Andrea Bozzolo
(NPG 01-04-54)
Nell’articolo precedente ci siamo già accostati al tema dell’innamoramento, con l’intenzione di coglierne alcuni tratti fenomenologici principali e di individuarne il senso fondamentale. Abbiamo così introdotto l’idea che questo tempo della vita costituisce uno speciale «momento di grazia», in cui il sorgere incantato degli affetti manifesta con particolare trasparenza la logica divina del dono gratuito, che presiede al senso del vivere. Ora vogliamo riprendere quell’intuizione e svolgerla ulteriormente, in modo da mettere in evidenza il rilievo fondamentale, e spesso decisivo, che questo momento della giovinezza viene ad avere nella vicenda biografica complessiva.
È infatti innegabile che la decisione riguardante l’innamoramento rappresenti per la maggior parte delle persone la svolta fondamentale dell’esistenza, che segna il passaggio dalla giovinezza all’età adulta: non solo per lo scorrere cronologico degli anni, ma per il maturare di scelte e atteggiamenti.
L’innamoramento e la Parola
Alla luce della breve analisi fenomenologica abbozzata la volta scorsa, possiamo affermare che l’esperienza dell’innamoramento può essere intesa come una sorta di parola, che l’uomo e la donna si sentono dire e a cui devono rispondere. Essa, pur mediata dalle tante forme verbali dei loro incontri, non coincide semplicemente con ciò che essi si dicono reciprocamente e rimane sempre al di là e al di sopra dei loro discorsi. Non è un caso, infatti, che l’intimità innamorata si nutra più di silenzi che di parole e che l’amore autentico non riesca mai a trovare le espressioni adeguate per dire tutto ciò che vorrebbe e, in certo senso, essi stessi sono capaci di dirsi, e può essere detto soltanto da un’altra Parola: quella di Colui che è «più intimo a noi di noi stessi» ed è il Verbo eterno del Padre. E questo perché solo in Lui l’amore appare per quello che è: dono di sé incondizionato e totale.
L’intuizione originaria: esserci come dono
Questa Parola relativa al senso del vivere non viene però offerta all’uomo e alla donna nel momento privilegiato dell’innamoramento per la prima volta. Anzi, difficilmente sarebbe riconosciuta in quell’esperienza se non fosse stata già in molti modi e in molte forme anticipata. I modi e le forme di cui diciamo sono quelli delle tante relazioni gratuite e felici, di cui vive o dovrebbe vivere l’infanzia e la giovinezza e che, qualora siano troppo pesantemente frustrate, rendono appunto più difficile, anche nell’esperienza dell’innamoramento, ascoltare quella Parola e corrispondervi in modo adeguato.
Tra questi modi e queste forme, un ruolo del tutto particolare rivestono quelle legate alla vicenda della generazione, cioè i rapporti parentali con il padre e la madre. La generazione, infatti, costituisce per ogni uomo non soltanto, come è ovvio, l’accesso alla vita, ma anche, come purtroppo spesso si dimentica, l’accesso al senso della vita. E il senso che la generazione lascia appunto trasparire è che la vita sorge come «dono», che la mia libertà esiste «grazie» ad altri, che al principio di me stesso non ci sono io, ma l’amore con cui sono stato desiderato, atteso, «portato» in grembo e «dato» alla luce. Anche nel caso più infelice, infatti, la struttura dell’identità dell’uomo è quella di una relatività che non è soltanto una dimensione periferica, ma costitutiva della persona, così che il «nome» proprio può essere soltanto collegato al «cognome» della famiglia, e così alla storia che precede.
Solo intorno a questa intuizione originaria del carattere promettente del vivere, mediata dall’esperienza della cura che altri si prendono di noi, si può/si deve raccogliere tutta la vicenda della maturazione personale e della strutturazione della personalità. Come tutti i grandi educatori cristiani non hanno sempre compreso e praticato, la risorsa fondamentale per la crescita della persona non si situa innanzi tutto nei suoi talenti e nelle sue abilità, ma nella sua disponibilità a mettersi in gioco in una relazione in cui «si accorge di essere amato» (d. Bosco). La fatica della crescita, tanto sul versante dell’acquisizione di competenze, quanto su quello assai più arduo della messa alla prova dei propri desideri nelle forme quotidiane della relazione, può essere sostenuto esclusivamente dalla prospettiva di una giustezza del vivere in cui l’uomo riconosce di trovarsi soltanto di fronte all’amore.
La provocazione dell’innamoramento: decidersi come dono
Se questa dinamica si realizza in molti modi e forme nei primi tempi della vita, essa, per così dire, esplode proprio negli anni della giovinezza, quando, completato il bagaglio delle acquisizioni fondamentali per affrontare il futuro, l’uomo e la donna sono sotto ogni profilo sulla soglia del decidere di sé nella forma adulta. Ed è proprio in questa stagione che la Parola originaria, attestata all’inizio della vita dal complesso di rapporti legato alla generazione, e negli anni dell’infanzia dalle forme riuscite della relazione educativa, trova una sua nuova e dirompente possibilità di ascolto proprio nella vicenda dell’innamoramento.
La Parola è la stessa, ma non si tratta affatto di una sua semplice ripetizione. L’annuncio di una logica del dono che fa da grembo a tutto ciò che esiste, raggiunge gli innamorati in una forma del tutto particolare, perché dopo aver lungamente nutrito la loro crescita e sostenuto le loro fatiche, chiede adesso di prendere liberamente e definitamente dimora nei loro corpi e nelle loro decisioni. L’esperienza dell’aver avuto «inizio» da una famiglia, diventa ora la possibilità e la chiamata a diventare un nuovo inizio, quello stesso inizio della vita in me e in lei. La consapevolezza di esserci «per» dono, diventa la possibilità e la necessità di decidersi «come» dono per altri: non chiudendosi nello «splendido isolamento» di una coppia, ma aprendosi a diventare una famiglia.
Il che, contro l’intimismo tardoromantico e l’individualismo di coppia postmoderno, proietta immediatamente l’emozione dell’innamorarsi verso la responsabilità per altri, non in nome di un precetto morale estrinseco, ma in nome della verità umana di quell’affetto. Così che la prospettiva dei figli, come ha gelosamente e tenacemente custodito la tradizione crescente, perfino quando esagerava nel concentrarsi quasi esclusivamente sul bonum prolis, non rappresenta un’appendice eventuale del matrimonio, ma un’apertura originaria dell’innamorarsi (umano!).
Tempo propizio e momento di svolta
Quanto abbiamo detto finora ci può illuminare sul particolare rilievo che viene ad avere la decisione che si prende a proposito dell’innamoramento, mostrando come essa sia di fatto una sintesi di tutte le esperienze precedenti e un pronunciarsi, ormai irrimandabile, di fronte alla Parola del dono.
Di fatto, la prospettiva del costituirsi di un rapporto sponsale conduce a rileggere tutta la storia precedente come una «preparazione» a questo momento: tutte le cose imparate, le esperienze vissute, le persone incontrate vengono reinterpretate nella prospettiva di questa relazione che ora diventa tendenzialmente totalizzante (seppur non assoluta). E questo, prima che sul piano della consapevolezza teorica, avviene nelle forme pratiche della vita quotidiana. Le amicizie di prima, il rapporto con i genitori, l’atteggiamento di fronte allo studio o al lavoro cambiano, prima ancora che nelle forme esterne, che comunque di solito trovano un nuovo assetto, nell’atteggiamento e nelle disposizioni interiori. Magari si mette più impegno per finire l’università o si sta più attenti a non sprecare i primi soldi che si guadagnano, cambiano i temi discussi tra amici e si vedono con occhio diverso i genitori.
Questo complesso processo, propiziato dal sorgere del nuovo legame, segna in maniera determinante il futuro, perché fa assumere al giovane quegli atteggiamenti e quelle decisioni che per lo più caratterizzeranno la sua vita adulta. Se tutto questo avviene ascoltando davvero la Parola che attraverso quell’esperienza vuole farsi accogliere dagli uomini, ne nascerà uno splendido consegnarsi alla logica dell’amore; ma se quella Parola rimane inascoltata, uno dei momenti esistenziali decisivi in cui si gioca il destino assoluto dell’uomo rischia di essere sprecato e frustrato.Di qui l’esigenza di un accompagnamento pastorale, che faccia fiorire al meglio una stagione della vita così propizia.
Attenzioni pastorali
A proposito di questo accompagnamento molte sarebbero le cose da dire. Alcune ceramente risultano in maniera intuitiva da quanto abbiamo fin qui esposto e possono essere opportunamente esplicitate in un dialogo tra educatori. Tra quelle che rischiano di restare implicite, ne consideriamo due, a cui attribuiamo particolare rilievo.
La prima riguarda la necessità di aiutare i giovani a capire che il segreto del loro amore e il senso del loro rapporto non è accessibile semplicemente nel dialogo reciproco. Oggi la difficoltà dei giovani a sentire interpretata la loro esperienza da forme storiche e modelli comportamentali di portata più universale è decisamente accresciuta dall’esasperato pluralismo culturale della nostra società, che facilmente conduce ad esiti relativistici. Questo favorisce il ripiegamento verso un consumo delle esperienze che si limita alla valutazione dell’immediato e più raramente si apre ad un confronto esterno, fatto di ascolto e discernimento. Il rischio è che il senso dell’innamoramento sia cercato soltanto all’interno della coppia, come se la verità dell’amore si esaurisse nel guardarsi dentro o nel guardarsi l’un l’altro. Sarà dunque particolarmente necessario aiutare i giovani a superare l’ingenuità che porta a credere che ciò che li riguarda più da vicino sia allo stesso tempo anche ciò su cui «solo loro» possono dire qualcosa; perché è vero proprio il contrario: il nome più autentico del nostro «io» e la verità più profonda di ciò che viviamo ci può essere soltanto «rivelato». In questo senso il confronto cordiale con la Parola biblica, la parola del magistero ecclesiale, la parola dell’esperienza matura non apparirà più un’intrusione dall’esterno, ma l’unica via di accesso per arrivare davvero alla «propria» identità.
Un secondo aspetto molto importante riguarda l’integrazione tra la relazione affettiva degli innamorati, con le altre relazioni privilegiate che essi vivono, in modo particolare quelle parentali. Si assiste infatti spesso al fenomeno per cui i giovani tendono a vivere la relazione con il ragazzo o la ragazza semplicemente come alternativa, quando non addirittura compensativa, rispetto alle relazioni familiari. Anche se ci possono essere situazioni delicate, che rendono comprensibile questa dinamica, non ci si può nascondere però il suo orientamento involutivo che, anziché favorire la maturazione della donazione gratuita, rischia semplicemente di creare l’illusione di un’isola felice, in cui rifarsi dei traumi relazionali della vita. Sarà dunque importante aiutare i fidanzati a integrare nel loro cammino di crescita la ripresa riflessa delle loro relazioni familiari, all’insegna della gratitudine per i doni ricevuti e della rigenerazione realistica delle situazioni ferite. Proprio la volontà di affrontare questo cammino, talora anche complesso, ma anche proficuo, aiuterà tra l’altro a distinguere l’esperienza di un vero innamoramento dalle sue non rare contraffazioni (l’infatuazione episodica, la possessività egoistica, la ricerca di compensazioni) e a maturare un dono di sé fatto non solo di enfasi emotiva, ma di una consegna realistica alle esigenze dell’amore.