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    Riccardo Tonelli

    (NPG 1996-07-3)


    Quel pomeriggio, sulla riva del lago di Genazareth, si era radunata una gran folla, per ascoltare Gesù. Erano arrivati in massa dai villaggi vicini, come capitava solo nelle grandi occasioni. Ormai il sole era al tramonto e una leggera brezza rinfrescava l'aria. Nessuno però se ne accorgeva. Avevano ben altro cui farsi attenti. Non si erano neppure accorti che il tempo stava volando via, inesorabile.
    Gesù diceva delle cose bellissime. Non le avevano mai sentite, così chiare e confortanti. Gesù, poi, le diceva con un'autorevolezza che dava conforto e sicurezza. Ci si accorgeva subito che le sue parole venivano da un'esperienza specialissima.
    Diceva: «Date un'occhiata ai bellissimi fiori che rendono allegri i prati qui attorno. Sono vestiti in un modo splendido. Re e regine chissà cosa darebbero per fare un giro agghindati in questo modo. Ma non ci riescono: non ci sono sarti capaci di progettare qualcosa di simile. I fiori li veste Dio, con un gesto d'amore gratuito. Pensate a quanto si preoccuperà di ciascuno d noi, se ha tanta cura di cose che domani saranno bruciate dal sole e spariranno nel nulla».
    Strano... non ci avevano mai pensato. Eppure è proprio così. Ma non è finito. Gesù aggiunge subito: «Guardate gli uccelli che volteggiano nel cielo. Nessuno muore di fame, anche se non hanno né granai né organizzazioni di soccorso. Ci pensa Dio a regalare a ciascuno ciò di cui hanno bisogno. Se si preoccupa tanto di qualche passerotto... provate ad immaginare l'amore che porta a ciascuno di noi. Siamo importanti per Dio. Tutti lo sono; soprattutto per Dio sono importanti quelli che contano quasi come un passerotto che vola nel cielo».
    Lo si ascoltava con gioia. Il tempo passava e nessuno ci faceva caso. Ogni parola che usciva dalla bocca di Gesù era come un lungo abbraccio accogliente.
    Solo Gesù si è accorto del tempo che passava. L'amore arriva, per forza, a queste sensibilità. Si ferma. Si guarda d'attorno. Cerca di verificare lo stato delle cose. Poi, deciso, si rivolge a Filippo, che gli stava accanto: «Filippo... interrompiamo per qualche momento. Questa gente ha diritto ad un po' di riposo. Tu approfitta della pausa per distribuire qualcosa da mettere sotto denti. Chissà la fame che ha questa povera gente... Hanno fatto un lungo viaggio per arrivare fin qua e poi si sono assorbite quattro ore di conversazione».
    Filippo ha un attimo di smarrimento: «Gesù, nessun problema per l'intervallo. Il problema è l'altro: i panini per sfamare tutta questa gente». Aggiunge un altro discepolo: «Gesù, li ho contati, mentre tu parlavi. Sono quasi diecimila. Un record. Pensa quanto pane ci vorrebbe, per riempire almeno un buco nello stomaco di tutta questa gente...».
    «Che si può fare?», insiste Gesù con Filippo. La risposta non si fa aspettare, di una logica che non fa una piega: «La soluzione migliore è questa: arriviamo subito alla conclusione e poi manda ciascuno a casa propria. Non abbiamo pane. Non abbiamo soldi. Siamo in un luogo deserto. Non c'è proprio nulla da fare. Rimanda la gente a casa prima che diventi notte e...». Non dice «s'arrangeranno»... ma lo si capisce al volo.
    Gesù non ci sta davvero. Filippo l'ha proprio deluso. Sono anni che sta con lui... e guarda i frutti.
    «Filippo, la tua soluzione è assurda. Ho parlato del Padre che nutre gli uccelli e veste i gigli del campo... e tu mi consigli di finire, dicendo a questa gente di tornarsene a casa a pancia vuota». Di Dio Gesù parla prima di tutto con i fatti. Assicura che è un Padre, buono e accogliente, perché restituisce la libertà alla povera peccatrice, la vita al ragazzo morto prematuramente, la salute alla donna piegata in due dalla malattia.
    Filippo va in crisi. Non sa davvero che pesci pigliare. Anche i suoi colleghi aspettano, ansiosi e incerti.
    Gesù prende l'iniziativa. Dice a Filippo: «Verifica se qualcuno si è portato con sé qualche panino». «Qualcuno si è portato dietro un po' di provviste?», grida Filippo.
    Si fa avanti un ragazzino con una piccola sporta. «Io ho cinque pani e qualche pesce. Me li ha dati mia mamma, prima di partire di casa. Stavo per mangiarli, quando ho sentito il richiamo di Filippo. Eccomi qua. Che c'è?
    Gesù lo guarda con uno sguardo che incanta.
    «Senti», gli dice, «voglio fare una scommessa con te. Tu mi dai tutte le tue provviste. Le dividiamo tra questa folla. Questa è la scommessa: dividendo il tuo pane, ci togliamo la fame tutti: tu, io, Filippo, i miei amici... tutta questa gente. Ci stai?»
    Il ragazzo è incerto. Pensa ai suoi panini, alla sua fame, al lungo viaggio per tornare a casa... Guarda la folla: tantissimi. Come possono essere sufficienti i suoi cinque pani?
    Tenta il colpo: generoso... ma non troppo. «Gesù, facciamo metà per uno: qualche panino per te e il resto per me. Non è una proposta da buttar via. Ti va?».
    Gesù non ci sta davvero. La sua richiesta è esigente: «Tutto». Solo così si possono togliere la fame tutti. «Se non vuoi, nessun problema. Ti tieni i tuoi panini e te li mangi. Non sarà facile. Avrai cento occhi puntati addosso. Qualcuno cercherà di portarteli via. Dovrai difenderti con i denti. Ma sono tuoi e hai diritto di fare quello che vuoi».
    Insiste Gesù: «La scommessa è questa: se me li dai e li dividiamo tutti, la vita cresce per tutti».
    Il ragazzo ci sta. Consegna a Gesù i suoi pochi pani e i quattro pesci. Incominciano a dividere e a mangiare. Più dividono e più il pane e i pesci aumentano. Ce n'è davvero per tutti: non un boccone alla svelta, ma una spanciata.
    Alla fine, raccolgono i pezzi avanzati. Si sono tolti la fame e ne restano ancora sette sporte piene.
    Gesù conclude: «È vero: il Padre nutre gli uccelli del cielo e veste i gigli del campo. Lo fa da solo. Per nutrire la fame degli uomini (quella di pane e quella di speranza), ha bisogno, invece, di collaborazione. Possiamo crescere nella vita solo se qualcuno rinuncia a quello che possiede, lo divide, lo regala per amore. L'abbiamo sperimentato questa sera. Tornate a casa e fate anche voi la stessa cosa. Arrivederci».
    La folla se ne va, preoccupata e pensosa. Erano abituati a sentirsi dire: «Rinunciate a quello che possedete. Sacrificatevi. Pensate a chi soffre e imparate a cercare anche voi un po' di sofferenza, almeno per solidarietà».
    Gesù capovolge le raccomandazioni: «Sono venuto perché tutti abbiano la vita e la felicità. Il Padre vuole che ne abbiamo tanta da non sapere più dove metterla. Dio è fatto così: nutre gli uccelli del cielo e veste i fiori del campo, senza cercare nessun compenso. Gli piace e basta. Fa così perché ama follemente i figli suoi».
    Ma... c'è un «però», duro ed esigente.
    La vita cresce solo se qualcuno la sa regalare per amore. Se ce la teniamo stretta, la perdiamo noi e a facciamo perdere a tutti. Se sappiamo condividere tutto, davvero tutto, avremo vita e felicità in abbondanza.
    Se avesse ragione Gesù? Tutto diventa più impegnativo. Non basta rinunciare a qualcosa e non è sufficiente regalare ai poveri quello che avanza e non abbiamo il coraggio di buttare via. Va condiviso tutto, per possedere tutto. Invece di dividere tra quello che è mio e quello che regalo agli altri, tutto diventa mio, se lo condivido con gli altri. Così propone Gesù per la vita e la felicità...
    Qualcuno ha inventato la «mortificazione» come condizione educativa irrinunciabile. L'espressione è brutta e la sostanza è peggio. Mortificare vuol dire «dare la morte». Gesù vuole la vita e la felicità. Lotta contro la morte... altro che cercarla e programmarla. Pone però una condizione esigente: se il chicco di frumento non muore, né è vivo né genera la vita.
    Non sarebbe meglio togliere l'espressione «mortificazione» dal dizionario della pastorale, e cercare di sostituirla con la parola (e i fatti) «condivisione»?


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