Per una rilettura nel contesto della pastorale giovanile
Giuseppe Di Virgilio
(NPG 2003-08-62)
La categoria del tempo è uno di quei temi segnati dalla matrice biblica, che pervade la cultura e la prassi del mondo occidentale. La riflessione intorno alla categoria biblica del tempo, visti gli sviluppi filosofici e socio-religiosi di questi ultimi decenni, risulta di estremo interesse sul versante dell’analisi e della elaborazione pastorale. È noto che la definizione di questo concetto è parsa sempre problematica nella storia del pensiero umano; rimane eloquente l’espressione agostiniana circa il tentativo di spiegare cosa sia il tempo: “... se nessuno me lo chiede so cos’è, se cerco di spiegarlo, non lo so più...” (cf Confessioni, XI, 14). Nondimeno l’interesse e la prospettiva della nostra riflessione non si rivolge al contesto della sociologia religiosa (relazione tempo-mito), né all’ambito filosofico (relazione tempo-essere) o scientifico (relazione tempo-materia), bensì intende rispondere alla domanda sul valore del tempo per il credente di oggi alla luce della rivelazione biblica. Occorre chiedersi in che termini sta la relazione tra tempo e cammino dell’uomo verso la felicità; in che modo questa categoria profondamente biblica comporta una pienezza di valori umani e religiosi, che si traducono in “storia di liberazione” (esodo) del singolo e dell’intera comunità dei credenti (contesto antropologico e teologico). Trattando del nostro tema, E. Kaestner ha rilevato: “Ci sono due tipi di tempo. Uno può essere misurato col braccio, la bussola e il sestante. È quello che serve a misurare strade e terreni. L’altro modo di contare il tempo, la nostra memoria, non sa cosa farsene del metro e del mese, dei lustri e degli ettari. Ciò che si è dimenticato è vecchio. Le cose indimenticabili sono appena accadute. Il metro in questo caso non è l’orologio, ma il valore”.
– La categoria della temporalità e la sua matrice biblica intersecano le diverse dimensioni della convivenza umana, in modo particolare intercettano, non senza inquietudine, la situazione giovanile tra incertezze e speranze. La domanda che nasce dalla ricerca del “senso del proprio tempo” penetra nell’orizzonte valoriale della concezione del vivere quotidiano, entra nelle relazioni interpersonali e soprattutto tocca la dimensione presenziale e progettuale del modello di vita contemporaneo. Le comunità cristiane, così strutturate come appaiono le nostre realtà ecclesiali, non possono non essere consapevoli della responsabilità della comprensione e del significato del valore del tempo, inteso come “tempo redento”. La tradizione biblica, fin dal suo esordio, segnala una differenza qualitativa relativa al tempo nell’opera creatrice di Dio. Secondo la prospettiva “lineare” della temporalità biblica, il valore positivo, salvifico che è “dentro” il tempo per opera di Dio, va colto nella capacità di saper “contare” il suo scorrere (Sal 89,12), tra lavoro e riposo, azione e contemplazione, parola e silenzio, dolore e gioia, morte e vita (cf Qo 3,1-9). Nel contesto della nostra società, in cui sembra che il tempo non basti mai e che tiranneggi e condizioni il vivere umano, il credente deve poter assumere tale consapevolezza di valore: il tempo è dono privilegiato, gratuito e liberante del Padre misericordioso e provvidente consegnato per noi.
– Ciascuno è chiamato a rileggere il tempo come evento che si compie nell’“oggi della salvezza” (cf Lc 4,21), da cui ha inizio l’esperienza fondamentale della fede e della Chiesa. Occorre passare da una concezione utilitaristica del tempo (cultura del consumo) ad una concezione “provvidenziale” (cultura della gratuità). Si chiede al cristiano un atteggiamento critico nei confronti dei fenomeni del tempo, della loro valutazione e del loro uso, con un atteggiamento di speranza e di fede nel Dio, Signore del tempo e della storia. Il tentativo di “comprimere” il tempo per “conquistare lo spazio” emerge soprattutto dalla permanente situazione di disagio del mondo giovanile, che si sente privato del “suo tempo” ed insieme giudicato da esso. Il nostro percorso cercherà di fare emergere le istanze principali della categoria del tempo presenti nella tradizione biblica, colta secondo la prospettiva veterotestamentaria come “tempo di preparazione” e interpretata nella linea neotestamentaria, come “tempo di compimento”. Dopo una panoramica riguardante la terminologia e le concezioni relative al tempo, seguiremo il percorso tematico-progressivo soffermandoci su alcune tappe principali che caratterizzano il nostro tema, i cui contenuti saranno rielaborati secondo una prospettiva esistenziale e segnatamente rivolta al mondo giovanile e al suo contesto.
Aspetti del lessico biblico del “tempo”
– Prendendo in considerazione la terminologia biblica relativa al tempo, occorre notare come i termini che alludono al nostro tema vanno intesi in se stessi prevalentemente nella linea della “misurazione” cronologica, secondo l’immagine spaziale del “tagliare” (in greco témnein, da cui sembra derivare il termine latino tempus), per cui di per sé il tempo è la sua stessa suddivisione misurata, la sua “scansione” (G.L. Prato). A designare il tempo biblico come “scansione”, concorre un’ampia gamma di parole e verbi con relativi significati. Sinteticamente ricordiamo i termini che designano la categoria temporale, avendo presente le difficoltà metodologiche della concettualizzazione del tempo e della sua traslazione: in ebraico segnaliamo soprattutto ‘et (= il tempo misurato), ‘olam (= il tempo nella sua durata) con i corrispettivi sostantivi greci kairos, chronos, aiōn. Da questi termini di riferimento si irradiano ulteriori sostantivi, aggettivi, avverbi e preposizioni indicanti il tempo e il suo valore nelle diverse considerazioni ed espressioni: storia, storicità, corso, epoca, era, periodo, durata, secolo, anno, mese, settimana, giorno, ora, momento, attimo, festività, principio, fine, presente, passato, futuro, eterno, oggi, adesso, sempre, subito, prima, durante, dopo, mai.
Il termine ‘et designa propriamente il tempo cronologico, la durata misurabile di un periodo ed è frequentemente accompagnato da preposizioni indicanti varie espressioni temporali; ‘olam fa riferimento ad un concetto meno misurabile, ad un tempo remoto o eterno, che non segna il mero passare delle realtà bensì ne determina gli accadimenti specificandone la natura (tempo = evento, medesimo processo semantico accade per la parola jôm = giorno).
– Tale ambivalenza si riscontra anche nei termini greci seppure con maggiore ricchezza espressiva: kairos designa il tempo nella sua puntualità, la giusta misura, il momento opportunamente adatto al singolo per realizzare un progetto, un evento (equivalente ad ora); chronos è il tempo cronologico, misurabile, che indica il periodo, segna gli intervalli, traccia una parabola tra l’inizio e la fine di un avvenimento storico; aiōn significa “eone”, un lasso di tempo ben preciso, determinato, con una identità da decifrare e realizzare progettualmente, che deve essere vissuto per divenire tale. I rispettivi significati dei termini assumono diverse connotazioni diverse e qualificative in dipendenza dei contesti biblici impiegati; per tale ragione la classificazione semantica della nostra categoria si caratterizza per la sua astrazione e dilatabilità.
– Nondimeno è possibile intravedere una bivalenza del concetto di tempo che indica la differenza tra concezione che potremmo designare come “profana” e “sacra”: da una parte un’idea ciclica del fluire della storia e della temporalità contrassegnata dalla ripetitività e dalla misurazione degli avvenimenti, dall’altra l’idea lineare e progressiva che infrange le categorie spazio-temporali per convergere verso un punto finale e risolutivo. Di conseguenza anche le stesse interpretazioni religiose e concezioni sistemiche del tempo sono state diversificate secondo queste due fondamentali tipizzazioni.
– Le interpretazioni profane del tempo si accomunano per una concezione di eterno ritorno, caratteristica del costrutto mentale umano: le antiche cosmogonie (Mesopotamia, Hittiti, Egizi, Assiri, Babilonesi, Greci, Latini), la nirvana che sublima le forze dell’uomo (religioni orientali), le correnti gnostiche, le concezioni tecniche, le società capitalistiche, consumistiche, collettiviste, una variegata e vasta gamma di correnti filosofiche contemporanee (dallo storicismo al debolismo). “In genere queste concezioni religiose, ma pseudo-sacre, con la categoria tempo potenziano il tremendum, il sopra-umano, l’inafferrabile e lasciano l’uomo nell’attonita aspettativa di qualcosa che lo schiaccia o momentaneamente lo aiuta a trascendere un presente insopportabile in nome di una speranza umana...” (A. M. Triacca).
– Le interpretazioni sacre, nelle quali si colloca l’ebraismo e il cristianesimo, intendono il tempo come “lo spazio in cui accade il mistero” (relazione tempo-tempio), una progressione e uno sviluppo che procede secondo un progetto e attende un compimento dall’alto, non pensabile umanamente né circoscrivibile, bensì rivelato e pre-pensato da un Altro che è fuori del tempo misurabile. Alla luce di queste sintetiche indicazioni proposte, percorriamo le principali tappe che caratterizzano la concezione del tempo nella Bibbia, seguendo la distinzione classica dell’Antico Testamento come “tempo di preparazione” e del Nuovo Testamento come “tempo di compimento”.
L’Antico Testamento: tempo della preparazione
L’esperienza temporale umana si riflette nella concezione dell’Antico Testamento in cui si sovrappongono due piani: il tempo “cosmico” che comprende i cicli della natura e si distingue per la sua immanente ciclicità (la misurazione del tempo, il sistema del calendario, i cicli lunari, le festività, la struttura settimanale, il sabato, ecc.) e il tempo “storico” che si svolge nel fluire degli avvenimenti e protende verso un fine.
Il tempo cosmico
L’ordine della creazione (kosmos) obbedisce alle leggi di Dio secondo una interna intelligenza, progettualmente posta fin dall’inizio: l’avvicendarsi del giorno e della notte (Gn 1,5), il movimento degli astri (Gn 1,14), il fluire delle stagioni (Gn 8,22), il computo delle settimane e dei mesi secondo le liturgie popolari (Es 12,2; 23,16; 34,22), il passare dei regni e dei governanti (Mi 1,1; Is 1,1), le liste genealogiche e le generazioni (Gn 5; 10; 25,1-18), le calamità naturali (Am 1,1) e politiche (Gr 1,2; Ez 1,1-3; Dn 1,1-2). Il tempo cosmico riflette presso le antiche religioni un carattere sacro e mitico. Anche nel popolo dell’alleanza questa tendenza è presente, ma sotto forma di tentazione. I profeti denunciano apertamente la divinizzazione dei cicli della natura e l’adorazione dei simulacri umani: Es 32; Am 5,21-23; Os 2,13; Is 1,13-14. Rigettando la sacralità naturale, Israele celebra le gesta di Jahvé durante il corso dell’anno, riconoscendolo unico protagonista del cosmo e della storia: la pasqua annuale (Es 12), l’inizio del mese di Abib (azzimi) (Es 23,15; Dt 16,8), l’offerta dei primi doni (Dt 26,1; Lv 23,10), la festa delle settimane (Es 23,16; 34,22; Lv 23,16), la gratitudine per il raccolto della stagione (Dt 16,13). Dunque lo spazio temporale dell’uomo e del cosmo è scandito dai ritmi della natura, creata da Jahvé. Non tutti gli spazi indicati sono intesi con uguale importanza nella Bibbia. Tra le dimensioni più consistenti del tempo collegato al volgersi cosmico, evidenziamo: la scansione dell’anno, spazio in cui Israele celebra la “novità” progressiva del suo commino e inquadra il proprio calendario liturgico, con le sue soste stagionali davanti al Signore (cf Es 34,23ss.; Dt 15,1-11; 16,1-17; Lv 23,4-43); il mese e la settimana (cf Nm 28,11-15; Lv 23,6-8); il giorno, misura di tempo molto ricorrente nei testi biblici, che comprende il periodo della luce (dall’alba al tramonto) e delle tenebre (dalla sera alla mattina) e secondo la tradizione biblica l’inizio della giornata è fissato alla sera precedente; l’ora, che è la ripartizione più piccola del tempo astronomico ebraico e porta in sé l’idea della puntualità dell’azione (cf Es 9,18; Gs 11,6; Re 19,2). In definitiva il tempo cosmico, misurato e scandito dai ritmi del calendario ebraico, viene interpretato in una prospettiva sacrale e costituisce un primo fondamentale motivo che consente alla comunità eletta di interpretare tutta l’opera della creazione come “cosa buona” (tōb).
Il tempo storico
– Accanto ad una concezione cosmica del tempo nasce una ulteriore riflessione teologico-esistenziale sul tempo e sulla storia, a partire dall’evento dell’esodo. Tale riflessione tende a rileggere gli avvenimenti del popolo itinerante come risultanti non di una legge naturale, bensì dal progetto che Jahvé ha manifestato alla comunità di Israele attraverso la storia della sua liberazione. Dunque il tempo biblico è “tempo del popolo” (P. De Benedetti) e le tappe di questa temporalità sono ben evidenziate nell’autorivelazione di Jahvé-liberatore: “Io sono il Signore. Vi sottrarrò ai gravami degli Egiziani, vi libererò dalla loro schiavitù e vi libererò con braccio teso e con grandi castighi. Io vi prenderò come mio popolo e diventerò il vostro Dio. Voi saprete che io sono il Signore, il vostro Dio, che vi sottrarrà ai gravami degli Egiziani. Vi farò entrare nel paese che ho giurato a mano alzata di dare ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe, e ve lo darò in possesso: io sono il Signore!” (Es 6,6-7). La promessa futura è scandita da quattro verbi-chiave, che corrispondono ai quattro momenti centrali della storia del popolo ebraico: l’uscita dalla schiavitù, la liberazione, la redenzione, l’elezione. In questa linea si colloca la promessa della terra (Es 6,8), che rappresenta l’intersezione tra il tempo e lo spazio, secondo cui è il tempo a dare senso allo spazio. La terra promessa ad Israele ha un significato profondo in relazione al tempo della liberazione, perché è un luogo a cui si “arriva” vivendo l’obbedienza al tempo fissato da Jahvé (il verbo “arrivare” è riferito innanzitutto al “tempo”, più che allo “spazio”).
– Dunque, la concezione biblica del tempo per gli ebrei unisce insieme la concezione cosmica (creazione) e quella storica (esodo). Per questo l’uomo biblico vive e celebra l’esperienza del tempo secondo una doppia disposizione: la memoria (o ricordo) rivolta al passato e l’attesa (o la speranza) verso il futuro. Il passaggio dalla memoria all’attesa è costituito dall’oggi, espressione molto cara al Deuteronomio (cf Dt 4,20; 6,6), che invita la comunità eletta a rivivere il cammino della liberazione con un rinnovato impegno verso Dio e i suoi comandamenti. Ricordare e sperare implicano l’impegno di fedeltà verso Jahvé nell’oggi delle responsabilità e delle scelte dell’uomo. Delle tre modalità temporali – passato, presente e futuro – solo il presente è affidato alle possibilità dell’uomo. È attraverso il tempo presente che l’israelita può entrare nelle promesse di Dio. Dunque il tempo presente costituisce il “sacramento”, il segno efficace per partecipare all’opera di Dio nella storia. In questa linea si muovono anche i profeti, che ammoniscono il popolo invitandolo a “riconoscere” i tempi di Dio. È proprio il movimento profetico che estende il senso della storia della salvezza secondo una prospettiva universale, mediante gli oracoli sui popoli (cf Am 1-2; Is 13-23; Ger 46-51; Ez 25-33).
– La riflessione sapienziale tematizza la dimensione del tempo con diverse sfumature. In Qo 3,1-15 si fonde l’aspetto cosmico con quello storico, applicato soprattutto alla possibilità data all’uomo di cogliere il senso della sua storia esistenziale alla luce dell’ordine divino: “Ogni cosa ha il suo tempo, per ogni cosa c’è il suo momento...”. L’esistenza dell’uomo è un misterioso procedere verso un futuro ignaro e Qohelet medita questo irreversibile processo in cui il singolo è immerso ineluttabilmente in ogni sua attività terrena. Ma sta proprio qui la differenza apportata dalla rivelazione biblica: il tempo rivela la presenza operante di Dio nella storia del popolo, una storia che volge verso un compimento che l’uomo non potrà raggiungere se non entra nell’eredità di Dio. Nel Sal 90,10-12 l’orante chiede a Jahvé di “insegnare a contare i giorni” (lo stesso verbo significa contare e “raccontare”), mediante la preghiera e la lode a Dio, per ottenere la “sapienza del cuore”. È Jahvé stesso che fa del tempo il “luogo” della sua “santità” nella storia. “Dio si manifesta effettivamente mediante la storia sacra; gli eventi di cui questa è intessuta sono i suoi atti in terra. Perciò il tempo in cui questi eventi si inscrivono ha di per sé un valore sacro: non già in quanto ripete il tempo primordiale nel quale Dio ha creato il mondo una volta per sempre, ma in quanto apporta del nuovo, a mano a mano che le tappe del disegno di Dio si succedono, e ciascuna ha il suo significato particolare” (M. Join Lambert – P. Grelot).
La fine del tempo
Il tempo possiede un inizio e conseguentemente una fine, data la originaria perdita di perfezione (Gn 3) in cui l’uomo degli inizi era stato costituito (Gn 2). “Da allora la storia è travagliata da due movimenti contrari. Da una parte si nota lo sviluppo progressivo del male, una decadenza spirituale che chiama infallibilmente il giudizio di Dio [...] Ma dall’altra parte si nota pure un progresso verso il bene, che prepara infallibilmente la salvezza degli uomini” (M. Join Lambert – P. Grelot). Già nella preistoria biblica si ritrova l’intervento giudicante e rinnovante di Jahvé nella distruzione del diluvio e nella nuova generazione di Noè (Gn 6,5-9,17). Tuttavia nel prosieguo dell’itinerario storico il male nel mondo fa la sua ricomparsa e permane costantemente come elemento di schiavitù e di morte. Da questa realtà di miseria Jahvé pronuncia la promessa di liberazione e di salvezza: il tempo ha senso solo in ordine alla salvezza promessa, in vista della sua fine, del suo compimento. La relazione promessa-compimento appare costitutiva dell’esperienza della temporalità di Israele, soprattutto nei periodi di maggiore crisi politico-religiosa. Dio porta a compimento tutte le sue promesse. Concludendo la conferma dell’alleanza a Sichem, Giosuè ricorda al popolo: “Riconoscete con tutto il cuore e con tutta l’anima che neppur una di tutte le buone promesse, che il Signore vostro Dio aveva fatto per voi, è caduta a vuoto; tutte sono giunte a compimento per voi” (Gs 23,14). Le progressive tappe del compimento delle promesse di Dio al popolo aprono all’idea che la “storia della salvezza” debba volgere necessariamente verso il suo termine e che si debba aspettare la “fine dei tempi”.
– Nascono così nell’ambito della letteratura biblica le immagini escatologiche riguardanti la fine dei tempi: il giorno di Jahvé minaccioso e terribile (Am 5,18; Is 2,12), l’ira di Dio (Sf 1,15-16; Na 1,2-8), la “fine dei giorni” (Is 2,2-4; Mi 4,1-5), il “tempo ultimo” (Is 8,23); così come la promessa del rinnovamento: i nuovi tempi (Is 9,6), i nuovi cieli e la nuova terra (Is 65,17), il tempo della fine (Dn 9,2; 11,40). L’annunzio della fine dei tempi si distingue totalmente dalle speculazioni escatologiche e da elucubrazioni numeriche. Quello che appare rilevante è l’idea messianica che Dio “provvederà” al compimento del tempo, mediante l’invio del suo “servo”. Alla luce delle considerazioni svolte appare chiaro come la prospettiva veterotestamentaria assume una valenza “preparatoria” in vista del “tempo nuovo” che sarà inaugurato con la venuta del Cristo. Mediante le tappe che hanno segnato l’itinerario salvifico dell’Antico Testamento viene annunciato profeticamente e viene preparato il compimento del “mistero nel tempo”.
Il Nuovo Testamento: tempo del compimento
– Scrivendo ai Galati, l’Apostolo Paolo esprime bene l’idea del compimento del tempo associandolo alla venuta del Cristo: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Gal 4,4-5). È essenziale comprendere come l’intera storia delle azioni di Dio converge verso il suo centro: la venuta del Messia, Gesù Cristo. “Ciò che conferisce un senso a tutti questi punti nel tempo non è la rete dei fattori storici che vi si incrociano, ma esclusivamente l’intenzione divina che li ha orientati verso Cristo, ‘sator temporum’, ‘plenitudo temporum’, alfa e omega, principio e fine (Ap 1,8; 21,26; 22,13)” (A. M. Triacca). Lo spazio temporale della vita terrena di Gesù è la chiave ermeneutica per comprendere il valore del tempo, ciò che il Padre ha inteso realizzare per entrare in comunione con l’uomo (Gv 1,1-18; Eb 1,1-4).
– Nel Nuovo Testamento tutto viene riferito a questo evento che si inarca nel tempo degli uomini: la nascita del Signore “nei giorni di Erode” (Mt 2,1), quando era “l’anno quindicesimo del regno di Tiberio Cesare” (Lc 3,1), essendo governatore Ponzio Pilato (1Tim 6,13), la sua crescita e maturazione (Lc 2,40.52), la predicazione dell’imminenza del Regno (Mc 1,15 e parr.), la coscienza della cruenta e necessaria missione salvifica (Mc 8,31; 9,31; 10,33 e parr.), il lamento di fronte alla Città Santa per non aver saputo riconoscere il “tempo della visita di Dio” (Lc 19,44), la necessità della predicazione quando il mondo è illuminato dalla luce della rivelazione (Gv 11,9-10), l’ora della glorificazione attraverso la prova tenebrosa (Gv 17,1) per giungere all’alba della Pasqua, “domenica senza ritorno”. “Nello svolgimento del disegno di Dio si è verificato un evento in funzione del quale tutto si definisce in termini di “prima” e di “dopo”: prima eravate senza Cristo, estranei alle alleanze della promessa (Ef 2,12); ora egli vi ha riconciliati nel suo corpo di carne (Col 1,22). Il tempo di Gesù non è quindi soltanto al centro della sua durata terrena; portando il tempo al suo compimento lo domina tutto intero” (M. Join Lambert – P. Grelot).
– L’evento pasquale getta una luce nuova sull’arco della storia umana ed insieme introduce una complessità all’interno del concetto di “fine del tempo”. Mentre la prospettiva veterotestamentaria riteneva che Dio avrebbe portato a compimento il suo disegno con il giudizio e la salvezza sulla terra, con la venuta di Gesù, che è in senso pieno e totale il compimento del progetto del Padre, il fine e la fine della storia sacra, tale evento decisivo, unico-irripetibile non ha “ancora” portato tutti i suoi frutti (“già e non ancora”). Con la conclusiva missione di Cristo si inaugurano i nuovi tempi, si dilata la comprensione della storia e del suo termine lasciando intravedere il regno futuro che si compirà nel “seno del Padre” (Gv 1,18). La missione di Cristo passa misteriosamente alla prima comunità cristiana, alla Chiesa, attraverso l’invio dello Spirito Consolatore (Mt 28,19s.; At 1,6). In questo “tempo della Chiesa”, lo Spirito vivifica l’evangelo in tutto il suo potere salvifico, producendo un mutamento dal tempo antico dell’ignoranza dei pagani (At 17,30), della legge mosaica e della sua ritualità (Gal 3,23; 4,8) al nuovo tempo dello Spirito (Gv 16,5-15; Rom 8,15ss) che genera nel “nuovo eone” (2Pt 3,13; Tt 2,12; 1Cor 7,29ss), senza distinzioni di religioni, razza, sesso, condizioni sociali e politiche (Gal 4,9; Col 3,11), l’uomo nuovo completamente rinnovato dalla grazia di Dio (2Cor 5,17; Gal 6,15; Ef 2,15), chiamato con un nome nuovo (Ap 2,17; 3,12).
– La riflessione sul senso teologico del tempo è proposta soprattutto nell’opera lucana. A partire dalla “teologia della storia” elaborata nel terzo vangelo, l’evangelista vede nel Cristo risorto il “centro del tempo” e prosegue la sua elaborazione presentando la vita della Chiesa guidata dallo Spirito di Pentecoste (At 2,1-11) lungo il cammino descritto negli Atti degli apostoli. I racconti contenuti in questo secondo volume di Luca evidenziano la pregnanza pasquale del “nuovo tempo”, la cui unità di misura è costituita dalla dinamica dell’evangelizzazione universale (At 1,8). Infatti l’importanza di questo tempo è spiegata dal fatto che mediante l’azione dello Spirito che opera nei credenti, si schiuda la possibilità e la necessità di annunciare a tutti la salvezza (2Cor 6,1). Essa è efficace nell’oggi della fede (Lc 9,5.9; 23,43) e spinge alla conversione e all’accoglienza della Parola di Dio (Eb 3,7-4,11). Così i racconti delle conversioni, i discorsi, i viaggi, le persecuzioni dei missionari costituiscono i tratti storico-narrativi che segnano il divenire della Chiesa “nel tempo”.
– Conoscere i tempi e i momenti della realizzazione di questo progetto spetta solo alla sapienza di Dio Padre (Mc 13,32 e parr.) e alla sua misericordiosa benevolenza verso tutti gli uomini. Quanto consta a noi è manifesto: la brevità di questo tempo presente (Rom 13,11s.; 1Cor 7,9) deve mettere ciascun credente in uno stato di provvisorietà e di esodo, senza previsione o calcolo umano (2Ts 2,1), nella speranza di condividere il mistero eternamente presente (Ap 1,8) nella Gerusalemme nuova e celeste (Ap 3,12; 21,2), allorquando il tempo della Chiesa con l’intero universo avranno fine (Ap 16,17), perché appaiano i cieli nuovi e la nuova terra (Ap 21,23).
– Nella professione di fede neotestamentaria il riferimento alla pasqua di Gesù è decisivo per comprendere il nuovo equilibrio della storia e lo spostamento di accento della speranza cristiana rispetto a quella ebraica. Mentre nell’Antico Testamento la speranza era orientata all’eone finale, Gesù sposta l’equilibrio della storia: il kairos definitivo è già pervenuto mediante l’annuncio del Regno e la pasqua (Mc 1,15; Ef 3,5). Perciò durante il tempo presente (che va verso la sua consumazione) è iniziato il tempo futuro. In questo “cammino verso la pienezza”, il cristiano è invitato a vivere con l’animo di colui che appartiene al tempo definitivo, pur rimanendo ancora nel mondo. In tal modo il Nuovo Testamento segna un dato rilevante per la concezione del tempo: esso è sacro perché è radicato nel mistero di Cristo-Tempo. “Il tempo per i cristiani trova non qualcosa, bensì Qualcuno che gli dona senso pieno: Cristo. Chi scandisce il tempo in ritmi giornalieri, ebdomadari, annuali, ecc. è Cristo. Per cui il tempo appartiene ai cristiani perchè esso è di Cristo” (M. Join Lambert – P. Grelot).
Prospettive per la riflessione nel contesto giovanile
Il percorso biblico-teologico fin qui compiuto ci aiuta ad entrare nella “cattedrale del tempo” e a prendere coscienza del suo significato profondo. Annota A. J. Heschel: “L’uomo non può sottrarsi al problema del tempo. Quanto più meditiamo tanto più constatiamo che non possiamo conquistare il tempo attraverso lo spazio. Possiamo dominare il tempo soltanto nel tempo. (...) Non dobbiamo dimenticare che non è la cosa che conferisce significato ad un momento: è il momento che conferisce significato alle cose” (A. J. Heschel, Il Sabato. Il suo significato per l’uomo moderno, Milano 1972, 11-12). Abbiamo constatato come la dimensione del tempo rappresenti una “categoria interpretativa” del mondo biblico con risvolti significativi per il contesto socio-religioso contemporaneo. In questa linea è possibile enucleare alcune valenze collegate con la categoria della temporalità e i suoi messaggi biblici, che intercettano le comunità cristiane e in modo particolare il mondo giovanile con le sue attese. Segnaliamo in forma sintetica cinque principali valenze, a cui si associano diversi motivi con sviluppi pastorali.
Valenza esistenziale
– In primo luogo il tempo è una condizione perché l’uomo possa scoprire se stesso e il mondo che lo circonda. Dentro il fluire del tempo si schiude l’autocoscienza umana e il bisogno di ricerca di identità, che interpella soprattutto l’interiorità e le speranze dei giovani. Questa prima valenza, che definiamo “esistenziale”, si collega alla concezione cosmica del tempo per via della comune condizione creaturale. Come per l’uomo biblico, il tempo indica anzitutto un rapporto con il cosmo e la sua armonia/disarmonia. La percezione della spazialità e della temporalità oggi è spesso vissuta in modo ambiguo, frammentato, artificiale e “virtuale”. Di fronte alla complessità crescente della comunicazione interpersonale giovanile, che stravolge spesso i canoni delle relazioni e i tempi del mondo della natura, si impone il bisogno di “riacquistare” il valore del tempo come opportunità per scoprire se stessi, tempo per amare la vita e scegliere nella libertà.
I racconti di creazione nella loro contestualizzazione didattico-sapienziale possono essere riletti nella prospettiva esistenziale, come memoria di identità dei singoli personaggi biblici e di gruppi tribali, la cui traccia va ricercata nelle liste genealogiche delle famiglie e dei clan. Così l’esperienza del tempo diventa esperienza del “nome”, e il fluire dei giorni e degli anni è contrassegnato dalle generazioni che si riconoscono nella linea familiare dei capostipiti (Gn 5; 10-11).
– Da dove nasce il tempo? La Scrittura ci offre un modello: il tempo nasce dal Dio che “parla” e parlando crea “mettendo ordine” e creando “si ritira” (B. Forte). La “differenziazione creatrice” (P. Gisel) operata da Dio, permette al cosmo e all’uomo di venire all’esistenza e di permanere nella contingenza della sua creaturalità. Dunque essere nel tempo implica la conoscenza della propria identità in rapporto al cosmo e alle creature. La scansione settimanale del creato, il passaggio dal giorno alla notte, la collocazione di Adamo nella “solitudine” dell’Eden (Gn 2,18-20), la “storia” dell’amicizia con Dio, la disobbedienza del peccato, la nuova condizione umana e le conseguenze ulteriori che questa determinerà, implicano l’assunzione della categoria della temporalità in tutto il suo realismo. Allo stesso modo l’esperienza umana è anzitutto percezione di una “storia esistenziale” nel tempo. Il messaggio è valido per l’oggi dei giovani: non sembrano rilevanti i tempi segnati da scadenze e da calendari, né le proiezioni ideali verso un futuro che appare sconosciuto e minaccioso, ma il “momento” della scoperta della propria identità e del proprio progetto appare costitutivo dell’essere nella storia.
Valenza misterica
– Se la creazione ha costituito l’inizio cosmico del tempo, è l’evento dell’esodo che riempie di senso il presente e soprattutto il futuro del popolo ebraico. Insieme alla creazione, l’esperienza della liberazione costituisce un ulteriore fondamento dell’identità di Israele in relazione con Dio e con il mondo. Infatti il tempo redento diventa “storia di salvezza”, il cui protagonista è Jahvé. La risposta che Dio riserva a Mosè nel roveto “Io sono colui che è” (Es 3,14) costituisce la rivelazione del nome divino avvenuta nel contesto della schiavitù egiziana, che sarà mutata in liberazione. A partire dalla tradizione dell’esodo Dio sarà conosciuto dal popolo come “colui che libera Israele” ed esercita la sua signoria sul tempo. La liberazione, il cammino nel deserto, la conclusione dell’alleanza, l’ingresso nella terra di Canaan, le alterne vicende che segnano la storia della monarchia, dell’esilio e del post-esilio, hanno come leit motiv la volontà salvifica di Jahvé e il compimento le promesse.
– Allo stesso modo nell’itinerario neotestamentario la presentazione di Gesù e della sua missione pubblica elude i calendari degli imperi politici e dei sistemi religiosi. L’incontro con Gesù non è sottoposto alla misurazione dei tempi, e la polemica sul valore del sabato rivela il diverso orientamento del Signore rispetto alla concezione legalistica dei suoi oppositori: egli è il “Signore del sabato” (Mt 12,8) ed obbedisce unicamente all’ora del Padre (Gv 17,1). Particolarmente significative sono le espressioni cristologiche formulate negli inni protocristiani: Egli è immagine del Dio invisibile (Col 1; Ef 1; Fil 2), dell’eterno che entra nel tempo (1Tm 3,16), ma che rimane mistero ineffabile (Tt 2,11-14). Dunque il tempo diventa condizione per l’incontro con il mistero dell’amore di Dio. Nella dialettica tra attesa e compimento, desiderio e realizzazione, il cammino dei giovani è segnato dalla dinamica temporale della imprevedibilità dell’incontro con Dio. L’atteggiamento sapienziale inculcato nei testi biblici esorta a vivere il tempo come “ricerca del mistero” di Dio nei segni della storia. Il tempo non costituisce quindi una fuga, bensì rappresenta un’occasione di responsabilità, che apre il mondo giovanile all’incontro con il Dio di Gesù Cristo. In questo senso il tempo è donato al credente perché possa entrare in comunione con Dio mediante un modello di vita spirituale fatto di preghiera, ascolto e contemplazione del volto luminoso e trasfigurato del Cristo (Lc 9,28-36).
Valenza liturgica
– Abbiamo potuto constatare come la nostra categoria biblica sia rielaborata in chiave liturgica in modo insistente. Sia il tempo cosmico che quello storico vengono celebrati secondo il volgersi dei ritmi naturali e nella memoria degli eventi che hanno segnato il cammino della liberazione e della salvezza del popolo. In questo senso la dimensione liturgica, lungi dall’essere vacua ritualità, è da considerarsi propriamente come “tempo che celebra la storia della salvezza”, articolato secondo alcune tappe che ritmano ed accompagnano l’itinerario della redenzione. La riscoperta di questo linguaggio simbolico-narrativo contenuto nella Bibbia è essenziale ai giovani per vivere ed interpretare adeguatamente il rapporto tra “tempo storico” e “tempo escatologico”.
– Nell’ambito della relazione tempo-liturgia accade la celebrazione dei misteri “nel tempo”, di cui l’anno liturgico è l’esplicazione e ne rappresenta la pedagogia. Tale relazione evidenzia tre fondamentali sviluppi:
• la relazione tempo-liturgia fonda la storia e radica la realtà quotidiana, caratterizzata dalla vacuità e dall’effimero del tempo profano, in una realtà assoluta che, pur accadendo nel tempo, sta fuori dal tempo degli uomini. Essa esprime la sacralità del mistero e la sua trascendenza;
• la relazione tempo-liturgia è memoriale delle meraviglie compiute da Dio nella storia dell’uomo, attraverso una ripresentazione e una riattualizzazione dell’evento della salvezza che si differenzia da qualunque altra concezione pagana e mitica di religioni e culture;
• la relazione tempo-liturgia celebra la festa per eccellenza della novità cristocentrica che è il cuore del cristianesimo: l’evento della morte/risurrezione del Signore: “la risurrezione di Cristo segna una svolta tale nel fluire del tempo e degli avvenimenti terreni, da richiedere in qualche modo nuovi parametri di pensiero e di azione, per chi ne riconosce l’effettiva realtà” (D. Mosso).
Valenza pedagogica
– Nel celebrare Dio attraverso il tempo della salvezza, nell’attesa del compimento, l’autore biblico educa i lettori ad una lettura sapienziale del tempo. È proprio questa valenza pedagogica a rappresentare il momento cruciale, affidato come compito alla comunità cristiana. Infatti uno degli aspetti tipici dell’odierno contesto giovanile è costituito dalla “frammentazione del ‘tempo psichico’”, cioè l’affermarsi di un “presentismo” che è interpretato e vissuto come una sorta di sospensione illimitata del tempo reale (G. Milanesi). Si assiste ad un appiattimento dell’idea del tempo, ad una strisciante riduzione dell’idea della temporalità che si trasforma in graduale perdita di senso della storia e in un crescente disincanto, privo di futuro. Tale fenomeno produce, specie nelle giovani generazioni, una scarsa memoria nei riguardi del passato e delle tradizioni comuni, verso le quali spesso viene esercitato un processo di censura o di rimozione automatica, ed implica una debole capacità di progettare il futuro. Il tempo appare impenetrabilmente chiuso alla speranza.
– Anche secondo l’esperienza biblica, spesso la mancanza di speranza è dovuta al peccato, rappresentato come una chiusura in se stessi. Il singolo o il popolo vivono l’“oblio di Dio”, il rifiuto della “storia di amore” che Egli ha realizzato secondo l’alleanza conclusa con Israele (cf l’immagine sponsale di Ez 16). Il monito di Jahvé rivolto alla comunità israelitica rimane eloquente: “Guardati dal dimenticare il Signore, che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione servile” (Dt 6,12). L’invito alla conversione è dunque un invito a ripercorrere la storia della salvezza, ritornando al Signore con cuore contrito ed aprendosi verso un tempo nuovo. In questo modo la Scrittura invita a non costruirsi un “un proprio tempo”, bensì ad interpretare il tempo come “tempo delle meraviglie di Dio”, sull’esempio mirabile del Magnificat di Maria (Lc 1,46-55), che canta la misericordia e la grandezza di Dio nella storia. Allo stesso modo la comunità cristiana è chiamata a riscoprire il suo compito di educare ad un giusto rapporto con il tempo e la sua realtà nella vita quotidiana, di fronte alla fragilità degli individui che non di rado si lasciano “vivere” dal tempo e dalla sua irreparabile fugacità.
– Occorre imparare a distinguere mediante un sano discernimento, il “tempo che rende schiavi” dal “tempo che rende liberi”. Per questo l’esigenza sempre più urgente è data dalla capacità di poter condividere ed accompagnare il singolo giovane ad una consapevolezza esistenziale del proprio tempo, in quanto unico-irripetibile per la sua riuscita e per quella dell’intera comunità, sapientemente cadenzando e programmando l’itinerario della fede e di ricerca dei segni di Dio nella storia e del loro irrinunciabile discernimento.
Valenza etica
– La categoria biblica del tempo esclude ogni strumentalizzazione ideologica (materialismo; edonismo; consumismo; liberismo, capitalismo, ecc.), ma implica una risposta operativa, che traduce nella prassi l’indicativo della fede. Secondo la visione veterotestamentaria il tempo è caratterizzato dall’impegno personale e comunitario dell’obbedienza ai comandamenti della torāh. Con la venuta di Cristo la comunità interpreta il tempo nella logica misericordiosa e liberante del dono dello Spirito, che consente di incarnare le esigenze dell’etica evangelica e di tradurle nei diversi contesti culturali e sociali in cui attecchisce il cristianesimo. Il cuore del messaggio del Regno inaugurato con Cristo è l’amore (agapē) di Dio, che si è fatto visibile nel mondo attraverso il Figlio: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16).
– In questa linea è Paolo a sviluppare le conseguenze del messaggio di Gesù, elaborando l’idea teologica dell’attesa “operosa” dei cristiani (1Ts 1,3), mentre camminano verso il compimento dei tempi (2Ts 3,10). L’amore (agapē) rappresenta insieme la condizione e il termine a cui deve tendere l’agire morale, mentre il tempo dell’attesa procede verso il suo termine. L’impiego dell’agapē nella teologia paolina non è da interpretarsi in una linea semplicemente filantropica, né si limita nell’orizzonte di una parenesi tendente alla ricomposizione dell’armonia ecclesiale o delle relazioni esterne, bensì costituisce la chiave di lettura dell’intera esperienza di fede, in quanto l’agapē è “la via sublime al di sopra di tutti i doni dello spirito, ai quali soltanto conferisce il loro valore” (1Cor 13).
– Questa prospettiva si inquadra bene nel contesto giovanile odierno, bisognoso di modelli di riferimento che sappiano testimoniare nella concretezza l’amore oblativo ed insieme la “libertà nel servizio”. Fuori dai tempi delle produzioni industriali e delle programmazioni professionali e lavorative, un vasto movimento giovanile offre il proprio “tempo libero” nel servizio del volontariato e nell’impegno gratuito a favore degli altri (E. Butturini). È un segno profetico della logica del vangelo tradotta nel tempo che viviamo, di cui il mondo giovanile è protagonista.
Dall’evoluzione del comportamento etico dei giovani, si evince con sempre maggiore evidenza il nesso indissolubile tra la libertà del credente e la finalità dell’amore, in quanto l’autodeterminazione di poter disporre di se stessi non può trovare realizzazione piena se non nella logica della consegna della propria vita al prossimo, secondo l’esempio di Cristo. In questa linea la categoria del tempo riveste una valenza etica e progettuale di grande rilievo per la pastorale giovanile. Proprio perché la fede cristiana è “incarnata” nella storia degli uomini ed ha come mediatore unico Gesù, il tempo va interpretato come possibilità di vivere l’agapē sul modello di Cristo.
Conclusione
Il percorso compiuto ha messo in luce alcune connessioni che emergono dalla ricca simbologia biblica del tempo e dai suoi messaggi. L’icona che riassume meglio la centralità cristiana del tempo è quella della risurrezione di Gesù. L’evento luminoso di vita apparso nel Cristo risorto consente di riconoscere nel tempo l’impronta dello splendore eterno, del mistero trinitario di Dio. Questa consapevolezza è una conquista che affonda le sue radici nella tradizione biblica e diventa esperienza di fede attuale per il coinvolgimento di ciascun uomo che cerca Dio. Scrive ancora A. J. Heschel: “È nella dimensione del tempo che l’uomo incontra Dio e diventa cosciente che ogni istante è un atto di creazione, un Inizio, che schiude nuove vie per le realizzazioni ultime. Il tempo è la presenza di Dio nello spazio, ed è nel tempo che noi possiamo sentire l’unità di tutti gli esseri” (A. J. Heschel, Il sabato, 123).
È compito della comunità cristiana rievangelizzare il tempo, come kairos della salvezza, ripartendo dall’importanza della Domenica (Giovanni Paolo II, Dies domini, Roma 1998). Si tratta di una sfida che vede impegnata l’intera comunità cristiana a servizio dei giovani, che cercano, forse ancora inconsapevolmente, consolazione nel “Signore del tempo e della storia” per poter procedere tranquillamente attraverso l’oscurità (S. Stehmann).