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    Da un'analisi sociologica della realtà ad un impegno politico



    Mario Pollo

    (NPG 1971-03-14)

    Continuiamo il discorso dell'impegno politico dei giovani.
    Gli studi teologici precedenti (1970/11 e 1971/2) ci hanno ricordato che è la fede che ci impone un intervento nella storia.
    Il cristiano vive inserito nella realtà, è responsabile della gestione del mondo, di una «certa» gestione, per farne una casa abitabile da figli di Dio.
    Assicurato il principio, il problema rimbalza con caratteri tecnici. Nasce lo spinoso assillo del «come».
    Non è la fede che ci suggerisce il tipo di intervento. Sono le situazioni, la vocazione che proviene dall'attuale volto delle strutture sociali, a determinare l'urto dell'impatto e la densità delle urgenze. La fede «svela in esse le intenzioni di Dio, riversando luce nuova sulla vocazione integrale dell'uomo» (RdC, 43).
    Quindi, per muoverci in un impegno politico (per educare ad un impegno politico) è urgente una analisi sociologica della realtà: essa fornisce la «materia», la pasta, mentre la fede offre la «forma», il lievito.
    Lo studio che segue vuole guidarci ad una lettura più attenta, razionalizzata, delle istituzioni sociali oggetto costante della nostra quotidiana esperienza. Lo fa in termini molto dialogici: ci presenta dei «fatti». Ogni conclusione è lasciata alla riflessione, alla disponibilità, all'«amore» dei lettori.

    LE STRUTTURE A SERVIZIO DELL'UOMO: VISIONE OTTIMALE

    La struttura sociale serve essenzialmente allo scopo di garantire la sopravvivenza, l'evoluzione e la realizzazione al di fuori dell'angoscia e della paura, delle potenzialità umane che si possono sintetizzare nel cammino controcorrente in un universo nel quale la misura dell'entropia che è improbabilità supera quella della sintropia che è possibilità di precisione e di organizzazione [1]. L'uomo come essere sociale organizzato guadagna giorno per giorno spazio al caos, al non conosciuto, all'improbabile, cercando quelle condizioni che possano garantire, almeno a livello minimo, la sua sopravvivenza per un ragionevole periodo di tempo e soddisfare i suoi bisogni che evolvono in rapporto al progresso e all'aumento continuo di popolazione.
    La caratteristica delle strutture è quindi funzionale rispetto all'ambiente, sia per ciò che riguarda i bisogni puramente materiali, sia per la creazione di quella «cultura» che permette all'essere umano che nasce, di realizzarsi come tale. Un dato storico facilmente osservabile porta a riflettere sul fatto che vi è stata nel tempo, dalla comparsa dell'uomo sulla terra ad oggi, una evoluzione verso una maggiore complessità, nella diversificazione, della organizzazione sociale. Questo appunto perché più l'uomo strappa «spazio» al disordine, più svela del non conosciuto, più modifica il suo ambiente, organizzandolo secondo modelli complessi e funzionali tali da permettere di fronteggiare una realtà non più elementare. Ciò non esclude che in alcuni sviluppi di strutture sociali ci siano state delle stasi, delle regressioni, oppure un immobile cristallizzarsi, ed a volte ciò è avvenuto per colpa di chi per condizioni ambientali, storiche e culturali aveva avuto modo di evolvere più costantemente e rapidamente. Questo discorso è però molto complesso e va affrontato nell'ambito di una sociologia del sottosviluppo.
    Quelli esposti sono gli scopi ottimali della struttura sociale, che nella realtà sono complicati e distorti da una serie di fattori che è opportuno esaminare in quanto hanno contribuito alla formazione dei moderni sistemi sociali.

    Dalle funzioni alle istituzioni

    Man mano che la realtà perdeva il suo valore magico per assumere l'aspetto di entità da mediare, dominare, modificare, e l'uomo passava dall'economia parassitaria ad una più produttiva basata sulla creatività finalizzata al dominio della natura, si assisteva alla progressiva diversificazione all'interno di una «comunità» delle funzioni, e quindi degli stati e dei ruoli, alla nascita cioè della specializzazione. Si rese perciò necessario per la convivenza armonica dei vari ruoli la creazione di una struttura, di una organizzazione funzionale dei vari rapporti sociali garantita da particolari strumenti sociali: le «istituzioni», ovvero l'insieme delle norme e delle regole che governano i rapporti.
    Se si è parlato un po' a grandi linee dello sviluppo delle strutture sociali non è certamente per la presunzione di fare una storia sociologica, ma solo per definire come punto di partenza un concetto di funzionalità della struttura sociale: forse più speculativo che scientifico, basato su una visione finalizzata, ottimistica nel suo sottofondo, del procedere umano come contributo al completamento dell'opera creatrice divina. D'altronde questo concetto è indispensabile all'analisi che seguirà.

    LE STRUTTURE CONTRO L'UOMO «POVERO»: VISIONE REALE

    Se lo scopo ideale, o meglio ottimale della «struttura sociale» (o con un vecchio concetto dell'«organizzazione sociale») è quello sopra accennato, vi sono state, pur nella tendenza costante a questo obiettivo, delle perturbazioni che hanno permesso l'instaurarsi della ingiustizia sociale, delle diversificazioni tra gli uomini, a favore di alcuni ed a svantaggio di altri, e che si sono radicalizzate in opinioni, credenze, atteggiamenti, valori ben strutturati in culture ed in sistemi sociali, modificabili solo lentamente ed a prezzo di forti tensioni. In altre parole, allo scopo vero di progresso e di realizzazione sempre più completa dell'uomo sociale, si è aggiunta una tendenza contraria, tutta rivolta alla realizzazione egoistica di alcuni beni immediati, che è una regressione sul piano del cammino verso una sopravvivenza garantita da una maggiore misura di ordine e conoscenza e previsione dell'ambiente, e che assume in molte società contemporanee l'aspetto di un vero e proprio «suicidio ecologico». E non si parla solo del deterioramento dell'ambiente ecologico, ma anche della stratificazione sociale che comporta per alcuni uomini una condizione di realizzazione delle proprie potenzialità inferiore al milionesimo.
    Vi sono ancora uomini che nonostante il progresso tecnologico svolgono la funzione di pure fonti di energia, oppure di appendici meccaniche, quasi automatizzate, di macchine, avviliti da una condizione di vita subumana. Ed a questo corrisponde puntualmente una articolazione della società di tipo gerarchico al cui vertice stanno i centri decisionali che posseggono la maggiore quantità di «informazione» e quindi di potere, che decidono, condizionano e manipolano gli strati inferiori, che nelle società democratiche sono in posizione dialettica con il vertice ed il centro, ma che solo con molta fatica e lentezza riescono a ristrutturare i rapporti e ad essere minimamente partecipi delle scelte che li riguardano. In questa situazione è difficile o pressoché impossibile per chi sta alla base essere cosciente della «finalità sociale» dei propri gesti, delle proprie azioni, del proprio lavoro, del proprio essere nel mondo, e quindi raggiungere quell'unità di se stesso, quel rapporto di compartecipazione alla realizzazione di obiettivi comuni, umani, di reale crescita. Ma anche se poco chiara e poco strutturata, questa coscienza di sé si sviluppa ogni giorno più. Lo si coglie nelle istanze, a volte chiare e a volte confuse, di una «base» che si muove. Questo fenomeno rischia però in ogni momento di essere soffocato, spento sul nascere dai condizionamenti sociali attuali e da quelli che nel passato hanno contribuito al formarsi della propria dimensione personale.

    I CONDIZIONAMENTI SOCIALI SONO MOTIVO DI EMARGINAZIONE

    È opportuno perciò esaminare anche se molto brevemente e per sommi capi come agisce il meccanismo del condizionamento sociale, che è il processo attraverso il quale l'uomo realizza la propria dimensione e che nello stesso tempo può inibirgli, in vari gradi, questa realizzazione e la partecipazione ad una costruzione sociale nella giustizia e nella libertà. È un processo a doppio taglio, che può condurre alla liberazione od alla schiavitù.
    L'individuo con la nascita si inserisce in un sistema sociale già preesistente, iniziando un processo di apprendimento che lo porterà gradualmente all'integrazione, permettendogli la sopravvivenza, l'acquisizione in sé del progresso della cultura, e che lo salvaguarderà dall'angoscia e ne finalizzerà i comportamenti. L'apprendimento nella fase iniziale della vita è essenzialmente rivolto all'acquisizione dei comportamenti utili a ottenere la soddisfazione delle proprie pulsioni, dei propri bisogni individuali. Attraverso l'apprendimento vengono selezionati i comportamenti e le pulsioni approvabili, ed inibite quelle che l'ambiente familiare o educativo ritiene non approvabili.
    La punizione alla non conformazione a questo «gioco sociale» è l'angoscia, l'insicurezza. Se da un lato si riconosce l'alto valore educativo di questi condizionamenti attraverso i quali avviene la formazione della personalità, e l'uomo affina ed elabora la capacità di mediare, insieme agli altri, la realtà; dall'altro è lo strumento attraverso il quale vengono inibiti comportamenti normali ma ritenuti socialmente pericolosi, e stimolati comportamenti restrittivi della potenzialità di realizzazione di se stessi, in nome di pseudo-valori ispirati a opinioni, credenze od a regole e norme sociali repressive ed antiumane.
    Questi condizionamenti, seppure in minore e diversa misura, continuano per tutta la vita, e provengono da un numero sempre più grande di gruppi sociali man mano che l'individuo si integra più completamente alla società. Nell'infanzia essi erano ristretti alla famiglia, alla scuola ed a qualche altro gruppo, che mediavano però e riproponevano al bambino in sintesi i condizionamenti recepiti dagli altri gruppi.
    Se nell'infanzia, l'effetto principale della non-conformazione alle regole ed alle norme era l'angoscia, o la punizione, più o meno limitata come intensità e durata, nella maturità gli effetti negativi abbracciano un arco più vasto che può portare all'esclusione totale dalla società ed alla perdita progressiva della propria identità. Il meccanismo dell'esclusione scatta ogni giorno senza che la maggior parte delle persone si accorga di esso, in quanto è abilmente protetto da alibi, etichettato con termini che intimoriscono, quali malattia mentale, delinquenza, ecc. Il risultato di tutto questo sono i lager moderni: manicomio, prigione, ghetto suburbano, ecc., e la creazione di diversità che isolano, attraverso una etichetta visibile a tutti quale: ribelle, anziano, disadattato, fannullone, anormale, ecc.
    Nell'infanzia, i trasmettitori delle informazioni che regolano il condizionamento sono essenzialmente i genitori e gli educatori, che a loro volta sono i ricettori delle informazioni condizionanti, che provengono dal sistema sociale.
    Il condizionamento si attua attraverso la comunicazione, che è il fenomeno che permette all'uomo di socializzarsi, e quindi di rivestire quella sua dignità che è unica nel dominio della creazione. La comunicazione, come tutti gli altri fenomeni umani, è un'arma a doppio taglio, uno strumento pluridimensionale che può portare sia al progresso ed alla liberazione, sia alla regressione ed alla schiavitù. Sarà opportuno perciò esaminare questo fenomeno sociale che non è nient'altro che il rapporto sociale fondamentale.

    GLI STRUMENTI DI COMUNICAZIONE SOCIALE: MEZZI DI MANIPOLAZIONE

    Il progredire, l'estendersi, il complicarsi della società umana è strettamente collegato allo sviluppo dei mezzi di comunicazione che rendono possibile l'estensione dell'uomo al di là degli angusti limiti spazio-temporali nei quali è imprigionato, rendendolo presente e legato a uomini, ambienti, situazioni a lui distanti sia spazialmente che temporalmente. Qualche studioso moderno, particolarmente brillante, considera gli strumenti di comunicazione come estensioni dei propri sensi e del sistema nervoso centrale. La stessa tecnologia viene indicata come strumento di comunicazione, in quanto essa permette all'uomo di dominare con braccia, mani, occhi, pensiero moltiplicati e potenziati dalla macchina, una porzione sempre più vasta del mondo materiale.
    Occorre però osservare che quando le comunicazioni erano ristrette allo spazio di sensibilità dei ricettori uditivi, visivi, tattili, olfattivi, ognuno poteva essere facilmente sia trasmettitore che ricettore, invece nella complessa organizzazione delle comunicazioni odierne la maggior parte delle persone può solo giocare il ruolo di ricettore, essendo quello di trasmettitore il dominio privato di pochi, di difficile accesso ai non addetti. Con questo non si vuole sminuire il significato di progresso dei moderni sistemi, ma solo sottolineare il fatto che essi si prestano, con il loro prestigio, ad essere lo strumento attraverso i quali i pochi manipolano i molti. Manipolazione che poteva già benissimo avvenire quando la comunicazione era un rapporto faccia a faccia, in virtù di un miglior possesso dell'espressività orale, gestuale o grafica che permetteva a chi la deteneva di affascinare, convincere, manipolare o liberare gli altri.
    E si vuole qui, con questo, brevemente ricordare che una prima operazione per permettere a tutti gli uomini di realizzare pienamente se stessi in clima di uguaglianza, è quella di consentire a tutti l'accesso ad una padronanza il più completa possibile della parola e delle altre forme espressive, grafiche, gestuali, musicali, ecc. Una padronanza però che non deve essere solo tecnica, ma puntuale al servizio di una creatività non inibita. Chiudendo questa breve parentesi e ritornando al discorso dei sistemi di comunicazione più complessi, viene spontaneo osservare che è essenzialmente l'essere al centro di questi sistemi che crea il potere, cioè la possibilità di influire sugli altri, facendoli operare, attraverso «il consenso», al raggiungimento di obiettivi, alla formulazione dei quali solo ristretti gruppi sociali hanno partecipato.

    Selezione delle informazioni

    La prima forma di questo potere è la selezione delle informazioni da immettere nel circuito e diffondere, nell'evidenziarne una parte, restringendone o abolendone un'altra, nel sottile gioco che ben conoscono gli esperti. Selezione che agisce anche nel senso della gratificazione di particolari «valori» e di particolari opinioni e credenze, a discapito di altri. È il mito degli strumenti di comunicazione che sono a servizio del pubblico, ma in realtà sono solo a servizio di chi li possiede.

    Ma armi a doppio taglio

    Ma come prima accennato, tutti questi strumenti sono armi a doppio taglio, e si può chiarire questo con un breve esempio. La pubblicità, se da un lato integra al consumo una particolare classe di uomini, dall'altro può essere strumento provocatore di rabbia nella classe di chi non ha nemmeno il minimo. La pubblicità di beni secondari e superflui a Torino avrà un valore di integrazione; nelle zone del sottosviluppo sarà uno stimolo a prendere coscienza dell'ingiustizia, e della propria condizione umana di oppressi. Un altro aspetto della ambiguità salutare degli strumenti di comunicazione è quello che in essi, oltre alle cose ordinarie puramente contingenti, possano circolare opere d'arte e valori reali e universali che raggiungono, stimolando profondamente alla liberazione, lo stesso pubblico che è leso superficialmente dalla propaganda.

    Creazione di modelli sociali

    La detenzione degli strumenti di comunicazione da parte di pochi che li usano secondo i loro scopi ha un effetto perlomeno nefasto: il tentativo di plasmare la realtà sociale in modo che essa sia ricettiva e sensibile ad un particolare modello di vita, indispensabile allo sviluppo di determinate attività economiche il cui scopo è il profitto. Come esempio possiamo prendere la società odierna dei consumi, tutta tesa alla ricerca di un edonistico piacere «acquistabile», essendo di natura materiale. Ma non solo la pubblicità svolge questo scopo, proponendo modelli di essere per l'uomo e la donna, ma anche e soprattutto i giornali cosiddetti indipendenti attraverso la sottile propaganda. Assistiamo al doloroso fenomeno caratterizzato dal fatto che per soddisfare le esigenze produttivistiche, si condizionano le persone a vivere fuori di sé in un atteggiamento regressivo ed immaturo di ricerca del piacere, nell'egoismo che questo comporta, essendo edificato sulla propria nevrosi e sul rifiuto della solidarietà a chi muore (e sono tanti) di fame. Per fortuna che, man mano cresce il benessere e la spirale del consumo progredisce, si assiste ad una presa di coscienza del vuoto della propria condizione, ed i valori repressi sboccano con tutta la loro dirompente forza, mettendo in crisi il sistema. Oltre a questi condizionamenti particolari vi sono quelli che si esercitano nel contatto giornaliero con gli altri, attraverso i rapporti formali ed informali, a livello interpersonale.

    LE MASCHERE SOCIALI MINANO I RAPPORTI INTERPERSONALI

    Molti si illudono di stabilire con gli altri dei rapporti basati solo sulla personalità dei contraenti, in una comunicazione di due esperienze umane, perché non tengono conto del fatto che quando due persone sono di fronte, sono di fronte anche due ruoli definiti socialmente, conosciuti in anticipo da ognuno dei due partners, che condizionano e predeterminano i limiti in cui si eserciterà la loro spontaneità di persone che agiscono, e tali inoltre da non lasciare in fondo alcuno spazio all'imprevisto e alla sorpresa. In questo sta la sicurezza che permette al comportamento sociale di esistere al di fuori dell'angoscia.
    L'agire nei rapporti interpersonali creduto libero e spontaneo, è in realtà frutto delle norme istituzionali che regolano la vita sociale all'interno di un sistema, e limitano gravemente la possibilità di una reale comunicazione di esperienze delle persone, a meno che nel rapporto non entri la vera amicizia o l'amore. È l'aspetto più rilevante della condizione dei rapporti umani nelle società cosiddette evolute, altamente industrializzate, che con la loro parcellazione delle funzioni, educano alla solitudine, chiedendo ad ognuno solo una parte della propria esperienza, di quella cioè connessa al ruolo. Se da un lato, questo è sinonimo di alienazione, dall'altro è il mezzo attraverso cui i condizionamenti giocano la loro funzione di controllo della fedeltà alle regole ed alle norme del gioco sociale. Si crea così, giorno per giorno, nell'individuo, la coscienza della normalità, che è la manifestazione di se stessi nel rispetto dei comportamenti, delle norme che sono istituzionalizzate a presiedere rapporti sociali. E la normalità è il più grosso freno verso valori di giustizia, di realizzazione di se stessi, di apporto creativo alla storia umana.

    E QUINDI UN IMPEGNO POLITICO!

    Dopo aver letto questa esposizione qualcuno si potrà chiedere: «Ma dove sono le motivazioni sociologiche all'impegno politico dei giovani»? Chi ha steso l'articolo risponde che questi sono stimoli, che vogliono solo aiutare a riflettere sulla poliedrica realtà sociale, a prendere coscienza di sé in rapporto al sistema sociale in cui si vive, al fine di ritrovare nel rispetto dei propri valori, della propria fede, della propria ideologia, la motivazione del proprio agire politico.
    Perché una motivazione matura è quella che nasce da un adattamento critico e dialettico alla realtà, che si persegue ponendo a «faro» dei valori non contingenti, ma di tipo universale. L'analisi precedente voleva solo accennare a quale sia, almeno nella convinzione di chi scrive, il «fine» umano della struttura sociale, in modo che ognuno possa rilevare autonomamente quale è lo scopo delle strutture sociali in cui vive e se questi sia consono alla sua visione della vita. Se vorrà contribuire a modificare o a conservare questa struttura dovrà impegnarsi in una azione politica, quella che crea le strutture, i condizionamenti, i fini ed i rapporti sociali.
    La descrizione di alcuni fenomeni sociali è un invito a sfuggire alla massificazione, al contatto guidato con la realtà, alla stereotipia, ed a ricostruire con gli altri una dimensione personale e sociale più consona alla tipicità umana.
    Le esposizioni contenute in questo articolo, pur nella rilevazione, a volte amara, di una condizione negativa allo sviluppo umano, sono un atto di fiducia, di amore verso l'uomo e la creazione. Atto d'amore che è forse l'unica reale e dirompente motivazione sociologica all'impegno politico di un giovane.

    [1] L'entropia fornisce una misura del grado di disordine in cui si trovano gli elementi microscopici che costituiscono un sistema. La sintropia, invece, è grandezza indicante la tendenza di un sistema di corpi a raggiungere la configurazione di ordine e differenziazione massimi che dovrebbe manifestarsi nei fenomeni biologici in contrapposizione alla tendenza al disordine e alla uniformità palese nei fenomeni fisici, che si rappresenta per mezzo dell'entropia.


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