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    Fare memoria, immaginare la pace
    Andrea Riccardi *


    L’appello di pace, lanciato a Parigi la settimana scorsa da donne e uomini di religione e da personalità umaniste, chiede di «immaginare la pace» e ricordare cosa è stata la guerra. Sul sagrato della basilica di Notre Dame, ormai quasi ricostruita, l’appello firmato dai vari leader è suonato grave. Sembrava che ci fosse un’altra ricostruzione da fare per non scivolare nel fuoco della guerra. Infatti, è necessario guardare oltre l’attuale orizzonte, dominato dalle logiche di guerra, senza spazio per costruire o immaginare. L’appello afferma: «Purtroppo, c’è una diffusa rassegnazione di fronte ai conflitti aperti, che rischiano di degenerare in una guerra più grande e travolgente. In tante parti del mondo, e anche qui in Europa, si è smarrita la memoria dell’orrore della guerra, eredità dei due conflitti mondiali del Novecento. Quell’eredità che mostra come solo la pace è un’alternativa umana e giusta!».
    La pace è stata ormai, in larga parte, espunta dal discorso pubblico. Si parla di armi, minacce, scontri. A questo si fa l’abitudine. Anche il recente e allarmante discorso di Putin sull’uso dell’arma atomica e il cambiamento della dottrina strategica russa è stato preso – mi pare – alla leggera. Abbiamo dimenticato che cosa sono state le guerre. Stanno scomparendo quanti hanno vissuto l’ultimo conflitto mondiale e i testimoni della Shoah. E con loro la memoria.
    Papa Francesco, nell’enciclica Fratelli tutti, ha denunciato la «fine della coscienza storica». In Lussemburgo ha ripreso questo tema con forza in una terra che ha conosciuto l’invasione nazista, nonostante la neutralità: «Siamo smemorati in questo. Per sanare questa pericolosa sclerosi, che fa ammalare gravemente le nazioni e aumenta i conflitti e rischia di gettarle in avventure dai costi umani immensi, rinnovando inutili stragi, occorre alzare lo sguardo verso l’alto...».
    La storia rischia di ripetersi. Per questo ci vuole una svolta profonda, non si può lasciare tutto nelle mani delle logiche di guerra e di una politica a rimorchio degli eventi.
    Bisogna «impedire l’impazzimento della ragione e l’irresponsabile ritorno a compiere i medesimi errori dei tempi passati, aggravati per giunta dalla maggiore potenza tecnica di cui l’essere umano ora si avvale». La guerra oggi è più distruttiva di ieri. Siamo sulla china dell’impazzimento della ragione, causato dai nazionalismi, per cui non c’è altra strada che sconfiggere l’altro e non esistono ragioni se non le proprie. La guerra, anche se porta risultati militari a una parte, alla fine è la sconfitta di tutti. Così Francesco, nel cuore dell’Europa, ha parlato con una solennità raramente usata, «come Successore dell’Apostolo Pietro, a nome della Chiesa... esperta di umanità». Per lui – l’ha detto più volte – il momento è grave. In questo tempo smemorato, la Chiesa non dimentica la storia e implora che non si ripeta.
    Tutti oggi pagano un duro prezzo per le guerre. Soprattutto i Paesi più fragili. Pensiamo al Libano, già modello di convivenza tra cristiani e musulmani, che ospita profughi – palestinesi e siriani –, che assommano a più della metà della sua popolazione. Citando il Lussemburgo nella Seconda guerra, ma forse pensando al Libano oggi, il Papa ha detto: «Quando prevalgono logiche di scontro e di violenta contrapposizione, i luoghi che si trovano al confine tra potenze che confliggono finiscono per essere – loro malgrado – pesantemente coinvolti». Eppure, questi luoghi sono crocevia preziosi, come il Libano in Medio Oriente: sono «i più adatti a indicare, non solo simbolicamente, le esigenze di una nuova epoca di pace e le strade da percorrere», ha concluso Francesco.
    Bisogna immaginare un’epoca di pace. Il dolore dei popoli in guerra lo esige: ucraini, palestinesi, israeliani, libanesi, sudanesi, gente del Kivu e tanti altri. Si devono aprire percorsi di tregua e di dialogo per avanzare verso un’architettura internazionale di pace. Altrimenti le guerre non avranno fine. Una vittoria militare non renderà mai sicuro un Paese. Solo una solida “civiltà del vivere insieme” offre sicurezza e pace a popoli che confinano o abitano nelle stesse terre. Tuttavia – come ha detto Francesco – bisogna alzare lo sguardo e ispirarsi a visioni e valori più alti, che ci liberino dal fascino prepotente delle ragioni della guerra e dalla logica della risposta conflittuale all’altro. Alla base c’è anche un imbarbarimento dei cuori e delle menti. Chiese, religioni, umanisti, persone di buona volontà devono muoversi per “una civiltà del vivere insieme”. Ci vuole immaginazione: com’è stato dopo la Seconda guerra mondiale in Europa occidentale. Perché il mondo non sia disumanizzato e sfigurato dalle guerre.

    * Avvenire - 29 settembre 2024


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