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    «Un’Enciclica voce di tutti,
    sfida e dono per tutti»

    Bruno Forte

    Colpiscono tanto il titolo Laudato si’ di questa Enciclica, ispirato a San Francesco e al suo Cantico delle Creature, quanto il sottotitolo, esplicitazione tematica di questo importante testo magisteriale: lettera del Santo Padre Francesco «sulla cura della casa comune». Lo sguardo del Papa «venuto dalla fine del mondo» vuole essere uno con quello del Santo di cui porta il nome per riconoscere nella terra su cui posiamo i piedi «una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia» (n. 1). Questa sorella, osserva Francesco, «protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla» (n. 2). L’allarme è lanciato, come anche la motivazione per cui non possiamo tirarci indietro di fronte a esso: niente di questo mondo ci può risultare indifferente, se esso è la nostra «casa comune»! È per questo che l’Enciclica è rivolta a tutti e non solo ai membri della Chiesa, accomunati come dovremmo essere tutti da una stessa preoccupazione e da una medesima responsabilità di fronte al mondo in cui viviamo.
    Francesco si rifà al magistero dei suoi immediati predecessori, che hanno costantemente sottolineato questa responsabilità, e significativamente anche a quello del «caro Patriarca Ecumenico Bartolomeo, con il quale condividiamo la speranza della piena comunione ecclesiale», che «ha richiamato l’attenzione sulle radici etiche e spirituali dei problemi ambientali, che ci invitano a cercare soluzioni non solo nella tecnica, ma anche in un cambiamento dell’essere umano», invitandoci ad «accettare il mondo come sacramento di comunione, come modo di condividere con Dio e con il prossimo in una scala globale» (n. 9).
    Il valore universale ed ecumenico dell’Enciclica risulta dunque chiaro sin dalle sue prime battute, e si radica nell’ispirazione direttamente collegata alla figura del Santo di Assisi, da cui tutti possiamo comprendere che «se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea» (n. 12). La posta in gioco è, insomma, il futuro di tutti, anche se il Papa insiste su coloro che più di altri pagano il prezzo della crisi ecologica: i poveri. È anche in loro nome, oltre che a loro favore, che intende parlare.
    È lo stesso Francesco a presentare la struttura dell’Enciclica, articolata in sei capitoli: «In primo luogo, farò un breve percorso attraverso vari aspetti dell’attuale crisi ecologica» (n. 15). La riflessione spazia dai problemi dell’inquinamento, connessi al divario fra i velocissimi tempi della tecnologia e quelli lenti della biologia, ai conseguenti cambiamenti climatici, dagli effetti spesso devastanti, fino al pericoloso diffondersi della «cultura dello scarto», che «colpisce tanto gli esseri umani esclusi quanto le cose che si trasformano velocemente in spazzatura» (n. 22).
    Una delle conseguenze drammatiche di questi processi riguarda «l’aumento dei migranti che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale, e che non sono riconosciuti come rifugiati nelle convenzioni internazionali e portano il peso della propria vita abbandonata senza alcuna tutela normativa» (n. 25). La denuncia diventa qui fortemente sociale e politica: «Molti di coloro che detengono più risorse e potere economico o politico sembrano concentrarsi soprattutto nel mascherare i problemi o nasconderne i sintomi, cercando solo di ridurre alcuni impatti negativi di cambiamenti climatici» (n. 26).
    S’inseriscono in questo quadro le urgenze maggiori che sono andate profilandosi sul pianeta: la questione dell’acqua, bene primario di cui tanti sono forniti molto al di sotto dei loro bisogni, spesso «trasformata in merce soggetta alle leggi del mercato», fino a negare ad alcuni lo stesso «diritto alla vita radicato nella inalienabile dignità» della persona umana (n. 30); le ferite spesso irreparabili alla biodiversità, con la conseguente perdita di «risorse estremamente importanti» (n. 32); il deterioramento della qualità della vita umana e la degradazione sociale, connessi ai danni ambientali; l’«inequità planetaria», dovuta al fatto che «il deterioramento dell’ambiente e quello della società colpiscono in modo speciale i più deboli del pianeta» (n. 48); la sconcertante debolezza delle reazioni, che spesso sembra ignorare come «un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri» (n. 49). È a questo punto che Francesco inserisce una riflessione di grande portata sulla necessità di «un’etica delle relazioni internazionali», che muova dalla constatazione di «un vero debito ecologico, soprattutto tra il Nord e il Sud, connesso a squilibri commerciali con conseguenze in ambito ecologico, come pure all’uso sproporzionato delle risorse naturali compiuto storicamente da alcuni Paesi» (n. 51). L’imperativo che ne consegue è categorico: «È necessario che i Paesi sviluppati contribuiscano a risolvere questo debito limitando in modo importante il consumo di energia non rinnovabile, e apportando risorse ai Paesi più bisognosi per promuovere politiche e programmi di sviluppo sostenibile» (n. 52).
    A partire dalla panoramica tracciata, Papa Francesco riprende nel secondo capitolo alcune argomentazioni che scaturiscono dalla tradizione giudeo-cristiana. Lo fa con grande rispetto delle posizioni di tutti: «Se teniamo conto della complessità della crisi ecologica e delle sue molteplici cause, dovremmo riconoscere che le soluzioni non possono venire da un unico modo di interpretare e trasformare la realtà. È necessario ricorrere anche alle diverse ricchezze culturali dei popoli, all’arte e alla poesia, alla vita interiore e alla spiritualità […]. Inoltre la Chiesa Cattolica è aperta al dialogo con il pensiero filosofico, e ciò le permette di produrre varie sintesi tra fede e ragione» (n. 63). Vengono così di seguito presentate la testimonianza dei racconti biblici, le sfide poste dal mistero dell’universo, la rilevanza di ogni creatura nell’armonia di tutto il creato, l’urgenza di una comunione universale, la consapevolezza teologicamente fondata della destinazione comune dei beni, fino alla presentazione dello sguardo di Gesù sul mondo e l’umanità che lo abita. In ascolto dell’esegesi più avvertita, papa Francesco ricorda che i testi biblici, letti «nel loro contesto, con una giusta ermeneutica, […] ci invitano a coltivare e custodire il giardino del mondo (cfr Gen2,15). Mentre “coltivare” significa arare o lavorare un terreno, “custodire” vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare. Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura» (n. 67). [...]
    Nel terzo capitolo l’Enciclica approfondisce le radici della situazione attuale, in modo da cogliere non solo i sintomi ma anche le cause più profonde di essa. Un’osservazione di fondo contestualizza l’analisi: «Mai l’umanità ha avuto tanto potere su sé stessa e niente garantisce che lo utilizzerà bene, soprattutto se si considera il modo in cui se ne sta servendo» (n. 104). Un grande rischio sta nella mentalità che l’enorme crescita tecnologica ha contribuito a diffondere: «Ciò che interessa è estrarre tutto quanto è possibile dalle cose attraverso l’imposizione della mano umana, che tende ad ignorare o a dimenticare la realtà stessa di ciò che ha dinanzi. Per questo l’essere umano e le cose hanno cessato di darsi amichevolmente la mano, diventando invece dei contendenti» (n. 106). Si è fatto strada nelle coscienze «un sogno prometeico di dominio sul mondo che ha provocato l’impressione che la cura della natura sia cosa da deboli. Invece l’interpretazione corretta del concetto dell’essere umano come signore dell’universo è quella di intenderlo come amministratore responsabile» (n. 116). A questa responsabilità si oppone il relativismo pratico, che dà assoluta priorità agli interessi contingenti e trascura le prospettive di lungo termine. Al contrario, un giusto senso di responsabilità viene favorito dall’attenzione alla dignità del lavoro: «In qualunque impostazione di ecologia integrale, che non escluda l’essere umano, è indispensabile integrare il valore del lavoro […].
    Il quarto capitolo dell’Enciclica è dedicato alla proposta di un’ecologia che, nelle sue diverse dimensioni, integri il posto specifico che l’essere umano occupa in questo mondo e le sue relazioni con la realtà che lo circonda. Partendo dal principio che «tutto è connesso» (n. 138), se ne deduce che la natura non può essere considerata «come qualcosa di separato da noi o come una mera cornice della nostra vita. Siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati. Le ragioni per le quali un luogo viene inquinato richiedono un’analisi del funzionamento della società, della sua economia, del suo comportamento, dei suoi modi di comprendere la realtà» (n. 139). È necessario, perciò, cercare soluzioni integrali, «che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali. Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura» (ibidem). Ne consegue l’inseparabilità dell’ecologia ambientale, economica e sociale dall’ecologia culturale, che investe le mentalità e richiede il rispetto oltre che della natura anche del patrimonio storico, artistico e culturale di una comunità o di un popolo, spesso ugualmente minacciato (n. 143), e dall’ecologia della vita quotidiana, che coinvolge ogni abitante del pianeta nelle sue abitudini e nei suoi comportamenti. In quest’ottica, papa Francesco propone riflessioni molto significative su una possibile «teologia della città» e sulle conseguenze di essa, di cui occorrerebbe tener conto: «È necessario curare gli spazi pubblici, i quadri prospettici e i punti di riferimento urbani che accrescono il nostro senso di appartenenza, la nostra sensazione di radicamento, il nostro “sentirci a casa” all’interno della città che ci contiene e ci unisce» (n. 151). [...]
    Il capitolo quinto propone alcune linee di azione in rapporto alle sfide e ai compiti delineati: l’idea chiave è quella del dialogo, a partire da quello sull’ambiente nella politica internazionale, a quello finalizzato allo sviluppo di nuove politiche nazionali e locali, al dialogo come metodo inseparabile dalla trasparenza nei processi decisionali, a quello fra politica ed economia in vista della promozione dell’umano, fino al dialogo fra religioni e scienze nel servizio alla causa ecologica. Il presupposto di queste diverse forme di dialogo è il «concepire il pianeta come patria e l’umanità come popolo che abita una casa comune […].
    L’interdipendenza ci obbliga a pensare a un solo mondo, ad un progetto comune» (n. 164), specialmente per favorire la «transizione energetica» e l’opzione condivisa per le energie rinnovabili.In proposito, Francesco non esita a denunciare come in questo campo «i negoziati internazionali non possono avanzare in maniera significativa a causa delle posizioni dei Paesi che privilegiano i propri interessi nazionali rispetto al bene comune globale» (n. 169), e manifesta ancora una volta la sua preoccupazione per i popoli e le categorie più deboli del pianeta. «Anche in questo caso, piove sempre sul bagnato» (n. 170). Qui l’Enciclica ribadisce l’urgenza segnalata da Benedetto xvi e da diversi dei suoi predecessori di arrivare a un’autorità politica mondiale in grado di intervenire sulle scelte che riguardano il bene di tutti e tutelare i più poveri, privi di mezzi di espressione e di difesa (n. 175). «La grandezza politica – osserva il Papa – si mostra quando, in momenti difficili, si opera sulla base di grandi princìpi e pensando al bene comune a lungo termine» (n. 178). La responsabilità verso l’ambiente e le generazioni presenti e future deve coniugarsi alla lungimiranza, alla capacità di fare talvolta anche passi indietro o di rallentare ritmi eccessivi, alla scelta della sobrietà come valore inseparabile dalla solidarietà. È nella proposta e nell’esercizio di queste prassi che le religioni possono avere un ruolo fondamentale nel superamento della crisi ecologica mondiale.
    L’ultimo capitolo, il sesto, è intitolato «educazione e spiritualità ecologica»: esso muove dal bisogno di cambiamento che l’umanità non può non avvertire alla luce delle sfide e della posta in gioco rappresentate dalla salvaguardia del creato. Occorre anzitutto puntare su un altro stile di vita, educando all’alleanza tra l’umanità e l’ambiente, stimolando a quella che può chiamarsi la «conversione ecologica», che sola sarà foriera di una vera gioia e di una pace duratura. Occorre che cresca nelle coscienze l’amore civile e politico, che sia nutrito nei credenti dalla ricchezza dei segni sacramentali e dall’esperienza del riposo celebrativo insegnato dalla tradizione biblica. Al fondamento di tutto, però, dovrà esserci una rinnovata percezione del rapporto fra la Trinità divina e la relazioni tra le creature, che trovano in essa il modello esemplare e la sorgente della forza necessaria a sostenere comportamenti solidali e responsabili finalizzati al bene di tutti. «Quando le persone diventano autoreferenziali e si isolano nella loro coscienza, accrescono la propria avidità. Più il cuore della persona è vuoto, più ha bisogno di oggetti da comprare, possedere e consumare» (n. 204). [...]
    La sfida ambientale si congiunge così a quella educativa, fondata sulle possibilità dell’essere personale a crescere nella consapevolezza delle proprie responsabilità e ad agire di conseguenza in maniera ecologicamente sostenibile e solidale, anzitutto nell’ambito della famiglia. Occorre creare una «cittadinanza ecologica», in cui reciprocamente ci si aiuti ad «aver cura del creato con piccole azioni quotidiane […] fino a dar forma ad uno stile di vita» (n. 211). Occorre sviluppare una vera e propria «spiritualità ecologica», fondata nella sequela di Gesù, di cui Francesco d’Assisi è testimonianza eloquente: «Vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana» (n. 217). Veramente si può sperimentare in questo campo come sia vero che «meno è di più […]. La spiritualità cristiana propone una crescita nella sobrietà e una capacità di godere con poco. È un ritorno alla semplicità che ci permette di fermarci a gustare le piccole cose» (n. 222). Questa spiritualità è fortemente nutrita dalla partecipazione agli eventi sacramentali e in particolare all’eucaristia, che «è fonte di luce e di motivazione per le nostre preoccupazioni per l’ambiente, e ci orienta ad essere custodi di tutto il creato» (n. 236), specialmente nella celebrazione domenicale e festiva, dove lo spazio del riposo e della festa ci aiuta a gustare il dono di Dio nel creato intero (cfr n. 237). Si sperimenta così come l’universo viva nel grembo della Trinità e il Dio vivente si offra in tutte le Sue creature al riconoscimento e all’adorazione della Sua trascendenza e della Sua provvidenza (cfr nn. 238-240). Modello della creatura che percepisce tutto questo in umiltà e amore è la Vergine Madre Maria, «Madre e Regina di tutto il creato. Nel suo corpo glorificato, insieme a Cristo risorto, parte della creazione ha raggiunto tutta la pienezza della sua bellezza. Lei non solo conserva nel suo cuore tutta la vita di Gesù, che custodiva con cura, ma ora anche comprende il senso di tutte le cose. Perciò possiamo chiederle che ci aiuti a guardare questo mondo con occhi più sapienti» (n. 241).
    L’Enciclica si conclude con testi di contemplazione semplice e profonda: in particolare, Francesco propone due preghiere, l’una offerta a tutti i credenti, la seconda specificamente ai cristiani. Emerge ancora una volta la sensibilità dialogica di questo Papa, che ha scritto le pagine di Laudato si’ con costante attenzione all’altro, tanto all’esperto di questioni ambientali, quanto a ogni persona desiderosa del bene comune, sia al credente non cristiano, che al discepolo di Cristo Gesù. Un aspetto particolarmente rilevante dell’Enciclica, poi, è il suo aver dato voce alla collegialità: numerosi sono i documenti di interi episcopati citati anche per lunghi sviluppi nel testo, voce di popoli e di situazioni che nei diversi continenti fanno avvertire l’urgenza di una conversione ecologica che coinvolga l’intero «villaggio globale». Rilevante è pure la citazione di autentici profeti dell’epoca moderna, spesso inascoltati o emarginati, come il grande gesuita, filosofo, antropologo e teologo Pierre Teilhard de Chardin, o il pensatore italo-tedesco Romano Guardini, molto studiato e amato da Jorge Mario Bergoglio, o il filosofo protestante Paul Ricoeur. Un’Enciclica per i cattolici, certo, ma in grado di parlare veramente a tutti, perché la nostra casa comune riguarda ogni persona umana e nessuno può chiamarsi fuori dalla responsabilità verso di essa. Peraltro, la rilevanza e l’accuratezza dell’analisi da cui il testo muove, la forza della denunzia anche politica che esso propone, il rigore delle motivazioni date alle proposte avanzate, sia razionali che propriamente teologico-spirituali, le implicanze esistenziali che vengono suggerite fanno di questa Enciclica un dono e una provocazione all’umanità intera, a cui mi sembra nessuno potrà moralmente sottrarsi.
    Come il Santo di cui porta il nome, papa Francesco ha saputo dar voce in queste pagine alla famiglia umana e a ciascuno dei suoi membri, invitando tutti a unirsi non solo con le parole, ma anche e soprattutto con la vita, al Cantico delle Creature del Poverello d’Assisi, autentico fratello universale.

    (Riportiamo da Vaticaninsider ampi stralci dell'introduzione firmata da mons Forte all'edizione della lettera papale commentata da diversi specialisti e che sarà in libreria da venerdì 19 giugno (pagg 192, euro 9.90, Editrice La Scuola)


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