33. Maccabei
Rinaldo Fabris
I due libri dei Maccabei offrono una documentazione sostanzialmente attendibile della storia del popolo ebraico nel II secolo a.C., interpretata in chiave religiosa come negli altri libri storici della Bibbia.
Nell’elenco dei libri sacri della Chiesa cattolica e ortodossa, sono riportati due libri, denominati “Libri dei Maccabei”, dal soprannome del protagonista Giuda, figlio di Mattatia, chiamato in aramaico maqqabàh, “martello”. Dopo la rivolta inaugurata del padre, il sacerdote Mattatia, contro i successori di Alessandro Magno in Giudea, i suoi figli organizzano e sostengono la lotta armata contro gli eserciti dei re della Siria, successori di Seleuco I Nicàtore, che vogliono imporre la cultura e la religione dei greci nei territori dei Giudei, passati sotto il loro controllo. Sono due libri di carattere storico, scritti con intenti religiosi edificanti, indirizzati ai Giudei per sostenere la loro fedeltà alla Legge e alle tradizioni dei padri.
I due libri dei Maccabei offrono una documentazione sostanzialmente attendibile della storia del popolo ebraico nel II secolo a.C., interpretata in chiave religiosa come negli altri libri storici della Bibbia. Il testo dei due libri dei Maccabei sono conservati nella traduzione greca della “Settanta” e nella versione latina Vulgata. Non fanno parte del canone ebraico palestinese e sono collocati tra i “pseudepigrafi” nel canone della Riforma, chiamati “deuterocanonici” nella tradizione cattolica.
1. Il primo Libro dei Maccabei
Scritto originariamente in ebraico da un Giudeo di Gerusalemme, vissuto in un periodo abbastanza vicino rispetto agli avvenimenti raccontati – tra il 134 a.C., morte di Simone Maccabeo, e il 63 a.C., arrivo di Pompeo Magno in Giudea – nel primo Libro dei Maccabei si racconta la resistenza dei fratelli Maccabei contro i Seleucidi di Siria. Dopo l’introduzione, in cui si accenna alla morte di Alessandro Magno e alla divisione del regno macedone tra i suoi generali, l’autore passa subito alle vicende di Antioco IV Epìfane – titolo teocratico, “colui che si manifesta” – che tenta di imporre agli ebrei lo stile di vita dei greci (1Mac 1,1-10.11-64). Di ritorno dalla sua campagna vittoriosa in Egitto, Antioco IV Epìfane sale a Gerusalemme, entra nel santuario e vi asporta l’altare d’oro, il candelabro, i vasi sacri e tutti gli oggetti d’oro e d’argento. In seguito fortifica la “città di Davide” a Gerusalemme e vi insedia un presidio militare greco-siriano. Il culmine della profanazione dell’altare del tempio di Gerusalemme, è la dedicazione di una statua a Zeus-Baal, che l’autore chiama “un abominio di devastazione” (1Mac 1,54).
Mentre alcuni Giudei dell’aristocrazia e della classe media sostengono il processo di ellenizzazione, il sacerdote Mattatia della città di Modin, vi si oppone con un gesto violento: uccide l’inviato del re e un giudeo che si presta a sacrificare sull’altare fatto erigere secondo il decreto regale. Mattatia con i suoi figli fugge sui monti chiamando a seguirlo “chiunque ha zelo per la Legge e vuole difendere l’alleanza” (1Mc 2,27). A Mattatia e alla sua famiglia aderiscono gli “Asidei” – ebraico ḥassidim, “pii” – “uomini impegnati a difendere la Legge” (1Mac 2,42). Alla morte di Mattatia, il comando della rivolta armata passa nelle mani del figlio Giuda, chiamato “Maccabeo”, coadiuvato dai suoi fratelli (1Mac 3,1-9,22). Dopo una serie di vittorie sui generali di Antioco IV Epìfane, Giuda purifica il tempio di Gerusalemme. Per consolidare le sue conquista cerca l’alleanza con i Romani. Alla morte di Giuda sul campo di battaglia, gli succede il fratello Gionata, che prosegue nella politica di alleanze con i Romani e gli Spartani (1Mac 9,23-12,53). A Gionata succede il fratello Simone, che viene riconosciuto dai Siriani sommo sacerdote, stratega ed etnarca dei Giudei. Alla morte di Gionata, ucciso proditoriamente a Gerico, gli succede anche nella carica di sommo sacerdote il figlio Giovanni (1Mac 13,1-16,24).
Oltre alla forte identità ebraica, incentrata sull’osservanza della Legge e la sacralità del tempio di Gerusalemme, il primo Libro dei Maccabei si distingue per l’interpretazione teologica della storia. Secondo il modello biblico della “guerra santa”, Dio – mai nominato, ma indicato con l’espressione “il Cielo” - guida e protegge i combattenti, che affrontano la morte per la fede e la Legge.
2. Il secondo Libro dei Maccabei
Nonostante la titolazione comune, il secondo Libro dei Maccabei non è la prosecuzione del primo, come avviene nel caso dei libri di Samuele (cf. 1-2Re). Dopo la citazione di due Lettere inviate ai fratelli Ebrei dimoranti in Egitto (1) e ai Giudei che sono a Gerusalemme e nella Giudea e a quelli dell’Egitto (2), nel proemio l’autore elenca gli avvenimenti della sua opera – i fatti riguardanti Giuda Maccabeo e i suoi fratelli, la purificazione del tempio e la dedicazione dell’altare, la riconquista della città di Gerusalemme e la liberazione del territorio dai barbari – precisando che egli farà un riassunto di questi fatti “narrati da Giasone di Cirene nel corso di cinque libri” (2Mac 2,23). Egli intende offrire una sintesi facile e piacevole della storia per facilitarne la memoria nei lettori.
Il libro è scritto in greco, da un Giudeo, probabilmente ad Alessandria d’Egitto, verso il 124 a.C., datazione della prima Lettera citata in apertura. La narrazione abbraccia quindici anni di storia – dal 175 al 160 a.C. – fino alla morte del persecutore Nicànore e l’istituzione della festa commemorativa della vittoria (2Mac 15,34-36).
L’autore sceglie alcuni episodi della lotta maccabaica, per farne una narrazione secondo i modelli della retorica greca, in una prospettiva religiosa. L’intento apologetico edificante presiede al racconto dell’episodio della profanazione del tempio di Gerusalemme da parte di Eliodoro, inviato dal re Seleuco IV Filopàtore per confiscarne il tesoro. Eliodoro con i suoi soldati è fermato dall’apparizione di un terribile cavaliere celeste e percosso da due giovani potenti e splendidi. Solo l’intercessione del sommo sacerdote Onia lo salva dalla morte. Eliodoro allora offre un sacrificio di ringraziamento al Signore (2Mac 3,1-40).
Dio che punisce i persecutori empi e anche i sommi sacerdoti giudei che trascurano la Legge e le tradizioni dei padri, sta a fianco di Giuda Maccabeo, che combatte per la fede e la libertà dei Giudei. Nel racconto dei sette fratelli, che, assieme alla madre, affrontano la morte per la fede in Dio e per osservare le leggi dei padri, si prospetta la categoria del “martirio” (2Mac 7,1-42). In questo brano, e in altri testi relativi alla morte dei combattenti per la fede, l’autore si fa portavoce dei temi teologici ripresi nella tradizione ebraico-cristiana successiva: la fede nella risurrezione dei morti, grazie alla potenza di Dio creatore, la speranza della vita eterna dopo la morte, l’efficacia della preghiera per i defunti.