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    La struttura psicologica dell'atteggiamento religioso


     

    Giuseppe Sovernigo

    (NPG 1987-03-59)


    Un servizio di evangelizzazione, che si concretizza in una azione pastorale e in un adeguato processo educativo, dà origine allo strutturarsi, nelle concrete persone, di un atteggiamento religioso. Questo è uno degli obiettivi centrali di ogni azione pastorale che si propone di facilitare nelle persone, soprattutto nei giovani, l'integrazione fede/vita, il formarsi di persone interiormente unificate e saldate attorno all'esperienza di fede, capaci di effettiva testimonianza.
    L'atteggiamento religioso costituisce, dal punto di vista pastorale ed educativo, un test di verifica inequivocabile. Esso è da collocarsi nel capitolo dei tratti della personalità. Il tratto è una disposizione relativamente stabile e generale che governa vaste zone di pensiero, sentimento, attività. Ad esempio, il tratto della socievolezza è, in genere, sentirsi capaci di relazioni, sentirsi accettati... Una indisposizione momentanea non incide su questo tratto.
    Il concetto di atteggiamento corrisponde al concetto di maturità sociale. Si tratta della strutturazione di tutto il proprio essere - con i suoi vari livelli - che reagisce in un certo modo, facilmente, in una data direzione a dati stimoli.
    L'atteggiamento, in genere, va inteso come una predisposizione e prontezza a rispondere a..., un modo di essere e reagire, una strutturazione abbastanza stabile del proprio essere, nei confronti di un polo o oggetto che può essere una cosa, una situazione, della gente, che interessa tutta la persona. Si tratta di una presa di posizione di tutta la persona verso un polo di riferimento, di una condotta totale che integra una pluralità di livelli e di funzioni.
    L'atteggiamento non è l'azione sporadica di un momento, di una volta, qualcosa di passeggero. Indica una strutturazione stabile della personalità nei confronti di quell'oggetto, un modo di essere che facilmente passa all'azione. Indica, in un certo senso, un equilibrio, relativamente continuo nel tempo, della personalità in rapporto a..., una strutturazione, cioè una configurazione, una sagomatura di tutta la condotta che si rifà al modo di essere.
    Ciò comporta quindi una ristrutturazione di tutto il proprio io nei confronti di questo termine di riferimento a tutti i livelli: cognitivo, affettivo, volitivo, decisionale. I tre livelli sono ugualmente necessari e complementari tra loro. Sono tre dimensioni coassiali di uno stesso modo di essere e di reagire piuttosto stabile, abituale, strutturato.

    ATTEGGIAMENTO RELIGIOSO: VERSO UNA DESCRIZIONE

    L'atteggiamento religioso si specifica per l'obiettivo verso cui tende, cioè i valori religiosi. Esso va distinto da altre modalità di situarsi di fronte ai valori religiosi.
    Esso va distinto:
    - dall'attitudine, che è una disponibilità di base per ..., una capacità di ...;
    - dall'opinione su una data cosa.L'opinione è una presa di posizione puramente cognitiva e distaccata. Quando uno ha una data opinione su un oggetto, ha un giudizio di valore, spesso non molto impegnato;
    - dalla credenza. Essa non è la fede, ma il consenso non approfondito su una data proposta di valori. Una semplice credenza non è accompagnata da tutta
    una strutturazione della personalità; non è un atteggiamento. Ci possono essere delle credenze ricevute tradizionalmente nel contesto o ambiente socio-religioso, ma non per questo si ha un atteggiamento religioso;
    - dal semplice comportamento esteriore. L'andar alla messa la domenica è un semplice comportamento religioso esteriore che potrebbe comportare una credenza, ma potrebbe non essere accompagnato da un atteggiamento religioso.
    L'atteggiamento è questo habitus, questa strutturazione abbastanza stabile della personalità che prende posizione verso questo «Tu» che è stato intuito, ricevuto lungo una storia spesse volte difficile, confusa, conflittuale. È il frutto di una lunga maturazione.

    Caratteristiche dell'atteggiamento religioso

    L'atteggiamento religioso si configura per alcuni aspetti caratteristici. I seguenti sono i principali.
    - È comprensivo e integrante. Secondo Allport non esiste un altro atteggiamento diverso da quello religioso che sia tanto comprensivo da integrare la totalità degli interessi umani senza trascurare il resto.
    Questo atteggiamento religioso, giunto alla maturità, è l'unico fattore psichico capace di integrare tutte le componenti della personalità. Per Freud l'atteggiamento del credente tende a strutturare e unificare tutti gli aspetti del comportamento.
    In alcune persone i sentimenti religiosi sono organizzati in maniera superiore e costituiscono una parte integrante dell'io. In questo caso la religione imprime un orientamento positivo alla vita e un dinamismo di impegno.
    Un atteggiamento religioso autentico anima tutti i valori. In altre persone, invece, la religione è integrata nell'io soltanto superficialmente e rimane a livello del super-ego o dell'io ideale. La religione in questo caso «assicura una funzione di difesa e serve da schermo protettivo dell'io».
    - autonomo nella sua motivazione rispetto alla dipendenza passiva dall'ambiente, dall'educazione, dalle strutture sociali in cui si è inseriti, rispetto alla struttura del super-io coercitivo.
    - complesso e differenziato, articolato tra le varie componenti: cognitiva, affettiva, volitiva.
    - È dimanico, euristico, ricercante, in costante evoluzione, così da purificarsi dalle incrostazioni del tempo, in costante rinnovamento e conversione in rapporto al vissuto.
    - È socialmente rilevabile. Si concretezza sempre in una delle molteplici forme di impegno. Finché le condotte religiose non superano il principio del piacere, o la preoccupazione utilitaristica, per situarsi nella linea del principio della realtà, appariranno probabilmente caduche e saranno precarie nello svolgimento progressivo della maturità umana.
    L'atteggiamento religioso visto nelle sue componenti, costituisce un tratto caratteristico della religiosità maturata. È un obiettivo educativo primario che orienta la stessa azione educativa.
    Ora l'atteggiamento religioso come si forma? Attraverso quali processi esso prende corpo? Quali sono le fasi e i passaggi del suo sviluppo? A quali condizioni perdura nel tempo e agisce come fattore integrante la stessa personalità?
    L'atteggiamento religioso si forma in mezzo a molte difficoltà, in momenti essenziali dello sviluppo, all'interno di alcuni processi psicologici centrali.
    Ne illustriamo i principali.

    INTEGRAZIONE DEL PASSATO

    Il primo momento essenziale attraverso cui deve passare l'esperienza religiosa per divenire atteggiamento è l'integrazione del passato. Non c'è atteggiamento religioso se non c'è integrazione del passato. L'atteggiamento è una struttura della personalità che non lascia a livello di inconscio possibilmente nulla. Questo è un punto di arrivo ottimale.
    Ci deve però essere la tensione, nell'atteggiamento religioso maturo, ad assumere tutto il passato con la maggior chiarezza possibile per inserirlo in una visione globale della propria vita, rischiarata dai valori religiosi.
    Nell'atteggiamento religioso il male commesso o subito come pure il bene a livello di fatti, di desideri e pulsioni; gli insuccessi di cui siamo stati vittime o responsabili, come pure le riuscite, richiedono riconoscimento e assimilazione, pena la corrosione e l'alterazione dell'atteggiamento religioso. Molti non giungono a considerare il presente e l'avvenire con fiducia religiosa per il fatto che ricorsi cocenti e umilianti chiudono il loro orizzonte.
    Spesso l'uomo è incapace di abbandonarsi in un atteggiamento di fiducia religiosa perché viene chiuso in una opposizione senza via d'uscita tra un'esperienza del passato e la volontà attuale. Ne è causa l'eccessiva dipendenza da un'immagine ideale di sé. Perfezionismo, moralismo, idealismo costituiscono la sindrome adolescenziale, un grave ostacolo per divenire adulti in umanità e nella religiosità.
    C'è un dato di fatto con cui bisogna fare i conti. Non si ha vero atteggiamento religioso se non quando il valore religioso è capace di far luce su tutti i problemi che hanno costituito nella nostra storia un ,nodo cruciale e di interpretarli alla luce dei nuovi principi e realtà.
    Ora quali sono gli aspetti della propria esperienza di vita che fanno da ostacolo oppure che restano estranei alla coscienza psicologica prima, morale poi, del soggetto?
    Come giungere ad integrare il proprio passato, le realtà dure della vita?
    Di fronte al passato, ricondotti all'essenziale, sono possibili due atteggiamenti: rimozione o inibizione da una parte, accettazione di sé e della vita dall'altra.

    Rimozione o inibizione

    Qualsiasi problema che costituisce un nodo cruciale, che non sia stato illuminato da una presa di coscienza, in cui entra anche il valore religioso, viene normalmente rimosso o represso in una delle varie forme possibili: inibizione di sé, indurimento, formazione reattiva, ecc.
    La rimozione consiste nel rifiutare di prendere coscienza di una realtà che mette in questione l'autostima, nel rinviare nell'inconscio certi problemi di cui abbiamo una percezione almeno iniziale, certe verità scottanti che fanno cambiare il paesaggio interiore, nel rifiutare di assumere il limite costituzionale della nostra vita, la nostra finitezza costitutiva.
    Un problema rimosso, cioè rifiutato, reinviato per paura e per tanti motivi, un problema serio che costituisce un nodo e che viene rimosso, fonda una nevrosi. A lungo andare questo rimosso provoca un nodo detto anche un complesso, che è un insieme di problemi psicologici reinviati, incapsulati, ma che per questo non vengono neutralizzati.
    Tutto ciò che è a livello dell'inconscio provoca dei riflessi sulla vita conscia delle persone in vario modo. Infatti il passato, una volta rifiutato, si fissa e si rende attivo a suo modo. Agisce in modo autonomo nel soggetto, obbligandolo ad uno sforzo continuo di repressione, con notevole dispendio di energie.
    Le forze vive di una persona vanno ad esaurirsi in una lotta sterile.
    Il passato, poiché fa parte dell'esperienza, non lo si respinge senza conseguenze.
    Il dimenticare il passato non salva l'avvenire. Anzi il passato, una volta escluso dal presente, ha l'occasione di mantenere con insistenza i suoi effetti perturbanti attraverso sia la sottrazione di energie, sia le interferenze condizionanti, talora determinanti.
    Per riscattarsi di un orientamento positivo verso il futuro, occorre che il passato sia accettato e assunto cosí com'è, neutralizzandone la carica affettiva.
    Ora non è possibile avere una religiosità matura se vi sono dei problemi essenziali reinviati e rimossi, pesantemente interferenti.
    La religione non può integrare la personalità se vi sono degli angoli della persona su cui questo valore, che ha la forza e la pretesa di essere totalizzante, non ha proiettato la sua luce significativa, né lo può fare a causa di date zone della propria vita sbarrate alla sua luce e forza.

    Accettazione di sé e della vita

    L'atteggiamento religioso richiede costitutivamente, e suscita ad un tempo, un riconoscimento, una accettazione e un' assunzione significativa e incondizionata del proprio passato. La religione si pone come il principale fattore che lo interpreta e lo assume in modo totale.
    Ma in che cosa consiste l'accettazione del passato? Fino a dove è necessario arrivare?
    L'accettazione consiste nel prendere il passato, valutarlo per quello che è, nel dargli una interpretazione e nel proiettare questa interpretazione in un progetto di vita per il futuro, lasciando ad ogni realtà la sua consistenza.
    In questo progetto di vita il rapporto con il «radicalmente Altro» è quello che costituisce il significato profondo. «La mia vita è tutta nelle sue mani perché ho davanti a me questo progetto di esistenza illuminato dal rapporto con questo qu'». Se non c'è questo atteggiamento, non c'è religiosità maturata.
    Spesso ciò che fa piú problema è l'accettazione della propria realtà esteriore e interiore ambivalente. Riconoscerla, lo si intuisce, comporta ridimensionamenti di sé e assunzione di date responsabilità di sé. Ciò non va da sé, non è né facile, né immediato.
    Tuttavia questo passaggio è indispensabile, anzi costituisce la controprova di una autentica religiosità. Senza quest'autoaccettazione è molto probabile che non ci sia stato o non ci sia vera esperienza religiosa.
    Accettare così la propria realtà è essere umili davanti a se stessi e agli altri. Quando ci si è abbandonati alla realtà e quando la si accetta umilmente, si entra nella pace; ci si sente distesi e rilassati. Anzi questi sentimenti duraturi di pace, di distensione, di rilassamento, di costruttività sono i segni della vera accettazione.
    Non si può cambiare se non si comincia anzitutto ad accettare ciò che si è.
    Dibattersi, perché le scoperte fatte su di sé sono scomode, non aiuta a cambiare. Dibattersi è, per esempio, minimizzare ciò che si è scoperto, volerlo spiegare per giustificarsi, cercare di cambiarlo prima di essere passati per l'accettazione semplice e pura.
    C'è un paradosso da vivere. Accettando di essere cosí, senza nessun «ma» come scusante, e dunque accettando che questo faccia parte di sé, oggi, e che questo possa durare, si passa per un punto neutro. Ed è dopo che si è in grado di scoprire come vivere in modo soddisfacente questa scoperta scomoda.
    Col tempo, l'umiltà diventa naturale e spontanea. Si accetta di essere ciò che si è, sia al positivo, e senza sentire il minimo orgoglio, che al negativo, e senza sentirsi umiliati, mortificati di essere cosí, amari verso se stessi. Colui che è arrivato a questo stadio dell'emersione dell'umiltà, parla di sé semplicemente. Una ferita del passato può intralciare questo movimento di accettazione di sé.
    Colui che si è dovuto irrigidire e lottare per proteggersi dalla non accettazione delle persone importanti della sua infanzia, quando comincia ad aprirsi umilmente alla sua verità, conosce una sensazione di vulnerabilità. Perde il suo guscio protettore. Può iniziare questo solo nella sicurezza di una relazione fatta di amore incondizionato. In seguito, potrà osare esistere, veramente com'è, di fronte agli altri, senza nascondere nulla di sé.

    Accettazione di sé e relazione con Dio

    Tra queste relazioni quella con Dio, vissuta con autenticità, è tra le piú rigeneranti. Lasciarsi amare e accogliere da lui perché sue creature e perché perdona- ti, senza se e senza ma, può essere concretamente l'avvio della rinascita di sé, qualunque siano state le vicende della propria storia.
    La conversione si presenta come una nuova rilettura religiosa e globale del passato. Nel tempo trascorso, riconosciuto in spirito di verità, l'uomo religioso sa decifrare i segni di un avvenire positivo. Riconoscendo retrospettivamente la propria vita anteriore, alla luce della fede, la giudica in spirito e verità e impara ad assumerla con fiducia.
    La fede nel giudizio di Dio non esprime l'angoscia ipnotizzata da uno sguardo implacabile. Essa è nello stesso tempo confessione della colpa passata ed assenso alla grazia presente.
    Il convertito la vede già operante lungo tutto l'arco delle esperienze anteriori. La religione ben compresa è, pertanto, in grado di compiere l'integrazione del passato. Essa infatti è interamente collocata nel segno del «quanto piú»... tematizzato da Paolo (Rom 5,9). Agli occhi della fede nulla è perduto, nessuna sofferenza è vana.
    Occorre perciò prendere coscienza del proprio passato, dei propri limiti e ricchezze. Uno è maturo, secondo la psicologia, nella misura in cui prende distanza dal proprio «io», cioè si conosce, si valuta, prende coscienza dei propri limiti, costruisce un progetto di vita realistico e lievitante, tenendo conto di quello che è.

    INCARNAZIONE NEL PRESENTE

    L'atteggiamento religioso facilita e si nutre dell'interpretazione, alla luce dei valori religiosi, di ogni avvenimento presente di un certo rilievo cosí da scegliere oggi adeguatamente in rapporto alla realtà religiosa. Ogni fatto della vita propria o comunitaria viene inquadrato entro la visione significativa della religione; viene integrato entro questo quadro di riferimento. La religione è portata a modellare tutta la personalità (intelligenza-sentimenti-comportamento) e ad assumere tutta la vita del soggetto: le angosce e i desideri, il rapporto con la società e con il mondo, il confronto con la morte e con la colpevolezza, ecc.
    Ma ciò non va da sé, non avviene quasi automaticamente. Gli avvenimenti per se stessi sono ambivalenti. Non alimentano per sé l'atteggiamento religioso.
    Che cosa è necessario perché tali avvenimenti nutrano l'atteggiamento religioso? A quali condizioni essi possono entrarvi e alimentarlo? In base a che cosa i fatti sono eloquenti?

    Tra materialità e senso

    Nel fatto-avvenimento ci sono due livelli di profondità. C'è, anzitutto, la materialità bruta, ciò che si vede, si verifica e si controlla lungo una sequenza di causa-effetto. Questo livello offre la cronaca, presenta la fattualità verificabile.
    C'è, in secondo luogo, il senso dei fatti, un significato transfattuale che si intuisce con la mente e con il cuore, una direzione possibile di vita, preferibile tra le altre, un appello e una indicazione verso un oltre ancora impreciso all'inizio, un piú di realtà possibile.
    Ora l'atteggiamento religioso si elabora a partire dalla capacità, in rapporto all'età del soggetto, di cogliere il senso ulteriore dei fatti, il significato transfattuale lungo un filo conduttore significativo. Dapprima in modo punteggiato, poi a poco a poco continuato, esso consente di attingere forza ad una sorgente in se stessi e oltre se stessi. Restare a livello della cronaca, del sapere «che cosa e come è successo», senza cogliere il senso ultimo, almeno ipotetico, tiene i fatti prigionieri di se stessi. Rende incapaci di cogliere appunto una dimensione in profondità.
    Occorre prenderne coscienza ed enuclearne il significato per l'individuo o per il gruppo; di volta in volta è necessario ritrovare una propria posizione, misurandosi di fatto con i grandi problemi umani, collettivi e individuali.
    Una religiosità che non si nutre del senso dei fatti, propri o altrui, è condannata alla sterilità perché si muove in un'ottica esterna, talora narcisistica, apertamente o in modo camuffato. È necessario verificare di quale realtà si nutre la preghiera personale e comunitaria, cioè di idee, di principi, di doveri, di pratiche, di sentimenti, di azioni, di opera, e poi anche e soprattutto del loro senso, del transfattuale. E questo non a livello di ricerca di soluzioni tecniche nel campo religioso, ma di «soluzioni significative» ai problemi cruciali dell'esistenza.
    È a contatto con questi normali problemi umani mediante un'adeguata riflessività e a livello vitale, che matura un autentico atteggiamento religioso.

    SUPERAMENTO DEI CONFLITTI EVOLUTIVI DELLA RELIGIOSITÀ

    C'è una dialettica costitutiva essenziale dell'atteggiamento religioso. Il suo procedere non è lineare, ma dialettico.
    Ogni atteggiamento religioso vero è frutto del superamento, con la relativa sintesi, dei conflitti provenienti dall'età, dalle situazioni della vita, dall'evoluzione sociale.
    La religiosità porta con sé una dialettica congenita. Procede e matura non linearmente, ma dialetticamente. La condotta religiosa infatti è tesa tra due poli opposti:
    - tra la religiosità estrinseca e quella intrinseca-interiore;
    - tra la personalità matura e quella immatura;
    - tra il problema umano cruciale e il radicalmente altro infinito a livello significativo;
    - tra l'io e Dio;
    - tra religiosità personale e religiosità istituzionale;
    - tra il livello profondo, vitale e quelli sensibile, ideativo, operativo.
    Nel continuum tra questi due estremi o polarità, si colloca una serie indefinita di risposte religiose caratterizzate dalla presenza dinamica delle due forze.
    Ogni persona matura religiosamente attraverso questa dialettica progressiva, incontrando molti rischi, possibilità di fissazione e di regressione. Non esiste uno stato di maturità religiosa assodato per sempre, una volta raggiunto.
    L'atto di religione e di abbandono in Dio è un rischio e un salto nell'incognito. Come ogni rischio ha i suoi dubbi, ma anche le sue buone possibilità. Questa fondamentale sicurezza non toglie quindi il dubbio e la sofferenza.
    «Il sentimento religioso maturo, osserva Allport, è solitamente elaborato nell'officina del dubbio». Ma è basato su una sufficiente certezza. Il dubbio religioso fa parte della fede matura, anzi può essere occasione di continuo approfondimento. La situazione normale di vita non è l'assenza di conflitti e problemi, ma la loro presenza con la capacità abituale di affrontarli e di risolverli in senso positivo per la crescita.

    IDENTIFICAZIONE CON IL MODELLO E APPARTENENZA RELIGIOSA

    L'atteggiamento religioso si forma in particolare per identificazione con i modelli religiosi e con una crescente appartenenza ad una comunità religiosa.
    L'identificazione con il modello va oltre l'imitazione, che si limita ad aspetti esterni, a comportamenti sociali. Consente al soggetto di assumere interiormente un dato sistema di valori e di modelli di comportamento e di riorganizzarsi secondo il sistema assimilato. In un certo senso si cerca di divenire l'altro in forza di dati bisogni affettivi e di competenza. Sono essi i principali fattori di identificazione.
    L'identificazione in genere provoca l'incorporazione degli ideali, della mentalità, degli atteggiamenti, dei progetti di vita...
    L'identificazione per amicizia genera la soddisfazione del bisogno di dignità e. valore personale e del bisogno sociale di amicizia: essere qualcuno di valore per qualcun altro.
    L'identificazione per competenza e per completamento riduce l'ansia davanti all'esperienza dei limiti e del fallimento. Mantiene il livello di aspirazione, sviluppa precocemente le tendenze superiori presenti ed espresse nel modello. «Nel piú profondo di me stesso l'altro che riconosco e amo, diventa per me un principio di comportamento. Mi rivela a me stesso risvegliando realtà e potenzialità di me inespresse» (A. Vergote).
    Quanto piú il modello diventa principio di unificazione, di strutturazione interna, tanto piú perde il suo carattere di duplicato interiore per divenire l'io agente. Lungi dall'alienare, l'identificazione suscita possibilità non ancora espresse nell'individuo e nel gruppo.
    Tutte le religioni propongono i loro modelli nella persona di uomini, di figure divine o mitiche di vario tipo, additate all'attenzione dei credenti nel loro atteggiamento originale e paradigmatico.
    Per i cristiani l'identificazione è con Cristo, uomo-Dio.
    Cristo si presenta come il modello fondamentale. Nessun uomo religioso ha collegato come lui la sua dottrina alla sua persona. Il criterio proposto della vera religione è in definitiva la conformità al suo modo di vivere.
    Nella sua reale umanità, Cristo è il modello dell'atteggiamento religioso e si manifesta come il rivelatore del Padre.
    A. Vergate rileva a proposito che in molti cristiani il riferimento a Cristo è secondario: «Non possiamo liberarci dall'impressione che l'incarnazione di Dio in Gesú non abbia notevolmente modificato, almeno in maniera diretta, la loro religione.
    Senza dubbio i precetti del Vangelo ispirano in maggior o minor misura la vita morale dei cristiani, e l'istituzione chiesa, con i suoi riti cosí come con il suo insegnamento, collega l'uomo con Dio... Ciò sembra avvenire per una eccessiva accentuazione della divinità di Gesú a scapito della sua umanità. Eppure proprio nella/sua quanto mai reale umanità il Cristo è il modello dell'atteggiamento religioso e si manifesta come il rivelatore del Padre».
    Altro fattore di maturazione di un atteggiamento religioso è la progressiva appartenenza ad una «comunità religiosa».
    Si tratta di una forma di identificazione sociale.
    L'appartenenza può essere definita come una organizzazione piú o meno stabile e dinamica della vita affettiva e percettiva dei membri di una comunità. Essa è un elemento che interviene nella formazione dell'atteggiamento religioso.
    Quest'appartenenza consente di trovare nella comunità religiosa la garanzia di una fede obiettiva, una fede ancorata, capace di perseverare nel tempo.
    Il «senso comunitario» è un buon criterio per nutrire l'atteggiamento religioso, il senso del «noi» e per valutarne la portata.
    Il credente sceglie il gruppo religioso che rappresenta e simboleggia i suoi valori e condotte e, di rimando, la comunità alla quale aderisce ispira il suo atteggiamento personale.
    Come regola generale, l'appartenenza precede l'atteggiamento personale. Quest'ultimo, una volta strutturatosi, offre alla religiosità una maggior stabilità. È piú euristico e sa prendere consistenza in nuove forme comunitarie. C'è bisogno di trovare nella comunità religiosa la garanzia di una fede oggettiva. Il senso comunitario è un buon criterio per giudicare l'atteggiamento religioso.

    LA DEDIZIONE ALL'ALTRO DAL DESIDERIO

    Costitutivo dell'atteggiamento religioso è l'ancoraggio di sé alla realtà di Dio, incontrato e accettato come altro rispetto al desiderio umano.
    Ciò avviene lungo una sequenza di livelli. Infatti l'atteggiamento religioso è una disposizione generale proattiva, un progetto di vita, un tratto «cardinale», centrale della persona.
    È una disposizione generale a vari livelli, proattiva, che guarda cioè al futuro e tende a costruire, organizzare la vita. Tale atteggiamento religioso parte da cinque disposizioni generiche con tendenza a specificarsi ulteriormente. Vediamo quali sono i livelli essenziali dell'atteggiamento religioso.
    - È animato da un progetto di vita impegnato.
    H. Thomae, nella Dinamica della decisione umana, parla di due tipi di progetto di vita. Un tipo di progetto di vita impegnato, teso alla costruzione a lunga portata, un progetto dunque capace di rinunciare a soddisfazioni immediate, che ha il fattore W (will = volontà), cioè la capacità di perseverare nella ricerca di uno scopo e di tramandare le soddisfazioni immediate. Un tipo di progetto di vita impulsivo: «voglio la mia soddisfazione qui, adesso, ad ogni costo».
    L'atteggiamento religioso ha come base un progetto di vita impegnato contro un progetto di vita impulsivo, edonistico. Insistere sulla pratica religiosa diventa vano quando il progetto di vita impegnato è assente.
    - È un progetto di vita impegnato nella dedizione a persone.
    Vi sono molti tipi di progetto di vita impegnato. Vi sono, ad esempio, progetti di vita riguardanti situazioni e persone (cf il politico, l'ingegnere, un artista).
    Vi sono altri progetti di vita che si impegnano in un rapporto personale nella dedizione a persone.
    - È un progetto di vita impegnato nella dedizione personale a un «Tu trascendente».
    Vi può essere, cioè, una dedizione interpersonale che di per sé non si può ancora chiamare religioso come tale: ad esempio, la famiglia, l'impegno sociale (anche se è piú per aiutare che per governare).
    La religiosità suppone la dedizione a un «tu» trascendente. Essa non si ferma alla filantropia, alla socievolezza; non è unicamente un rapporto orizzontale, ma è un rapporto verticale. Questa concezione caratteristica della religione non è del tutto, almeno in pratica, accettata, anche se in teoria può sembrare. Ad esempio, Fromm parla di una religione di fratelli e di una religione del Padre: «Dio forse esiste, ma vi è grande pericolo che diventi un idolo alienante». Per lui la religione è volersi bene, è dedicarsi ai fratelli.
    Queste tre componenti essenziali, strutturate tra loro in forma piramidale, sono prioritarie (necessità e capacità di amare Dio innanzitutto) a qualsiasi proposta dogmatica.
    - È apertura a un «Tu trascendente» manifestato in una condizione storica. In una certa cultura si dice che Dio si è fatto sentire, si è immischiato nelle faccende degli uomini, ha parlato loro rivelando il tipo di rapporto che vuole avere con noi. Se questo è vero, ciò modifica la componente psicologica dell'atteggiamento con Dio. Dio, allora, non è piú un principio, ma una persona, e il rapporto con lui è di tipo diverso, un rapporto come lui lo ha voluto e impostato. Questo rapporto può comportare molte cose: ad esempio, l'incontro con un gruppo religioso. Ci sarà un atteggiamento specifico, condizionato storicamente dal fatto della Rivelazione, della Chiesa, delle strutture... In questo caso, un atteggiamento religioso autentico terrà conto di questi gusti di Dio nel mio rapporto con lui. Questo vale, evidentemente, per coloro che riconoscono l'intervento di Dio nella storia.
    - È un rapporto con il Tu trascendente, storicamente incontrato. Questo rapporto s'incarna in una situazione di vita concreta, come uomo, donna, sposato, prete, religioso, giovane, vecchio, studente, professore, sano o malato. Questo trascendente chiede che rispondiamo alla situazione presente di volta in volta. Del resto, «ognuno di noi deve scoprire il significato della situazione presente» (Frankl).
    Ora, tutto questo progetto di vita è in continuo divenire, costruzione, ricerca. Essere sempre aperti a cogliere un significato sempre più profondo che si rivela (atteggiamento euristico).
    Perciò tutto non è chiaro, definito. Ognuno deve poter dire: «Io sto curando onestamente la ricerca del senso ultimo della mia vita e del mio rapporto con Dio, giorno per giorno, qualunque sia l'esito».
    L'essenziale è di fare tutto quello che è possibile e di farlo onestamente.
    Questi cinque livelli dell'atteggiamento religioso comportano un realismo psicologico e di vita.
    La religione è sempre un compito impegnativo, un progetto di vita che fa uscire da sé, che pone il senso ultimo nel senso religioso della vita e che cerca di costruire attorno a questi problemi tutta la sua vita.
    Evidentemente, si educa alla religione «anche» insegnando dogmi e pratiche religiose, ma «soprattutto» curando i primi tre livelli essenziali: di progetto di vita impegnato, nella dedizione personale, a un Tu trascendente.
    Le pratiche, le istituzioni sono utili in quanto portano a questo tipo di progetto e di relazione. Possono confermarle, verificarle, ma non fondarle in se stesse.


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