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    Una ricerca per pensare la religione a scuola



    Carlo Nanni

    (NPG 1992-01-74)


    Sono trascorsi ormai sei anni dalla revisione del Concordato che ha impresso una svolta all'edu‑
    cazione religiosa scolastica, almeno a livello istituzionale.
    La successiva «Intesa» fra il governo italiano e la Conferenza episcopale italiana ha cercato di garantire le condizioni organizzative per l'esercizio dell' IRC (= Insegnamento della Religione Cattolica) come disciplina scolastica, dirimendo via via le questioni che insorgevano nell'applicazione concreta. E nei sei anni i problemi non sono stati pochi, e tanti non sono ancora risolti o la soluzione data non appare sempre la migliore.

    LA RICERCA

    Gli istituti di Catechetica e di Sociologia della Facoltà di Scienze dell'Educazione dell'Università Pontificia Salesiana di Roma hanno ritenuto di grande importanza rilevare il mutamento intervenuto nell'insegnamento della religione scolastica in seguito all'introduzione della normativa concordataria. Pertanto, congiuntamente essi hanno promosso una ricerca a livello nazionale con lo scopo di fare il punto sulla nuova situazione che si sta delineando: sia nell'atteggiamento di quanti sono interessati alla disciplina stessa, sia nelle emergenze educative e nelle connotazioni che questa va assumendo.
    La ricerca ha preso l'avvio nel giugno 1989 ed è stata completata nel marzo del 1991, mediante questionari e per un piccolo campione mediante interviste.
    I risultati della ricerca sono stati pubblicati nel volume: G.Malizia-Z.Trenti, Una disciplina in cammino, SEI, Torino 1991.
    Nella prima parte viene delineato il quadro generale di riferimento entro cui si è mossa l'indagine: comprende un rapido panorama sulla condizione giovanile ed i modi di essa nei confronti della religione, ed un richiamo alla precedenti ricerche sull'IRC (F.Garelli-V.Pieroni). Seguono la presentazione delle ipotesi generali e particolari, dell'investigazione (Z.Trenti) e la descrizione delle fasi dell'indagine con particolare attenzione alla rappresentatività dei campioni (G.Malizia-V.Pieroni).
    Nella seconda parte vengono esposte e analizzate le risultanze dell'applicazione dei questionari per livello scolastico e per componenti. Si inizia con l'esame delle risposte delle insegnanti elementari (insegnanti di classe e insegnanti di religione; specialiste di religione; insegnanti di classe che non insegnano religione) (S.Chistolini). Nel capitolo successivo sono analizzate le attese dei genitori degli allievi avvalentisi e di quelli non avvalentisi (R. Mion).
    Lo stesso schema viene anche seguito nella scuola media: il sondaggio sui docenti è suddiviso in due sezioni, una per gli insegnanti di religione e l'altra per il campione di insegnanti di altre materie (G.Malizia). La percezione dei genitori è analizzata da R.Mion.
    La sezione relativa alle superiori riporta, come nella media, un capitolo sugli insegnanti di religione e sugli insegnanti di altre materie (C.Nanni); e un capitolo dedicato alle opinioni manifestate dagli studenti che hanno avuto direttamente la possibilità di scegliere o di non scegliere l'IRC. Il rapporto è curato da V.Pieroni. Seguono le interviste dei «testimoni privilegiati»: un campione di 31 persone altamente qualificate (docenti universitari; politici, giornalisti, sindacalisti, intellettuali, sacerdoti con incarichi particolari nella pastorale scolastica o nella catechesi, ecc.) e un gruppo di 16 insegnanti di religione e 8 studenti delle superiori, le cui risposte sono state commentate da C.Bissoli.
    La terza parte fornisce delle sintesi trasversali dei dati su alcuni punti nodali. E.Damiano analizza i motivi delle scelte dell'IRC secondo le varie componenti (insegnanti, genitori, alunni dei diversi ordini di scuola). Z.Trenti presenta le risultanze relative all'IRC come disciplina, contenute nei vari questionari. F.Pajer tratteggia la figura dell'insegnante di religione secondo le percezioni dei vari protagonisti. E.Alberich e J.Bajzek hanno esaminato il quadro semantico soggiacente all'IRC (il primo circa i rapporti tra IRC e catechesi e il secondo circa il significato del termine religione che secondo l'inchiesta circola tra gli studenti). G.Malizia e V.Pieroni hanno tentato di interpretare le dimensioni comuni ai vari campioni, messe in evidenza dall'analisi fattoriale.
    La quarta parte, conclusiva, mira a fornire una visione complessiva e organica dei principali risultati dell'inchiesta secondo due prospettive: più descrittiva l'una (G.Malizia) e più interpretativo-propositiva l'altra (Z.Trenti).
    Completano il quadro due appendici: la prima comprende i questionari con le percentuali e le medie ponderate di tutte le risposte; la seconda contiene la lista dei testimoni privilegiati.

    UNA SCELTA CHE CHIEDE «EDUCAZIONE» E APPROFONDIMENTO

    La ricerca, pur incentrandosi sull'IRC, in effetti viene ad offrire uno spaccato molto interessante dei molti problemi che si agitano nella scuola pubblica statale (a cui la ricerca si limita). Ma più largamente «riporta» molte questioni sociali, religiose, politiche, culturali, giuridiche che travagliano il nostro Paese in questo scorcio di fine secolo.
    Lo si può vedere già nella scelta dell'IRC da parte dei genitori o degli alunni A questa questione era dedicata la sezione dei questionari, che veniva subito dopo la sezione riservata alle informazioni generali.

    I risultati emergenti

    Da parte dei genitori di coloro che si avvalgono dell'IRC, alle motivazioni di fede vengono spesso accostate ragioni formative e culturali. Si sceglie l'IRC perché si è credenti, ma anche, oppure perché si crede che l'IRC sia formativo e aiuti lo sviluppo umano e morale dei figli, o ancora per motivi legati piuttosto a tradizioni familiari. Anche altre ricerche, come quella recente di F.Garelli sulla religione in Italia, mettono in luce la notevole percentuale degli italiani che credono; ma pure la problematicità e la differenziazione nel modo di intendere e di vivere questo credere.
    Dall'analisi fattoriale dei genitori che, nella media, scelgono per i loro figli (talora andando oltre le intenzioni degli stessi interessati, cioè dei figli minori), è affiorata anche una certa area del disagio parentale: vale a dire quella porzione di genitori che scelgono l'IRC per i figli solo per mancanza di attività alternative valide o di strutture adeguate o sotto la pressione ambientale.
    Sulle ragioni della non scelta dell'IRC da parte dei genitori che non si avvalgono, per solito si fa riferimento da una parte all'appartenenza religiosa diversa, alla non credenza, a motivi ideologici e al carattere non formativo, non scolastico e catechetico dell'IRC, e dall'altra alla pressione sociale, alla tradizione familiare o ad altre ragioni di opportunità.
    L'analisi delle opinioni degli studenti delle superiori mette in evidenza le ragioni sostanziali di natura formativa della scelta dell'IRC: l'IRC permette di trovare risposta ai problemi che riguardano la propria vita e il proprio futuro, consente uno studi oggettivo e sistematico del Cristianesimo, e dà la possibilità di confrontarsi con chi la pensa diversamente. Anche in questo caso si riscontra una combinazione al negativo che delinea un'opzione per pressioni sociali e per mancanza di alternative valide.
    Ma forse la novità vera è la presenza di un terzo fattore della scelta dell'IRC da parte dei giovani: tra i motivi della scelta sono messi in buona rilevanza anche l'esperienza positiva degli anni precedenti e la fiducia nell'insegnante di religione cattolica.
    Fattori speculari al primo (= insignificanza formativa dell'IRC, non credenza o appartenenza a religione diversa) e al terzo (= cattiva esperienza precedente, non buone relazioni con l'in-segnante) sono messi in rilievo tra gli insegnanti di religione cattolica e gli insegnanti di altre materie a riguardo della non scelta degli studenti.

    Interrogativi per l'azione pastorale

    Non occorrerà quindi., dal punto di vista di una pastorale comunitaria, «educare» la religiosità e il senso di appartenenza confessionale delle famiglie? Non sarà da motivare le scelte familiari in materia di educazione dei figli e quelle dei giovani in materia di autoeducazione, perché esse non siano quasi solo strumentali al successo sociale o all'autorealizzazione personale, e poco attente ad una crescita religiosa personale per se stessa? E come fare maturare questa, stimolandola a muoversi verso lo stesso problema del senso e dell'autorealizzazione personale, al fine di arrivare ad una «religione in spirito e verità»?
    E dal punto di vista di una pastorale della cultura, cosa si potrà fare per superare quei residui di «steccati storici» tra cattolici e laici (e prima ancora tra cattolici e credenti di altre confessioni cristiane o altre religioni), tra clericalismi e anticlericalismi?
    In effetti dietro le indicazioni relative alla scelta di avvalersi o meno dell'IRC tali questioni non solo appaiono, ma sembrano essere «non debolmente» operanti.

    INSEGNANTE, MA SOPRATTUTTO EDUCATORE

    Un'ampia sezione del questionario è stata dedicata agli insegnanti di religione, per cercare di capire i problemi, soprattutto riguardo al senso della scelta professionale, all'identità, e ai compiti ad essa connessi.

    I problemi di una scelta professionale «atipica»

    Dalla ricerca si rileva che gli insegnanti di religione sono ormai in forte maggioranza laici (attorno al 70%); nella maggioranza donne, come capita per gli insegnanti di altre materie, eccetto nelle superiori, dove invece si ha una maggioranza «atipica» di uomini (attorno al 60%) e di sposati.
    Peraltro, rispetto agli insegnanti di altre materie, gli insegnanti di religione risultano «atipici» nella loro globalità, in quanto la loro pratica didattica - rispetto a quella di altri insegnanti - è collegata in forte misura a una scelta formativa e vocazionale, più che strumentalmente professionale (se si sta alle loro autodichiarazioni) oppure ad una scelta di lavoro di ripiego (se si sta ad una certa percentuale di risposte date dai campioni degli insegnanti di altre materie o da genitori).
    In proposito si vorrebbero fare subito alcune osservazioni di carattere pastorale.
    La prima: la costatazione di una maggioranza di insegnanti di religione laici può essere salutata come una crescita o perlomeno un lasciare giusto spazio ai laici da parte dei sacerdoti, in un compito schiettamente laicale, qual è l'insegnamento nella scuola pubblica statale; ma può anche significare un «arretramento» dei sacerdoti dai luoghi della formazione sociale o anche, più funzionalmente, il venir meno da parte loro di un osservatorio pastoralmente interessante (attraverso cui poter «tastare il polso» della condizione giovanile e dei problemi generazionali, soprattutto per la grande percentuale di coloro che solo raramente o eccezionalmente o mai ruoteranno attorno o arriveranno dentro i circuiti parrocchiali o comunque ecclesiali).
    La seconda: la motivazione «fortemente» religioso-formativa che sorregge la scelta di insegnare religione cattolica, certamente dà spessore e qualità alla professionalità docente degli insegnanti di religione; ma chiederà di essere «bilanciata» e composta con la componente di essenziale laicità della scuola di stato.
    E sarà da vigilare al fine di non farla trasbordare e straripare in termini di pesantezza trasmissiva ed indottrinante, poco educativa oltre che poco rispettosa della libertà di coscienza.
    Infatti, se succedesse un tale «straripamento», si verrebbe ad ostacolare una crescita intellettuale, culturale e globalmente personale, valida umanamente, perché qualificata da un apprendimento motivato e vissuto sotto il segno della interiorizzazione ed assunzione libera, ragionata e criticamente vagliata.

    Una identità e una serie di compiti interessanti, ma non senza problemi

    La caratterizzazione «educativa» che però sia professionalmente valida sembra qualificare il ruolo e i compiti della docenza di religione, sia come dato di fatto sia come aspirazione degli interessati o aspettativa di coloro che con essi vengono in rapporto.
    In proposito la ricerca porta ad evidenza la presenza di tre immagini di insegnanti di religione.
    Esiste - seppure fortemente minoritaria - ancora un'immagine tradizionale che identifica l'insegnante di religione con il sacerdote, il catechista e il rappresentante ufficiale della Chiesa, i cui compiti assumono un carattere catechistico-moraleggiante. Si costata anche una concezione di transizione che combina il sacerdote/catechista/ rappresentante ufficiale della Chiesa con l'educatore/formatore o l'insegnante. Emerge però anche un'immagine nuova che è centrata sull'insegnante educatore-formatore (con una percentuale che nelle superiori si aggira attorno al 70%).
    Dalla ricerca risulta che il «bravo» insegnante di religione conosce la nuova normativa concordataria, ha letto il programma ufficiale e lo realizza riguardo agli obiettivi, ai contenuti e ai metodi, secondo una pedagogia della programmazione curricolare. A monte egli si qualifica per una preparazione iniziale adeguata quanto a formazione psico-pedagogica, didattica, teologica e di cultura generale e per la partecipazione all'aggiornamento. Tuttavia una buona percentuale (attorno al 40%) - forse in connessione con l'accresciuta presenza di insegnanti laici - chiede un maggiore sforzo di formazione e di aggiornamento per contenuti teologico-culturali e per una incisiva competenza pedagogico-didattica: un impegno per i singoli insegnanti ma anche per una pastorale della scuola.
    E se la sua professionalità, nella quotidianità del suo esercizio, per un verso appare ad un buon terzo degli interessati «un'esperienza di cui talvolta si sente il peso e la forte responsabilità educativa e sociale», per altro verso appare una presenza e una professione relativamente soddisfacente.

    L'area del «disagio»

    L'insegnante di religione, per solito, vive positivamente la propria condizione nella scuola dove insegna. I rapporti con gli altri colleghi, per la gran parte, si situano tra l'amichevole e il cordiale, e gli allievi appaiono in larga maggioranza interessati e partecipi all'IRC.
    La ricerca tuttavia mette in risalto anche un'area di disagio istituzionale dell'IRC. Questa riguarda soprattutto il modo in cui la Chiesa attua le sue funzioni nei confronti dell'IdR: il giudizio è appena sufficiente per l'offerta di formazione, mentre diviene critico per la difesa dei diritti professionali dell'insegnante di religione e per lo svolgimento dei compiti amministrativi e didattici (a cominciare dallo statuto economico-giuridico, dalla partecipazione alle strutture collegiali, dal voto fuori pagella).
    Un certo disagio si riscontra anche riguardo al giudizio di idoneità, rispetto al quale si chiede chiarezza e uniformità a livello nazionale dei criteri di attribuzione, e alla doppia appartenenza (alla comunità ecclesiale, attraverso l'istituto della idoneità e alla comunità statale attraverso l'istituto della nomina) per la quale si vuole soprattutto maggiore chiarezza nei rapporti tra Chiesa e Stato.
    Questo disagio si mostra infine nel giudizio complessivo sulla soluzione concordataria dell'IRC: non c'è una contestazione globale, se non in minima parte; c'è invece - soprattutto da parte degli insegnanti di religione - una forte richiesta (di circa l'80%) per un mutamento migliorativo dell'esistente, che riduca gli elementi di disturbo (ad esempio rendendo obbligatoria la scelta delle attività formative o - secondo alcuni - arrivando a soluzioni di «doppio binario», vale a dire ad un insegnamento di religione per tutti, collegato ad un insegnamento della religione cattolica per chi vuole).

    UNA DISCIPLINA CHE È UNA SFIDA

    La parte centrale del questionario era dedicato all'IRC come disciplina, per valutarne la tenuta scolastica, i modi e la qualità didattica, ma anche per cercarne prospettive di futuro.

    Un'identità disciplinare particolare

    Le risultanze nel loro insieme hanno fatto decidere l'équipe della ricerca a dare il titolo di «Una disciplina in cammino» al volume che contiene il rapporto sull'intera ricerca.
    C'è quindi a parere dell'équipe un giudizio sostanzialmente positivo nei confronti dell'IRC come disciplina, pur non senza problemi anche a questo livello.
    L'IRC è l'unica materia scelta: da parte dei genitori e nelle superiori da parte dei giovani.
    Non esiste perfetta coincidenza di pareri a proposito delle motivazioni che fanno scegliere di avvalersi o non avvalersi dell'IRC. I giovani delle superiori sembrano «concordare» la loro scelta. Vale a dire, scelgono l'IRC se e in quanto corrisponde ai loro «bisogni» di uno spazio scolastico particolare, «aspecifico», in cui sviluppare i personali problemi di identità, di senso, di ricerca di valore. In tutti i casi sembra messa al centro e posta come discriminante motivazionale la qualità e la funzionalità formativa dell'IRC (e inversamente la non qualità e la non funzionalità formativa) sia essa intesa in riferimento alla personalità globale o invece in riferimento alla formazione culturale e mentale degli studenti stessi.
    In questo contesto c'è da chiedersi se la scelta dell'IRC significhi scelta di una istruzione/educazione religiosa specifica (e prima ancora se sia domanda di formazione religiosa esplicita, in senso cristiano) o, nonostante la determinatezza confessionale dei contenuti programmatici, rimanga in pratica ancora a livello di formazione della coscienza morale, della chiarezza mentale e veritativa, della ricerca di identità e di senso, cioè di una strumentale utilizzazione della cultura religiosa e in particolare di questo ambito scolastico, di questo insegnamento, a fini di autorealizzazione personale.
    Gli insegnanti di religione attestano che gli allievi sono nella stragrande maggioranza «abbastanza interessati» all'IRC. Tuttavia pare che la partecipazione si inquadri in una didattica in cui prevale la lezione (tradizionale e magari con l'ausilio di materiali audiovisivi) e il dialogo docente-alunni. Ricerca e apprendimento di gruppo sono piuttosto trascurati. In ciò pesa indubbiamente il quadro orario (che nelle superiori è di una sola ora). Ciononostante una minoranza degli insegnanti (che si aggira attorno ad un quarto del campione) mostra di praticare metodi, strumenti, forme di valutazione più rigorosi, in una prospettiva di progettualità e di intenzionalità formativo-culturale precisa.

    Una sfida per la scuola e per la pastorale ecclesiale

    L'indagine dà motivi per dire che l'IRC sembra muoversi tra una didattica tradizionale, di attenzione educativa alle domande degli studenti, e almeno per un po' attenta all'innovazione pedagogico-didattica.
    Tuttavia si può anche dire con una certa sicurezza che l'IRC - così come appare dai risultati della ricerca - non è senza forza di stimolo nei confronti della pratica didattica della scuola pubblica, in senso di coinvolgimento degli studenti e di innovazione pedagogico-didattica.
    Ma a riguardo - pur con la sua problematicità tuttora giudicata presente - l'intera vicenda dell'IRC sembra costituire una «provocazione» nei confronti della scuola pubblica nella sua globalità.
    Richieste, interesse, apprezzamenti (e fors'anche interrogativi) nei confronti dell'IRC sembrano infatti andare nel senso di una «domanda» di una scuola maggiormente ravvicinata alla vita, all'attuale grado di problematicità del vissuto individuale e collettivo, ed in particolare a quello dei giovani. L'IRC sembra premiato quando e nella misura in cui corrisponde o sa corrispondere all'esigenza di vincere la solitudine relazionale della società complessa; o quando e nella misura in cui aiuta a superare il mutismo e l'anonimato della società di massa; o quando e nella misura in cui sa apportare «ragioni» e «verità» per l'identità e il senso; in sintesi, quando e nella misura in cui sembra contribuire ad una cultura dei bisogni vitali giovanili attuali.
    Come ciò non scada in un «consumismo» culturale dell'IRC e come si debba comporre con le «regole costitutive» della scuola (chiamata a «educare» bisogni e domande nella direzione di una loro ricodificazione riflessa, critica, sistematica, universalmente e progettualmente aperta, tramite il confronto con il patrimonio della cultura sociale), è questione aperta.
    Ma insieme forse costituisce una sfida anche alla pastorale ecclesiale, perché chiede a tutta la comunità di darsi pensiero di questa risorsa educativa e culturale che ha a disposizione. Ed invita ad inserirla coerentemente nell'insieme delle opportunità e dei luoghi comunitari in cui di fatto avviene o non avviene l'evangelizzazione, la formazione e lo sviluppo personale cristianamente ispirato e fondato.
    L'esigenza di una pastorale di insieme si impone. O quanto meno si impone l'esigenza di una pastorale della scuola, in cui integrare l'IRC, l'animazione pastorale della scuola nel suo insieme, la formazione e la cura pastorale e spirituale dei docenti cristiani nella scuola di stato, l'apporto specifico della scuola cattolica, la politica culturale scolastica dei cattolici nella società civile e nella vita politica del paese, il contributo della comunità ecclesiale ad un sistema integrato della formazione comunitaria.
    Dalla lettura del rapporto tale esigenza si evince abbastanza facilmente, quando dalla costatazione dell'esistente si passa a preoccuparsi del «che fare?» per il futuro.


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