Mario Pollo
(NPG 1980-1/2-84)
Esporrò uno dei possibili itinerari per l'animazione del gruppo. Esso è stato validato da molte esperienze; ciò non toglie che possa essere sostituito da altri modelli.
Si prenda come situazione di partenza quella di un gruppo che si sia appena costituito con lo scopo specifico della formazione (il motivo cioè della costituzione del gruppo è dato dal fatto che gli individui che lo formano devono sottoporsi ad un particolare processo formativo).
Questo modello è applicabile però anche a gruppi che già esistono e la cui esistenza è indipendente dallo scopo formativo. Basterà, in questo caso, far iniziare il percorso di animazione dal punto problematico in cui il gruppo si trova.
PRIMA FASE: LA MASCHERA DEL RUOLO
Il problema pressante che ogni membro di gruppo si trova a vivere è quello della ricerca della sicurezza personale, in quanto la situazione tipica di un gruppo di a sconosciuti» all'inizio della loro esperienza di vita collettiva è senza dubbio caratterizzata da un elevato tasso di insicurezza interpersonale.
In questa fase, l'attività dei membri del gruppo è, inconsapevolmente, tesa a scoprire chi è l'altro nella sua dimensione sociale, cioè a scoprire il suo ruolo e il suo status sociale. Nello stesso tempo ogni membro cerca di comunicare all'altro la propria posizione sociale, vera o presunta.
È importante domandarsi: qual è il motivo che spinge la maggior parte dei membri del gruppo a indossare la maschera sociale e a far indossare agli altri egualmente la loro maschera.
Conoscere i ruoli degli altri consente di impostare nel gruppo le relazioni interpersonali secondo il modello in uso socialmente, previsto e codificato.
Si sfugge così alla esperienza di insicurezza e di angoscia connessa alla realtà nuova del sistema gruppo.
Tra parentesi bisogna ricordare che questo è soltanto un frammento del sistema sociale, privo di struttura propria. Non è ancora «gruppo», nel senso pieno della parola.
Il ricorso al proprio status e ruolo realizza il superamento, attraverso gli aspetti istituzionali delle relazioni interpersonali, di una situazione iniziale difficile che blocca lo scambio verbale tra i partecipanti.
Attraverso il ricorso alle maschere decolla la vita del gruppo ed è possibile, anche se a livello ancora molto modesto, affrontare nel gruppo le attività pratiche rivolte al perseguimento dei fini del gruppo.
Il ruolo dell'animatore in questa prima fase non può essere rivolto che a far sì che ogni partecipante conosca l'altro e se stesso come status e come ruolo, per facilitare il superamento della fase iniziale di disagio e di insicurezza.
SECONDA FASE: I PRIMI RAPPORTI
Dopo questa prima fase, in cui tutti si sono mascherati, l'animatore deve stimolare il gruppo ad affrontare il «lavoro» e cioè lo scopo che è causa evidente (anche se non unica) dell'esistenza del gruppo.
In questa fase si intrecciano problemi di dinamica di gruppo e problemi relativi al «metodo della ricerca» e alla «comunicazione».
Così, in questa fase, una parte delle attività del gruppo riguarderà esclusivamente la riflessione del gruppo attorno ai problemi della ricerca. Un'altra parte, invece, riguarderà direttamente i problemi della dinamica di gruppo.
L'attenzione alla «comunicazione » riguarda invece in modo costitutivo le une e le altre attività.
Tocca all'animatore, mentre osserva il procedere del lavoro, analizzare anche come si svolge la dinamica dei rapporti interpersonali e decidere, motivando e sottoponendo a discussione, il momento in cui il gruppo deve fermarsi a riflettere su se stesso.
TERZA FASE: BUTTARE LA MASCHERA
Dopo aver indossato la maschera, le interazioni tra i membri del gruppo si sviluppano con una certa fluidità.
Dopo un po', però, si crea il bisogno, non sempre chiaramente riflesso e consapevole, di andare oltre, di superare la fase dei rapporti istituzionali, che non consentono di capire dal punto di vista umano chi è veramente l'altro.
Per lavorare assieme, infatti, non è sufficiente conoscere la maschera dell'altro, perché la sicurezza che questa conoscenza dà, è sempre di breve durata.
Le maschere, i rapporti istituzionalizzati, sono armi a doppio taglio, sono origine di nuove insicurezze interpersonali.
Tuttavia, se le maschere sono motivo di insicurezza, altrettanto lo è la prospettiva di buttarle. Il buttare la maschera viene sentito come un fatto positivo e nello stesso tempo negativo, pericoloso.
Può nascere una posizione di conflitto, che risulta paralizzante, capace di far regredire il processo di maturazione del gruppo.
È compito dell'animatore, quando insorge questo conflitto, stimolare con opportune tecniche l'abbandono da parte dei membri del gruppo delle loro maschere.
Non tutti, nel gruppo, buttano la maschera nello stesso istante: qualcuno fa l'operazione per primo, qualche altro per ultimo.
Di solito capita che la paura di buttare la maschera venga superata con l'aggressività. Altri invece tendono a chiudersi a riccio, buttano la maschera ma cercano contemporaneamente di non comunicare, per non svelare se stessi.
Questa fase conflittuale, aggressiva, nel gruppo non dura a lungo, perché si acquisisce la coscienza che la non-fiducia reciproca impedisce lo sviluppo di una comunicazione reale.
QUARTA FASE: AGGRESSIVITÀ E TOLLERANZA RECIPROCA
Quando questa presa di coscienza avviene, nasce nel gruppo un minimo di fiducia interpersonale: la tolleranza reciproca.
Anche qui ci è un grosso ruolo da giocare da parte dell'animatore, per favorire questa presa di coscienza, aiutando i membri ad uscire dalla difensiva o dalla aggressività reciproca.
Per attuare questa presa di coscienza può essere utile far emergere da ogni membro come si sente nel gruppo, come si sente percepito e come percepisce gli altri.
L'emergere di queste informazioni diventa fonte di tensione nel gruppo, ma è la via obbligata attraverso cui esso matura:
- la tolleranza reciproca,
- una più corretta visione di sé in rapporto agli altri,
- una più corretta visione dell'altro, che nasce dal rapporto tra la propria visione, quella degli altri e quella che l'altro ha di sé.
La nascita della tolleranza reciproca segna la nascita del gruppo, in senso pieno. Da questo punto in poi i membri del gruppo sono in grado di sviluppare una effettiva partecipazione e di implicarsi in modo più profondo nella vita di gruppo.
QUINTA FASE: GRUPPO-RIFUGIO
Nel gruppo si forma un clima più disteso e ci si sente sicuri. Il gruppo comincia a diventare un angolo caldo e rassicurante. Gli altri sono visti come oggetto buono, come fonte di sicurezza e non più come minaccia.
Nel gruppo prevale il timore di perdere l'oggetto buono appena conquistato.
Questa posizione conduce il gruppo alla ricerca dell'unanimità, perché esiste il timore che ogni disaccordo o dissenso possa mettere in crisi il bene appena raggiunto. In questa situazione l'accordo tra i membri del gruppo non è reale, vero e condiviso, ma è solo un atto di «convenienza» che ha radice nella sfera affettiva e non in quella razionale.
Le interazioni sono apparenti: non sono veri scambi ma semplici atti di devozione nel rito collettivo che celebra la conquista del gruppo.
Molti gruppi primari si fermano a questo stadio.
Per superare questa fase, l'animatore deve far emergere i conflitti rimossi, personali, culturali, ideali. Deve far prendere coscienza al gruppo che in esso si è instaurata una situazione di dipendenza: si dipende dalla paura di perdere il gruppo.
Questa dipendenza impedisce di essere un gruppo di lavoro, in cui ci sia spazio per la creatività, la libertà, la partecipazione.
Un gruppo-rifugio non serve a raggiungere infatti altro scopo che quello della propria conservazione.
SESTA FASE: LA RICERCA Dl INTERAZIONI AUTENTICHE
La fase successiva a questa è caratterizzata da una ricerca di modi di interazione che consentano lo sviluppo di una partecipazione più vera e genuina.
Occorre che il gruppo superi l'accordo su basi solo affettive e scopra un accordo in cui sia possibile una comunicazione non patologica tra i membri del gruppo.
La domanda che nel gruppo si pone è questa: come essere se stessi pienamente e nello stesso tempo essere accettati dagli altri.
La risposta a questa domanda avviene attraverso lo svolgersi di una esperienza caratterizzata dallo scatenamento delle dispute e della aggressività latente e, infine, dal regolamento di tutti i conti che erano stati tenuti in sospeso.
Tutto questo era stato rimosso per non perdere il conforto del gruppo-rifugio.
Da questo scatenamento muove la ricerca di una più corretta regolazione della vita di gruppo, della partecipazione autentica che consenta la cooperazione, la solidarietà tra gli individui e nello stesso tempo la loro espressione naturale e spontanea. Nasce da questo un nuovo gruppo.
A questo punto l'animatore deve avviare con il gruppo un processo di verifica dell'attività formativa svolta fino a questo momento. Ogni partecipante deve riflettere insieme agli altri su come ha vissuto individualmente e collettivamente l'esperienza formativa. L'attenzione deve essere posta in modo particolare su come nel gruppo si stanno attivando le competenze, le esperienze, le capacità individuali e su come si sta sviluppando la crescita delle capacità decisionali e organizzative.
In altre parole, occorre definire il tipo di struttura di gruppo, formale e informale, che si vive in quel momento, per verificare le eventuali incoerenze rispetto ai fini complessivi dell'animazione culturale.
Utilizzando i tests che la sociometria mette a disposizione, l'animatore deve indagare la struttura informale, formalizzata, renderla leggibile e farla circolare come informazione nel gruppo.
L'animatore non compie evidentemente questa operazione da solo, ma lavorando insieme a tutti i membri del gruppo sviluppa in questo modo una ulteriore via di autoconoscenza.
Questa analisi consente di prendere coscienza di come l'affettività possa essere un fattore di integrazione o di emarginazione, di partecipazione o di alienazione, quindi come la vera cooperazione, la democrazia e la giustizia non possano essere garantiti solo dalla struttura formale.
Ad una struttura formale circolare devono corrispondere una struttura informale circolare, altrimenti la democraticità è solo apparente.
La presa di coscienza del peso e del ruolo dell'affettività nel gruppo è già un inizio di liberazione che deve saldare il pubblico con il privato, il formale con l'informale, il politico con il personale.
Dalla verifica compiuta attorno alla struttura formale e informale, il gruppo è in grado di darsi una organizzazione più efficiente e più rispondente ai fini impliciti ed espliciti che sono il motivo del suo esistere.
In gruppo poi sviluppa a questo punto una maggiore coscienza del proprio ruolo nel sovrasistema sociale e dei rapporti che ha con esso. Si forma e si definisce cioè più compiutamente l'equilibrio interno ed esterno del gruppo.
VERSO L'AUTOGESTIONE
Dopo questa fase il gruppo è in grado di affrontare con la massima efficacia, razionalità ed equilibrio i problemi del potere, dell'autorità, dei ruoli funzionali dei suoi membri, dei meccanismi di decisione...
Saper affrontare questi problemi significa per il gruppo saper esercitare un'ampia funzione di controllo su se stesso.
Così il gruppo è in grado di autoregolarsi e di autogestirsi.
Sa agire anche verso l'esterno attivando processi di trasformazione del sovrasistema sociale.
È in grado cioè di perseguire i propri fini attraverso un adattamento attivo.
A questo punto il gruppo è maturo, è pronto per esercitare un ruolo più significativo nel sistema sociale, se prosegue la propria attività. Se invece si scioglie, esso ha compiuto fino in fondo il suo ruolo di luogo privilegiato dell'educazione liberatrice globale.