Alla scuola di Gesù /2
Elisabeth E.Green
(NPG 2008-02-43)
«Quando non ci sono visioni il popolo perisce», dice l’antico saggio (Prv 29,18). Una delle visioni, o meglio sogni, che negli ultimi decenni è riuscita a mantenere vivo il popolo e che ogni tanto riemerge per destarlo ancora è il sogno cui Martin Luther King diede voce nel suo famoso discorso: «I have a dream».
La scorsa volta, prendendo in considerazione la chiamata, abbiamo visto che il problema numero uno del nostro mondo è come vivere insieme. Non ci stupisce, quindi, se il sogno di King abbia proprio a che fare con questo dilemma. In altre parole, King semplicemente sogna un mondo in cui gli esseri umani sapranno vivere, anzi lavorare, pregare, lottare insieme.
All’epoca di King (siamo negli Stati Uniti di America degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso) il grande problema che affliggeva il popolo era la convivenza tra bianchi e neri. Sebbene ci fosse dappertutto la discriminazione, nel sud del paese non c’era solo una vera e propria segregazione in base alla razza, bianchi da una parte, neri dall’altra, ma la vita sociale era pervasa da un odio che spesso generava atti di una violenza estrema nei confronti dei neri. Insieme a moltissimi neri e alcuni bianchi, King lottava per porre fine a questo stato di cose e per garantire alla popolazione nera opportunità pari a quelle dei bianchi, incluso il diritto al voto. Ma che cosa dava a King e agli tanti uomini e donne ancora più giovani di lui che condividevano il suo impegno (all’inizio del movimento King aveva solo ventisei anni) la forza necessaria per cambiare le cose?
King e coloro che camminavano insieme a lui erano mossi da un sogno, sogno di un popolo riconciliato «neri e bianchi insieme» come dice lo spiritual, composto di persone considerate uguali a tutti gli effetti. King sogna che la realtà può cambiare. Invece di avere davanti ai suoi occhi lo stato di oppressione e di ingiustizia, egli vede «un’oasi di libertà e di giustizia». Anzi, poiché, nella sua visione, la libertà degli uni «è inestricabilmente legata» alla libertà degli altri, non si limita a sognare un mondo in cui solo la discriminazione razziale è superata lasciando intatte altre forme di ingiustizia, ma sogna il superamento di ogni forma di discriminazione, inclusa quella religiosa, «il giorno», infatti, «in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, cattolici e protestanti, sapranno unire le mani» per insieme dichiararsi «liberi finalmente». In altre parole, al cuore del sogno di King vi è la convivenza dell’umanità con tutte le sue molteplici differenze e in tutti i suoi variegati colori!
Leggendo il discorso di Martin Luther King (disponibile sul sito www.giovaniemissione.it/testimoni/kingdream.htm), non è difficile vedere come il suo sogno vive a partire dalla tradizione spirituale delle chiese battiste in cui King era cresciuto e di cui era pastore, tradizione radicata nelle scritture condivise da tutte le confessioni cristiane. I grandi ideali rappresentati dal sogno, come la giustizia, la fratellanza, la libertà alla quale possiamo aggiungere, come King stesso avrebbe aggiunto, anche la pace, pur appartenendo al patrimonio laico dell’Occidente, in King rivestono soprattutto i colori della fede cristiana. Ma prima di approfondire questo aspetto, guardiamo qualcuno che, ispirandosi a King, avrebbe continuato a sognare.
Altri sognatori del sogno di Dio
Non ci sorprende se a raccogliere l’eredità di Martin Luther King fosse un altro uomo di colore Desmond Tutu, arcivescovo anglicano di Città del Capo ai tempi di un altro sistema di segregazione razziale, l’apartheid (siamo nel Sudafrica negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso). Tutu, in un libro tutto da leggere, fa un passo ulteriore: ispirandosi tra altri anche a Gandhi e a Madre Teresa di Calcutta, afferma che Anche Dio ha un sogno (L’ancora del mediterraneo, 2004). Detto altrimenti, il sogno non è proprio nostro ma innanzitutto è di Dio!
Anche Dio ha un sogno, quindi, e Dio sogna che l’umanità da lui creata, uomini e donne, ricchi e poveri, bianchi e neri, persone di diversi orientamenti sessuali, cristiani, musulmani, buddisti, ebrei vivano insieme in pace. Fondamentalmente che cosa sogna ogni essere umano? si chiede Tutu. Una cosa molto semplice che, se mettessimo insieme le nostre risorse condividendole potrebbe anche diventare raggiungibile, «Una bella casa in un ambiente sicuro, un lavoro stabile e una buona istruzione per i propri figli» (p. 19). Non dista molto dalla visione del profeta: «Potranno sedersi ciascuno sotto la sua vite e sotto il suo fico, senza che nessuno li spaventi» (Mic 4,4). Una visione semplice all’insegna di ciò che la Bibbia chiama shalom: «una nuova società in cui le persone contano più delle cose, più delle proprietà; in cui la vita umana non solo è rispettata ma concretamente onorata; in cui la gente si sente sicura e non teme l’ignoranza, le malattie; in cui c’è più cortesia, più premura, più condivisione, più allegria; in cui c’è pace e non guerra» (p. 59).
Lo shalom, è una pace positiva, fatta non solo di assenza di guerre, di paura, di violenza e di conflitto, ma di benessere solidale per tutti e tutte. Nel nostro mondo fatto di realtà virtuale, ce lo possiamo immaginare? Ce lo possiamo sognare? Uno slogan che forse avete sentito afferma che non c’è pace senza giustizia; ma per farlo meglio entrare nel nostro cuore e viaggiare nella nostra testa, il salmista utilizza l’immagine dell’amore, dell’amicizia, della tenerezza: «La bontà e la verità si sono incontrate, la giustizia e la pace si sono baciate» (Sal 85,10). In un mondo dove centinaia di migliaia di essere umani muoiono ogni anno di fame e la gente si uccide per avere l’acqua, possiamo far abbracciare la pace e la giustizia?
La giustizia, infatti, è una componente fondamentale del sogno di Dio, tanto che i profeti ripetutamente richiamano il popolo alla sua pratica, identificandola con la stessa volontà di Dio: «O uomo, Egli ti ha fatto conoscere ciò che è bene; e che altro richiede da te l’Eterno, se non che tu pratichi ciò che è giusto, che tu ami la misericordia, e cammini umilmente col tuo Dio?» (Mic 6,8). Per l’antico Israele riconoscere Dio e rendergli culto doveva tradursi nel praticare la giustizia solidale verso il prossimo. Senza il secondo, il primo era del tutto privo di senso. Così nella legge che Dio aveva dato al suo popolo, legge che doveva governare il loro vivere insieme, le fasce più deboli della popolazione, gli orfani, le vedove, gli stranieri venivano protette. Perciò Isaia dopo aver criticato una osservanza religiosa meramente formale dichiara: «Imparate a fare il bene; cercate la giustizia, rialzate l’oppresso, fate ragione all’orfano, difendete la causa della vedova» (Is 1,17). D’altronde, alla fin fine anche Gesù dice che ciò che conta è praticare la giustizia, dare da mangiare all’affamato, vestire l’ignudo e soccorrere chi è nel bisogno. Ecco il sogno del Signore: «rimettere in libertà gli oppressi» (Lc 4,18). Nel sogno di Dio non c’è pace senza giustizia ma non c’è nemmeno pace senza libertà.
«Ora il Signore è lo Spirito: e dove c’è lo Spirito del Signore, lì c’è libertà» (2 Cor 3,17). Quanto volte lungo la storia del mondo lo Spirito di Dio ha soffiato potentemente creando libertà! Dio non era forse in quel vento che venendo dall’oriente soffiò tutta la notte in modo che le acque si dividessero, la terra in mezzo del mare si asciugasse e fuggisse il popolo d’Israele dall’Egitto? Sì, perché l’atto mediante il quale Dio fonda il suo popolo è un atto di liberazione, liberazione dall’oppressione, dallo sfruttamento, dalla schiavitù cui erano soggetti non solo «i figli di Israele» ma anche «una folla di gente di ogni specie (che) salì anche essa con loro» (Es 12,38). Il popolo d’Israele nasce dalla libertà! Perciò alla fine del suo discorso, King sogna che dai vari luoghi storici dell’oppressione dei neri negli Stati Uniti, «risuoni la libertà». Perciò Tutu era convinto che il sistema malvagio dell’apartheid sarebbe stato sconfitto: «Il motivo per cui ogni oppressione è destinata al fallimento è che siamo stati creati per essere liberi. La nostra libertà non proviene da alcun essere umano ma da Dio» (p. 24).
Solo insieme, italiani e rumeni, cristiani e arabi, europei e africani possiamo essere liberi. Ma la libertà umana non può essere a scapito del creato; perciò al sogno di King, Tutu aggiunge un altro elemento nato sia dalla sensibilità ambientale della nostra epoca che dalla tradizione del suo popolo. Noi esseri umani non solo abbiamo bisogno gli uni degli altri, ma anche della terra, la quale a sua volta ha bisogno di noi per essere curata con premura. Come Dio sogna un mondo in cui «una nazione non alzerà più la spada contro l’altra e non impareranno più la guerra» (Mic 4,3), così sogna anche un mondo in cui «il lupo abiterà con l’agnello e il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello, il leoncello e il bestiame ingrassato stanno assieme, e un bambino li condurrà» (Is 11,6). Al sogno divino Gesù avrebbe dato un nome: il regno di Dio. Poiché esso è imperniato sulla pace, sulla giustizia, sulla libertà lo si può sognare insieme a tutti e tutte che condividono questi ideali, eppure essendo il sogno di Dio si differenzia da quello degli uomini in vari modi.
Sogno di Dio, sogno degli uomini
In primo luogo, il fine. Il fine non è il semplice ribaltamento delle cose, in modo che coloro che sono stati oppressi ora opprimono, bensì la riconciliazione tra gli esseri umani, il «sedersi intorno al tavolo della fratellanza», come diceva King, l’imparare a vivere assieme. Sembra davvero un sogno, eppure mediante la «Commissione per la verità e la riconciliazione» istituita in Sudafrica da Nelson Mandela e presieduta da Tutu, commissione in cui insieme si sedevano neri e bianchi, torturatori e torturati, essa è diventata realtà. «Solo uniti, mano nella mano, come famiglia di Dio e non come nemici, potremo sperare di porre fine al circolo vizioso di vendetta e castigo» scrive Tutu (p. 56). Questo è possibile perché in Gesù, Dio ha abbattuto il muro che separa i popoli «per riconciliarli tutti e due con Dio in un corpo unico mediante la sua croce, sulla quale fece morire la loro inimicizia» (Ef 2,16).
In secondo luogo, il mezzo. La trasformazione, dichiara, Raimundo Panikaar, altro grande sognatore, nel suo libro Ecosofia (Cittadella, 1993) «è non-violento», e questo significa credere che l’unico modo di sconfiggere il nemico è trasformarlo in amico mediante l’amore; significa essere pronti a soffrire rispondendo, come diceva King, «alla forza fisica con la forza dell’anima» facendo sì che la sofferenza consapevolmente assunta diventi creativa. Appellandosi a Cristo, King esortava a seguire la via dell’amore per scoprire «che l’amore disarmato è la forza più potente del mondo».
In terzo luogo, poiché il sogno è di Dio, noi possiamo, come scrive Tutu, «non perdere la speranza» (p. 14).
Noi non viviamo nell’America degli anni Sessanta, non viviamo nel Sudafrica degli anni Ottanta, eppure il nostro mondo globalizzato è alle prese con l’immiserimento dei popoli e una violenza crescente. Esso ha bisogno di chi sogna un modo di vivere insieme imperniato sulla pace, sulla giustizia, sulla libertà. Anche la storia di Gesù, principe della pace e fonte della nostra speranza, inizia con qualcuno, Giuseppe, capace di dare retta ai suoi sogni. Così, anche oggi, come in epoche vicine e lontane, Dio sogna ancora e suscita persone pronte a portare avanti il suo sogno. Dio ha bisogno di donne e di uomini, di ragazze e ragazzi in grado di sperare ancora nel sogno di Dio e investirci le loro energie esattamente come dice il profeta: «Avverrà che io spargerò il mio Spirito su ogni persona: i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno, i vostri vecchi faranno dei sogni, i vostri giovani avranno delle visioni» (Gioele 2,28).
Immaginiamo il sogno di Dio come un grande mosaico colorato che lungo la storia Dio con infinita pazienza sta costruendo. Oppure, cerchiamo di vedere il suo sogno come un arazzo multicolore che con infinita dedizione e amore Dio sta tessendo. Ognuno e ognuna di noi, con i nostri doni, con le nostre speranze, con le nostre paure e i nostri desideri, è un tassello di quel mosaico, un filo di quell’arazzo. Poiché Dio non solo ha un sogno per il suo creato, ma ha un piano per ciascuno e ciascuna di noi. Tocca a noi scoprirlo insieme a Lui.