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    Primo giorno di scuola


    Mario Pollo

    (NPG 1994-07-03)

    Il primo giorno di scuola per quelli della mia generazione, nata durante la seconda guerra mondiale, che ha vissuto la sua prima esperienza scolastica negli anni difficili ma pieni di entusiasmo vitale della ricostruzione postbellica, è un ricordo particolare, pieno di quegli umori e di quei sentimenti che aprono alla nostalgia.
    Il primo giorno di scuola segnava, almeno nella benevola distorsione del ricordo, l'inizio di un nuovo tempo, di una nuova età sia nella conquista di nuove dimensioni del sapere, sia negli spazi della socializzazione e delle conquiste dell'autonomia. Ogni anno, infatti, portava con sé la curiosità per le nuove materie e per gli sviluppi delle vecchie e la possibilità di fare quelle piccole cose in più degli anni precedenti che ritmavano il progredire del nostro farci uomini.
    La sensazione che il nuovo anno aprisse la porta di accesso ad una fase più evoluta, anche se piena di incognite e di rischi oltre che di potenzialità, ma forse proprio per questo più affascinante, rimane forte nel ricordo anche se molti anni sono trascorsi da allora.
    Occorre, se si vuol capire le emozioni di quel tempo, tenere conto che allora la scuola aveva un alto valore sociale: essa infatti era la via principale attraverso cui un ragazzo poteva tentare l'emancipazione della propria condizione sociale, oppure confermare quella già posseduta dalla propria famiglia di origine. Oltre a questo la scuola era anche la via, pressoché esclusiva, di accesso alla conoscenza ed a una condizione umana più evoluta.
    Non ha importanza il sapere, oggi, se tutto questo fosse effettivamente vero o se, viceversa, fosse una sorta di illusione; rimane il fatto che quel vissuto fosse dominante sia a livello sociale che individuale.
    Oggi la scuola non possiede più quel valore sociale visto che non assicura più alla maggioranza delle persone molte altre forme di accesso alla conoscenza, in alcuni casi più efficaci ed aggiornate.
    Se a questo si aggiunge che la scansione dei tempi dell'evoluzione e della emancipazione personale dei ragazzi e dei giovani non è più strutturata in modo così progressivo e rigido lungo l'asse dello scorrere degli anni come nel passato, si può capire perché il primo giorno di scuola per molti studenti e genitori abbia perso, almeno in parte, quel sapore che per molti della mia generazione affiora ancora nella nostalgia del ricordo.
    Tuttavia non bisogna pensare che il primo giorno di scuola non fosse, anche in quel tempo, carico di apprensioni, timori e di rimpianto per la fine dei giorni spensierati delle vacanze. Infatti accanto alle emozioni positive, sia per il clima educativo, molto spesso rigido e alquanto autoritario, sia per lo stesso valore che si attribuiva socialmente alla scuola, e, quindi, per il valore di sconfitta sociale dell'eventuale fallimento, il primo giorno di scuola suscitava anche emozioni negative.
    L'ambivalenza delle emozioni del primo giorno del nuovo anno scolastico non attenuava però il suo sapore di inizio di un'avventura affascinante, anche se affrontata a malincuore o con timore e trepidazione.
    Questa riflessione frutto della nostalgia del ricordo può essere una chiave per capire cosa manca oggi alla scuola per consentire alle conquiste pedagogiche e didattiche che essa ha conseguito in questi ultimi decenni di dare il loro contributo alla crescita umana dei giovani.
    Per prima cosa è necessario ridare valore al tempo come storia, ovvero aiutare il giovane a riscoprire che la sua vita è un progetto aperto che si dispiega nel fluire del tempo lungo l'asse passatopresentefuturo. Progetto in cui il futuro nasce solo dalla fedeltà del presente al passato ed al sogno di futuro che segna l'orizzonte esistenziale del giovane.
    Per seconda cosa è necessario ricostruire la scuola come casa della sapienza. Sapienza che prima di essere uno strumento per l'affermazione sociale del giovane deve essere alla base della conquista di una sua più elevata condizione esistenziale e, quindi, di una sua più piena realizzazione personale.
    Per terza cosa occorre fare della scuola un luogo di avventura sia per quanto riguarda la conoscenza, sia per l'esplorazione dei rapporti umani tra i pari e con le generazioni adulte.
    Tali obiettivi richiedono che la scuola riscopra sino in fondo la propria funzione educativa, che essa diventi cioè uno dei luoghi privilegiati nei quali il giovane può definire ad un livello più alto la sua identità.
    Identità che affronta le proprie radici nella memoria, intesa come percezione da parte dei giovani di essere figli di una storia e genitori di un'altra storia, ovvero della loro responsabilità verso le generazioni passate e future, oltre che verso quelle loro contemporanee.
    Ciò richiede che la scuola si scopra non solo come luogo del dovere, del puro apprendimento, ma riconosca il suo essere luogo di emozioni, educabili, e comunque finalizzate all'aiutare il giovane a scoprire ed a esprimere la sua diversità, le sue potenzialità personali.
    Queste azioni creerebbero dei vissuti dei giovani e dei loro genitori verso la scuola, che pur essendo, per fortuna, diversi da quelli dei giovani e dei genitori della mia generazione avrebbero però un valore esistenziale altrettanto forte. Con in più, però, il sapore di una evoluzione dovuta al superamento della concezione della scuola come strumento di affermazione socioeconomica, che era tipico della mia generazione, verso quella della scuola come luogo della scoperta e costruzione da parte del giovane di un sé più autentico e ricco sia di potenzialità espressive che conoscitive.
    Questo farebbe sì che il primo giorno di scuola divenisse quella area del tempo dei sentimenti che è simbolo, ovvero indicazione della strada da perseguire per renderla possibile, dell'utopia dell'evoluzione della condizione umana. Utopia intesa come luogo in cui il sentimento e la ragione congiungono il loro destino.


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