progetto salvifico e della propria identità di comunità di salvati (At 11,16);
    – lo Spirito-amore brucia ogni sospetto e timore, purificando come in un lavacro di rigenerazione l’intera comunità, nascosta nel segreto del cenacolo e rendendo liberi i discepoli di proclamare il Vangelo (At 1,5 8);
    – lo Spirito-amore riscalda il cuore e la vita di ciascun credente, ormai proteso verso il raggiungimento della pienezza di vita e della maturità ecclesiale (At 2,42 48).
    Questa ulteriore determinazione che abbiamo evidenziato nell’uso della categoria del fuoco come “manifestazione e rinnovamento” conferma la rilevanza teologica ed espressiva della potenza di Dio che opera nella storia della salvezza, mediante la forza dello Spirito.
    In definitiva, dalla concezione magico-rituale delle antiche rappresentazioni religiose del mondo pagano, l’impiego della categoria biblica del “fuoco” costituisce motivo di ricerca e spiritualità. Non stupisce quindi che intorno a questo misterioso e straordinario elemento naturale si sia creato un ricco simbolismo, con alcune importanti evidenze per la comunicazione pastorale. Nel suo vario impiego, lo troviamo:
    – per esprimere la stessa presenza della divinità, invisibile ma forte, incontrollabile, purificatrice, punitrice;
    – per simboleggiare il calore familiare, la fiamma che crepita nel camino, illumina la via, caccia il freddo nelle notti invernali, dà gioia e sensazione di benessere;
    – come il centro espressivo di una festa (i falò che in qualche modo esprimono gioia festosa e amore).
    Sia nell’Antico Testamento che nel Nuovo Testamento si incontrano diverse immagini nelle quali Dio viene simboleggiato attraverso il fuoco:
    – il fuoco serve ad esprimere in qualche modo la perenne attesa del mistero luminoso di Dio che è impossibile esprimere pienamente: la presenza misteriosa di Dio stesso nella storia umana. in questo modo va inteso l’incontro di Abramo con Jahvè (Gn 15);
    – la vicinanza di Dio si fa particolarmente sentire durante i sacrifici. L’episodio famoso legato alla figura di Elia profeta è la sfida con i sacerdoti del dio Baal sul monte Carmelo (1 Re 18,38);
    – l’immagine del fuoco è usata per designare il giudizio di Dio, già fin d’ora, ma soprattutto nell’ultimo giorno, il giorno del Signore (Dn 7, 10). Anche nel Nuovo Testamento il fuoco sarà espressione del castigo escatologico (Mt 5,22: il fuoco della geenna, la fornace; Mt 13,30.42: il fuoco dell’inferno);
    – il fuoco autentico comunicato da Gesù all’umanità è il suo Spirito Santo. Infatti nel giorno di Pentecoste lo Spirito Santo discende sulla prima comunità in “lingue di fuoco” e la trasforma totalmente. Così Paolo utilizza la simbologia del fuoco, mettendo in connessione fuoco e Spirito: se il fuoco “scolpì” la prima legge nelle tavole di Mosè, ora è lo Spirito Santo ad imprimere la legge di Cristo nel cuore dei cristiani (2 Cor 3,3).

    Nuclei tematici e prospettive per il mondo dei giovani

    Il nostro percorso biblico-teologico in rapporto alla categoria del fuoco nella Bibbia ha messo in luce alcuni nuclei tematici che sono traducibili nel contesto dell’esistenza dei credenti e sono rilevanti per la forte attualità che si ritrova nella dimensione giovanile del vivere cristiano.

    - In rapporto al primo aspetto, che considera il fuoco come “elemento di distruzione e giudizio”, possiamo evidenziare i seguenti nuclei tematici.
    * Il fuoco è il segno della prova di crescita e di maturità del singolo e della comunità, indispensabile dimensione per la verifica del cammino di fede (pedagogia divina). Non è possibile maturare nella vita dei credenti senza una verifica radicale e l’annullamento dei fenomeni alienanti che insidiano le scelte cristiane (capacità di lotta contro il male e il disordine esistenziale). Nella comunicazione del mondo giovanile sempre di più si coglie il valore ed insieme il bisogno della prova della propria fedeltà e genuinità esistenziale. In questo senso il simbolismo del fuoco si pone in sintonia con la dimensione agonica dell’esistenza giovanile e della sua ricerca.
    * Il fuoco è il segno della purificazione dall’alto e si proietta verso l’alto (il cielo). Si vuole indicare con questo un autentico cammino di conversione e di confermazione della propria opzione di fede, sia a livello personale che comunitario. Nondimeno tale radicalismo evangelico non è risultante dall’azione dell’uomo, bensì attende e domanda il necessario intervento di Dio, nel suo Santo Spirito.
    * Il fuoco è il segno del giudizio inappellabile al cospetto del Padre (pena escatologica). Ogni “punizione” deve essere letta come indicante una volontà salvifica e misericordiosa, come la “liberazione” di un progetto che altrimenti rischierebbe di essere annullato dal peccato e dalla morte. Viene così definita la meta del cammino cristiano, la felicità definitiva. Temere Dio e il suo giudizio indica un atteggiamento di fiducia filiale e di operosa conformità al piano della salvezza e, di contro, esclude ogni paura infantile e ogni forma di alienazione o costrizione.

    - In rapporto al secondo aspetto, che considera il fuoco come “elemento di manifestazione e di rinnovamento”, possiamo evidenziare ulteriori nuclei tematici.
    * Il simbolismo del fuoco come elemento illuminante implica il tema della visione, della contemplazione del volto di Dio. Nell’ambito dell’itinerario biblico l’icona che meglio esprime questa dimensione contemplativa è riassunta nella vicenda personale e comunitaria di Mosè. In modo particolare l’incontro con il fuoco accade in tre momenti centrali della sua missione: la vocazione (roveto ardente), la liberazione (colonna di fuoco) e la teofania del Sinai (l’alleanza e il dono della legge). La categoria del fuoco appare particolarmente adatta per veicolare l’esperienza contemplativa, il passaggio dalla “notte oscura” alla luminosità del volto di Cristo. La ricerca del “volto” esprime il bisogno di autenticità che si avverte soprattutto nell’universo giovanile. Essere se stessi e mettersi alla ricerca di Dio, il quale si rivela la nostro cuore come “fuoco ardente”, è una meta da proporre a quanti pongono la domanda progettuale sul loro presente e futuro.
    * Un ulteriore simbolismo è costituito dalla relazione tra fuoco e “amore”, mediante il dono dello Spirito di Dio. Questa caratteristica “spirituale” propria della valenza del fuoco, come è emersa nell’analisi biblica, appare particolarmente adatta ad esprimere il mondo interiore dei giovani e la loro passione per la vita. Così dall’atto della creazione del mondo (il fuoco è considerato elemento primordiale) a quello del compimento finale della storia (parusia), lo Spirito “fuoco di amore” pervade l’intero universo, continuamente crea e trasforma la nostra vita.
    * Un’ultima applicazione è costituita dalla relazione tra fuoco e interiorità. Nell’intreccio delle immagini bibliche e dei sentimenti umani elaborati attraverso la preghiera, le narrazioni, i discorsi e le esperienze della Scrittura, emerge uno stretto legame tra il simbolismo del fuoco e la spiritualità del credente. La categoria del fuoco si innesta nella ricerca di un incontro trasformante che segna oggi soprattutto il percorso del mondo giovanile nella sua complessità. Evitando di impiegare l’immagine del fuoco nell’unica prospettiva moraleggiante ed escatologica, la ricchezza dell’itinerario proposto suggerisce come prospettiva pastorale e spirituale un rinnovamento interiore che nasce dall’incontro trasformante dell’uomo con Dio.

    Conclusione

    Abbiamo seguito questo indirizzo di ricerca, valorizzando la categoria biblica del fuoco e delle sue relazioni simboliche. L’adozione di questo tema stimola ad un maggiore approfondimento dei testi biblici, contestualizzati nella prospettiva della cultura e della realtà giovanile. L’impiego della nostra categoria interseca diversi ambiti dell’iniziazione cristiana: l’incontro con il Dio delle teofanie, l’esperienza dello Spirito, l’interiorizzazione del messaggio cristiano in tutta la sua forza trasformante, il rinnovamento che emerge dal simbolismo del fuoco “distruttore” e “luminoso”. In modo particolare il fuoco dice relazione con la novità dell’Amore di Dio, effuso nei nostri cuori. È questa la forza che guida i nostri passi nell’approssimarsi del Regno! L’esperienza pasquale dei discepoli di Emmaus si ripete ancora nel quotidiano incontro con Dio, il quale si fa “compagno” nel cammino e fa “ardere il cuore“ di ciascun credente per una rinnovata speranza nella vita e nel compimento della felicità promessa.


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