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    Educare alla fede nelle aggregazioni ecclesiali




    Uno sguardo d’insieme

    Paolo Giulietti

    (NPG 2005-09-38)



    CAMMINARE CON I GIOVANI

    Il documento CEI

    Il compito di riflettere – in modo sintetico – sui contributi inviati da dieci aggregazioni laicali alla redazione di NPG riguardo i propri itinerari di educazione alla fede è risultato quanto mai arduo, a causa non solo dell’eterogeneità delle realtà ecclesiali coinvolte, delle loro proposte e delle modalità con le quali esse vengono attuate, ma anche per la difformità delle stesse narrazioni, diseguali per lunghezza, stile, sequenza di contenuti.
    Il metodo adottato è quello di utilizzare una «griglia di lettura», che permetta di ricondurre tale complessità ad una visione unitaria: si tratta delle indicazioni del documento CEI Educare i giovani alla fede, che presenta in quattro fondamentali dimensioni il processo di educazione alla fede delle nuove generazioni.
    Tale procedimento rischia indubbiamente di essere riduttivo; mi conforta però l’autorevolezza dello schema di lettura applicato e la consapevolezza che la ricchezza della vita di ciascuna delle realtà che hanno accettato di «sottoporsi ad analisi» eccede di gran lunga quanto è stato scritto nelle relazioni. Di conseguenza, anche le riflessioni che seguono vanno prese cum grano salis: per una realistica valutazione comparata sarebbe necessario disporre di maggiore e più dettagliato materiale.
    La questione della relazione tra Chiesa e mondo giovanile è significativamente affrontata per prima: è posta cioè alla base del processo di educazione alla fede. La capacità di camminare con i giovani si sostanzia nella capacità di ascoltarli e comprenderli, incontrandoli in ogni circostanza della loro esistenza, sempre però come persone uniche. Ciò richiede strumenti «istituzionali» di interazione (consulte, consigli...), ma soprattutto la disponibilità degli adulti, educatori e preti in testa, ad accogliere i giovani e a lavorare in rete tra di loro.

    Gli itinerari associativi

    La lettura della condizione giovanile occupa una parte consistente delle relazioni esaminate. Nonostante le diverse angolazioni, dalle relazioni affiora una costante: quanto più l’interpretazione del mondo giovanile vira verso il positivo, tanto più gli itinerari fanno ricorso a logiche educative che valorizzano domande, competenze e soggettività del giovane; viceversa, laddove la lettura si caratterizza per la sottolineatura dei limiti delle nuove generazioni, il percorso educativo si affida maggiormente a dinamiche «di conversione». Virtus in medio? Probabilmente no: infatti non si è di fronte a letture estremizzanti, ma a punti di vista ragionevolmente condivisbili, che danno luogo a scelte educative conseguenti (e rispondenti al «carisma» dell’aggregazione). Tenendo conto dell’estrema complessità del mondo giovanile, tale pluralità di atteggiamenti pare dare una prima risposta, già sul piano della possibilità di scelta tra varie impostazioni educative, al bisogno di differenziazione degli itinerari educativi.
    Dove invece si può discutere, è sulla capacità delle singole proposte di misurarsi in itinere con la realtà dei giovani; in alcuni casi, infatti, il percorso è caratterizzato da un elevato grado di interazione tra comunità educante e soggetti in educazione, e l’itinerario può continuamente, anche se parzialmente, adattarsi alle persone e ai progressi della loro crescita. In qualche caso non si può nemmeno parlare di vero e proprio itinerario, quanto dell’applicazione di un metodo «leggero», che affida ai giovani, in dialogo con l’educatore, la responsabilità di portare avanti il proprio cammino di crescita. In altri casi, invece, il percorso educativo appare molto strutturato (anche se non sempre in modo formale) e limitata la possibilità di influenza dell’interazione. A questo proposito, c’è da osservare che in molte relazioni si fa esplicita menzione dell’importanza di un accompagnamento personale, spazio che evidentemente sfugge ad ogni pianificazione e che costituisce una opportunità relazionale assai feconda.
    Si può notare, inoltre, il silenzio quasi totale delle relazioni su forme strutturali di ascolto e lettura della realtà giovanile all’interno delle aggregazioni. È tuttavia comprensibile che l’argomento, attinente più alle genesi progettuale che non al dispiegarsi del percorso formativo, sia rimasto fuori. Sarebbe comunque interessante verificare se esista e come influisca sulla definizione di temi e percorsi associativi un serio lavoro di analisi della condizione giovanile.
    L’ultima questione riguarda il protagonismo dei giovani: in alcuni itinerari esso è molto spiccato, sia per quanto riguarda la «vita interna» del gruppo, sia in proiezione esterna. Soprattutto alle persone che sono più avanti nel percorso educativo, vengono affidate delle responsabilità, nella convinzione della grande efficacia della testimonianza e del servizio educativo reso dai giovani ad altri giovani. In altre relazione si evidenzia, invece, una maggiore passività.
    Emerge in sintesi un quadro positivo per l’attenzione rivolta al mondo giovanile da parte delle diverse aggregazioni: sicuramente in tali contesti le nuove generazioni ricevono un’attenzione maggiore e specifica rispetto a quanto accade di norma nelle comunità parrocchiali. Rimangono perplessità circa la capacità di alcuni degli itinerari descritti di assumere le persone concrete, con le quali di volta in volta si ha a che fare, come elementi importanti per la definizione dell’itinerario, e non come semplici recettori di una proposta in tutto e per tutto definita.

    LA CENTRALITÀ DI CRISTO

    Il documento CEI

    Gesù Cristo vivente è cuore, soggetto e «obiettivo» di ogni itinerario di educazione alla fede. L’incontro con lui si realizza in una comunità che sa proporlo negli spazi e nei tempi della propria esistenza, attraverso un annuncio e una catechesi che sanno farsi cultura, l’educazione alla preghiera personale e comunitaria, l’accompagnamento vocazionale, le proposte di servizio e il sostegno ad una spiritualità laicale.

    Gli itinerari associativi

    La quasi totalità delle relazioni sottolinea fortemente come il nucleo dell’itinerario educativo sia l’incontro personale con Gesù Cristo. Ad esso tendono le proposte educative; da esso si origina il cammino di approfondimento della fede e gli impegni di testimonianza e servizio.
    Le dinamiche educative che preparano conducono alla conoscenza di Cristo sono abbastanza diverse, anche perché vanno ad esprimere, meglio di altre dimensioni, la specificità di ciascuna delle aggregazioni. Esistono però degli elementi comuni, che risulta interessante riassumere.

    * È viva l’attenzione ad «intercettare» la ricerca spirituale ed esistenziale dei giovani, cogliendo ed educando le domande che abitano il loro cuore. Le metodologie con cui tale operazione viene compiuta sono differenti, ma esprimono la medesima convinzione che la proposta di fede è sensata quando può essere percepita «in dialogo» con la vita. Anche nelle letture della condizione giovanile più tendenti al pessimismo, si coglie la necessità di proporre il Vangelo in continuità con una ricerca (che, in quei casi, è quasi da «risuscitare»).

    * Un forte accento è posto sull’esperienza, sia come fondamentale processo educativo, sia come modalità dell’incontro con il Signore Gesù. Il modello dottrinale-cognitivo viene definitivamente superato, in favore di itinerari costruiti come sequenze di esperienze personali e/o di gruppo: nelle esperienze «forti» (ritiri, campi scuola, celebrazioni, missioni…) e nell’esperienza quotidiana ci si educa a vivere la fede come esperienza di relazione con Cristo. La preoccupazione di proporre i contenuti della fede non scompare di certo, ma essi vengono offerti entro l’esperienza stessa, come suo sostegno e possibilità di interpretazione.

    * La sistematicità degli itinerari non si smarrisce, ma si determina non in forza di una ordinata proposizione della dottrina cristiana, bensì come esito di un processo di crescita che parte dall’essenziale e progressivamente si allarga a toccare dimensioni ulteriori di conoscenza e di vita cristiana. Itinerari, dunque, pensati come autenticamente graduali, dove si cresce non per un processo di sommatoria di elementi analoghi (come l’assemblaggio delle parti di una macchina), ma secondo una dinamica organica, che sviluppa e conduce a pienezza ciò è già essenzialmente presente agli inizi del cammino (come accade per gli esseri viventi).

    * Proprio per questo, «contenuto-base» della maggior parte dei percorsi è la Parola di Dio, che ben si presta a sostenere un approccio educativo di tipo esistenziale ed esperienziale. Attraverso di essa, i giovani vengono aiutati a scoprire il volto di Cristo nella sua autenticità umana, la sua identità divina, la sua passione per il Regno di Dio, la sua presenza nella storia nella Chiesa, nelle vicende personali…

    * In tutte le relazioni si riscontra un particolare rilievo dato all’educazione e all’esperienza della preghiera personale e liturgica, vista come fondamentale nel processo di crescita nella fede. Nonostante le diverse accentuazioni, ciò che interessa sono gli atteggiamenti, che consentono di vivere entrambe come occasioni di incontro con il Cristo Vivente.

    * Molte relazioni sottolineano il ruolo dell’accompagnamento personale come fattore di primaria importanza nell’itinerario. In alcuni casi si fa notare come la dimensione associativa consente ai giovani di beneficiare – in misura maggiore rispetto a chi non ha particolari appartenenze – di un doppio canale formativo: il cammino di gruppo e l’attenzione personalizzata. Attraverso la mediazione di adulti capaci di testimonianza, ascolto e annuncio, l’incontro con Cristo può strutturare la personalità e la vita dei giovani che lo accolgono.

    * Ultima dinamica è quella del servizio: ogni aggregazione la declina a modo proprio, sul versante educativo come su quello della missione, sul piano dell’aiuto a poveri o su quello dell’impegno politico… In ogni caso, lo spendersi per gli altri non viene presentato come mera applicazione morale, ma come vera e propria via di scoperta del volto di Cristo e di crescita nella relazione di fiducia con lui, che invita a «decentrarsi», a sua somiglianza, per il bene dei fratelli.
    La centralità dell’incontro con Cristo, in sintesi, dà luogo ad una vasta articolazione di processi educativi, che ciascun itinerario organizza secondo priorità e sequenze proprie. Così, mentre la visione complessiva risulta assai completa e interessante, all’interno delle varie aggregazioni non è sempre possibile riscontrare la compresenza di tutti i fattori. La valutazione di alcuni percorsi di educazione alla fede deve quindi rilevare in certo sbilanciamento, per l’assenza o la scarsa rilevanza di alcune delle dinamiche suddette.

    LA SOGGETTIVITÀ DELLA COMUNITÀ CRISTIANA

    Il documento CEI

    Il luogo storico dove poter incontrare Cristo è la comunità, nella concretezza e nella «ferialità» delle relazioni e della comunione tra persone e tra gruppi. Il dispiegarsi dell’azione educativa della parrocchia ha però bisogno di un progetto che sappia mettere al centro la persona del giovane. Le caratteristiche di una comunità educante sono: l’apertura a tutto il mondo giovanile, una coerenza tra fede e vita che accredita le tante opportunità di crescita nella fede; la capacità di offrire un percorso unitario di crescita per tutta l’età evolutiva, mediante itinerari di fede ben definiti. Nella parrocchia le aggregazioni laicali rappresentano una necessaria mediazione educativa.

    Gli itinerari associativi

    La dimensione comunitaria è – comprensibilmente – quella che presenta maggiore difformità rispetto alle indicazioni del documento, soprattutto dal punto di vista della soggettività educativa della comunità medesima. Infatti quasi mai la parrocchia viene presentata come comunità educante: più spesso è indicata come esito di percorsi educativi all’appartenenza ecclesiale o come luogo della celebrazione dei sacramenti. Ciò è comprensibile, data la natura fondamentalmente extra-parrocchiale delle esperienze recensite; d’altra parte occorrerebbe chiedersi se la comunità parrocchiale sia surrogabile, in quanto «luogo storico» di incontro con Cristo, con altre, pur valide, forme di esperienza comunitaria. Per alcune dimensioni, collegate strettamente all’insistenza su un territorio e alla popolarità dei meccanismi di appartenenza, occorre rispondere di no. Al di là di queste considerazioni, bisognerebbe però chiedersi quale sia in generale il livello di reale soggettività educativa delle comunità parrocchiali. La mancanza, in molti casi, di un progetto pastorale ed educativo capace di coinvolgere l’intera comunità e le aggregazioni presenti in essa nel lavoro con i giovani, determina il perdurare di una situazione di delega, nella quale molti parallelismi trovano pratica giustificazione.
    Per tali ragioni, il protagonismo giovanile, cui si riconosce in quasi tutte le relazioni una valenza positiva per il rinnovamento della comunità, si esplica spesso in direzioni diverse da quelle della vita della comunità parrocchiale, articolandosi nelle attività specifiche dell’aggregazione e del suo carisma.
    La mediazione educativa ed ecclesiale del gruppo viene menzionata praticamente in tutti gli itinerari: il gruppo è iniziale esperienza di Chiesa, capace di guidare ad una più matura appartenenza, in quanto in esso è possibile fare esperienze relazionali, formative, esperienziali e celebrative che aprono alla comunità adulta. Al gruppo (e la comunità educativa che in alcuni casi lo sostiene) viene attribuito il significato di una risorsa educativa fondamentale, non solo in ordine all’appartenenza ecclesiale, ma a tutte le dinamiche dell’itinerario di fede. In questo senso, l’utilizzo dello strumento-gruppo appare sostenuto da una riflessione educativa e spirituale di buona qualità.
    La visione unitaria del percorso educativo è presente solamente in poche delle aggregazioni esaminate, perché la maggior parte di esse – collocandosi al di fuori del contesto di una comunità parrocchiale – si indirizza solamente ad una fascia di età, non contemplando nessuna azione formativa diretta all’età precedente, né – in alcuni casi – un’attenzione per ciò che segue all’itinerario del tempo della giovinezza, come inserimento nella vita della comunità (al di fuori della possibilità di un impegno da responsabile/educatore all’interno della medesima aggregazione). Si nota, a tal proposito, una certa tendenza a considerare l’inizio del rapporto con la proposta formativa della propria aggregazione quasi come il «punto zero» della vita di fede di un giovane, senza tener conto che, almeno per alcuni, esiste una significativa esperienza di educazione alla fede, quanto meno all’interno dei percorsi dell’iniziazione cristiana o della pastorale dei preadolescenti.
    Sul piano della valutazione di altre proposte educative, alcune relazioni si caratterizzano per una spiccata criticità verso la «pastorale degli eventi», la «pastorale dell’aggregazione» e la pastorale dei leader»...: con motivazioni ovviamente di segno diverso, vengono stigmatizzati quegli itinerari che, a giudizio degli scriventi, appaiono inadeguati all’educazione alla fede dei giovani nel contesto attuale. Tali critiche sembrano azzeccate, anche se un po’ generiche. Da notare che solo pochissime aggregazioni spendono qualche parola per analizzare i punti deboli della propria proposta educativa...
    In sintesi, il carattere di mediazione educativa delle aggregazioni laicali nei confronti della comunità cristiana appare, in generale, non del tutto scontato. Una relazione di mera «ospitalità» (o tanto meno di parallelismo) con la parrocchia non sembra sufficiente ad assicurare né la possibilità di una reale soggettività educativa da parte di un popolo adulto, né quella articolata esperienza di Chiesa che non è solo termine, ma anche condizione per la crescita di una fede matura. Verrebbe da suggerire una maggiore integrazione, all’interno degli itinerari di crescita nella fede, della comunità adulta concreta, nella quale e con la quale essi possano dispiegarsi. In questo senso, la qualità più apprezzabile di alcuni itinerari è la loro elasticità, cioè la capacità di riprogettarsi, pur nella fedeltà ai criteri educativi di base e al carisma dell’aggregazione, in dialogo con il territorio civile ed ecclesiale sul quale i gruppi vanno ad insistere. D’altra parte, le aperture e le intuizioni delle aggregazioni laicali hanno certamente buone possibilità di avvicinare i giovani alla Chiesa e la Chiesa ai giovani.

    LO SLANCIO MISSIONARIO

    Il documento CEI

    La missione è dimensione ordinaria della vita e della pastorale della Chiesa; essa si realizza prima nell’essere che nel fare, e si concretizza nella tensione ad uscire fuori dagli spazi ecclesiali, per muoversi là dove i giovani si trovano: nella scuola, nella ricerca e nel tempo del lavoro, nel tempo libero, nell’impegno sociale e caritativo, nelle situazioni di marginalità, nelle realtà di immigrazione e nelle esperienze di missio ad gentes.

    Gli itinerari associativi

    Il tasso di missionarietà delle aggregazioni laicali presentate è generalmente piuttosto alto: l’impegno di testimonianza e di annuncio non è assente praticamente in nessuna delle relazioni, pur se declinato in maniera differente. Si notano infatti due tendenze, sia per quanto riguarda l’organicità della missione all’itinerario formativo, sia per quanto riguarda la sua organicità all’esistenza quotidiana.
    Missione come punto di arrivo o come elemento costitutivo del percorso educativo? Alcuni itinerari si legano ad una logica di propedeuticità, per cui la testimonianza della fede presuppone una matura esperienza cristiana; altre proposte invece assumono la missionarietà come elemento funzionale alla maturazione cristiana dei giovani. Il primo schema, consolidato da una inveterata tradizione educativa (si pensi ai seminari), ha dalla sua una stringente logicità: non si dona ciò non si possiede; comporta però il rischio di procrastinare il tempo della responsabilità testimoniale, collocandolo in un «secondo momento» che arriva tardi e non per tutti. Il secondo modello, sulla base del principio che la fede si rafforza donandola, pone da subito la questione della testimonianza di fede, assumendola come fattore educativo, magari con il rischio di una estroversione povera di esperienza e di conoscenze. Questa seconda impostazione si collega ad una diversa e più moderna visione della formazione come processo continuo, in cui apprendimento e azione si motivano e si richiamano a vicenda. Naturalmente, ogni impostazione ha una sua dignità e – probabilmente – una sua efficacia; la seconda risponde però maggiormente sia alle indicazioni della nota CEI, sia alle scelte di fondo che la Chiesa italiana sta compiendo nel presente decennio.
    Missione come evento «straordinario» o come dimensione «ordinaria» della vita quotidiana? Alcune relazioni pongono l’accento su specifiche attività missionarie; altre sottolineano invece il carattere feriale della missione, legato maggiormente all’essere che al fare. Nella prima impostazione si privilegia l’annuncio esplicito del Vangelo, anche attraverso proposte articolate e «forti» di predicazione e preghiera. Nella seconda visione ciò che conta è soprattutto la testimonianza personale e comunitaria di una vita quotidiana vissuta con una intensità e una pienezza sorprendenti, tali da affascinare e suscitare le domande che aprono alla proposta evangelica. La prima impostazione rimanda al modello tradizionale – riveduto e corretto – delle «missioni popolari»; la seconda privilegia invece le vie del dialogo e della presenza silenziosa. È più difficile, rispetto all’antitesi precedente, leggere come contrapposte le due visioni; è possibile infatti che un itinerario le contempli entrambe, rispettivamente come momento straordinario e pratica ordinaria della medesima tensione missionaria. La seconda impostazione si presenta maggiormente in sintonia con le indicazioni del documento CEI. Va detto, però, che la preferenza per il carattere feriale della missione esige un’attenzione educativa capace di sostenere la presenza e la testimonianza personale e comunitaria nei diversi ambienti di vita. Ora, essa appare carente in molte aggregazioni: le meglio attrezzate appaiono quelle associazioni che hanno fatto del lavoro di ambiente il loro specifico. Le loro proposte, d’altra parte, presentano una certa selettività, proprio perché indirizzate a situazioni particolari. In altre parole, una piena organicità della missionarietà alla vita quotidiana appare in alcuni casi più una dichiarazione di intenti che l’espressione della capacità di sostenere effettivamente i giovani nella sfida di vivere in ogni ambiente da testimoni della fede.
    In sintesi, l’ambito della missionarietà è sicuramente quello nel quale le aggregazioni offrono gli stimoli maggiori: la loro autonomia dalla parrocchia, troppo spesso concentrata su una pastorale «di gestione». Esse sono quindi in grado di offrire stimoli e competenze nuove ad una comunità che voglia ripensarsi sulle esigenze della missione (intraprendendo quella conversione pastorale alla missionarietà alla quale le parrocchie sono spinte dai vescovi italiani). Devono però ancora maturare itinerari capaci di assumere pienamente la tensione missionaria come risorsa educativa, offrendo nel contempo la formazione necessaria (motivazioni, strumenti, progetti..) a sostenere la testimonianza quotidiana dei giovani negli ambienti della loro esistenza quotidiana. Il compito appare arduo, per la necessità di quella personalizzazione dei percorsi di crescita nella fede da molti invocata, ma di non facile praticabilità.

    Conclusione

    Dall’esame delle relazioni emerge la ricchezza di intuizioni pastorali e di proposte educative che le diverse aggregazioni sanno mettere a disposizione dei giovani. Si evidenziano, soprattutto in alcuni casi, ma anche a livello complessivo, alcuni limiti; essi dipendono in parte dal fatto che ogni proposta, incarnando un carisma specifico, è naturalmente orientata ad accentuare alcuni aspetti a discapito di altri. D’altro canto, il fatto che il quadro complessivo sia molto più stimolante e completo della somma delle singole realtà descritte, rivela che la via dell’integrazione delle diverse proposte in un medesimo progetto pastorale è l’unica a poter garantire che la ricchezza e varietà dell’offerta formativa non degeneri in visioni ecclesiali e spirituali particolaristiche, ma contribuisca a fare della comunità cristiana una realtà sinfonica, capace di offrire al mondo giovanile parecchie «porte di ingresso» alla unica fede e all’unica Chiesa.


    T e r z a
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