Mario Pollo
(NPG 91-3/4-119)
Mai come in questi tempi la politica ha goduto di così scarsa considerazione e di così scarso prestigio.
Eppure mai come in questa epoca la politica appare alla coscienza comune come una funzione essenziale al governo dei sistemi sociali odierni.
C'è, infatti, in ogni persona la consapevolezza che la elevata complessità dei sistemi sociali non consente il loro governo e la loro trasformazione che attraverso una efficiente e partecipata funzione politica.
Basta osservare le epocali trasformazioni che le società dell'Est Europeo stanno vivendo per avere la riprova sperimentale della "necessità" della politica e del suo ruolo per la vita degli individui.
LA PALUDE: SPUNTI DALLA DISILLUSIONE
Il paradosso che nasce dal riconoscimento della necessità della politica da una lato e dalla sua forte disistima dall'altro, affligge la coscienza delle persone che sentono in modo più lucido ed acuto la necessità della partecipazione alla vita sociale ai fini di garantire la piena realizzabilità dei progetti di emancipazione e di liberazione della condizione umana.
Infatti mentre da un lato l'etica spinge queste persone verso l'impegno sociale e politico, dall'altro la stessa etica le fa ritrarre per non essere coinvolte nel degrado morale della politica.
Il risultato di questa spinta contraddittoria è sovente una sorta di paralisi che porta molte persone a rifugiarsi nell'isola del privato e della microsocialità dei rapporti primari.
In Italia poi questo paradosso è più esplicito che in altri paesi per la particolare situazione del suo sistema politico attuale.
La crisi della rappresentanza politica in Italia oggi
Parlare della crisi che attraversa il sistema della rappresentanza politica in Italia è divenuto talmente abituale da apparire banale, addirittura un luogo comune.
Eppure non si può sviluppare un ragionamento che parli di politica senza dedicare un minimo di analisi a questo fenomeno.
Questa crisi si manifesta attraverso la progressiva distanza psicologica tra l'individuo ed il sistema sociale, tra i cittadini e le istituzioni, tra i governati ed i governanti e, infine, tra le regole che presiedono la vita privata dell'individuo e quelle, invece, che definiscono e guidano il comportamento di chi governa il sistema politico.
Uno degli effetti più evidenti di questa crisi è il perdurare di quel fenomeno che è stato definito "ritorno al privato" e "riscoperta della soggettività" e che consiste nel ricercare esclusivamente nel mondo quotidiano dei rapporti personali, diretti faccia a faccia, il senso e lo scopo del proprio agire.
Oppure nell'esercitare la conoscenza si se stessi, della realtà solo attraverso il filtro della propria intimità psicologica e di quella delle persone con le quali si vive il quotidiano.
Una manifestazione patologica di questo lo si ha il quel misto di narcisismo e di corporativismo che guida i comportamenti delle persone nella ricerca del soddisfacimento dei propri bisogni.
Osservando questi comportamenti si nota che si è oscurato quasi completamente da parte della maggioranza delle persone il senso di appartenenza al sistema sociale, il senso cioè dell'esistenza di una appartenenza sociale al di fuori dei rapporti faccia a faccia.
In questo quadro solo i bisogni personali, o quelli delle persone vicine, acquistano valore.
I bisogni delle persone con cui non si hanno rapporti personali ma solo rapporti astratti attraverso le reti del sistema sociopolitico non sollecitano la responsabilità personale.
Allo stesso modo è limitata la percezione della propria appartenenza al sistema politico che appare di proprietà e sotto la responsabilità esclusiva della cosiddetta classe politica.
In questa situazioni si rivelano inefficaci e deludenti le ideologie, i sistemi di valori e le convinzioni che avevano segnato la vita politica degli anni precedenti.
Nella società italiana contemporanea paiono mancare progetti, proposte e valori politici in grado di collegare le persone, in modo solidale, alla vita del sistema sociale. D'altronde gli stessi partiti e gli stessi sindacati sono vittime di questa situazione. Infatti il loro comportamento è quasi esclusivamente ispirato da logiche di potere e, perciò, sovente appare come poco coerente e soprattutto privo di futuro, nel senso che non si fonda su alcuna progettualità, su alcun sogno di convivenza umana. Il pragmatismo appare come l'unica logica praticabile nell'agire politico. La morale di convinzione ha lasciato completamente il campo alla morale di responsabilità.
Il risultato pratico di questa situazione è quello per cui nessuna organizzazione tipicamente politica: istituzioni, partiti e sindacati gode di una piena e forte legittimazione e, quindi, la sua capacità di rappresentare i cittadini appare alquanto limitata.
Prima di proseguire la riflessione è bene però chiarire che cosa si intende con la parola "politica".
UNA DEFINIZIONE DI POLITICA
Le definizioni più vecchie propongono la politica come: " l'arte o la scienza di governare uno Stato e di regolare le sue relazioni con gli altri Stati".[1]
Le definizioni più recenti, specialmente quelle che provengono dagli studi sociologici, arricchiscono e ampliano il significato di politica attraverso il ricorso all'espressione "sistema politico". Con questa espressione si intende solitamente "l'insieme delle azioni e delle istituzioni sociali che hanno la funzione di dirigere una collettività verso scopi condivisi dai membri".[2]
Secondo definizioni ancora più recenti il sistema politico è "costituito da quelle attività, istituzioni ed organizzazioni che mantengono o tendono a ribaltare un determinato assetto del potere politico e determinate sue regole, e sono a tale funzione precipuamente dedicate, distinguendosi dal resto della società, lo stato, i governi, i partiti, i sindacati, le associazioni e i gruppi di pressione".[3]
Questa definizione fa comprendere come il governo di una società complessa non sia concentrato in una sola istituzione o in una sola funzione ma, bensì, come esso sia diffuso in tutte le aggregazioni sociali il cui scopo sia di natura collettiva.
Il concetto di sistema politico è, da questo punto di vista, quello che consente di comprendere meglio il dominio dell'azione politica in una società complessa contemporanea. Esso consente perciò di dire che la politica non è più solo l'arte del principe, ma quella attività democratica che consente alle persone di partecipare, guidando o seguendo non importa, alla realizzazione di scopi che siano condivisi almeno da una parte dei membri della società. È politico, quindi, tutto ciò che conserva o che modifica le regole del gioco sociale, i valori che le ispirano ed i comportamenti che le esprimono.
Questa affermazione non vuole affatto negare che esistano diversi livelli di efficacia e di potere politico nel sistema sociale, per cui non tutte le azioni politiche possono essere collocate sullo stesso piano , ma solo ribadire che ogni azione collettiva, o individuale orientata al collettivo, ha una qualche efficacia politica.
Applicando rigorosamente le conseguenze di questa osservazione non si può non rilevare la cooptazione alla politica che il concetto di "sistema politico" fa nei confronti di tutte le forme di vita associata. Ma prima di sviluppare coerentemente questa constatazione è necessaria l'esplorazione della dimensione etica della politica e del suo significato per l'individuo che la esprime.
Una definizione di politica prendendo spunto da Max Weber
Il grande sociologo tedesco Max Weber ha fornito una delle più interessanti definizioni di politica dal punto di vista etico.
Essa dice che l'azione politica nasce dalla sintesi di due morali: quella di responsabilità e quella di convinzione.
L'espressione "morale di responsabilità" indica la morale che nasce dall'esigenza di tenere conto dei vincoli, dal punto di vista del potere, che l'azione politica incontra per realizzarsi.
In altre parole essa è la responsabilità che chi la promuove si assume in ordine alla sua realizzazione concreta.
L'espressione "morale di convinzione" indica, invece, la necessità che chi promuove l'azione politica ha di mantenersi fedele ai valori ed agli ideali in cui crede.
Ciò significa che l'azione politica deve essere svolta in modo che risulti fedele al sistema di valori e di credenze che scaldano il cuore della persona e, perciò alla utopia individuale e collettiva in cui si identifica.
Secondo Weber la politica per essere efficace deve essere un delicato punto di equilibrio tra i valori del potere e quelli dell'utopia.
Se l'utopia non fa i conti con il potere genera una pericolosa e illusoria forma di integrismo.
Allo stesso modo se il potere non fa i conti con l'utopia dà vita ad un pragmatismo privo di senso che non sia quello di un mortifero utilitarismo.
La politica è un fatto etico globale perché sollecita la persona a giocarsi in tutte le dimensioni in cui si articola la sua responsabilità di essere cosciente e perciò libero ed autonomo.
La politica non è né il sognare ad occhi aperti, né la sola azione tesa a acquisire, conservare ed aumentare il potere. È invece vera politica sognare una realtà che è concretamente realizzabile nel dominio dello spazio-tempo della storia.
Mettendo insieme la definizione di "sistema politico" con quella di "politica in senso etico" si può tentare di individuare una definizione politica utile per il ragionamento che qui dovrà essere svolto.
La politica può essere intesa come quell'azione tesa a dirigere una società verso gli scopi condivisi dai suoi membri che si manifesta, contemporaneamente, sia a livello di valori e di principi ideali sia di distribuzione del potere sociale.
Questa azione, come si è visto, può essere condotta attraverso particolari forme di organizzazione sociale.
In una società complessa quale la nostra è escluso che l'azione politica possa essere efficacemente compiuta nella dimensione prettamente individuale.
Infatti i gesti individuali per essere efficaci debbono collocarsi all'interno di una qualche forma di organizzazione sociale efficace ai fini politici.
La politica non può più essere semplicisticamente intesa come la partecipazione dei singoli cittadini alla vita della Polis.
Questa partecipazione deve essere mediata da appartenenze o di tipo istituzionale o di tipo associativo, vista anche la complessità e articolazione della distribuzione del potere nella vita sociale ed economica.
D'altronde, come si è visto con la definizione di Max Weber fornita prima, l'azione politica è azione sul potere orientata da un sistema di valori o ideali per cui il discorso sul potere nella politica, insieme a quello dei valori, assume un posto centrale.
Dove per potere si intende la capacità di un soggetto, individuale o collettivo, di raggiungere i propri fini in una sfera specifica della vita sociale, nonostante la volontà contraria di altri.
È utile perciò, a questo punto, descrivere le forme attraverso cui nella complessità sociale odierna il potere si manifesta.
IL POTERE E LE SUE FORME NELLA SOCIETÀ CONTEMPORANEA
Le forme in cui si manifesta l'esercizio del potere nella nostra società si possono raggruppare in quattro grandi classi:
1) quella in cui l'esercizio del potere è fondato sul possesso da parte di chi lo esercita di un insieme di informazioni e conoscenze superiori a quelle degli altri e sulla capacità di utilizzare questa superiorità "tecnica" per imporre la propria volontà agli altri;
2) quella fondata sul possesso da parte di chi esercita il potere del controllo di risorse che sono necessarie agli altri per raggiungere i propri fini;
3) quella fondata sulla coercizione. Ovvero sulla possibilità che chi esercita il potere ha di danneggiare gli altri;
4) quella fondata sulla manipolazione o sul cosiddetto controllo ecologico. Ovvero sulla possibilità di chi esercita il potere di controllare, modificandolo, l'ambiente degli altri in modo che queste non possano che agire nel modo voluto.
Nonostante qualche studioso affermi che il potere fondato sulla manipolazione e il potere tecnico sono due forme emerse nella società moderna si può affermare che tutte queste quattro forme di potere, hanno accompagnato, con ruoli e pesi diversi, tutta la storia umana.
È chiaro che in alcune epoche una forma di esercizio del potere si è imposta ad altre. Tuttavia questo non significa che le altre forma di esercizio del potere non fossero anch'esse presenti ed attive.
Nella società attuale, ad esempio, nonostante abbiano un grande ruolo sia il potere tecnico che quello di manipolazione, sono ben presenti sia il potere fondato sul controllo delle risorse che quello di coercizione.
Tutte le forme di organizzazione sociale si fondano sull'esercizio del potere che appare, almeno per ora, un dato non eliminabile dalla storia umana.
Tuttavia gli atteggiamenti che gli uomini manifestano nei confronti del potere sono molto variegati ed a volte addirittura opposti.
In questa fase della storia umana non appare proponibile a livello educativo un atteggiamento puramente negativo nei confronti del potere o, peggio, un atteggiamento che ignori la reale presenza di questi nella realtà del mondo.
Un atteggiamento di questo genere, seppure ispirato da nobili motivi, di fatto priverebbe la persona umana della possibilità concreta di agire sulle condizioni storiche e sociali che influenzano la sua vita e quella degli altri. Rischierebbe poi di rinchiudere la persona in quel mondo di sogni ad occhi aperti che è la ideologizzazione della realtà.
E questo è un grave pericolo perché come la storia ha dimostrato dalla ideologizzazione nasce sempre la violenza sulla realtà. La violenza, in questi casi, è un tentativo estremo di rendere la realtà coerente ai propri sogni, o deliri, ad occhi aperti.
Dalla ideologizzazione può però anche generarsi una sorta di rinuncia radicale ad intervenire sulla realtà del mondo, percepito come irredimibile.
Questi due atteggiamenti opposti, come si è visto, alla fine non sono che la manifestazione della incapacità di avere un rapporto corretto con il potere.
IL RAPPORTO CORRETTO CON IL POTERE
Il rapporto corretto con il potere nasce sia dall'accettarne l'esistenza, sia dall'azione per la sua trasformazione nella direzione di una maggior giustizia e rispetto della libertà delle persone umane nell'intima consapevolezza che il potere potrà essere definitivamente superato solo con l'avvento definitivo del Regno dell'Amore.
Se l'incapacità di un rapporto corretto con il potere nasce da un lato dal rifiuto di accettare la sua realtà, dall'altro lato esso nasce da una sua eccessiva accettazione.
La storia dell'umanità, infatti, è costellata di esempi di persone che hanno eletto il potere a divinità e che hanno tributato ad esso un culto idolatrico.
Questo tipo di atteggiamento nei confronti del potere non è rintracciabile solo nella vita dei dittatori sanguinari, esso è presente, seppure in forme meno radicali, anche nella vita di molte persone "normali".
Ci sono molte persone, che di solito si autodefiniscono "pragmatiche", che pensano che l'unico mezzo che l'uomo ha a disposizione per realizzare la propria vita e raggiungere la felicità, e magari la giustizia e la libertà, è costituito dal potere.
La vita di queste persone è, quindi, tutta centrata sulla rincorsa al potere nel tentativo di conquistare una porzione più grande di esso.
Per molte di queste persone il potere è una sorta di "piacere" a volte, addirittura più attraente di quello sessuale.
Senza arrivare ai casi patologici, si può dire che questa iper-accettazione del potere, è sempre il segno di una incapacità di porsi in modo corretto di fronte ad esso.
Quando non si riesce a stabilire un rapporto corretto con qualche realtà importante per la vita di solito la si esorcizza o negandola o divenendo schiavi di essa.
Il potere rappresenta il caso più emblematico di questo tipo di reazione umana.
Per evitare questi due rischi, solo apparentemente opposti, che minano qualsiasi progetto di vita fondato su valori trascendenti e sulla autonomia e sulla libertà della persona umana è necessario affrontare il problema di quale sia l'ambito di un corretto rapporto della persona nei confronti del potere.
La risoluzione di questo problema consente di affrontare con realismo ed efficacia il paradosso della politica nella società politica italiana sfuggendo sia al rischio della integrazione acritica sia alla tentazione della rinuncia.
Il primo passo nella soluzione del problema passa attraverso la interiorizzazione del principio della relatività del potere.
La relatività del potere
Una corretta concezione del potere deve fondarsi sulla assunzione della radicale imperfezione e, quindi, sulla relatività e sulla caducità di ogni forma attraverso cui si manifesta il potere nella vita umana.
È importante che le persone, quelle giovani in particolare, scoprano che ogni forma in cui si manifesta il potere ha sempre in sé, per avanzata che sia, una dimensione di ingiustizia e che essa può e deve essere superata da un'altra più giusta, che sua volta potrà essere superata da un'altra ancor più giusta, in una rincorsa che ha al suo termine la legge dell'amore.
Questa concezione della relatività e dell'imperfezione di ogni forma umana di manifestazione del potere consente di superare sia l'idolatria del potere in senso generale - o l'attaccamento ad una delle forme in cui esso si esprime -, sia il rifiuto del potere visto come espressione solo negativa della convivenza umana.
La persona che si apre a questa concezione del potere, infatti, non ha timore di sporcarsi le mani agendo con e su di esso in quanto agisce con il distacco che le deriva dal considerarlo una necessità che non può essere, per ora, superata completamente, ma che può, comunque, essere resa più prossima, con un lavoro continuo di rinnovamento, all'ideale di una convivenza basata sulla legge dell'amore.
Gli ambiti della vita sociale contemporanea che consentono di esprimere un corretto rapporto con il potere sono molteplici, infatti, come si è visto all'inizio, nelle società moderne il potere si esercita a ben quattro differenti livelli.
Questo significa che ognuno di essi incide nella vita sociale ed individuale delle persone.
Chi opera nell'economia cercando di promuovere in essa processi di trasformazione opera, di fatto, per la modificazione dei rapporti sociali in quanto incide, ad esempio, sul controllo dei mezzi di produzione.
L'azione sindacale, quella cooperativa o semplicemente quella dell'innovazione organizzativa verso livelli di partecipazione maggiori delle persone al controllo dei mezzi di produzione sono "azioni politiche" a tutti gli effetti, anche se non si identificano in quelle di un qualche partito.
Un esempio di azione a questo livello è quello dato da chi opera perché si realizzi una distribuzione delle risorse più giusta tra paesi ricchi e paesi poveri, impegnandosi in prima persona in azioni di solidarietà concreta verso il cosiddetto terzo mondo.
Allo stesso modo chi opera per una più generale ed equa distribuzione del sapere sociale opera per ottenere una più equa forma di distribuzione del potere.
Chi opera per la pace e una cultura sociale basata sulla non violenza opera concretamente per la trasformazione del potere e, quindi, fa politica a pieno titolo.
Lo stesso può essere detto di chi opera per emancipare le persone dai condizionamenti espliciti od occulti che manipolano la loro e le altrui vite.
Chiunque operi in uno dei livelli di esercizio sociale del potere fa una azione politica, anche se la sua azione non è inscritta in quella di un partito politico.
Queste considerazioni consentono di affermare che l'educazione politica coincide, almeno in parte, con l'educazione al controllo ed alla trasformazione della distribuzione sociale del potere.
La sovrapposizione completa di questo processo educativo la si ha quando le persone dopo aver scoperto la relativizzazione e l'imperfezione del potere il rapporto corretto acuiscono la capacità di far interagire le ragioni e le logiche del potere con quelle dell'utopia, ovvero con quelle del sogno di un ordine sociale interamente strutturato dai valori.
Infatti, come si è visto, lo sposare solo ed esclusivamente nel proprio agire politico le strategie necessarie per giocare efficacemente con le logiche del potere conduce o ad un pragmatismo sterile rispetto alla giustizia ed alla verità o all'idolatria del potere stesso.
Sul versante opposto il non tener conto delle logiche del potere conduce, nel migliore dei casi, ad una sorta di utopismo velleitario e predicatorio e, nel peggiore dei casi, a forme di integrismo che fanno continuamente violenza alla realtà senza riuscire a risolverne i problemi.
Il rapporto più produttivo e corretto con il potere nasce solo quando si riesce a coniugare le logiche di questo con le tensioni etiche che derivano alla persona dall'utopia che nutre la sua speranza di trasformazione della realtà.
Questa ricerca è una delle più difficili e faticose anche perché ogni equilibrio raggiunto tra potere e utopia è destinato a divenire rapidamente disequilibrio è deve perciò essere continuamente reinventato.
Questo significa che l'educazione al potere, o educazione alla politica, si fonda su un calcolo razionale oltre che su una "passione" per alcuni valori.
Educazione al principio di realtà e al sogno
Da questo punto di vista l'educazione ad un corretto rapporto con il potere è una educazione sia al principio di realtà che al sogno.
Non si può essere solo realisti perché se no si diventa degli aridi schiavi della presunta immodificabilità delle realtà sociale così come essa appare in un dato momento o, peggio, si rischia di divenire dei sacerdoti idolatri del potere. E quante volte l'alibi della immutabilità delle vicende umane ha giustificato l'ingiustizia, la sopraffazione dell'uomo sull'uomo e, in definitiva, ha legittimato tutti i nomi in cui si declina l'egoismo umano?
Allo stesso modo non si può divenire solo dei sognatori perché si rischia di perdersi in un baratro di fantasticherie oppure di divenire dei crudeli violentatori della realtà, ovvero di divenire degli integristi che fanno prevalere i loro schemi mentali sulla complessità e realtà della vita umana. Quante volte in nome della giustizia si agisce ingiustamente? E quante volte in nome dell'amore per l'uomo si uccidono degli uomini?
Educare al potere significa perciò educare ad accettare i vincoli della realtà ed a far sperimentare come gli stessi vincoli possono essere mutati, per essere resi più prossimi alla realizzazione nella storia di quei valori di cui la persona è portatrice.
L'ammonimento di Gesù ad essere "semplici come colombe ed astuti come serpenti" è la più autorevole conferma della necessità per l'uomo, che voglia vivere sino in fondo il proprio impegno all'interno del progetto di Dio di redenzione della realtà, di agire con un atteggiamento complesso che accetta e rifiuta nello stesso istante la realtà del potere nel mondo.
Questo significa, in altre parole, educare ad impegnarsi per rendere più giusto l'esercizio del potere su cui si regge la vita sociale e, nello stesso tempo, aiutare le persone ad essere consapevoli che appena esse vedranno realizzata la forma di potere per cui hanno lottato dovranno, con rinnovata lena, ricominciare a lavorare per raggiungere una nuova forma di potere ancora più giusta.
È questo tipo di educazione quello che fonda ogni forma di educazione politica ed è quella, tra l'altro, che l'animazione propone alle giovani generazioni.
Educare alla politica non significa, infatti, educare ad una particolare ideologia o concezione politica e, quindi, ad una particolare appartenenza partitica, ma significa, invece, educazione alla capacità di intervenire nei meccanismi sociali dell'esercizio del potere per renderli più aderenti ai valori di cui si è portatori.
È chiaro che sovente, ma non sempre, per fare questo è necessario scegliere una appartenenza partitica.
Quando questa scelta viene fatta essa deve però sempre avere alla base il distacco che deriva dal riconoscere la relatività e l'imperfezione di questa stessa scelta.
Questo non significa affatto stimolare le persone, e quelle giovani in particolare, a non avere passione per la politica ma solo aprire il loro cuore e la loro mente ad una passione più grande: quella dell'amore per la vita che si esprime nell'amore per la verità, la libertà e la giustizia illuminato dal dono salvifico dell'amore di Cristo.
FECONDARE LA REALTÀ
In questa riflessione sulla natura e sull'etica della politica e del potere c'è l'indicazione di come in Italia, oggi, si possa affrontare l'impegno politico senza compromissioni e senza purismi integristi ma, viceversa, con un'azione efficace eticamente orientata.
L'indicazione è quella che nasce dalla necessità di conquistare, attraverso le strade che la legittimità democratica mette a disposizione il potere necessario allo sviluppo di quelle trasformazioni che sono necessarie, oltre che la benessere morale e materiale della gente, alla riforma del sistema politico.
Le strade che una società complessa mette a disposizione attraverso il suo sistema politico sono molte e non solo e per prime quelle dei partiti ma anche ad esempio quelle tecnico-culturali, quelle economiche e quelle associative.
Si può fare politica diffondendo e rendendo forti alcuni saperi, trasformando i meccanismi della vita economica e la distribuzione della ricchezza e, infine, agendo sull'assetto istituzionale e, quindi, sugli stessi partiti politici con gli strumenti dell'associazionismo sia locale che nazionale e internazionale.
I gruppi isolati o associati sono a tutti gli effetti strumenti politici sia per l'attività che possono promuovere direttamente, in quanto gruppi o associazioni, sia per le attività di sostegno dei propri membri che agiscono in quanto singoli nel sistema politico.
La dimensione politica delle associazioni attraversa sia la loro funzione di gruppi di riferimento, sia quella di gruppi di appartenenza.
Questo ruolo politico dell'associazionismo è possibile, oggi, in Italia perché a fronte della crisi di legittimazione che investe i partiti si assiste ad un fiorire dell'associazionismo veramente rigoglioso.
Non c'è ambito della vita sociale in cui non si manifestino delle forme associative.
Questo vale per la vita economica e professionale, per quella religiosa, per quella culturale, per quella sportiva e del tempo libero.
È sulla base di questa constatazione che si può sostenere che l'associazionismo è un nuovo e importante soggetto della politica che può essere alla base di un processo di rifondazione della vita politica in Italia.
Il ruolo politico dell'associazionismo
Al di la che si condivida o meno questa impostazione rimane il fatto che molte persone percepiscono l'associazionismo come la forma più efficace e rispondente ai loro bisogni ed alla loro concezione del mondo di partecipare alla vita sociale e, quindi, più o meno direttamente alla vita del sistema politico.
In molte associazioni non vi è la crisi di valori e di progettualità che segna, invece, pesantemente i partiti e anche le organizzazioni di tipo sindacale.
Nelle associazioni si può ancora sognare un sociale non determinato in modo esclusivo dalle regole del sacerdozio del potere.
Questa situazione, per molti versi originale, della vita italiana comporta necessariamente che le associazioni, piccole e grandi, prendano coscienza del proprio ruolo politico, al fine di governarlo in modo più efficace e coerente ai loro obiettivi e, soprattutto, di non sprecare una felice opportunità storica.
Troppe associazioni oggi fanno politica senza saperlo.
L'azione politica delle associazioni, oggi, si manifesta, infatti, a due distinti livelli: quello della vita del sistema sociopolitico in cui è inserita e quello interno che riguarda i propri aderenti.
Pur essendo strettamente collegate ed interdipendenti le due azioni possono essere analizzate separatamente , soprattutto ai fini di una maggiore chiarezza espositiva, trattandole come due dimensioni distinte dell'agire politico delle associazioni.
La dimensione interna
Ogni associazione, al di là, del suo scopo vive secondo un particolare modello organizzativo e, quindi, secondo una certa concezione dei rapporti tra le persone, dei valori e dei fini del loro stare insieme.
Attraverso il modello organizzativo interno ogni associazione esemplifica la concezione di convivenza sociale di cui è portatrice.
Ad esempio, una associazione che sia strutturata secondo un modello organizzativo fortemente centralizzato e gerarchizzato difficilmente potrà essere credibile come associazione che persegue la partecipazione democratica ed il decentramento, almeno da parte di chi ne conosce la vita interna.
Tuttavia l'obiettivo politico tipico della dimensione interna della vita delle associazioni è quello della formazione che, a prima vista. sembra il meno "politico" di tutti.
Eppure a ben guardare esso si rivela il più "politico" di tutti. Infatti una concezione matura di formazione propone al giovane un percorso di crescita centrato non solo sul sapere ma sul saper fare.
Grazie ai contributi dell'animazione culturale è oramai maturata la consapevolezza che la formazione deve riguardare non solo i processi cognitivi delle persone ma anche i loro processi affettivi e di socializzazione.
Formare vuol dire, perciò, abilitare il giovane a vivere in modo più autentico il rapporto con se stesso, con gli altri e con l'ambiente sociale e naturale in genere, oltre naturalmente a fargli acquisire nuove informazioni e capacità operazionali.
Formare significa, quindi, intervenire anche nel modo di rapportarsi al sistema politico, alla cultura ed all'economia da parte del giovane. Ma non solo. Vuol anche dire, per poter raggiungere questi obiettivi formativi, fargli sperimentare dall'interno della associazione l'azione collettiva di trasformazione della realtà sociale, culturale e politica nella quale egli vive.
Questo significa che una vera formazione richiede la partecipazione attiva e critica ai processi attraverso cui si manifestano sia la conservazione che l'evoluzione del sistema sociale. La formazione può avvenire solo all'interno di una associazione che declini sino in fondo il proprio ruolo politico e la propria presenza esterna nel sociale segnata da fini di trasformazione evolutiva della realtà.
Questo motivo fa dire che anche una dimensione interna come la formazione si gioca anche in gran parte nella dimensione esterna.
La formazione è, quindi, una variabile strategica, anche nella dimensione politica.
La dimensione esterna
Le associazioni, come si è visto, hanno oggi un ruolo politico rilevante da giocare nella attuale situazione del sistema sociale italiano.
Una associazione che non si riduce a essere un gruppo terapeutico, che assolve la propria funzione agendo sui suoi membri, è uno strumento di autorganizzazione, da parte di un certo numero di componenti il sistema politico della società, che deve consentire loro il raggiungimento di un determinato insieme di obiettivi relativi ad alcuni aspetti vita e dell'organizzazione del sistema sociale.
Questo significa che le associazioni, di fatto, agiscono, verso e con le istituzioni, che ricercano la loro quota di potere, anche economico, necessaria per ottenere i risultati necessari alla loro sopravvivenza e, infine, che partecipano, magari da una posizione critica, ai processi di trasformazione e di conservazione della struttura e della cultura del sistema sociopolitico nel quale operano.
In modo particolare le azioni che attraverso la loro dimensione esterna le associazioni e i gruppi giovanili svolgono è quella di dare forma istituzionale alle espressioni socioculturali dei giovani.
In un contesto sociale in cui ai giovani viene sempre di più riservato un ruolo di consumatori della produzione di beni e di modelli da parte degli adulti, il proporsi di portare le espressioni socioculturali all'interno delle dinamiche del sistema politico è una azione politica estremamente importante.
Importante perché trae il giovane dal limbo in cui è collocato e lo chiama a compartecipare da protagonista alla vita del sistema sociale e politico in cui è inserito, senza attendere il passaggio ai ruoli della società degli adulti.
È questa una azione che oltre a produrre benefici effetti sulla vita dell'intero sistema sociale, offre al giovane la possibilità di una concreta formazione all'esercizio della responsabilità e quindi dei propri diritti e doveri di cittadino, aprendo però l'espressione giuridica al superamento dell'amore.
Inserire oggi nella dinamica sociale la cultura e le istanze dei giovani significa avviare processi di trasformazione profondi dell'equilibrio del sistema sociale, innescando nel contempo la produzione di nuovi valori.
Ad esempio, oggi questo avviene tutte le volte che i gruppi giovanili promuovono delle iniziative di volontariato tese ad affrontare situazioni di disagio, di malessere e di ingiustizia sociale.
Infatti nonostante lo sviluppo economico e sociale, anche nel cuore delle società opulente il dolore e l'ingiustizia gridano ancora il loro scandalo.
Le forme della solidarietà organizzata attraverso lo stato sociale non sono sufficiente a garantire una vita degna per ogni uomo. L'assistenza pubblica non basta a combattere il cancro del sofferenza e dell'infelicità.
Molto spesso è necessario che questa funzione solidaristica dello stato sia affiancata, se non addirittura sostituita, da attività la cui origine è solo nell'amore e la cui logica è interamente sottratta allo scambio economico o utilitaristico.
Queste attività di volontariato sono le risposte di amore, di vicinanza e di speranza date da persone che, attraverso l'associazionismo, si sono lasciate interpellare dalla sofferenza umana.
Il volontariato è, di fatto, un modo per portare dentro la logica burocratica del sistema politico la logica umanizzante dell'amore.
Trasformare l'ordine temporale significa anche umanizzare la macchina astratta e tendenzialmente burocratica del sistema sociale. Il volontariato è, quindi, a tutti gli effetti azione sociale e politica perché cambia sia le realtà umane che la struttura attraverso cui si articola il sistema politico.
Un'ultima funzione importante della dimensione esterna dell'agire politico delle associazioni è quello relativo al loro contributo alla trasformazione del sapere che, come si è visto nella prima parte della relazione, gioca un ruolo importante nella dinamica del potere.
Questo significa che le associazioni sono soggetti attivi e protagonisti di una politica culturale, di una politica, quindi, di comunicazione sociale che si sviluppa sia nelle relazioni umane faccia a faccia, sia in quelle istituzionali e di massa.
La conseguenza di questa constatazione è che le associazioni debbono produrre nuova cultura oltre ad impegnarsi a farla circolare.
Produrre cultura significa produrre nuovi valori, nuovi stili di vita e nuovi strumenti di sopravvivenza materiale e spirituale. Fare sport, in modo diverso, ad esempio, significa produrre e far circolare cultura.
Educare ad un uso diverso del tempo rispetto alle proposte della società di massa, significa produrre nuova cultura.
Educare ad un uso critico e creativo degli strumenti di comunicazione sociale significa, di fatto, introdurre profonde innovazioni nel meccanismo riproduttivo della cultura contemporanea.
Come si vede ogni associazione ha un suo specifico modo di intervenire nella politica culturale e, quindi, un suo modo specifico di rapportarsi al sistema politico.
CONCLUSIONE
Il modo di fare politica che si fonda sulla scelta dell'agire attraverso i modi che la complessità sociale mette a disposizione sulla fonte del potere, e di cui l'associazionismo forse è il più importante, non è ne velleitario ne astratto.
Basta pensare, infatti, all'attenzione che le più importanti forze politiche del nostro paese manifestano nei confronti di gruppi, associazioni, circoli, ecc., che hanno una reale rappresentanza sociale nei loro processi, reali o solo conclamati, di rinnovamento e rifondazione.
L'esperienza del mondo cattolico è, da questo punto di vista, paradigmatica anche per chi non si riconosce in esso.
La complessità sociale offre non solo disorientamento ma nuove e più agevoli strade alla partecipazione alla vita del sistema politico, purché le si persegua con costanza e intelligenza e non si abbia paura di sporcarsi le mani rischiando un rapporto diretto con il potere.
Occorre porsi con realismo e umiltà di fronte alla necessità di tradurre nella vita quotidiana le istanze etiche di cui si è portatori.
Questa azione, che è vera educazione alla politica, però non può essere fatta cercando di far diventare anzitempo i giovani vecchi.
Il giovane, mediamente, è più portato a seguire il canto dell'utopia che la prosa del realismo.
Cercare di tarpare i suoi sogni sarebbe , appunto, cercare di renderlo anzitempo vecchio.
Educare il giovane al rapporto corretto con il potere significa, invece, semplicemente, educarlo a fare esperienza, ad assumere, cioè, un criterio sperimentale di verifica dei suoi sogni.
Fare esperienza è agire per raggiungere un determinato obiettivo e, nello stesso tempo, riflettere sul vero senso e sulla effettiva efficacia del proprio agire rispetto agli obiettivi che esso voleva raggiungere.
Educare a fare esperienza significa dare al giovane contemporaneamente due diversi stimolazioni.
La prima consistente nel fare in modo che il giovane sottoponga ad una analisi critica l'azione sociale promossa dai suoi sogni, valutandone il senso ed il risultato.
La seconda consistente, invece, nell'aiutare il giovane a leggere la realtà attuale ponendola in controluce rispetto al piano dei valori.
Queste due azioni non vanno sviluppate in un contesto di puro discorso fatto di esortazioni e di riflessioni.
Al contrario esse devono innestarsi su alcune azioni concrete attraverso cui il giovane entra in contatto con la dinamica del cambiamento sociale.
La partecipazione ad esperienze inerenti iniziative di solidarietà sociale nei confronti di chi vive la sofferenza o l'emarginazione, l'impegno per l'affermazione di valori come quelli della pace o del rispetto dell'ambiente sono alcune azioni che possono costituire il terreno privilegiato dell'esperienza che conduce a coniugare in un difficile equilibrio utopia e potere.
Allo stesso modo sono utili le esperienze che corresponsabilizzano il gruppo giovanile nella gestione concreta di qualche iniziativa che abbia sia una valenza ideale che notevoli implicazioni pratiche organizzative, contrattuali, e magari di conflitto essendo finalizzate ad introdurre una innovazione nella realtà sociale in cui opera il gruppo.
Educare alla logica della Croce
Questa azione educativa, tipica dell'animazione, trova la sua conclusione ideale nell'educazione al senso della Croce. Ovvero nella educazione a valutare l'esperienza della sconfitta e del fallimento di una azione umana in un modo profondamente diverso da quello comune della cultura sociale dominante.
Questo modo diverso è quello che considera a volte l'insuccesso come la porta stretta attraverso cui entrano nella vita sociale valori, concezioni e modelli di vita che sono una innovazione evolutiva.
Il successo, purtroppo, passa alcune volte attraverso l'esperienza del dolore e della sconfitta. L'accettazione del dolore e della sconfitta come dati ineliminabili dalla vita di chi ha il coraggio di assumere una piena responsabilità rispetto alla propria esistenza ed alla società in cui vive, è la scelta che esorcizza ogni persona, che si confronta con il potere, dalle suggestioni ammalianti che questo esercita consentendole di rimanere fedele al proprio progetto esistenziale.
Assumere la responsabilità piena sulla propria vita significa accettare di pagare, quando le circostanze lo richiedono, il prezzo del dolore e della sconfitta.
È questo il modo attraverso cui si può affrontare l'educazione al potere nello stile dell'animazione e testimoniare, quindi, la responsabilità che in ogni persona nasce dal suo aprirsi all'amore alla vita.
NOTE
[1] Tommaseo N., Dizionario della lingua italiana.
[2] Parsons T., Sistema sociale, 1951.
[3] Enciclopedia di filosofia, Milano 1981.