La Basilica di
Santa Maria Maggiore
L'eccellenza della fede mariana
Paolo Lorizzo
Situata nel cuore della Roma archeologica, vita pulsante della modernità della capitale fatta di parcheggi e traffico caotico, sorgela Patriarcale Basilica di S. Maria Maggiore. Oltre a rappresentare un inossidabile punto di riferimento per il culto della Madonna, la Basilica è l’unica a conservare ancora i caratteristici tratti di basilica paleocristiana e a mantenerne alcune peculiarità legate alla religione cristiana. Gli apporti successivi infatti non ne hanno alterato la sostanza, ma soltanto arricchita, aggiungendo qualità uniche, atte a rappresentare l’importanza che le è universalmente riconosciuta.
Gli scavi
Non tutti però sanno che l’importanza di questa area basilicale non deriva esclusivamente dall’edificio cristiano. Ci troviamo infatti in una delle aree più interessanti dal punto di vista archeologico, compresa tra le terme di Diocleziano a nord-ovest e gli horti Maecenatis ad est, senza contare che fin dall’età repubblicana, appena fuori le antiche Mura Serviane, era stanziata quella che conosciamo come la ‘necropoli dell’Esquilino’ in seguito distrutta per fare spazio all’ampliamento edilizio della città. Oltre alla presenza di un ‘bosco sacro’, il colle era importante per la presenza di alcune strutture templari, tra cui quella di Giunone Lucina, divinità che presiedeva alle nascite e quella della Minerva Medica.
I sotterranei della basilica si pongono all’interno di questo quadro storico, il quale, seppur parziale, contestualizza perfettamente il monumento. Il grosso dei lavori venne effettuato tra il 1964 e il 1971 su iniziativa del pontefice Paolo VI, con il duplice scopo di verificare quanto si sosteneva fin dal XVIII circa la presenza di resti romani nei sotterranei della basilica e per consolidare le fondazioni dell’edificio soprastante eliminando l’umidità attraverso la creazione di intercapedini. Le strutture infatti sono praticamente addossate alla collina con gravi rischi di deterioramento delle parti ipogee e di instabilità per quelle superiori, sia portanti (strutture) sia decorative (pavimento ‘cosmatesco’ della navata centrale). Il lavoro di Papa Paolo VI, incentrati lungo il settore ipogeo perimetrale della Basilica, portarono alla bonifica di una superficie di circa 1500 metri quadri, permettendo tra l’altro la creazione di una struttura museale.
Oltre ad alcune labili tracce riferibili all’antica necropoli di età Repubblicana, le strutture più antiche sono quelle corrispondenti ad alcune porzioni murarie di opus reticolatum riferibili alla seconda metà del I secolo a.C., la cui tipologia corrisponde esattamente alle strutture rinvenute poco più ad est e note come ‘Auditorium di Mecenate’. Le due strutture, seppur incompatibili tra loro, testimoniano come la zona, tra l’età cesariana e quella augustea, abbiano avuto un notevole impulso, soprattutto per la costruzione di edifici di carattere residenziale. La correlazione è ancora più evidente se si osservano e si confrontano le strutture. La struttura ipogea di S. Maria Maggiore presenta un ambiente con alcune nicchie con sistemi di riscaldamento, oltre alla presenza di affreschi e pavimentazioni in mosaico, il tutto molto simile a quanto è stato rinvenuto nel settore degli horti Maecenatis con sistemi di conduzione ed adduzione dell’acqua, riconducibile ad un ninfeo situato all’interno di una coenatio (sala da pranzo).
A differenza di quanto avvenne nell’Auditorium di Mecenate, alle strutture di S. Maria Maggiore vennero aggiunti in piena età imperiale (II/III secolo d.C.) due ambienti decorati dapprima con l’utilizzo di lastre di marmo e successivamente da affreschi. Su queste pareti sono state rinvenute le tracce del più antico calendario agricolo romano, probabilmente datato alla metà del IV secolo in piena età costantiniana. Sfortunatamente la maggior parte dell’affresco, suddiviso in due pareti, è andato quasi completamente perduto, ma è ancora possibile scorgere la raffinata decorazione e le iscrizioni riguardanti le varie attività stagione per stagione. I pannelli di ogni mese che scandiscono due semestri sono tra loro intervallati da rappresentazioni riguardanti lavori agricoli che si svolgevano nel mese rappresentato li accanto a caratteri bianchi su sfondo rosso.
Nonostante l’estrema precarietà, è stato possibile restaurare in occasione dell’ultimo Giubileo l’affresco riguardante il mese di ‘settembre’, le cui vedute agresti, l’edificio centrale e le scene bucoliche che fanno da contorno, incantano e meravigliano lo spettatore per il modo raffinato in cui sono state realizzate, alimentando il rimpianto di non avere la possibilità di poter ammirare per intero questo capolavoro della pittura romana tardo-imperiale.
Abbiamo analizzato l’importante testimonianza del cosiddetto ‘calendario agricolo’, significativa pittura murale rinvenuta all’interno dei sotterranei della Basilica di S. Maria Maggiore. L’affresco è rilevante non soltanto per la tematica rappresentata ma anche per la raffinatezza con cui è stato realizzato, a differenza di quanto riprodotto attraverso un restauro (comunque antico), le cui rappresentazioni sono di trascurabile valore artistico perché riproducesti elementi geometrici policromi a scacchiera.
Uno degli elementi più curiosi dell’affresco è la riproduzione di palindromi in latino come Roma summus amor o rotas opera tenet areposator (si leggono allo stesso modo sia da destra verso sinistra che da sinistra verso destra) realizzato mediante graffito, cosi come la presenza di un gran numero di tegole romane rinvenute durante gli scavi del XIX secolo. I bolli stampigliati sulla superficie di tegole e frammenti laterizi identificano un periodo cronologico piuttosto vasto i quali, oltre a rappresentare le epoche imperiale e cristiana, testimoniano l’utilizzo prolungato nel tempo dell’edificio all’interno del quale sono stati rinvenuti. Il ritrovamento di bolli di età imperiale, tardo-antica (cristiani con il monogramma di Cristo) di Teodorico (risalenti al VI secolo), prettamente cristiani dell’VIII secolo (uno riportante la dicitura in nomine dei e un altro ‘Maria madre di Cristo’) e papali (uno con il monogramma del pontefice Adriano I), lasciano chiaramente intendere che il continuum storico dell’Esquilino è praticamente ininterrotto, come confermato, tra l’altro, dal ritrovamento di una tegola di papa Eugenio IV che ha pontificato dal 1431 al 1447.
La frequentazione nel tempo del colle Esquilino, oltre ad essere confermata dai reperti qui ritrovati, è testimoniata anche dal ritrovamento di alcune porzioni murarie in opus vittatum, tecnica edilizia di rivestimento perlopiù datata tra la fine del III e l’inizio del IV secolo d.C. , probabilmente pertinenti ad una fase di riutilizzo dell’edificio o ad una nuova costruzione addossata alla precedente. Per la fase più antica è stato ipotizzato dagli studiosi che possa trattarsi di un ‘macellum’ (antico mercato per la vendita al dettaglio delle merci, realizzato con la tecnica dell’opus reticolatum) fatto costruire dall’imperatore Augusto in onore della seconda moglie Livia (celebre anche per il famoso ritrovamento della sua splendida villa di Prima Porta, in aggiunta a quella del Palatino). A suffragare l’ipotesi ci sarebbero anche le fonti storiche che narrano della presenza del macellum immediatamente al di là delle mura serviane, nell’attuale area di S. Vito. La primitiva basilica costruita da papa Liberio infatti, era identificata con il termine iuxta macellum Liviae cosi come riportato dal Liber Pontificalis, l’ormai celebre libro che narra le vicende e la storia dei pontefici.
Non è comunque da escludere che le strutture, in parte contemporanee e territorialmente vicine a lussuose residenze di grandi personaggi come Agrippa, Mecenate, Giunio Basso, Plinio il Giovane, il console Lucio Nerazio Cereale (per citare i più importanti), siano pertinenti ad una residenza di un personaggio di grande rilievo la cui identificazione è ancora sconosciuta.
Terminato il percorso ipogeo, ancora inebriati dal fascino che soltanto la storia romana può trasmetterci (soprattutto vissuta con il giusto clima mistico di un’area archeologica sotterranea), è d’obbligo una visita al piccolo ma significativo museo inaugurato l’8 dicembre del 2001 da papa Giovanni Paolo II e formato da otto ambienti che racchiudono un vero e proprio tesoro d’arte e scanditi da otto diversi tematismi tra cui la storia della Basilica, Cristo nel mistero della Natività e della Passione e Maria venerata nella Basilica. Il museo contiene un’importante serie di oggetti liturgici, tra i quali reliquiari e opere di Pietro Gentili, ostensori, calici di diversi artisti e preziosi quadri (‘Salita al Calvario’ del Sodoma, la ‘Madonna con Bambino’, ‘S. Antonio da Padova’ e ‘S. Caterina da Siena’ del Beccafumi).
Di grande rilevanza storica ed artistica è probabilmente l’opera scultorea più importante conservata: il presepio di Arnolfo di Cambio. Si tratta di un gruppo scultoreo in pietra realizzati solo parzialmente a tutto tondo, il quanto il dorso delle statue è piatto (esclusa la statua del Mago accovacciato anche se completata successivamente). Questo venne commissionato da papa Niccolò IV nel 1288 e completata nel 1291, rappresentando un elemento di estrema qualità artistica e principale attrattiva dell’area museale.
La facciata e gli interni
Nei precedenti ‘appunti di viaggio’ riguardante la Basilica di Santa Maria Maggiore abbiamo disquisito sull’importanza e la bellezza dei suoi sotterranei, uno dei molti tesori di questo complesso mariano. Ciò che invece è visibile a tutti è la poderosa struttura che si presenta dinanzi ai visitatori, ancor più suggestiva per tutti coloro i quali, percorrendo via Cavour, giungono in piazza dell’Esquilino. Attraverso la sua spazialità è possibile ammirare l’enorme monumentalità dell’edificio impreziosita dall’obelisco egizio che si staglia al centro dello spazio. Coloro i quali giungono presso la piazza superiore provenendo da piazza Vittorio Emanuele, potranno ammirare l’elegante facciata realizzata da Ferdinando Fuga nel 1741 (la cui realizzazione però comportò la ricopertura dei mosaici della facciata del XIII secolo) ed è formata da un portico a cinque aperture in basso e tre nella loggia superiore.
Abbiamo già sottolineato come la nascita della Basilica sia frutto di un sogno fatto da Papa Liberio in cui comparve la Vergine Maria suggerendole un segno che di li a breve il pontefice avrebbe avuto per realizzare la fabbrica a Lei dedicata. L’evento eccezionale accadde il 5 agosto del 358, quando una insolita e miracolosa nevicata ricoprì il Colle Esquilino, permettendo al pontefice di tracciare il perimetro della Chiesa.
Per questo il 5 agosto di ogni anno viene rievocato, attraverso una solenne Celebrazione, il "Miracolo della Nevicata": una cascata di petali bianchi discende dal soffitto ammantando l'ipogeo e creando quasi un'unione ideale tra l'assemblea e la Madre di Dio.
Abbiamo più volte ricordato come la Basilica di Santa Maria Maggiore sia una delle quattro Basiliche patriarcali di Roma, l’unica che abbia conservato le strutture paleocristiane. Il visitatore posto dinanzi alla monumentalità dell’edificio stenterebbe non poco a credere che in realtà l’edificio conservi numerose tracce della sua origine e ad alterarne la percezione è chiaramente una manipolazione moderna delle strutture la cui facciata tradisce un radicale rifacimento. Nonostante la costruzione, almeno nella fase esterna, abbia perso quel gusto antico, entrando nel portico si respira chiaramente quell’atmosfera barocca di Roma, fatta di scrittori e poeti, artisti salottieri e amanti dell’arte, dove si tende ad esasperare il concetto del bello enfatizzando anche i più piccoli dettagli. Con questa visone d’insieme è stata collocata nel 1949 la grande porta di bronzo realizzata da Ludovico Pogliaghi, che riproduce alcuni episodi della vita della Vergine, i profeti, gli Evangelisti e le quattro donne dell'Antico Testamento. Sulla sinistra è visibile la Porta Santa, benedetta da Giovanni Paolo II l'8 dicembre del 2001, realizzata dallo scultore Luigi Mattei e offerta alla basilica dall'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Il tematismo è chiaramente riferibile al culto mariano con le rappresentazioni del Cristo risorto che appare a Maria, l'Annunciazione al pozzo,la Pentecoste e il Concilio di Efeso. In alto, ad incorniciare quanto rappresentato, lo stemma di Giovanni Paolo II e il suo motto.
L’aspettativa del visitatore di trovarsi dinanzi ad un monumento di gusto arcaico viene frustrata all’ingresso. Non siamo dinanzi a delusione, ma a puro stupore. L’austerità delle strutture paleocristiane qui è inesistente. Gli alti muri spogli hanno lasciato spazio ad un trionfo di elementi decorativi. Il clima mistico e silenzioso è sostituito da un turbinio di colori e riflessi, in cui lo sguardo fatica ad appoggiarsi su un particolare dettaglio. L’elemento di divisione della Basilica in tre navate scandite da due file di colonne, diventa un puro elemento accessorio, ma si tende subito a notare la trabeazione che si appoggia su di esse e che si interrompe soltanto verso l'abside. Le pareti visibili al di sopra di essa erano un tempo traforate da ampie finestre (di cui se ne conservano solo metà visto che le altre sono state murate), ma ora decorate da splendidi affreschi che rappresentano le "Storie della vita di Maria". Li dove è situato il punto di congiunzione tra le pareti e il soffitto è visibile un elegante fregio ligneo decorato da sapienti intagli rappresentanti dei tori cavalcati da amorini che sembrano unirsi naturalmente al cassetto nato del soffitto. Qui è un trionfo del simbolismo (oltre a quello dei tori) degli eminenti esponenti pontifici della famiglia Borgia con la rappresentazione degli stemmi di Callisto III e Alessandro VI, situati al centro del soffitto. Questo venne probabilmente iniziato dalle maestranze di Callisto III, ma la realizzazione vera e propria fu ad opera di Alessandro VI, che incaricò Giuliano da Sangallo a realizzarne il disegno (poi completato da suo fratello Antonio). Uno degli elementi più appariscenti è la doratura che ne riveste le parti più significative. La tradizione vuole sia stato usato il primo oro proveniente della prima spedizione nelle Americhe fortemente voluta da Isabella e Ferdinando di Spagna ed offerto ad Alessandro VI.
L’interno
Abbiamo finora sottolineato la bellezza e la varietà policroma degli interni della Basilica, e la preziosità degli affreschi e del soffitto ligneo rivestito con una parte dell’oro proveniente dalle prime spedizioni spagnole in America. Di grande rilevanza storico artistica è senz’altro lo splendido pavimento ‘cosmatesco’ realizzato con l’impiego di tarsie di marmi colorati, realizzati proprio dai marmorari di Cosma ed offerto al pontefice Eugenio III nel XII secolo.
Una delle attrattive artistiche più significative è rappresentata dai mosaici del V secolo commissionati da papa Sisto III e presenti lungo la navata centrale e sull'arco trionfale. Quelli visibili nella navata centrale vedono come protagonisti Abramo, Giacobbe, Mosè e Giosuè rappresentanti il simbolo della promessa divina al popolo ebraico di una "nazione grande e potente" ove sfamarsi e poter vivere. Ciò che viene rappresentato è spesso iconograficamente influenzato dalla corrente artistica ambientale e cronologica. Non c’è nulla di strano quindi scorgere lungo la parete sinistra presso l'arco trionfale le immagini di Melchisedek ed Abramo intenti al sacrificio, che ricorda il gruppo equestre del Marco Aurelio, con Melchisedek in posa ‘offertoria’ e Abramo con tonaca senatoria. Quelli successivi, cronologicamente antecedenti, avevano la necessità di essere tra loro raccordati, in quanto quelli della navata erano divisi da quelli dell’arco. Con la realizzazione del mosaico di Melchisedek, nelle vesti di re-sacerdote, si raccordano i restanti mosaici realizzati con lo scopo di narrare l'infanzia di Cristo.
Il personaggio più importante dell'Antico Testamento, Abramo, si raccorda dal punto di vista narrativo con quanto è stato realizzato nel 1995 da Giovanni Hajnal, una vetrata del rosone della facciata principale in sostituzione della precedente e raffigurante Maria il cui simbolismo si lega e funge da elemento di congiunzione tra la Chiesa e i concetti espressi attraverso l’Antico Testamento (identificato dal candelabro a sette braccia).
Il ‘tematismo’ musivo dell’arco trionfale si compone di quattro registri: l'Annunciazione, dove la Madonna appare con il tipico abbigliamento regale romano, l'annuncio a Giuseppe, l'adorazione dei Magi e la strage degli innocenti, quest’ultimo caratterizzato dalla figura Santa Elisabetta ritratta di spalle mentre fugge con S. Giovanni fra le braccia. Nel settore destro avviene la presentazione al Tempio, la fuga in Egitto, l'incontro della Sacra Famiglia con Afrodisio (governatore della città di Sotine), che riconosce la divinità celeste del Cristo. Infine la rappresentazione dei Magi al cospetto di Erode. Nella parte bassa dell'arco si vedono le rappresentazione di Betlemme a sinistra e Gerusalemme a destra, chiari riferimenti alla città di nascita e a quella della morte e resurrezione di Gesù.
I mosaici introducono l’abside del presbiterio, che nel XIII secolo venne abbattuta e ricostruita da papa Niccolò IV, allo scopo di arretrarla di alcuni metri per ricavare il transetto attualmente visibile. Nell’abside è stato realizzato un altro mosaico, opera di Jacopo Torriti, diviso in due parti. Nella conca absidale c'è la rappresentazione dell'Incoronazione della Madonna, mentre nella fascia sottostante vengono narrati alcuni episodi della Sua vita. Al centro del catino absidale, all’interno di un enorme clipeo, sono rappresentati Cristo e Maria, seduti in trono, con Cristo in atto di deporre sul capo della Madre una corona gemmata. Ai loro piedi il sole e la luna, circondati da una schiera di angeli adoranti e la presenza di S. Pietro, S. Paolo, S. Francesco d'Assisi e il papa Niccolo IV, Giovanni Battista, Giovanni Evangelista, Sant'Antonio e il donatore Cardinal Colonna. Tutta la scena è incorniciata da racemi e da due tronchi posti alle estremità del mosaico, dando un tocco decorativo e di completezza a tutta la rappresentazione, come buona tradizione di scuola bizantina. Stessa tradizione si avverte nella disposizione delle scene della vita di Maria, disposte a destra e a sinistra della Dormitio posta esattamente al di sotto dell'Incoronazione. La Madonna viene rappresentata sdraiata sul letto e l’immagine del Cristo che prende tra le braccia la sua "anima" con ai lati due piccole figure di francescani e di un laico con berretto. Sotto la rappresentazione della Dormitio venne fatta realizzare da papa Benedetto XIV la magnifica rappresentazione della "Natività di Cristo", opera del Mancini, mentre tra i pilastri ionici situati al di sotto dei mosaici sono visibili alcuni bassorilievi di Mino del Reame, rappresentanti la Nascita di Gesù, il miracolo della neve e la fondazione della basilica da parte di papa Liberio, l'Assunzione di Maria e l'Adorazione dei Magi.
Per concludere la disamina della decorazione basilicale non possiamo non ricordare la tomba del Bernini, la cui semplicità e umiltà espressiva confermano ancora una volta lo spirito del genio probabilmente più fulgido dell’arte del ‘600.
La cappella Sistina
Nella cappella Paolina