Il ritorno del padre
nella letteratura
psicologica
I contributi di Luigi Zoja e Massimo Recalcati
Matteo Martino
Del padre non si può fare a meno. In questi ultimi quindici anni in Italia si sono moltiplicate le pubblicazioni di indirizzo psicologico dedicate alla riscoperta della figura paterna [1]. Il repentino lievitare della letteratura è provocato dalle ingenti difficoltà che i processi di costruzione dell'identità personale incontrano nell'attuale stagione civile, a motivo della dissoluzione dei codici di senso e della frammentazione dei mondi di vita. Sul piano dei vissuti effettivi e dei comportamenti diffusi, psicologi e sociologi riscontrano oggi, in maniera inequivocabile, un'inedita domanda di padre. Il rimosso, ora invocato, ritorna, ma trasformato. Che cosa ritorna del padre?
Questo saggio intende inquadrare il rinnovato interesse della psicologia per la figura paterna con l'obiettivo di individuare categorie utili per una sua risemantizzazione. Punto di accesso dell'indagine è l'accostamento ai contributi di due noti psicoanalisti italiani, Luigi Zoja e Massimo Recalcati, la cui ricerca si distingue per l'impegno di scavo teorico profuso per il rinvenimento dell'originaria funzione del padre e delle sue condizioni di possibilità. La ricognizione dei loro studi, supportata da una preliminare e sintetica considerazione dell'attuale configurazione del rapporto famiglia-società, mira al necessario riposizionamento dell'immagine paterna rispetto alla questione della legge e ai processi di costituzione del sé.
1. Scomparsa del padre e trasformazione della famiglia
L'«assenza del padre» è un tratto tipico della società tardo-moderna, addirittura un luogo comune della letteratura specialistica di indirizzo psico-sociologico. Ma come deve essere intesa? Non ci si riferisce semplicemente alla defezione causata dalla rottura del legame di coppia, né all'assenza fisica tra le mura domestiche determinata oggi dalla dilatazione degli orari lavorativi. Si tratta piuttosto della carenza, registrata sul piano dei comportamenti, di uno stile "sufficientemente" paterno: è l'estinzione della "spiritualità" del padre [2].
La ricognizione fenomenologica mostra che il padre, rispetto al passato, frequenta maggiormente la casa, collabora nelle faccende domestiche, assolve i compiti prestabiliti, ma non ha alcun peso nella conduzione della famiglia e nella scelta delle strategie educative.
L'uomo si trova sguarnito di fronte al ruolo di padre a motivo dei radicali mutamenti socio-culturali e del conseguente stravolgimento dell'assetto familiare. Egli non dispone più di quella copertura assiologica, ossia di quella certificazione di senso condivisa, che un tempo assicurava l'esercizio effettivo della paternità. La scomparsa del padre apportata dall'industrializzazione (Mitscherlich, 1963) è, in sostanza, la dissoluzione dei riti e dei miti costruiti attorno alla sua immagine. La rarefazione della simbolica paterna annuncia il tramonto dello sforzo di civilizzazione e del senso della legge. In questo orizzonte semantico impoverito il padre tardo-moderno rassegna le dimissioni dal compito di iniziare il figlio alla realtà e alla vita associata [3].
Il fenomeno della latitanza del padre esige di essere compreso in stretta relazione ai processi di trasformazione della famiglia contemporanea. All'osservazione si impone il fatto della "pluralizzazione" delle forme di convivenza esistenti. La diversificazione è percepita dai sociologi non come "devianza" da un modello ritenuto "canonico" o "migliore" ma come risposta adattiva alle dinamiche imposte dall'umano contemporaneo. Anche nel discorso pubblico il termine "famiglia" viene ormai pacificamente declinato al plurale. Assistiamo oggi alla trasposizione dei differenti stili di vita personali in altrettante forme di aggregazione domestica.
L'odierna condizione della famiglia occidentale è determinata non solo dalla sua "pluralizzazione" ma prima ancora dalla sua marginalizzazione rispetto alla società. La comunità familiare si apparta in uno spazio rigorosamente "privato" e si trasforma in un nucleo a se stante, come pura unità di affetti. A essa sono assegnate mansioni di rassicurazione emotiva e non più funzioni di tipo normativo. Questa mutazione costituisce a nostro avviso l'elemento chiave per intendere la questione del padre nel nostro tempo. L'attuale precarietà della figura paterna deve essere compresa esattamente come indice dell'isolamento e della contrazione affettiva della famiglia contemporanea.
La famiglia è realtà insulare: non avendo rapporti sistemici di scambio simbolico con il contesto sociale entro cui vive, diventa «rifugio in un mondo senza cuore» [4]. Già negli anni '50 del secolo scorso Talcott Parsons riconosceva alla famiglia, senza peraltro avvertirne la problematicità, due fondamentali funzioni: la socializzazione primaria dei figli e la stabilizzazione delle personalità adulte [5].
Marginalizzazione e concentrazione affettiva della famiglia rendono più difficoltosa la costruzione della personalità. In questa cornice, il tradizionale compito del padre di inscrivere la scena primaria in quella secondaria appare arduo.
Il padre diserta la funzione normativa poiché non è più visibile la costellazione di significati elementari da tutti condivisa che ne garantiva il senso e la praticabilità.
Debolezza del padre e fragilità della famiglia sono fenomeni complessi che possono essere interpretati adeguatamente solo a procedere dalla considerazione dei mutamenti socio-culturali. D'altra parte occorre essere avvertiti di un rischio insidioso per la ricerca psico-sociale, ossia quello di confezionare una lettura di questi fenomeni limitata all'attualità. L'istantanea della situazione presente risulta operazione insufficiente al fine della perspicuità del dato. Cambiamento della famiglia ed eclissi del padre sono infatti processi articolati e distesi nel tempo che richiedono un'indagine di tipo storico-sociale attenta ai fenomeni di lunga durata [6].
Ci limitiamo a indicare succintamente solo alcuni punti di svolta. Le ricerche mostrano come la comunità familiare nei paesi dell'Europa occidentale a partire dal Seicento conosca un progressivo distacco rispetto alla vita associata. La ragione di tale distacco è da attribuire all'irruzione del sentimento della famiglia e dell'infanzia. Tale irruzione è resa possibile dal concorso di diversi fattori: cambiamenti demografici, mutamenti sociali e culturali, trasformazioni economiche.
La rivoluzione del sentimento ridisegna la vita familiare e le stesse soluzioni abitative; la casa diventa ambiente privato e nido degli affetti dove al centro troneggia il bambino. L'invasione dei sentimenti nei modi di vivere e intendere la coppia coniugale unitamente alla sempre più marcata attenzione alla cura della prole hanno dunque sancito progressivamente l'affermazione della moderna famiglia affettiva puerocentrica [7].
Gli anni '60-'70 del secolo scorso costituiscono una tappa decisiva per la destituzione dell'ordine simbolico tradizionale e in particolare per la contestazione del profilo istituzionale di matrimonio e famiglia. La protesta del '68, quale espressione del disadattamento dei giovani e, più in generale, del disagio dell'individuo marginalizzato dalla società, mette in luce proprio la difficoltà della famiglia affettiva a produrre un adeguato processo di introduzione al cosmo sociale. Su questo sfondo va collocata e deve essere compresa la fioritura della retorica marxista e libertaria di quegli anni, come tentativo fantasioso di ricreare un immaginario sociale di cui si avvertiva la mancanza.
Nella stagione civile più recente, diversi vettori di trasformazione concorrono ad accentuare la separazione tra famiglia e società, e in particolare a decretare la frattura esiziale tra coscienza e cultura, causa dell'attuale indigenza simbolica del padre. Ci riferiamo innanzitutto all'elevato grado di frammentazione raggiunto dai sistemi sociali, all'insediamento di modelli di comportamento modulati da uno spiccato individualismo espressivo, infine all'accelerazione del processo di disincanto del mondo realizzatosi mediante la supremazia della tecnica e il rifiuto di ogni fondamento trascendente. Nella società complessa e secolare si assiste al definitivo congedo della possibilità di avvalersi di un unico principio esplicativo della realtà: "fine delle grandi narrazioni", "società liquida", "cultura del narcisismo" sono categorie ormai note per descrivere, con accettabile approssimazione, la condizione spirituale del soggetto nell'epoca tardo-moderna [8]. L'individuo, senza più punti di riferimento, appare sempre più ossessionato dal problema dell'identità. Documento di tale ossessione è l'esorbitante attenzione accordata nel nostro tempo alla questione della rivendicazione del gender. La ricerca compulsiva della piena espressione del proprio potenziale, la celebrazione del culto della propria autenticità, riflettono il crollo dell'autorità paterna. L'imperativo estetico dell'autenticità sancisce infatti l'impotenza del padre di fronte al compito di iniziare i figli al mestiere di vivere.
Risulta pertanto evidente che la funzione paterna è inscindibilmente legata alla configurazione della cultura quale sistema delle oggettivazioni sociali dei significati del vivere.
2. Alla ricerca del padre. Paternità e cultura
Perdita del padre e necessità del suo ritrovamento per il processo di formazione dell'individuo ispirano il lavoro dello psicoanalista Luigi Zoja, Il gesto di Ettore. Preistoria, storia, attualità e scomparsa del padre [9]. La pubblicazione del saggio ha inaugurato in Italia all'inizio degli anni Duemila una stagione di fervente interesse per la figura del padre sotto il profilo psicologico.
Le evidenti difficoltà nei processi identificativi e la tendenziale intonazione regressiva dei comportamenti della popolazione adulta delle società avanzate attestano l'attuale fiacchezza semantica dell'immaginario sociale paterno. L'odierno sbiadimento di tale immaginario è da imputarsi al difetto di referenza simbolica dei legami sociali e alla consunzione del patrimonio simbolico della legge e dell'autorità [10].
L'opera di Zoja si prefigge di appuntare una storia dell'archetipo paterno. La rivisitazione storica è guidata da una tesi centrale: il padre è una costruzione culturale. Per diventare padre non è sufficiente generare; occorre un'intenzione esplicita, una decisione personale che è resa possibile dalle forme della cultura.
La ragione di interesse per il lavoro di Zoja risiede nella peculiare prospettiva di approccio al tema della paternità. Va apprezzata la scelta metodologica di trattare la figura del padre nel suo stretto rapporto con la società e la cultura, in ottemperanza al dettato junghiano. Nella visione di Jung infatti l'individuo non può mai essere considerato in modo disgiunto rispetto all'ordine simbolico che anima e governa il mondo in cui egli vive. Dunque anche il padre non si presenta mai isolato, bensì immerso in una società e in una cultura che, in Occidente, nonostante tutte le turbolenze e le trasformazioni in atto, rimangono comunque di tipo patriarcale. È importante notare che tale impostazione consente di contrastare il solipsismo irreale che caratterizza il soggetto psichico così come pensato dalla psicoanalisi di matrice freudiana.
Va inoltre riconosciuto allo studio di Zoja il merito di non arenarsi nelle secche dell'attualità ma di scandagliare l'immagine del padre quale fenomeno di lunga durata, come del resto raccomanda la sociologia più accorta (Elias, 1970). Per Zoja l'esclusiva concentrazione sul dato attuale, ossia la fotografia della situazione presente del padre realizzata mediante la forma dell'inchiesta, non consente di valutare la profondità e le variazioni dell'archetipo paterno così come appaiono nello sviluppo storico della psicologia collettiva. Il saggio di Zoja si presenta quindi come una storia psicologica del padre più attenta ai simboli che ai concetti, elaborata in una prospettiva eurocentrica, più precisamente mediterraneocentrica [11].
L'indagine prende avvio dalla considerazione dell'era preistorica. Qui importa cogliere il salto decisivo che contraddistingue la specie umana in epoca paleolitica: la creazione di un nucleo monogamico stabile in cui il maschio riveste la funzione di protezione e cura della prole: è la nascita del padre. La comparsa del padre sancisce l'uscita dell'umanità dalla condizione dell'orda primordiale e segna il sorgere della cultura: egli infatti si presenta come intenzionalità e progetto.
Gli studi in campo antropologico mostrano che mentre è possibile riscontrare una continuità del "naturale" nel femminile - quel naturale che conferisce al rapporto materno il carattere di simbiosi - per la paternità non è così [12]. La paternità non è un semplice atto istintuale, non deriva automaticamente dall'atto generativo: «La paternità non consiste nell'attimo. Non solo nel generare, bensì in quell'essere padre in modo stabile che accompagna la crescita del figlio» [13]. Diventare padre comporta l'intenzione di prendersi cura dei figli, implica quindi consapevolezza e responsabilità. In questo senso la paternità è gesto eminentemente culturale e principio di civiltà.
L'epoca dell'antichità classica corrisponde all'età aurea del padre. È l'era del patriarcato in cui il padre appare come il custode della continuità delle generazioni. Nel mondo greco viene decretata la superiorità del padre sulla madre: solo il padre infatti è considerato genitore del figlio; la madre è soltanto nutrice [14]. Su questo sfondo, attraverso la creazione del mito, prendono corpo figure paterne potenti come Ettore e Ulisse. L'identità e l'autorità del padre sono veicolate e assicurate dalla cultura, e specificatamente dalla tessitura di quelle "grandi narrazioni" che sono i poemi omerici. Essi consacrano presso l'immaginario collettivo l'effigie del padre eroe la cui grandezza consiste nell'essere simultaneamente padre della patria e padre di famiglia.
L'unità di padre e patriota trova nella figura di Ettore, così come descritta nell'Iliade, una rappresentazione assai pregnante. Lo studio di Zoja si sofferma su un particolare:
[...] poi [Ettore] baciò l'amato figlio e lo levò al cielo, pregando: «Zeus e voi altri dèi, rendete forte questo mio figlio. E che un giorno, vedendolo tornare dal campo di battaglia, qualcuno dica: "È molto più forte del padre"» [15].
È questo il gesto di Ettore: l'elevazione del figlio al cielo; egli lo innalza con la forza virile delle braccia e con l'affiato religioso dell'invocazione. Tale gesto costituisce il marcatore simbolico dell'identità del padre per tutti i tempi. Il rapporto con il figlio è il risultato non di un istinto ma di un intento.
Se Ettore è il padre eroe votato risolutamente al combattimento, Ulisse è l'uomo travagliato dal desiderio di esplorare il mondo e dalla sofferenza di non poter tornare in patria. Omero spesso ritrae Ulisse nei momenti di dubbio in cui il suo pensiero, nell'atto di dover prendere una decisione, ondeggia tra le due sponde contrapposte della mente e del cuore [16]. L'oscillazione dell'animo di Ulisse tra desiderio di avventura e nostalgia del focolare viene riletta da Zoja quale espressione della dialettica originaria tra istinto maschile della scoperta e presa di coscienza della responsabilità paterna. Dal punto di vista psicologico il profilo di Ulisse documenta il processo di decisione e illustra l'importanza della riflessione. È celebrata la vittoria del pensiero sulla pulsione: Ulisse infatti valuta tempi e costi delle sue azioni, cerca di trarre profitto dalle situazioni, evita inutili rischi ed escogita sempre un'alternativa.
Il poema omerico presenta anche la figura del figlio Telemaco, orfano soprattutto di un ordine esistenziale. In questa prospettiva, l'agnizione e la successiva alleanza tra Ulisse e Telemaco descrivono la necessità dell'insediamento del codice paterno nell'inconscio del figlio. L'essenziale è che Telemaco si dia un padre interno: solo così, resistendo all'impulso della vendetta precipitosa e scomposta, potrà consentire al padre di sconfiggere la forza caotica dei Proci, i maschi non paterni che vivono sottomessi al dispotismo anarchico dell'effervescenza libidica.
Nell'antichità latina Enea è il padre modello che incarna il valore della cura del legame tra le generazioni. Tale cura trova espressione nella pietas, nel rispetto delle divinità, e segnatamente nel culto dei Penati [17]. Essi costituiscono il precipitato simbolico di ciò che tutela la permanenza della stirpe, sono il seme della continuità familiare. Anche in Enea, come in Ettore e in Ulisse, convivono le due anime del combattente patriota e del custode della famiglia. Ma con Enea la dimensione orizzontale della lotta tra pari viene drasticamente ridimensionata a favore di quella verticale del rapporto tra generazioni. L'asse verticale dunque segna il profilo di Enea, ritratto come anello centrale della catena generazionale, come punto mediano dell'albero genealogico. Egli si fa carico, fisicamente, del padre Anchise e del figlio Ascanio: i tre sono intrecciati fino a formare un solido fusto, insieme sono legati verso il futuro. La linfa della tradizione pare travasarsi dall'uno all'altro senza soluzione di continuità [18].
Nella linea della cura del rapporto tra le generazioni si colloca il gesto dell'elevazione del neonato istituito dal diritto romano. Si tratta di un atto formale con il quale l'uomo si assume la responsabilità della paternità. Ma il gesto dell'elevazione è più di un atto giuridico: è celebrazione rituale mediante cui il figlio, strappato dalla madre-terra, viene elevato al cielo, ad maiora. Il gesto di suscipere, di innalzare, compiuto sempre e solo dal padre, rimanda al dono della vita sociale e morale [19].
Con l'antichità classica si conclude il tempo della gloria del padre. Da qui in avanti la figura paterna è destinata progressivamente a perdere forza e a subire una serie di ripetute contrazioni [20].
La svolta decisiva per la destituzione del padre avviene con la rivoluzione francese. Fino ad allora l'autorità del padre rimane solida, poi con il radicarsi della nuova mentalità forgiata dall'Illuminismo si assiste al rigetto violento del monarca e di ogni figura istituzionale che si aggrappi pervicacemente all'asse verticale del potere. Con la rivoluzione vengono decapitati i vertici e si consuma l'atto supremo dell'uccisione del re. Il padre-monarca è abbassato come è abbassata la lama democraticamente livellatrice della ghigliottina. Cadono le teste e cadono i simboli. L'abolizione dell'ordine gerarchico è animata dal progetto di una società egualitaria, costruita sull'asse orizzontale al grido di liberté, égalité, fraternité.
Tuttavia, rileva Zoja, il bisogno di padre persiste e sfocerebbe in maniera distorta proprio nell'esplosione dei totalitarismi del '900. Le dittature sono espressione disfunzionale della nostalgia del padre forte e vincente: sono la celebrazione perversa del suo riscatto da una intollerabile insignificanza. Come illustrano l'iconografia e la statuaria, i dittatori si atteggiano a nuovi padri e posano tutti con il piglio del condottiero; sentendosi investiti della missione di guida del popolo si fanno chiamare Duce, Führer, Conducator.
La fine della seconda guerra mondiale segna la resa dei conti per questi padri della patria. Essi vengono giustiziati e appesi capovolti, le loro statue buttate a terra e vituperate dalla folla che consuma così il suo pasto totemico. Vengono disonorati rovesciando la loro figura e abbattendo i simulacri del loro potere; l'azione simbolica è potente: radere al suolo ciò che il delirio fallico del dittatore aveva eretto.
Successivamente con la rivoluzione culturale del '68 sul campo di battaglia della contestazione libertaria rimane un padre depotenziato e sterile che non riesce a produrre volontà né cultura.
L'epoca contemporanea sancisce, come si è visto, il definitivo collasso psicologico del padre. Egli conta solo come figura di accudimento primario e di mantenimento economico. "Maternizzazione" e "monetizzazione" sono i due versanti di un unico processo, ossia la "liquidazione totale" della simbolica dell'autorità paterna per cessata attività. Il padre infatti non se la sente più di incarnare la funzione di guida autorevole capace di indicare la norma e iniziare alla vita associata. Il declino del padre in Occidente è il dissolvimento della spiritualità dell'elevazione [21].
Dalla ricognizione risulta che la parabola storica del padre, la cui immagine è plasmata dalle forme della cultura, è sostanzialmente una storia di decadenza [22]. La paternità è un atto della volontà, una scelta che ha sempre il profilo di un'adozione. Per questo sono indispensabili regole collettive e pratiche di vita che, mettendo in moto archetipi più forti dell'istinto, consentano di attuare la decisione di diventare padre. Sul versante della teoria è necessaria una riflessione di grado antropologico-fondamentale che chiarisca concettualmente l'insuperabile mediazione pratica e storica (sociale e culturale) dell'umano.
3. Il ritorno del padre. Paternità e testimonianza
L'analisi di Massimo Recalcati procede da un dato di fatto: viviamo nell'epoca dell'"evaporazione" del padre [23]. Il termine, mutuato dagli scritti di Jacques Lacan, non indica semplicemente la crisi di identità del padre contemporaneo; con "evaporazione" si intende, più radicalmente, la perdita del fondamento dell'ordine simbolico che presiede allo scambio sociale.
È la sparizione del centro e lo sgretolamento del vertice che assicura la coesione del tutto. Ciò che evapora è proprio questo principio simbolico trascendente e normativo, definito da Lacan il Nome-del-Padre.
Quali sono le cause di tale evaporazione? Recalcati ne individua principalmente due: la critica alla rappresentazione disciplinare/oppressiva del padre messa in campo dal '68, che ha liquidato la necessità dei figli di avere un padre e ha smantellato in toto la retorica padronale; l'insediamento nella vita associata del cosiddetto "discorso del capitalista". Mentre è nota la prima causa, per la seconda occorre impegnarsi in una delucidazione.
L'espressione lacaniana "discorso del capitalista" designa il sovvertimento dell'ordine simbolico apportato dal sistema economico delle società avanzate postindustriali [24]. Si potrebbe definire in prima battuta come il fenomeno della svalutazione del portato di senso dei legami sociali a favore dell'esaltazione feticistica dell'oggetto di consumo.
Non ci troviamo più di fronte a quella configurazione etica del capitalismo teorizzata da Max Weber. La versione corrente infatti non pone al centro il valore della rinuncia e della fatica in vista del maggiore profitto, secondo i dettami dell'ascetismo protestante. Ora domina l'esaltazione del godimento sfrenato e senza sacrificio. Si tratta di un cambio di paradigma che determina una svolta sul piano storico: derubricata la tradizionale restrizione pulsionale come condizione di accesso dell'individuo alla civiltà, si fa largo una società che, dominata dall'avidità di consumo, eleva il godimento a legge, consegnandosi totalmente al potere della pulsione di morte.
Per Recalcati il discorso del capitalista, imponendo l'imperativo del godimento senza limiti e otturando il vuoto della domanda di senso con il feticcio del brand, distrugge i legami sociali e condanna l'individuo a un volontario e beato assoggettamento. È l'effetto della messa in opera di quel meccanismo che Herbert Marcuse definiva «desublimazione repressiva» [25]. Si affaccia un inedito paternalismo senza padre, morbido e ammiccante, che non esige sudditi ma solo consumatori dotati di sufficiente capacità di spesa.
La denuncia della sparizione del padre riporta ancora una volta ad affrontare la questione del decadimento dell'ordine simbolico contemporaneo. Analogamente allo studio di Zoja in cui veniva registrato il nesso tra povertà simbolica della cultura dominante e regressione dell'individuo allo stadio pulsionale, la riflessione di Recalcati rileva come il fenomeno dell'evaporazione del padre coincida con l'illanguidire dell'individuo nelle sabbie mobili di una regressione narcisistica di massa. L'avvento di una società senza padre, senza più un argine simbolico che impedisca il tracimare del godimento "non temperato", è segno manifesto di una civiltà che muore. Per questo il discorso sul significato del padre si è fatto urgente. Ma come parlarne nell'era della forclusione del limite? Che cosa resta oggi del padre?
Svanito il fantasma del padre-padrone che si aggirava in Occidente al tempo della società gerarchica e disciplinata, ora nella società orizzontale compare il padre paritario e materno che cerca l'approvazione del figlio. Il drastico passaggio dall'autorità all'affetto ha cancellato il conflitto: padri e figli adesso si trovano sullo stesso piano. In questo orizzonte frantumato il padre non è più la stella fissa di riferimento né il garante della legge. E tuttavia la domanda di padre caparbiamente resiste trasformandosi in invocazione.
Del padre resta l'esigenza di significati affidabili che rendano possibile vivere e volere. È opportuno notare che la riflessione di Recalcati si concentra sul padre come "resto" insopprimibile e non come ideale soverchiante. Non più la rivalità, ma l'attesa del suo ritorno caratterizza il nuovo rapporto del figlio con la figura paterna. All'orizzonte è atteso un padre meno propenso a indicare certezze, ma più attento a rianimare il soggetto del desiderio, in grado di testimoniare la possibilità di un senso, trasmettendo alle nuove generazioni la fede nell'avvenire e la capacità di progettare il futuro.
La figura di Telemaco è assunta da Recalcati come cifra della nuova domanda di padre: «Se gli uomini potessero scegliere ogni cosa da soli, per prima cosa vorrei il ritorno del padre» [26]. Telemaco ricerca il padre Ulisse come un auspicio, come una speranza: che la legge ritorni. Egli domanda giustizia per la sua terra devastata, chiedendo una legge che possa ripristinare il senso del limite e riportare l'ordine. Questa legge giusta che ristabilisce l'ordine simbolico coincide con la figura del padre, con il Nome-del-Padre. La legge paterna è quindi recepita come possibilità di accedere a un senso. Essa è la legge delle leggi, il fondamento di ogni civiltà; per la psicoanalisi è la legge della castrazione simbolica, precisata da Lacan come "legge della parola".
È la legge che fonda il divieto dell'incesto, introduce l'impossibile, rammentando la dimensione di finitezza del vivere umano. Impedendo il soddisfacimento a oltranza della pulsione consente l'abbrivio del processo di umanizzazione. Proprio la rinuncia al godimento senza limiti permette infatti all'individuo di pervenire al senso dell'umano, di dare significato e forma alla sua presenza nel mondo. Solo la vita attraversata dalla legge della parola diventa umana. L'evento della parola costituisce il taglio simbolico che sancisce la lacerazione del legame fusionale, permettendo la liberazione dal regime biologico della natura. Per poter parlare il bambino deve essere svezzato, ossia deve essere separato dall'oggetto primario: «Questa perdita è piuttosto un alleggerimento, un sollievo, un'apertura nuova della vita. È salvezza della vita perché è solo l'incontro con l'esistenza del limite e della mancanza che può generare il desiderio» [27].
Per Recalcati la legge paterna incarnata da Ulisse è precisamente la legge della parola, quella che mette fine al caos del godimento mortifero per donare la possibilità di articolare il proprio desiderio. Un desiderio che non è allentato e vago, ma, come l'arco e la freccia di Ulisse, teso e diretto alla meta, alla verità di sé.
La responsabilità, e non la manifestazione della potenza, definisce il ritorno del padre. Ulisse incarna questa responsabilità, rinunciando all'erranza e rifiutando il godimento fuori legge per rimanere fedele al suo desiderio, quello di ritornare da Penelope e Telemaco.
Per Ulisse la rinuncia non segna la morte del desiderio ma la sua realizzazione. Tuttavia è opportuno notare che il rientro di Ulisse non è all'insegna della reconquista. Il ritorno del padre assume i tratti di una testimonianza da accogliere e decifrare; egli testimonia che è possibile vivere solo accedendo alla verità del proprio desiderio responsabile, liberandosi dalla fascinazione del godimento dissipativo. La testimonianza dell'alleanza tra desiderio e legge è l'emblema del padre.
È questo il nucleo della riflessione di Recalcati istruita dall'insegnamento di Lacan: «Un padre è colui che sa unire e non opporre il desiderio alla legge» [28]. La legge appare dunque la condizione di possibilità dell'esistenza del desiderio. Essa impedisce al desiderio di scivolare nell'inconcludenza del godimento senza freni, ponendo un limite alla sua incandescenza distruttiva.
A questo punto risulta chiaro che la legge così intesa non è la legge della pura interdizione; essa piuttosto dischiude la via alla donazione della possibilità del desiderio, e dunque del senso. Giungiamo così all'approdo della riflessione: l'interdizione sostenuta dal padre si intreccia con una donazione. Ma come definire il loro rapporto? Per Recalcati non si tratta di puro accostamento: nell'interdizione infatti c'è già donazione e la donazione stessa contiene in sé l'interdizione [29].
Rimane il compito di acclarare tale dinamismo sul piano dell'esperienza pratica, a livello dei vissuti di coscienza e dei fatti di cultura. Risulta indispensabile che al discorso sul ritorno del padre venga restituita aderenza fenomenologica.
4. Verso quale paternità?
La nostra inchiesta, sebbene limitata a un'incursione di carattere solo indiziario e circoscritta ai contributi di Zoja e Recalcati, ci ha offerto un assaggio del rinnovato interesse per la figura paterna in ambito psicologico. Gli studi presi in esame hanno il pregio di non fermarsi alla descrizione della mutazione del padre, la sua svolta dall'autorità alla cura, ma di indagarne la funzione originaria, ipotizzandone le condizioni di possibilità. Essi riprendono la figura del padre con una profondità di campo e un grado di risoluzione che ci consentono di metterne a fuoco tre dimensioni ineludibili e inseparabili: la matrice culturale, la statura morale e la qualità religiosa.
Il percorso svolto ci conduce al riconoscimento dell'innegabile mediazione culturale dell'immagine paterna. Non c'è assunzione di paternità senza cultura. Per diventare padre non basta la natura, l'atto generativo, occorre un'intenzione, un atto di volontà che è reso possibile dalle forme della cultura. Ma che cosa si intende per cultura? Benché il fattore "cultura" sia ritenuto decisivo per il destino storico del ruolo paterno, come della famiglia stessa, manca, a tutt'oggi, da parte degli psicologi e anche dei sociologi, una proporzionale attenzione alla formalizzazione teorica della categoria di cultura. Qui ci sembra opportuno soltanto menzionare che l'idea di cultura trova origine nell'ambito del processo di elaborazione dei significati del vivere, il quale si realizza a livello della vita sociale.
Proponiamo di comprendere la cultura come il sistema delle risorse simboliche mediante le quali è data figura a quell'alleanza umana che sola consente l'insorgenza del soggetto.
In questa accezione antropologica, la cultura è ciò che permette di dare forma alle relazioni di prossimità, svelandone la qualità trascendente (religiosa). Il rapporto con l'altro, mediato dalla cultura, diventa così appello alla libertà e, come tale, chiede la determinazione pratica del soggetto per dispiegare il suo significato. Tramite la mediazione culturale delle forme della prossimità umana, all'uomo è consentito di pervenire ai significati fondamentali.
La considerazione della matrice culturale della figura del padre induce all'apprezzamento del suo incontestabile spessore religioso. Il gesto dell'elevazione, fissato da Zoja nella figura di Ettore, è un rito. P. celebrazione del riconoscimento del padre, inteso in un duplice senso: il neonato è riconosciuto degno della condizione di figlio, l'uomo assume la responsabilità del figlio e si riconosce così nel ruolo di padre. L'elevazione è gesto carico di significati morali e religiosi: è innalzamento della vita del figlio oltre il livello definito dall'immediata soddisfazione dei bisogni, e dunque iniziazione alla realtà; è proiezione verso l'alto e lacerazione del cordone simbolico che trattiene alla madre terra. In questo senso il padre "ferisce" il bambino perché possa aprirsi a una seconda nascita, quella spirituale.
La madre àncora il figlio alla dimensione orizzontale terrena, il padre lo lancia nella direzione verticale, verso il futuro e la trascendenza. In questa prospettiva l'elevazione appare segno sacro di elezione e di benedizione. Nella tradizione biblica la rivelazione di Dio come padre avviene proprio mediante un gesto di elezione e di benevolenza. Dio elegge Abramo, strappandolo dalla sua terra e dalla sua parentela, per farne il padre di una moltitudine di popoli: «Va' via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va' nel paese che io ti mostrerò; io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione. Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà, e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gen 12,1-3).
La benedizione come promessa è ciò che caratterizza il tempo dei patriarchi. Lo illustrano chiaramente le benedizioni che Giacobbe riceve dal padre Isacco e da Dio stesso a Betel (cfr. Gen 27,28-29; 28,34; 28,13-15). Anche le benedizioni dei figli di Giacobbe si concentrano sul futuro dei discendenti, assumendo la forma dell'oracolo. Mediante le sue parole, il patriarca svela il destino dei suoi figli, e quindi delle tribù che portano i loro nomi (cfr. Gen 49,1-2).
È importante sottolineare che senza una cultura, intesa in accezione antropologica come sistema delle oggettivazioni sociali del senso, il significato religioso del gesto paterno di elevazione-elezione-benedizione non si dispiega e rischia di rimanere muto.
Il gesto dell'elevazione non è codificato nella cultura contemporanea e, in genere, oggi mancano riti di iniziazione per il mestiere di padre. Nel nostro tempo è sempre più consueto che il padre assista al parto. Accogliere il figlio direttamente dal grembo della madre certamente suggella l'inizio di un fortissimo legame e stimola l'uomo ad apprendere le prime fasi della relazione, tuttavia questa usanza recente ci pare sintomatica della curvatura materna che ha assunto la figura del padre.
Non solo il gesto di Ettore è un gesto religioso, ma anche l'attesa di Telemaco. È lo sguardo che scruta l'orizzonte nella speranza che un ordine di senso sia dato. È l'attesa della buona novella che non vi sia più opposizione, bensì alleanza tra desiderio e legge. Non più una legge astratta e mortificante opposta a un desiderio incosciente e distruttivo, ma una legge scritta nel cuore come possibilità di apertura del desiderio. Il padre è testimone di questa promessa.
Nella tradizione biblica l'alleanza del Sinai e la vicenda dell'Esodo illustrano esattamente il legame tra legge e dono della terra, tra promessa e comandamento. La legge data a Mosè è in vista di una donazione. Il significato della legge biblica è quello di essere "istruzione" per il cammino verso la terra promessa; e tuttavia, si deve ammettere, non solo per il cammino dell'Esodo ma per quello dell'esistenza di ogni uomo. Tale istruzione deve essere compresa come autentica interpretazione del desiderio umano e non come sua censura. L'obbedienza al comandamento di Dio è raccomandata dalla fedeltà al proprio destino ed è orientata al compimento di sé.
Proponiamo l'ipotesi che sia essenziale entrare nell'enigma della legge per scoprire che il soggetto e la legge sono legati da un rapporto irrefutabile. Di contro al facile pregiudizio della relazione antinomica tra libertà e legge, occorre rilevare come la libertà abbia bisogno della legge. Ma per riuscire a comprendere come la libertà abbia bisogno della legge è indispensabile scrivere una storia della libertà, ossia accordare attenzione al suo momento genealogico nel rapporto tra beneficio e legge.
In questo modo si può mostrare che l'identità del soggetto è possibile solo mediante l'obbedienza alla legge, intesa come forma dell'agire attraverso la quale soltanto il soggetto può realizzare l'ideale di sé fin dall'origine presagito; così compresa, la legge cessa di apparire eteronoma. Qui si deve affermare che la chiarificazione del nesso tra identità e legge necessita il rimando alla rivelazione cristiana di Dio come padre. Tale rivelazione, compiuta dalla vicenda di Gesù di Nazareth, si colloca al punto culminante di un cammino di rinnovamento della comprensione della legge a partire dall'alleanza mosaica. Il punto cardine di questa comprensione è che la legge è inseparabile dal dono; essa si presenta sempre nel suo rapporto con i beni promessi [30]. La verità della legge trova infatti la sua origine nell'esperienza della grazia e nel volto amorevole di Dio come Abbà. La rivelazione cristologica compie la profezia di Malachia: «Egli volgerà il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri» (Ml 4,6); solo tramite questo riavvicinamento dei cuori, la legge perde il sapore metallico dell'ingiunzione repressiva e può allora comunicare l'attesa di Dio che chiama ed elegge il figlio [31].
In questo orizzonte pensiamo si debba cogliere la testimonianza del padre terreno: egli non soltanto dona la possibilità del desiderio, ma trasmette addirittura una speranza, quella del compimento, nell'intreccio tra comandamento e promessa. In conclusione. La registrazione della provenienza culturale della figura paterna e il riconoscimento della sua densità simbolica/religiosa costituiscono indubbiamente il guadagno più cospicuo che le ricerche di Zoja e Recalcati ci consegnano. Il raggio limitato della nostra indagine non impedisce - così almeno ci auspichiamo - il ricavo di spunti fecondi che consentano di istruire gli interrogativi posti in apertura circa l'identità e il destino della paternità, l'archeologia della sua condizione presente e la complessità della sua rappresentazione semantica.
Si deve rilevare tuttavia che il ricorso privilegiato degli studi di Zoja e Recalcati all'immaginario mitologico della classicità per esplicitare la verità del padre non solo manifesta la povertà simbolica della cultura contemporanea, ma rischia di determinare l'abbandono del riferimento all'esperienza effettiva. Proprio la mancata aderenza al dato dell'esperienza rende la figura paterna alquanto evanescente: il padre diventa una metafora. In questo senso, ci sembra importante affermare che il ritorno del padre non può ridursi al ritorno dei discorsi sul padre. La paternità non è una struttura linguistica, quanto piuttosto un processo e come tale presenta una costituzione storica e dialettica. Pertanto il ritrovamento della sua consistenza simbolica, della sua qualità obiettivamente religiosa, è possibile solo se si attua un cambio di paradigma, passando dalla mitologia all'esperienza. Dal punto di vista teorico serve innanzitutto una fenomenologia dell'esperienza pratica che rinvenga le evidenze obiettive della coscienza e l'essenziale mediazione culturale dell'umano; inoltre occorre un'ermeneutica religiosa della simbolica dei legami. Sul versante storico è necessaria una cultura ospitale nei confronti del debito simbolico che ogni essere umano contrae verso la propria origine.
Il ritorno del padre è il recupero di un'evidenza; la costruzione dell'identità personale non si realizza senza l'eredità paterna: la trasmissione della cultura come apertura ai significati del vivere, e la donazione della legge come istruzione per il cammino della libertà.
NOTE
1 L. ZOJA, Il gesto di Ettore. Preistoria, storia, attualità e scomparsa del padre, Bollati Boringhieri, Torino 2000; E FERRAROTTI (ed.), Le figure del padre, Armando, Roma 2001; C. RISÉ, Il padre. L'assente inaccettabile, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2003; M. ANDOLFI, Il padre ritrovato. Alla ricerca di nuove dimensioni paterne in una prospettiva sistemico-relazionale, Franco Angeli, Milano 2008; G. BIANCO, Padre papà. Una figura ormai inutile?, Città Nuova, Roma 2010; M. RECALCATI, Cosa resta del padre? La paternità nell'epoca ipermoderna, Raffaello Cortina, Milano 2011; C. RisÉ, Il mestiere di padre, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2011; A.L. ZANATTA, Nuove madri e nuovi padri. Essere genitori oggi (Farsi un'idea 193), Il Mulino, Bologna 2011; E NEMBRINI, Di padre in figlio. Conversazioni sul rischio di educare, Ares, Milano 2012; A. VANNI, Padri presenti, figli felici, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2012; P. CREPET, L'autorità perduta. Il coraggio che i figli ci chiedono, Einaudi, Torino 2013; M. RECALCATI, Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, Feltrinelli, Milano 2013; C. RISÉ, Il padre. Libertà dono, Ares, Milano 2013; G. SAVIO, Figlio e padre. In due per strada, Armando, Roma 2013; S. ARGENTIERI, Il padre materno, Einaudi, Torino 2014; E. ACETI - M. MENEGUZZO, Essere padri in un mondo che cambia, Monti, Saronno 2014.
2 Cfr. A. MITSCHERLICH, Auf dem Weg zur vaterlosen Gesellschaft. Ideen zur Sozialpsychologie, Piper, München 1963; tr. it., Verso una società senza padre. Idee per una psicologia sociale, Feltrinelli, Milano 1970. Alla fine degli anni '60 Jacques Lacan parlava di "evaporazione" del padre in un senso più ampio rispetto a quello inteso dalla sociologia; egli infatti con questa espressione non si riferiva solo alla crisi dell'identità paterna nella società contemporanea quanto, più profondamente, alla perdita del vertice simbolico, ossia di quel Centro che aveva strutturato in precedenza i legami sociali e conferito solidità ai significati del vivere: cfr. J. LACAN, Le Séminaire, Livre XVI (1968), Note sur le père et l'universalisme, Seuil, Paris 1998; tr. it., Nota sul padre e sull'universalismo, «La psicoanalisi» 33 (2003) 9-10; del problema dell'impallidirsi dell'immagine paterna nella civiltà contemporanea Lacan si occupò già in uno dei suoi primi scritti: J. LACAN, Les complexes familiaux dans la formation de l'individu (1938) in In., Autres écrits, Seuil, Paris 2001; tr. it., I complessi familiari nella formazione dell'individuo. Saggio di analisi di una funzione in psicologia, Einaudi, Torino 2005.
3 Cfr. E POTERZIO, Metamorfosi della famiglia contemporanea e psicopatologia: l'osservazione clinica, in P. DONATI (ed.), Ri-conoscere la famiglia: quale valore aggiunto per la persona e la società? Decimo rapporto Cisf sulla famiglia in Italia, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2007, 247-248. Non bisogna tuttavia indulgere a una retorica dell'assenza del padre. Il padre esiste come esperienza del limite; egli è ciò che "resiste", lo spigolo duro della realtà. In questo senso il padre nonè mai scomparso perché appartiene all'esperienza originaria dell'umano.
4 CH. LASCH, Haven in a Heartless World. The Family Besieged, Basic Books, New York 1977; tr. it., Rifugio in un mondo senza cuore. La famiglia in stato d'assedio, Bompiani, Milano 1982.
5 T. PARSONS - R. SALES, Family, Socialization and Interaction Process, The Free Press, Glencoe 1955; tr. it, Famiglia e socializzazione, Mondadori, Milano 1974, 22-23.
6 Circa la necessità per l'indagine sociologica di un'attenzione ai fenomeni di lunga durata cfr. N. ELIAS, Was ist Soziologie?, Juventa, München 1970; tr. it., Che cos'è la sociologia?, Rosenberg & Sellier, Torino 1990.
7 PH. ARIES, L'enfant et la vie familiale sous l'Ancien Régime, Seuil, Paris 1960; tr. it., Padri e figli nell'Europa medievale e moderna, Laterza, Roma-Bari 1968.
8 J.-E. LYOTARD, La Condition post-moderne. Rapport sur le savoir, Les Éditions de Minuit, Paris 1979; tr. it., La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano 2006'7; CH. LASCH, The Culture of Narcissism: American Life in an Age of Diminishing Expectations, Norton, New York 1979, tr. it., La cultura del narcisismo, Bompiani, Milano 1981; Z. BAUMAN, Liquid Modernity, Polity Press, Cambridge 2000; tr. it., Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari 2002.
9 Luigi Zoja (1943) è psicoanalista junghiano, già presidente della Associazione Internazionale di Psicologia Analitica (IAAP) dal 1998 al 2001. Qui ci riferiamo sostanzialmente allo studio Il gesto di Ettore. Preistoria, storia, attualità e scomparsa del padre, Bollati Boringhieri, Torino 2000. Tra le sue pubblicazioni segnaliamo: Nascere non basta. Iniziazione e tossicodipendenza, Raffaello Cortina, Milano 2003; Storia dell'arroganza. Psicologia e limiti dello sviluppo, Moretti & Vitali, Bergamo 2003; La morte del prossimo, Einaudi, Torino 2009; Paranoia. La follia che fa la storia, Bollati Boringhieri, Torino 2011; Utopie minimaliste. Un mondo più desiderabile anche senza eroi, Chiarelettere, Milano 2013.
10 Per un inquadramento della tematica dell'autorità in rapporto all'epoca moderna cfr. A.B. SELIGMAN, Modernity's Wager. Authority, the Self, and Transcendence, Princeton University Press, Princeton 2000, tr. it., La scommessa della modernità. L'autorità, il sé e la trascendenza, Meltemi, Roma 2002; sul legame tra autorità, coscienza morale e insediamento del Super-io cfr. S. FREUD, Das Ich und das Es, Internationaler Psychoanalytischer Verlag, Leipzig 1923, tr. it., L'Io e l'Es, in Opere di Sigmund Freud, vol. IX, Boringhieri, Torino 1977; circa il nesso tra sviluppo del concetto di autorità e moderna famiglia borghese cfr. M. H0RKHEIMER, Studien iiber Autorität und Familie, Alcan, Paris 1936; tr. it., Studi sull'autorità e la famiglia, UTET, Torino 1974.
11 Cfr. L. ZOJA, Il gesto di Ettore, 2024.78.
12 M. MEAD, Male and Female, Morrow, New York 1949; tr. it., Maschio e femmina, Il Saggiatore, Milano 1992.
13 L. ZOJA, Il gesto di Ettore, 26.
14 Il padre è dio creatore; la capacità solo maschile di generare non si limita alla creazione del figlio. Il padre ha la capacità di "figliare" idee, arte e cultura, generando proprio come Zeus: partorisce dalla testa, poiché, nella mentalità greca, soltanto la mente può davvero generare; cfr. L. ZOJA, Il gesto di Ettore, 135.
15 Iliade, VI, 474-479.
16 Cfr. Odissea, V, 365.424; VI, 118; X, 151.
19 Cfr. L. ZOJA, Il gesto di Ettore, 169-171.
20 Ivi, 175.
21 Ivi, 264-277.
22 La decadenza del padre è stata accelerata anche dalle forme della teoria, precisamente dall'influenza degli studi neofreudiani. Con gli studi di Melanie Klein, incentrati sul rapporto simbiotico madre-figlio, scompare la figura del padre come colui che trasmette il senso morale.
23 Massimo Recalcati (1959) psicoanalista lacaniano è direttore scientifico della Scuola di psicoterapia IRPA (Istituto di Ricerca di Psicoanalisi Applicata) di Milano. Tra le numerose pubblicazioni segnaliamo: L'universale e il singolare. Lacan e l'al di là del principio di piacere, Marcos y Marcos, Milano 1995; Elogio dell'inconscio. Dodici argomentiin difesa della psicoanalisi, Bruno Mondadori, Milano 2007; L'uomo senza inconscio. Figure della nuova clinica psicoanalitica, Raffaello Cortina, Milano 2010; Cosa resta del padre? La paternità nell'epoca ipermoderna, Raffaello Cortina, Milano 2011; Ritratti del desiderio, Raffaello Cortina, Milano 2012; Jacques Lacan. Desiderio, godimento e soggettivazione, Raffaello Cortina, Milano 2012; Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, Feltrinelli, Milano 2013; Patria senza padri. Psicopatologia della politica italiana, Minimum Fax, Roma 2013, in collaborazione con Christian Raimo; L'ora di lezione. Per un'erotica dell'insegnamento, Einaudi, Torino 2014.
24 Lacan abbozza il tema del "discorso del capitalista" nella conferenza tenuta a Milano presso l'Università Statale il 12 maggio 1972: cfr. J. LACAN, Del discorso psicoanalitico, in Lacan in Italia. 1953-1978, La Salamandra, Milano 1978, 186-201.
25 H. MARCUSE, Eros and Civilization. A Philosophical Inquiry into Freud, Beacon, Boston 1955; tr. it., Eros e civiltà, Einaudi, Torino 1980.
26 Odissea, XVI, 148-149.
27 M. RECALCATI, Il complesso di Telemaco, 30.
28 J. LACAN, Subversion du sujet et dialectique du désir dans l'inconscient freudien, in ID., Écrits, Seuil, Paris 1960; tr. it., Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio nell'inconscio freudiano, in Scritti, Einaudi, Torino 2002, vol. II, 828; cfr. M. RECALCATI, Cosa resta del padre, 51.
29 Ivi, 56.
30 Cfr. P. BEAUCHAMP, L'un et l'autre Testament. Essai de lecture, Seuil, Paris 1976; tr. it., L'uno e l'altro testamento, Paideia, Brescia 1985, capitolo I, La legge, 47-85.
31 La parabola lucana del Padre misericordioso (Le 15,11-32) illustra questo duplice movimento di conversione che rende possibile il passaggio dal rifiuto al riconoscimento del padre.
(Fonte: «Teologia» 40 (2015) 279-297)