Casa comune ed ecologia integrale in Papa Francesco
Gustavo Cavagnari
(NPG 2020-05-35)
I giovani e la custodia del creato
Nel n. 288 della Esortazione Christus vivit (25 marzo 2019), Papa Francesco afferma che molti adolescenti e giovani sono attratti dal contatto con la natura e sono anche sensibili alla salvaguardia dell’ambiente. Campeggi, gite ed escursioni, da una parte, e campagne per la cura del creato, dall’altra, lo manifestano. Dal punto di vista pastorale, lui non esita ad affermare, dunque, che queste esperienze potrebbero servire per introdurre alla scuola della fraternità universale e della preghiera contemplativa.
Chi segue il pensiero del papa non dovrebbe stupirsi di affermazioni come questa. Anzi, il tema torna insistentemente nei suoi discorsi. Per l’appunto, la custodia del creato e degli altri era già stata menzionata persino nella sua omelia di inizio del ministero petrino (19 marzo 2013) e poi, come si sa, ampiamente sviluppata nella sua Lettera enciclica Laudato Si’ sulla cura della casa comune (24 maggio 2015), in cui egli ribadisce che la promozione di una ecologia integrale è una sfida urgente (13). [1]
Un contributo al dialogo sulla sfida ambientale
In generale, questo documento, che si aggiunge al Magistero sociale della Chiesa (15), è stato positivamente accolto. Esso ha avuto un profondo impatto sul dibattito ecologico, ha suscitato la preghiera e l’azione comune in migliaia di comunità, e ha anche dato nuovo slancio ai movimenti ecologisti. Nello stesso tempo, non sono mancate reazioni avverse. Ad esempio, alcune voci si sono chieste a buon diritto con quale idoneità il Pontefice possa intervenire nella discussione sull’inquinamento, sul cambio climatico o sulla biodiversità.
Queste critiche sono un’opportunità per chiarire che l’analisi che il Papa fa dei dati empirici non intende intromettersi in un dibattito che è compito degli scienziati. Al contrario, Francesco riconosce che, riguardo alla ecologia, si sono sviluppate diverse visioni e linee di pensiero (60) e si sono indicati diversi modi di spiegare e trasformare la realtà (63). In questo contesto, egli ammette che neppure la Chiesa può dare una parola definitiva a molte questioni concrete (61). Tuttavia, in fedeltà alla Scrittura (62-100), in sintonia con la testimonianza offerta da alcuni santi, tra cui Francesco d’Assisi (1, 10-12, 66, 87, 125, 218, 221), in comunione di pensiero con i Papi precedenti (3-6) e col Patriarca ortodosso Bartolomeo (7-9), e raccogliendo la riflessione di molti scienziati, filosofi, teologi e leaders sociali (7), Papa Francesco intende offrire una lettura etica e spirituale della problematica ecologica.
Alcune sottolineature di contenuto
Nella sua prolungata riflessione (246), il Pontefice ci ricorda anzitutto che l’essere umano vive e agisce in una realtà creata da Dio (75) che gli è stata donata (140) per comportarsi da amministratore responsabile (116). Secondo il piano del Creatore (86), questa realtà è popolata da creature che, sebbene diverse, hanno ciascuna un valore e significato (76) e una “vocazione” ad essere in comunicazione l’una con le altre (79). In questo mondo, quindi, tutto è intimamente relazionato (137) secondo un ordine e un dinamismo (221). In esso, la libertà umana può offrire il suo intelligente contributo a forme positive di relazione, o può anche alterare l'interdipendenza tra i diversi ecosistemi (190) con effetti che, tuttavia, si riversano sulle persone stesse (24).
La “natura” – il suolo, l’acqua, l’aria, le piante e gli animali (2) – non può essere considerata come qualcosa di separato dalla società umana che la abita o una sua mera cornice; tutte e due sono parte dello stesso “ambiente” (139). In questo senso, il “degrado ambientale” non riguarda solo la desertificazione, l’inquinamento o l’acidificazione, ma anche il deterioramento delle micro e macro-relazioni tra le persone (231). Le lesioni alla convivenza umana o al patrimonio culturale provocano anche esse “danni ambientali” (143, 232). La crisi è quindi una sola, sebbene con il duplice sguardo alla natura non umana e alla società umana (139). In quest'ottica, la tratta degli esseri umani, il narcotraffico o il commercio di pelli di animali in via di estinzione, benché non abbiano la stessa gravità morale, sono espressioni di una stessa patologia (123): pensare che la legge iscritta da Dio nella creazione possa essere manipolata a piacere (155). Infatti, quando si ammette che la radice della crisi ecologica è umana (101), si origina cioè nella ribellione dell’uomo contro l’ordine divino (66), si capisce perché la lotta contro il traffico di animali non può essere conciliabile con l'indifferenza davanti alla tratta di persone (91), né l’ambientalismo può essere compatibile con la difesa dell’aborto (120), né il reclamo dei limiti alle sperimentazioni animali (130) può conciliarsi con la abolizione della differenza sessuale nel corpo umano (155).
In conclusione, la soluzione alla crisi attuale non sta né in un’ecologia superficiale, né in una pertinace spensieratezza (59); né in una divinizzazione della natura (90), né in un suo ostinato usufrutto dispotico (68); né in un “biocentrismo”, né in un antropocentrismo deviato (118). Al contrario, l’esito si prospetta in una ecologia integrale che includa le dimensioni umane e sociali (137-162). Per noi, cristiani, questo suppone, tra altri aspetti, uno stile di vita coerente con le convinzioni di fede (54), contemplativo del mondo e del suo Creatore (122, 222), sobrio e capace di godere con poco (223-227), profeticamente forte davanti al paradigma tecno-economico (106-114) e solidale con i poveri (50, 232).
La creazione redenta ma ancora ferita
Sono precisamente i diversi aspetti di questa visione ecologica integrale quelli che, ancora una volta, noi possiamo scoprire nella meditazione che il Papa offrì il 27 marzo 2020 a motivo del flagello del covid-19. Prendendo avvio dal brano evangelico sulla tempesta calmata da Gesù (Mc 4,35-41), egli condivideva le seguenti parole:
“Perché avete paura? Non avete ancora fede?”. Signore, la tua Parola stasera ci colpisce e ci riguarda tutti. In questo nostro mondo, che Tu ami più di noi, siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato.
La scena che il Papa ci presenta è quella di un mondo malato. Anzi, gravemente malato. Qual è questo mondo? È, in primis, la nostra società, frenetica, avida, indifferente davanti a Dio e ai suoi richiami, e davanti agli altri e alle loro grida. Ma è anche il mondo in cui questa società si trova a vivere, la terra, qui rappresentata da un lago di Galilea “bifronte”: con un volto mite, in cui il vento e le acque sono in grande bonaccia, e un altro furioso, in cui le onde si gettano sulle barche a causa di una grande bufera; con un viso bonario, utile per la pesca e per il riposo, e con un altro inquieto, capace di uccidere tutti. E in questo mondo malato, si potrebbe domandare, noi pensavamo di rimanere sani? La risposta di Francesco è no. Sarebbe ingenuo pensarlo. Alla fine, tanto le nostre malattie come le malattie che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi sono conseguenza della ferita che il peccato introdusse nel mondo (2). Infatti, «come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo» (Rm 5,12), non solo l’uomo ma tutta la creazione «è stata sottoposta alla caducità» (Rm 8,20). «Tutta la creazione geme ed è in travaglio» (Rm 8,22). E tutta «la creazione aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio» e nutre la speranza di essere «liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella gloriosa libertà dei figli di Dio» (Rm 8,19.21). Vediamo di stabilire, dunque, le correlazioni tra Laudato si’ e la riflessione in tempo di epidemia.
- Questo nostro mondo che Tu ami più di noi
L’amore di Dio è la ragione fondamentale di tutto il creato (77). Per amore (Sal 136,6) Dio ha creato il mondo sotto il segno della bontà (Gen 1,1-31; Sap 11,24), e per amore lo sostiene nella sua esistenza (1 Cor 8,6).
In quanto Creatore, la terra e quanto contiene appartengono a Dio (Dt 10,14; Sal 24,1; Sap 11,26). Eppure, Lui l’ha data all’uomo per coltivarla e custodirla (Gen 2,15), cioè farne uso col proprio lavoro e, inoltre, proteggerla, curarla, preservarla, conservarla, vigilare su di essa (124). Questa responsabilità di fronte ad una terra che non è sua, ma di Dio, implica che l’essere umano debba rispettare le leggi divina e naturale, oltre ai delicati equilibri tra le creature (Dt 22,6).
- Noi ci siamo sentiti forti e capaci in tutto
Tuttavia, il peccato delle origini (Gen 3) ha causato una rottura della relazione dell’uomo con Dio, con sé, con gli altri e pure con la terra (66). Sostituendosi al Creatore, l’essere umano ha preteso di calpestare la realtà creata senza conoscere limite; si è affermato come un dominatore assoluto della terra; ha voluto imporre alla realtà le proprie leggi; si è proposto una visione della natura unicamente come oggetto di profitto e di interesse; si è appropriato delle risorse, anche a danno degli altri, applicando la legge del più forte (67, 82). Così, è finito col rivoltare la natura contro se stesso (117).
- Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami
Dopo la caduta, la rivelazione contenuta nelle Sacre Scritture ci racconta degli incessanti richiami divini all’obbedienza filiale e a quell’armonia che Isaia presenterà come segno dei tempi messianici (Is 11,6-10). Nell’Antico Testamento, gli scritti profetici e sapienziali ci ricordano il nostro posto e il nostro compito all’interno della realtà creata (70-75). Nel Nuovo Testamento, è essenzialmente Gesù colui che, facendo propria la fede biblica di Israele, ci invita a riconoscere la relazione tenera che Dio Padre ha con tutte le creature (Lc 12,6; Mt 6,26); ad essere in contatto continuo con la natura e prestarli un’attenzione piena di affetto e di stupore (Mt 13,31-32; Gv 4,35); a godere delle cose piacevoli della vita (Mt 11,19) senza abusarne (Lc 21,34) né sprecarle (Mt 14,20); a capire, infine, che non solo l’uomo, ma tutte le creature di questo mondo, sono orientate a un destino di pienezza (96-100). Ma sta a noi ascoltare!
- Custodi dell’opera di Dio come parte essenziale di un’esistenza virtuosa
Oggi, quindi, a partire dalla contemplazione del creato e dall’ascolto della Parola rivelata, tocca a noi riscoprire il nostro ruolo di collaboratori di Dio nell’opera della creazione (117). Con le parole della Enciclica, sta a noi puntare su un altro stile di vita e spiritualità: riconoscendo i propri errori, peccati, vizi o negligenze e cambiando dal di dentro (218); ricuperando il giorno di riposo contemplativo e celebrandolo sacramentalmente (237); assumendo nella vita ordinaria abitudini alternative (216-217); maturando una sana umiltà, una felice sobrietà e una giusta solidarietà (222-224); evitando comportamenti antisociali e facendo dei nostri spazi ambienti vivibili (149); impostando il proprio lavoro, per quanto si possa, come strumento per aiutare a far emergere le potenzialità che Dio stesso ha inscritto in noi e nelle cose (124-129). E altro ancora!
NOTA
[1] Se non si indica altrimenti, i numeri tra parentesi si riferiscono ai paragrafi di Laudato si’.