Una triplicata dose di ilusión
Antonella Passarella *
Ho appena terminato il mio anno di servizio civile, dove e come ora racconterò. E prima di guardare in avanti per le nuove avventure della vita penso sia importante tornare indietro e soffermarmi su questa esperienza che un anno fa ho avuto il coraggio di intraprendere. Devo verificare in cosa mi ha confermata, cosa ha cambiato, soprattutto in termini di valori e di atteggiamenti. Diciamo che questo sguardo attento fa parte del mio modo di essere: non voglio vivere esperienze che non siano significative, che non lascino una traccia, che non mi ridefiniscano. E ogni volta che affronto o vivo un’esperienza, soprattutto di lunga durata, questo sono i criteri di giudizio e anche di “soddisfacimento”. Eccomi allora al mio racconto.
Ho svolto un mio anno di servizio civile con il programma di emancipazione giovanile “Buzzetti” a Cordova, in Spagna. Il programma “Buzzetti” (il cui nome evoca uno dei primi ragazzi di don Bosco che – affascinato dalla figura del santo – volle stare con lui tutta la vita, come “salesiano laico o coadiutore”, a svolgere tutti gli incarichi più umili e necessari nell’Oratorio), attraverso un impegno concreto e quotidiano, aiuta giovani ragazzi e ragazze a costruirsi un futuro, dando speranza a coloro a cui la vita ha dato poco.
Ricordo ancora con emozione il giorno del colloquio e quello della pubblicazione delle graduatorie, così come l’entusiasmo e la voglia di intraprendere una nuova esperienza di vita, la paura e le pressioni sociali, nonché le incertezze sul mio futuro.
Come dicevo, ho da poco terminato questo anno e posso in verità affermare che si tratta di una vera e propria “esperienza” di vita, di quelle che ti segnano. Nel corso di quest’anno ho svolto diverse mansioni, dedicandomi ogni mattina al cosiddetto Grupo de activación, un progetto che nasce proprio con l’idea di mantenere i giovani impegnati nello svolgimento di attività di loro interesse. Una di queste consisteva nell’apprendimento della lingua spagnola, considerato che fanno parte del gruppo soprattutto giovani migranti che non conoscevano l’idioma del posto. Oltre a quest’attività, ve n’erano altre ludiche o sportive: ho realizzato workshop, organizzato uscite didattiche, preparato showcooking di cucina italiana, pianificato giornate al mare, e non è mancato aiutare anche i ragazzi al pronto soccorso. Grazie al programma Buzzetti, ho avuto modo di approfondire e di toccare con mano gli aspetti più profondi della migrazione: ho visto quanto ci si può sentire persi e spaesati in un paese diverso da quello di origine, quanto ci si può sentire soli e quanto può essere d’aiuto una parola di conforto… e una mano concreta. Grazie a questo progetto, ho anche avuto modo di conoscere la figura di Don Bosco, un uomo che ha fatto della fiducia il valore fondante la sua idea di educazione e di sistema preventivo e che con il suo operare ha dato speranza agli ultimi.
Per me è stata una scoperta riconoscermi pienamente nei suoi valori, in particolare nella fiducia che aveva e che dava alle persone. È proprio sulla fiducia che mi vorrei soffermare: ottenere la fiducia dei ragazzi e delle ragazze non è stato facile, e ciò è comprensibile, se si pensa a quanto non tutti ne siano meritevoli. Tuttavia, è stato proprio questo il valore che ha funto da motore della mia esperienza: ciò che più mi trasmetteva forza era notare come i ragazzi reagivano sapendo che qualcuno credeva in loro e nella loro capacità di migliorare. Questo ha rappresentato una spinta in grado di innescare in me un’energia positiva.
Connesso a questo stimolo a fare bene, a fare meglio, nato dalla fiducia nell’altro, è, senza dubbio, l’incoraggiamento: ho visto con i miei occhi quanto può essere grande il potere di una parola incoraggiante in un momento di frustrazione data dalla mancata capacità di leggere o scrivere all’età di vent’anni. Sono stati questi giovani che, più di tanti nella mia vita, mi hanno insegnato ad avere pazienza.
Nella fondazione Don Bosco mi sono confrontata con esperienze e pensieri diversi dai miei, ho superato limiti che non avrei mai pensato di vincere, ho affrontato paure e insicurezze mettendomi alla prova, ho viaggiato e sono riuscita ad imparare bene una lingua nuova. La parola che più di tutte racchiude il mio anno di servizio civile è “ilusión”, che, in spagnolo, oltre a significare “illusione”, chiama in causa l’entusiasmo e la passione! L’entusiasmo che maggiormente ho provato è stato, di certo, quello di aver potuto contribuire, seppur minimamente, alla trasformazione positiva della vita dei ragazzi. Loro sono stati la parte più bella di questo incredibile viaggio: gli sguardi, le parole e gli abbracci condivisi, i segreti sussurrati e i sogni raccontati. Sono partita con tantissima ilusión e sono tornata con la dose triplicata.
* 28 anni, laureanda in Relazioni Internazionali, vive a Prata Sannita (CE), paese nel quale la prima volta ha avuto modo di fare volontariato in un centro per minori non accompagnati. Da allora, è nata in lei una forte passione per il fenomeno migratorio. Si definisce una persona impegnata nella difesa dei diritti umani nella sua vita quotidiana. Ama viaggiare e confrontarsi con pensieri diversi dai suoi.