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    Segnalazione e recensione

     Cavagnari


    Prefazione di Rossano Sala
    Postfazione di Michele Falabretti
    Elledici 2021 - pp. 248 - € 15.00


    L’AUTORE
    Gustavo Cavagnari, salesiano sacerdote. Ha ottenuto la Licenza (2007) e il Dottorato (2012) in Teologia, con specializzazione in Pastorale biblica e liturgica, presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma. Attualmente è Docente Straordinario di Pastorale Giovanile Speciale presso la Sede centrale e Docente Invitato presso la Sezione di Gerusalemme della Facoltà di Teologia della medesima Università. Oltre alle sue pubblicazioni accademiche, collabora con diverse Riviste, tra cui “Note di Pastorale Giovanile”.

    IN ESTREMA SINTESI
    In quanto espressione dell’unica missione offerta da Cristo risorto alla sua Chiesa (cf. Mt 28,19-20), una pastorale giovanile impegnata nell’evangelizzazione va colta e proposta nell’ottica del discepolato missionario. Per adempiere questo mandato tra i giovani e con loro, la XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi del 2018 ha interpellato la comunità ecclesiale a progredire sul cammino di conversione verso una pastorale giovanile sinodale, popolare, vocazionale e missionaria. In verità, ci vorrà tempo per comprendere e maturare quanto il Signore ha chiesto alla pastorale giovanile e alla Chiesa tutta attraverso il recente processo sinodale, i suoi documenti e l’Esortazione apostolica post-sinodale di Papa Francesco. A questo scopo, il presente libro intende avviare una riflessione che assuma, in tutto e per tutto, tali contenuti e il loro metodo.

    IL CONTENUTO PER DISTESO

    Prefazione
    UN ELOGIO DEL TUTTO MERITATO
    Rossano Sala

    Intimità profonda del discepolo e passione ardente dell’apostolo, chiarezza metodologica dell’insegnante e aggiornamento continuo dello studioso. Questi quattro ingredienti sarebbero più che sufficienti per raccomandare la lettura attenta del volume che con gioia presento ai lettori, perché è assai difficile al giorno d’oggi trovarli armonizzati in un’unica opera.
    E la prefazione potrebbe già fermarsi qui, perché l’essenziale per invitare alla lettura è già detto! Mi permetto però – per onorare la richiesta che mi è stata fatta – di aggiungere qualche parola che spero non sia del tutto inutile.
    Gustavo Cavagnari è un teologo pressoché sconosciuto al pubblico italiano. Sacerdote salesiano venuto dall’altra parte del mondo, ma di radici italiane, precisamente venete e lombarde. Nativo della terra argentina tanto sognata da don Bosco e madre della “teologia del popolo” – che, lo sappiamo, ha dato alcuni “fondamentali pastorali” a Papa Francesco – il prof. Cavagnari è attualmente docente di Teologia pastorale e Pastorale giovanile presso la Facoltà di Teologia dell’Università Pontificia Salesiana.
    Ma prima ancora, vorrei dire, è un amico e un fratello con cui sto condividendo un tratto importante della mia esistenza e della ricerca teologico-pastorale.

    La ricchezza di uno sguardo globale
    Se nell’antichità san Girolamo si destreggiava con estrema facilità tra il greco, il latino e l’ebraico, la koiné della pastorale giovanile nel nostro tempo parla inglese, spagnolo e italiano. Ecco il primo grande pregio di questo testo: la conoscenza approfondita non solo di tre lingue, ma di tre mondi essenziali per la ricerca e il confronto nella pastorale giovanile. Con questo non voglio certo escludere altri contesti, come quello francese, tedesco e portoghese, che vantano riflessioni e approfondimenti non da poco sia nella teologia pastorale che in quella dei giovani.
    Il testo del prof. Cavagnari, da novello vir trilinguis, integra in forma sinfonica e convincente – ciò balza all’occhio già dalla ricchezza bibliografica utilizzata – le spumeggianti riflessioni nordamericane con la prospettiva popolare ispanica e con le radici sapienziali della pastorale giovanile italiana. L’inglese ci conduce nel mondo anglosassone, che in questo momento – più nel mondo protestante che in quello cattolico – è assai vivace e fruttuoso per la pastorale giovanile; lo spagnolo rimane la lingua che caratterizza un numero sempre crescente di cattolici nel mondo, anche nella stessa area anglosassone; l’italiano è un po’ la culla della pastorale giovanile postconciliare. Unendo questa triplice ricchezza viene portato nell’ambito della pastorale giovanile italiana qualcosa di nuovo, che ci aiuta ad allargare i nostri orizzonti talvolta troppo regionali (e troppo continentali). Noi italiani (e noi europei) in fondo – anche se con sempre maggiore fatica abbiamo il coraggio di affermarlo a voce alta – nutriamo ancora la pretesa di “dettare legge” un po’ a tutta la cattolicità. Invece è necessario confrontarsi di più, avere l’umiltà di imparare da coloro che ci sono sconosciuti e perfino estranei. All’inizio potrebbe essere umiliante, ma alla fine ne usciremo edificati, più ricchi e più maturi.
    Insomma, siamo chiamati con coraggio a guadagnare al più presto uno sguardo globale per poter agire nel migliore dei modi nell’ambito locale, perché oggi più che mai “tutto è connesso”. Nell’incontro con l’altro, che certamente all’inizio ci “altera” nel senso negativo del termine, alla fine ampliamo lo sguardo, conosciamo altre prospettive, impariamo altre vie, intravediamo nuove possibilità.

    La fecondità del Sinodo
    Secondo aspetto. Questo testo gronda e trasuda da ogni sua parte del recente Sinodo sui giovani. Io questo Sinodo l’ho vissuto ‒ dall’inizio alla fine ‒ dal di dentro e anche dietro le quinte in quanto Segretario Speciale, e quindi ne sono condizionato. Lo vedo da un punto di vista affettivo, esperienziale e, quindi, molto soggettivo. Mi ha segnato intimamente e perciò mi manca la distanza, una visione distaccata di quell’evento.
    Il prof. Cavagnari invece lo mette a reddito, lo inserisce come elemento fecondante dal punto di vista oggettivo.
    Non solo lo considera teoricamente sale e lievito per il rinnovamento della pastorale giovanile, ma invita quest’ultima a ripartire assumendo in tutto e per tutto la forza e la forma del Sinodo, il suo metodo e i suoi contenuti.
    E lo fa con la passione dell’apostolo e l’intelligenza dello studioso.
    Ci vorranno anni per comprendere che cosa il Signore sta chiedendo alla pastorale giovanile e alla Chiesa tutta attraverso il processo sinodale e i documenti del Sinodo sui giovani. Ho sempre sostenuto – e continuo a farlo con sempre maggior convinzione – che la pastorale giovanile è un laboratorio permanente per il rinnovamento della vita della Chiesa. E il Sinodo è stata una profezia esattamente per questa concentrazione, perché si è focalizzato sulla “forma della Chiesa”, si è interrogato su come noi possiamo essere significativi e attrattivi per i giovani del terzo millennio.
    Il lettore troverà che il frutto fondamentale del Sinodo – che è senza dubbio l’idea e la messa in pratica della “sinodalità missionaria” – occupa il capitolo più ampio di tutto il testo, quello appunto dedicato alla “pastorale giovanile sinodale”. Mi pare che quel capitolo sia il cuore pulsante dell’intero volume. La pastorale giovanile è davvero chiamata ad anticipare in qualche modo quello che il prossimo Sinodo della Chiesa universale, tuttora in fase di preparazione, cercherà di approfondire a beneficio di tutta la pastorale della Chiesa, in consonanza con il tema indicato dal Santo Padre: “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”.

    L’identità della pastorale giovanile
    Un terzo elemento – a mio avviso assolutamente decisivo – che emerge dal testo con grande nitidezza è la discussione circa l’identità della pastorale giovanile, immediatamente connotata in termini evangelici, cioè nell’ottica del discepolato e dell’apostolato. Lo si evince fin dal titolo e dal sottotitolo dell’intero testo, che riprende e commenta il dettato dell’invio missionario contenuto negli ultimi versetti del Vangelo di Matteo. È proprio così, perché il compito dell’evangelizzazione ha origine e inizio dalla rivelazione e non può essere interpretato e realizzato che a partire da lì.
    La pastorale non può che essere la multiforme e variegata realizzazione storica dell’unica missione offerta dal Risorto alla sua Chiesa come dono e compito. Davvero la Chiesa esiste per evangelizzare e la pastorale giovanile è prima di tutto un servizio all’evangelizzazione.
    Lo si coglie – cosa importante per noi italiani, che non abbiamo nemmeno le parole adeguate per dirlo – nella lingua inglese che distingue, senza separare, Youth Ministry e Youth Work. Da noi c’è troppe volte confusione e sovrapposizione, tanto che si rischia perfino di non capirci sui fondamentali; non si colgono le dovute differenze, che invece lo studioso comprende con finezza e comunica con precisione, così che il lettore ne possa essere edificato.
    L’intenzionalità della pastorale giovanile sta nella generazione di discepoli e apostoli del Signore Gesù, il resto è – se lo è – “pastorale giovanile” in senso derivato e analogico.
    C’è un lavoro sociale, educativo e di animazione culturale, di amicizia e di dialogo fraterno, che non è direttamente pastorale giovanile. E c’è anche, dall’altra parte, un’azione propriamente missionaria e di primo annuncio, che va verso coloro che non conoscono l’Evangelo, e che non è direttamente pastorale giovanile.
    Con la fine della cristianità occidentale queste distinzioni (che, ripeto, non significano alcuna separazione perché si distingue per unire e non per dividere, come ci ha insegnato negli ultimi tempi Jacques Maritain, attingendo al cuore dell’insegnamento del grande Tommaso D’Aquino) diventano decisive per la nostra vita e missione. Almeno per avere chiarezza di idee e per comprendere che l’azione pastorale è prima di tutto edificazione e nutrimento della comunità dei battezzati, oggi troppe volte messi in secondo piano. In una società sempre più policentrica, fluorescente e senza punti fermi è importante garantire l’identità dei cristiani, proprio per essere in grado di dialogare a partire dalla concretezza della propria condizione di credenti.

    La centralità della comunità
    Un ultimo aspetto che vorrei sottolineare, e che colpisce positivamente il lettore, è il primato della comunità. È una conseguenza logica che discende dalla teologia del popolo, dalla sinodalità missionaria e dall’identità stessa della pastorale giovanile. Chi fa pastorale giovanile? A questa domanda la prima e più importante risposta è il titolo del secondo capitolo: “Tutta la comunità evangelizza ed educa i giovani”. I giovani protagonisti e gli adulti, di cui si parla nel testo, esistono solo come parte di una comunità dell’edificazione reciproca, di un “noi” dove non c’è chi sta davanti e chi sta dietro, ma dove si cammina insieme e si vive continuamente nello scambio dei doni: i giovani offrono gli elementi per ringiovanire i dinamismi della Chiesa e gli anziani hanno una visione capace di orientare la forza delle giovani generazioni. È l’immagine sinodale della canoa a cui fa riferimento Papa Francesco in Christus vivit al n. 201, riprendendo un intervento di un giovane uditore delle isole Samoa durante l’Assemblea sinodale.
    Il prof. Cavagnari spende paragrafi che uniscono mirabilmente intelligenza teologica e concretezza pastorale nel mantenere vivo per tutto il testo il filo rosso sulla soggettività ecclesiale che deve caratterizzare l’intera pastorale, e in particolare quella giovanile. Infatti non possiamo negare che in taluni periodi postconciliari la pastorale giovanile abbia rischiato un certo parallelismo rispetto alla vita della comunità dei credenti. Sicuramente lo ha fatto con buona intenzione, quasi sempre con spirito missionario, ma talvolta ci si è persi nel gruppo o nell’associazione piuttosto che ritrovarsi insieme nell’unico discepolato che ha nella Chiesa il suo naturale luogo di appuntamento.
    Questo, vorrei dire ancora e una volta per tutte, non ha nulla di “ecclesiocentrico”. Per il semplice motivo che il soggetto dell’evangelizzazione è la Chiesa, chiamata a decentrarsi predicando l’avvento del Regno. Quindi quella della Chiesa è una “centralità decentrata” che non può essere comunque evitata, pena la mancanza del soggetto che riconosce, accoglie, annuncia e anticipa il Regno dei cieli.
    Credo che questi pochi accenni possano bastare per invitare il lettore ad attingere alla ricchezza e alla bellezza di questo prezioso volume che spero, con tutto il cuore, possa accompagnare sia la ricerca scientifica che la pratica pastorale in Italia a fare un salto di qualità. E soprattutto mi auguro che possa spingere tutti e ciascuno a entrare con sempre maggior convinzione nel ritmo di quella triplice conversione tanto necessaria per la nostra pastorale giovanile: conversione sinodale, conversione popolare, conversione vocazionale. Tre conversioni che in sintesi ci spingono a entrare in un’autentica, entusiasmante e rinnovata conversione missionaria della pastorale giovanile, come viene auspicato nell’incisiva conclusione del volume.

    Postfazione
    UN LABORATORIO FECONDO PER LA PASTORALE GIOVANILE
    Michele Falabretti

    Un testo di pastorale in un tempo come questo è un atto di coraggio. Non è solo la pandemia a rendere difficili questi giorni: molte cose erano già in atto e il percorso del Sinodo dei giovani l’aveva mostrato abbondantemente. È mutato il quadro di riferimento: i processi di secolarizzazione sono arrivati all’apice delle loro conseguenze possibili e nello stesso tempo ci siamo accorti che l’altra anima con cui abbiamo definito il Novecento, l’individualismo, è diventata pervasiva di molti aspetti della vita. Assistiamo oggi al ritorno di cose che ritenevamo superate, come i nazionalismi, le democrazie in crisi, un mercato finanziario fuori controllo (o, se si preferisce, sotto il controllo di pochi), il ritorno di onde razziste, le chiusure egoistiche nei confronti delle istanze dei poveri del mondo. Mentre scrivo queste righe, l’America non riesce a esprimere serenamente il proprio nuovo Presidente, mentre in Italia le Regioni e il governo attraversano fratture profonde proprio quando ci sarebbe bisogno di rimanere uniti.
    Non è diversa la situazione della Chiesa: appena smorzate le cronache degli scandali sessuali, sono esplose quelle degli scandali finanziari. Ma i cronisti (più o meno a ragione) dipingono una Chiesa che vive profonde fratture, dove emergono istanze diverse che non accettano di fare i conti con il concetto di comunità. Sembra che ognuno abbia in testa il proprio modello di Chiesa e che non si faccia scrupoli a screditare quello degli altri, spesso anche in modo offensivo. Viene il sospetto che non ci si ritrovi più nella stessa fede in Cristo Gesù, perché ognuno crede nel “suo” Gesù senza essere disposto a cercarlo nella Chiesa.
    Perciò dicevo che questo libro è un atto di coraggio. Un tempo difficile non si può superare senza l’elaborazione di un pensiero, perché quando ci saremo stancati di litigare riemergerà la solita domanda: che cosa dobbiamo fare? Fuori dalle polemiche, con l’umiltà e il rigore di chi è in ricerca, Gustavo Cavagnari riprende le fila della pastorale giovanile provando a riorganizzarne il discorso. Perché di una cosa siamo certi: l’attraversamento che stiamo compiendo non prevede di fare tabula rasa di tutto ciò che è stato. L’annuncio del Vangelo ha come punto fermo il Vangelo stesso e dunque ciò che è stato, soprattutto quando fedele a Gesù, non è mai da buttare. Sicuramente si tratta di rileggerlo in questo contesto così strano dove, come già detto, il quadro di riferimento è del tutto nuovo, tornando a cercare il vocabolario sapienziale della vita. Dalla lettura del testo di Cavagnari, si aprono alcune prospettive.
    Anzitutto la soggettività della comunità cristiana nell’impegno educativo verso i giovani. Se ne fa un gran parlare da molto tempo, ma la questione sembra rimanere sempre allo stesso punto. Evidentemente perché è la vita stessa della comunità che è in crisi. Ma va ricuperata: la pastorale giovanile non può essere fatta per delega. La fatica di ricuperare la soggettività della comunità cristiana potrebbe risiedere nel fatto che è forse la questione a cui si guarda con maggior fatica: continuare con ciò che si è sempre fatto rimane sempre più comodo.
    In questi mesi è emerso più l’aspetto individuale persino della liturgia, chiesta con forza come un bisogno personale.
    A questo bisogno i giovani sembrano non rispondere: la loro evidente mancanza ai riti liturgici dipende molto da come viene presentata la bellezza evangelica – la bellezza dell’umanesimo evangelico. Spesso si pensa che il cristianesimo sia una cosa da insegnare, ma non ci si rende conto che in realtà è qualcosa da mostrare. Nessuno accoglie qualcosa che non abbia la minima forma della credibilità. I giovani hanno bisogno di vivere una vita che meriti il loro cimento e la Chiesa ha sempre mostrato Gesù come il modello perfetto di ogni vita umana: offrire ai giovani la ragione di una causa per cui può essere ragionevole spendersi è farli diventare suoi discepoli.
    Perché questo accada c’è bisogno di una comunità di cristiani capaci di mostrare il Vangelo di Gesù. Perché questo accada c’è sicuramente bisogno di una pastorale che viva pienamente di tutte le sue articolazioni: i giovani non sono un “prodotto di allevamento” e separarli dalle relazioni con chi è più piccolo o più grande di loro non giova. Il Sinodo (e prima ancora Papa Francesco) hanno speso molte parole sui rapporti intergenerazionali: è ciò che fonda il vivere della comunità, anche se facciamo ancora troppa fatica a riconoscere che la dimensione educativa ha una sua “filiera”.
    Alla questione della comunità cristiana, segue il grande tema dei giovani protagonisti e degli adulti che stanno di fronte a loro. Renderli protagonisti delle azioni pastorali non può voler dire creare per loro un “recinto” o un palcoscenico su cui esibirsi. Questa è la logica del talent e del reality, dove vince il più istrionico, quello che fa alzare gli ascolti e genera i maggiori profitti pubblicitari.
    Renderli protagonisti significa aiutarli a connettersi con la loro dimensione più profonda dove risiedono le questioni fondamentali del vivere umano. E la fede è una questione profondamente legata alla nostra umanità: Gesù ci ha mostrato che senza fede non c’è vita.
    Ciò che è stato smantellato nei giovani non è la loro domanda religiosa o di fede o il loro desiderio di ricerca, ma la cifra della loro qualità umana. La causa vera della perdita di fede dei giovani (o della perdita di una certa maniera di immaginare la fede) sta nel modello e negli stili di vita votati ormai in abbondanza al consumismo narcisista.
    Smantellare l’umano a colpi di logiche prestazionali e funzionalistiche non farà mai bene al desiderio che nutre la fede. Noi pensiamo che i giovani non credono perché non fanno cose religiose (le “nostre” cose religiose). I giovani non credono perché non sanno qual è realmente la posta in gioco della vita. È la nichilistica assenza di desiderio di senso. Se non vedono, se non fanno esperienza di un umano degno di questo nome come potranno credere i giovani? Quali sono le ragioni del buon vivere (più che del ben-vivere o del ben-essere)? La questione è: in quale avventura convochiamo le nuove generazioni? Che cos’è che rende desiderabile una vita a tal punto da giustificare il cimento dei giovani? Per rispondere a queste domande, c’è bisogno di adulti che non inseguano i giovani per nostalgia di un tempo e delle sue condizioni che a loro sono ormai precluse.
    Solo così sarà possibile consegnare loro un’eredità, una progettualità, una causa che meriti il loro esserci, il loro “ingaggio”. Questo richiede di trasformare in esperienza di fraternità i luoghi/ambienti che loro vivono. Impariamo a riconoscere i luoghi dove essi desidererebbero investire la vita. In questo modo i giovani potranno essere biblicamente lanciati come frecce del nostro arco. Non solo, dunque, una Chiesa che offra loro il Vangelo, ma accorgersi che di tanto in tanto i giovani sono “vangelo” per la Chiesa. Una buona notizia, ma anche un appello e una provocazione.
    L’ultima questione a cui vorrei attingere dal libro di Cavagnari, è quella dello stile sinodale. Francamente appare come la più ardua. Non certo perché il testo non sia chiaro e non sufficientemente appassionato alla questione, tutt’altro. Il fatto è che uno stile sinodale è più faticoso.
    Obiettivamente, fra i grandi cambiamenti (almeno in Italia) c’è la questione del calo di vocazioni presbiterali (a cui facevano capo tutte le azioni pastorali) e il bisogno di ridisegnare i territori. Ciò che ieri era molto distante oggi si fa più vicino, anche solo per via della mobilità di tutti che è non solo possibile, ma più rapida. Il modello più diffuso di pastorale giovanile nei territori è ancora quello di un prete che si relaziona con gruppi di ragazzi aiutato da qualche educatore. Ma non di rado i preti hanno in carico più di una comunità e la disponibilità di tempo si riduce. Pertanto si sente la mancanza di cammini più flessibili e personalizzati, in grado di rispondere a esigenze sempre più diversificate: le situazioni di disagio sociale o familiare, le disabilità, la presenza di giovani di altre culture e religioni. Questo vale per tutte le esperienze educative lungo l’anno. È urgente attivarsi costruendo una rete di alleanze con persone e realtà presenti su un territorio, un gioco di squadra più convinto che valorizzi le figure significative già presenti nella comunità. Ci sono molti cristiani competenti che sono già “in uscita”: sono fuori dai nostri circuiti più istituzionali, ma portano il Vangelo là dove lavorano. Perché nelle nostre comunità non trovano casa? Per arrivarci c’è bisogno di incontrarsi e conoscersi, di apprezzare e valorizzare competenze, di riconoscere il dono che è la presenza di ciascuno. È lo stile sinodale: ha come obiettivo finale un coinvolgimento vero di tutti coloro che accettano l’ingaggio di lavorare nella Chiesa e per la Chiesa, ma chiede una grande spesa di tempo che inizialmente va inteso come un investimento. E questo non solo dentro le relazioni ecclesiali, perché quando esse si aprono e assumono uno stile più sinodale, sono capaci di interagire meglio con tutte le realtà con le quali i cristiani ogni giorno hanno a che fare.
    Tra l’altro solo uno stile sinodale può aprire una circolarità feconda tra la dimensione popolare della pastorale giovanile con i suoi livelli più istituzionali. Ma non è un caso che la questione della sinodalità sia stata ampiamente dibattuta durante gli incontri del Sinodo e (potrebbe sembrare un paradosso) che i numeri dedicati a questo tema nel documento finale abbiano trovato un consenso più risicato.
    Un testo come quello che Cavagnari ci consegna contiene molte prospettive e riflessioni in più. Ma ho ritenuto di concentrarmi su queste perché mi sembrano quelle che rimarranno sicuramente anche dopo questo attraversamento. Tutto però può trasformarsi in un laboratorio fecondo: i pensieri e gli orizzonti, talvolta, vanno tenuti al caldo nel cuore e coltivati nei pensieri. Già si intravvede che saranno lì ad attenderci anche al termine di passaggi epocali come quelli che stiamo vivendo. E la fecondità non sarà solo frutto di una buona intelligenza, sarà ancor più larga se a tenerci uniti sarà quella fraternità che Papa Francesco ha appena consegnato alla Chiesa con la sua enciclica “Fratelli tutti”.

    INDICE

    Prefazione. Un elogio del tutto meritato
    Rossano Sala

    Presentazione
    La pastorale giovanile in una comunità di discepoli missionari

    Capitolo I. Perché fare pastorale giovanile?
    Una pastorale al servizio del discepolato
    1. Un’ineludibile consapevolezza in tempi di mutabilità identitaria
    2. Il marchio a fuoco dalla missione evangelizzatrice
    3. La sequela del Signore
    4. L’orizzonte che sostiene la razionalità dell’azione
    5. Le forme tipiche dell’evangelizzazione
    6. Una pratica pastorale destinata per sua natura ad animare la Chiesa
    7. La definizione o il significato di pastorale giovanile
    8. Il campo polimorfico dell’agire ecclesiale con i giovani
    9. Tra declino e sviluppo

    Capitolo II. Chi fa la pastorale giovanile? / 1
    Tutta la comunità evangelizza ed educa i giovani
    1. L’ecclesiologia conciliare
    2. La soggettività ecclesiale
    3. La vivace plurisoggettività della pastorale giovanile
    4. L’appartenenza ecclesiale
    5. I livelli dell’appartenenza giovanile
    6. Il dialogo samaritano
    7. Dal gruppo all’appartenenza ecclesiale

    Capitolo III. Chi fa la pastorale giovanile? / 2
    I giovani protagonisti
    1. Uno sguardo caleidoscopico
    2. Alcune approssimazioni
    3. Luogo teologico
    4. Protagonisti corresponsabili

    Capitolo IV. Chi fa la pastorale giovanile? / 3
    Gli adulti
    1. Un tempo senza adulti
    2. Una pastorale giovanile generativa
    3. I processi della generatività
    4. Una pastorale d’adozione

    Capitolo V. Come deve essere la pastorale giovanile? / 1
    Una pastorale giovanile sinodale
    1. Un tempo nuovo per la sinodalità
    2. Lo sviluppo storico-concettuale della sinodalità
    3. Verso una teologia della sinodalità
    4. In cammino verso una rinnovata sinodalità
    5. La sinodalità nei documenti del Sinodo sui giovani
    5.1. La sensibilità sinodale dell’Instrumentum laboris
    5.2. La sinodalità nel Documento finale
    5.3. La sinodalità nella Christus vivit
    6. La sinodalità nella pratica pastorale con i giovani
    7. Alcune difficoltà nella creazione di uno stile sinodale di vita e di missione
    7.1. Idee e pratiche confuse
    7.2. Il peso dell’inerzia sociale ed ecclesiale
    7.3. La sconnessione di una società iperconnessa
    7.4. Le malattie di un corpo irrigidito
    8. Cammini di sinodalità in ambito giovanile
    9. L’urgenza di lavorare in rete
    9.1. Alleanze da stringere all’interno della comunità ecclesiale
    9.2. Alleanze da stringere verso l’esterno della comunità ecclesiale
    9.3. Opportunità e difficoltà

    Capitolo VI. Come deve essere la pastorale giovanile? / 2
    Una pastorale giovanile popolare
    1. La tensione tra i percorsi soggettivi e le strutture istituzionali
    2. L’esperienza bella e intensa di appartenere a un popolo
    3. Una pastorale a ritmo di popolo
    4. Camminando più lentamente perché nessuno rimanga indietro
    5. Il popolo, il non-popolo, e la nostalgia delle cipolle

    Capitolo VII. Come deve essere la pastorale giovanile? / 3
    Una pastorale giovanile vocazionale
    1. Una pastorale vocazionale per i giovani
    2. Il discernimento della propria vocazione
    3. L’accompagnamento spirituale personale
    4. L’accompagnamento pastorale
    5. Il profilo dell’accompagnatore
    6. Tra dono e carisma
    7. L’impegno per l’accompagnamento

    Conclusione. Una pastorale giovanile sempre missionaria
    1. La Chiesa è in missione nel mondo
    2. La missione come orizzonte paradigmatico
    3. Ulteriori connotati di una pastorale giovanile missionaria
    4. Giovani missionari coraggiosi

    Postfazione
    Un laboratorio fecondo per la pastorale giovanile
    Michele Falabretti


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