Mario Pollo
(NPG 1989-06-84)
LA PAROLA, IL SUONO E IL TEMPO
La parola prima di essere fissata nella scrittura è stata puro suono.
Nell'epoca in cui la parola abitava esclusivamente la dimensione acustica dell'esistenza umana, l'uomo viveva una esperienza di appartenenza globale e solidale al gruppo sociale, fosse questi il villaggio, il clan o la tribù.
Nelle culture orali non c'erano, e non ci sono, pensatori o inventori individuali [1] in quanto l'attività culturale dei singoli altro non era che un semplice frammento dell'attività collettiva.
La parola scritta, in modo particolare quella dell'alfabeto fonetico, ha introdotto la separazione dell'individuo dalla totalità del gruppo consentendogli di differenziarsi.
La parola parlata conserva questi profondi residui dell'esperienza primitiva di unione dell'uomo singolo al tutto rappresentato dal gruppo. Per questo motivo essa è ancora in grado di far risuonare, nell'abitante iperindividualizzato delle società industriali moderne, la nostalgia per l'antica solidarietà mistica che lo univa agli altri uomini.
La parola parlata abita l'effimero, risiede nel luogo precario dello scorrere del tempo essendo solidale a quest'ultimo.
La parola, infatti, nasce nel passato, vive nel presente e scompare nel futuro.
Il suono di una parola è l'espressione più diretta del discorso del tempo a cui vanamente l'uomo cerca di opporsi.
"Verba volant, scripta manent".
Il motto antico rende compiutamente il senso della fragilità di una parola legata al fluire del tempo. Tuttavia il rapido apparire e svanire delle cose non è il segno che il tempo è effimero ma che lo sono le cose che lo abitano.
Il senso e il tempo nel salmo 90
Questa concezione è quella che più direttamente si può derivare dalla Sacra Scrittura, ad esempio nel salmo 90.
Signore, tu sei stato per noi un rifugio
di generazione in generazione.
Prima che nascessero i monti
e la terra e il mondo fossero generati,
da sempre e per sempre tu sei, Dio.
Tu fai ritornare l'uomo in polvere
e dici: "Ritornate, figli dell'uomo".
Ai tuoi occhi, mille anni
sono come il giorno di ieri che è passato,
come un turno di veglia nella notte.
Li annienti: li sommergi nel sonno;
sono come erba che germoglia al mattino:
al mattino fiorisce, germoglia,
alla sera è falciata e dissecca.
Perché siamo distrutti dalla tua ira,
siamo atterriti dal tuo furore.
Davanti a te poni le nostre colpe,
i nostri peccati occulti alla luce del tuo volto.
Tutti i nostri giorni svaniscono per la tua ira,
finiamo i nostri anni come un soffio.
Gli anni della nostra vita sono settanta,
ottanta per i più robusti,
ma quasi tutti sono fatica, dolore;
passano presto e noi ci dileguiamo.
Chi conosce l'impeto della tua ira,
e il tuo sdegno, con il timore a te dovuto?
Insegnaci a contare i nostri giorni
e giungeremo alla sapienza del cuore.
volgiti signore; fino a quando?
Muoviti a pietà dei tuoi servi.
Saziaci al mattino con la tua grazia:
esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni.
Rendici la gioia per i giorni di afflizione,
per gli anni in cui abbiamo visto la sventura.
Si manifesti ai tuoi servi la tua opera
e la tua gloria ai loro figli.
Sia su di noi la bontà del Signore, nostro Dio:
rafforza per noi l'opera delle nostre mani,
l'opera delle nostre mani rafforza.
Il versetto 12:
"Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore" esprime la risposta corretta dell'uomo di fede dell'antico testamento allo sgomento che gli provoca la meditazione intorno alla caducità ed alla precarietà dell'esistenza umana. Infatti il salmista non chiede a Dio il prolungamento, al di là dell'ordine naturale, della durata della vita umana ma solo di imparare a contarne i giorni. Dove il contare i giorni può essere compreso come la capacità di capire, non solo con la mente ma anche con il cuore, come vuole la vera sapienza, che il senso della vita umana è nel suo scorrere all'interno del tempo, e non nelle cose di cui è costellata e per molti versi fatta. Sottostante a questa richiesta vi è la consapevolezza che il tempo deve essere santificato perché esso è il luogo in cui l'uomo incontra la silenziosa onnipotenza di Dio.[2]
Santità del tempo
Questa consapevolezza della santità del tempo la si incontra anche nel racconto biblico della creazione, nell'esodo e nei dieci comandamenti.
A questo proposito Heschel rileva: "I pagani proiettavano la loro consapevolezza di Dio in una immagine visibile o l'associavano ad un fenomeno della natura, a un oggetto dello spazio. Nei dieci comandamenti, invece, il Creatore dell'universo si identifica con un evento storico, che si verifica nel tempo (liberazione dall'Egitto) e proclama: "Non ti farai alcuna immagine scolpita né alcuna raffigurazione di ciò che esiste in alto nel cielo o sulla terra o nelle acque al di sotto della terra.[3]
Allo stesso modo nel mito della creazione del mondo raccontato nel libro della genesi si può constatare che Dio crea l'universo, ma nei giorni della settimana e quindi nel fluire del tempo. Lo spazio: il mondo e le sue cose, è stato creato nel tempo.
L'uomo ha ricevuto la signoria sullo spazio ma non sul tempo, che appartiene esclusivamente a Dio.
L'uomo può anche distruggere la terra che abita ma il tempo, nonostante questo, continuerà ugualmente a scorrere.
Questa consapevolezza è quella espressa da una antica tradizione rabbinica laddove afferma che: "Il tempo è la presenza di Dio nello spazio",[4] oppure che "Il tempo non è il semplice divenire, ma lo scaturire del mondo dalla potenza di Dio".[5]
Questa consapevolezza che emerge nell'antico testamento ha trovato il suo compimento in Gesù. Infatti Gesù, il figlio di Dio, ha manifestato se stesso e la sua salvezza nella storia aprendo lo scorrere del tempo nel mondo dell'uomo alla salvezza.
La storia dell'uomo nel mondo, intesa come il dialogo tra il tempo lungo cui scorre la sua vita ed il suo dominio dello spazio, è stata aperta alla salvezza dal sacrificio di Gesù accaduto in un luogo ed in un tempo della storia ben definiti.
La salvezza è entrata nella storia, anche se il tempo del suo definitivo compimento è scritto nel mistero di Dio ed è, quindi, inaccessibile all coscienza umana.
LA PAROLA RIVELATA
Se il tempo è la presenza di Dio nel mondo la parola parlata, che abita il tempo, appare come il medium privilegiato attraverso cui questa presenza risuona.
"Dio chiama Abramo: "Abramo!" e Abramo risponde: "Eccomi!".[6]
Questo appello, sconvolgente e diretto, attraverso il suono della parola della parola di Dio all'uomo è un evento che accade solo nella tradizione biblica ed in nessun'altra.
Nel Nuovo Testamento la Parola di Dio si compie facendosi Persona in un "essere umano con un nome umano, Gesù Cristo".[7]
Questa Parola è quella attraverso cui l'uomo della storia può comunicare con il "Padre che sta nei cieli".
Parola rivelata: parola parlata
Il fatto che le parole dell'antico e del nuovo testamento siano state codificate in un libro, per mezzo di un segno spaziale: la scrittura, non significa affatto negare che esse sono nate, vissute per lungo tempo solo, o prevalentemente, come suoni. Lo stesso Gesù, ad esempio, non scrisse e svolse tutto il suo insegnamento con la parola parlata, resa vera dalla sua vita nel tempo della storia. La Chiesa cristiana delle origini sviluppò il proprio insegnamento nella dimensione sonora della parola parlata e la tradizione era accumulata, conservata e trasmessa con i metodi e gli strumenti tipici della cultura orale. Il suono, dunque, è il mondo comunicativo per mezzo del quale Gesù rivelò se stesso agli uomini del suo tempo e avviò la rivelazione a quelli dei tempi successivi.
Questo fatto rinforza la nostalgia per quel luogo del tempo in cui il figlio di Dio fatto uomo onorò la parola del senso totale della vita. Nostalgia che spinge l'uomo contemporaneo a percorrere i sentieri del suono alla ricerca di quella verità che le immagini non possono rivelare. La stessa nostalgia che motiva, magari inconsapevolmente, il giovane a cercare quella comunicazione ravvicinata e personale che è tipica delle esperienze dei piccoli gruppi umani.
D'altronde Gesù stesso afferma: "Perché se due o tre persone si riuniscono per invocare il mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18,20). C'è anche un detto di Gesù simile a questo che è riportato in un manoscritto emerso alla fine del secolo scorso dalle sabbie dell'Egitto che amplia ulteriormente questa affermazione: "Là dove due sono riuniti non manca Dio".[8]
Questi detti di Gesù sono delle inequivocabili affermazioni circa il fatto che dove almeno due persone sono in comunicazione diretta, personale ed autentica Egli è in mezzo a loro.
LA PAROLA PARLATA IN UN GRUPPO PRIMARIO
La parola parlata tra più persone riunite appare quindi, nella tradizione vetero- e neotestamentaria, il luogo privilegiato per accedere all'esperienza della presenza di Dio e della sua parola.
Ora è noto che il gruppo primario realizza questa condizione essendo un luogo di comunicazione orale e di presenza tra più persone.
Tuttavia non è sufficiente che esista un gruppo perché esso manifesti la capacità di far vivere la presenza della parola nella storia, individuale e collettiva delle persone che partecipano a questa esperienza. Perché questo avvenga è necessario che:
- tra i membri del gruppo esistano delle interazioni autentiche;
- tra i membri del gruppo vi sia una profonda condivisione di valori e di scopi;
- il gruppo sia un luogo di libertà e di crescita verso la maturità;
- le persone cerchino nel gruppo una esperienza di amore e di autenticità attraverso gesti storici concreti.
Parola parlata e ricerca di autenticità
Questo significa che la parola umana può ospitare la presenza di Dio solo se è autentica, solo se chi la dice ama profondamente o cerca, nonostante la sua finitudine, di amare colui al quale la dice e solo se questo suo dire è il frutto di un gesto di libertà e di responsabilità, non importa se già realizzata o semplicemente ricercata.
Purtroppo non tutti i gruppi umani vivono questa condizione di ricerca di autenticità. Ci sono infatti gruppi in cui i rapporti sono formali, impersonali oppure fondati sul calcolo e sulla convenienza piuttosto che sulla piena, autentica e reciproca manifestazione di sé dei comunicanti. Sono gruppi, questi, in cui non c'è condivisione di valori, di scopi ed in cui non c'è amore tra i membri. Dove amore significa capacità di accettazione solidale dell'altro da me.
Gruppi di questo tipo sono anche quelli che si reggono sulla rinuncia da parte delle persone che lo formano ad essere libere per sottomettersi a un leader forte o carismatico. L'unità di questi gruppi non ha altro collante la comune sottomissione o identificazione dei loro membri al leader.
Solo un gruppo maturo od in ricerca della maturità è in grado di garantire delle esperienze di comunicazione, in cui quando e come vorrà, potrà manifestarsi il mistero della Parola.
Esperienze di comunicazione segnate dalla ricerca di costruire dei terreni comuni di significato, rasserenate dalla fiducia, cementate dall'azione concreta che sola può rendere vero ciò che viene comunicato.
A queste condizioni, non importa se già realizzate o ancora solo faticosamente ricercate, il piccolo gruppo può divenire un luogo in cui si rivela il senso profondo e la verità della parola scritta nel Libro.
Gli obiettivi dell'animazione: quali condizioni?
È questa la condizione necessaria, anche se non sufficiente, perché il gruppo possa scoprirsi come luogo ermeneutico.
Le altre condizioni, quelle necessarie ad avvicinare la sufficienza, sono quelle individuate dagli obiettivi generali della animazione culturale.[9] Obiettivi che postulano, tra gli altri, il recupero del rapporto della parola con la tradizione e, quindi, con la realtà disegnata dalle radici più antiche del significato. Radici che aprono il significato alle risonanze di ciò che è al di là dei confini del qui ed ora disegnati dallo spazio. I valori dei simboli, dei sogni e dei racconti salvifici, vengono dall'animazione riproposti alla coscienza del gruppo.
Un altro obiettivo che l'animazione propone è quello della riscoperta del tempo, inteso non come un monotono e costante susseguirsi di istanti uguali, ma come un dispiegarsi di momenti esistenziali dal senso differente, al cui interno il giovane deve riscoprire i tempi forti dell'essere ed accedervi come si accede ad un santuario. La scoperta del silenzio accompagna questa avventura perché il silenzio è l'unico luogo dello spazio in cui il tempo esprime il senso pieno del Totalmente altro.
Ma gli obiettivi dell'animazione non chiudono affatto il giovane in una prospettiva di tipo mistico. Tutt'altro! Essi propongono al giovane di vivere la sua avventura di senso all'interno del lavoro quotidiano per trasformare il mondo e la storia, pur con la consapevolezza che il successo non sarà probabilmente il risultato di questo impegno, se non quello che ha il carattere paradossale della croce.
Nonostante, anzi, in virtù della croce il giovane viene abilitato dal gruppo di animazione a rischiare se stesso nel sociale, sia che questi abbia i confini del privato che quelli più astratti della politica.
Il tentativo dell'animazione è perciò quello di consentire al giovane di vivere il tempo nella sua pienezza coniugando il sapere, l'illuminazione della verità, con la durezza di una amore testimoniato nella storia. In questa sintesi, sempre precaria il gruppo svela la sua capacità di essere quel fluire del tempo in cui le parole rivelano la loro verità.
Il gruppo di animazione vero può perciò veramente divenire l'esperienza, il tempo in cui il giovane che lo abita impara attraverso il suono di parole segnate dall'amore e dall'autenticità a leggere il Libro, che altro non è che la solidificazione di un senso che scorre nel tempo e, perciò, nella vita e nella storia salvata.
NOTE
[1] W.J. Ong, La presenza della parola, Bologna 1970, p. 51
[2] A.J. Heschel, Il sabato, Milano 1972, p .150
[3] A.J. Heschel, op. cit., p. 137
[4] A.J. Heschel, op. cit., p. 147
[5] A.J. Heschel, op. cit., p. 149
[6] W.J. Ong, La presenza della parola, Bologna 1970, p. 19
[7] W.J. Ong, op. cit., p. 20
[8] D. Rops, Jésus en son temps, Paris 1962, p. 20
[9] M. Pollo, L'animazione culturale dei giovani, Torino Leumann 1986, p .67-74.