150° Anniversario
    Missioni Salesiane
    Logo Missioni

    Campagna
    abbonamenti
    QuartinoNPG2025


    Attesi dal suo amore
    Proposta pastorale 2024-25 

    Materiali di approfondimento


    Il numero di NPG
    marzo-aprile 2025


    Il numero di NPG
    gennaio-febbraio 2025


    Newsletter
    marzo-aprile 2025
    NL marzo aprile 2025


    Newsletter
    gennaio-febbraio 2025


    P. Pino Puglisi
    e NPG
    PPP e NPG


    Pensieri, parole
    ed emozioni


    Post it

    • On line il numero di MARZO-APRILE con un dossier sulle BEATITUDINI e uno speciale su CARLO ACUTIS. Il numero precedente di GENNAIO-FEBBRAIO ha un dossier sul sacramento della RICONCILIAZIONE. E qui le corrispondenti NEWSLETTER: marzo-aprilegennaio-febbraio.
    • Attivate nel sito (colonna di destra "Terza paginA") varie nuove rubriche per il 2025.
    • Linkati tutti i DOSSIER del 2021 col corrispettivo PDF.
    • Messa on line l'ANNATA 2021: 122 articoli usufruibili per la lettura, lo studio, la pratica, la diffusione (citando gentilmente la fonte).
    • Due nuove rubriche on line: RECENSIONI E SEGNALAZIONI: i libri recenti più interessanti e utili per l'operatore pastorale; e una rubrica "speciale" sul 150° Anniversario Missioni Salesiane.

    Le ANNATE di NPG 
    1967-2025 


    I DOSSIER di NPG 
    (dall'ultimo ai primi) 


    Le RUBRICHE NPG 
    (in ordine alfabetico
    e cronologico)
     


    Gli AUTORI di NPG
    ieri e oggi


    Gli EDITORIALI NPG 
    1967-2025 


    VOCI TEMATICHE 
    di NPG
    (in ordine alfabetico) 


    I LIBRI di NPG 
    Giovani e ragazzi,
    educazione, pastorale

     


    Etty Hillesum
    Una spiritualità per i giovani Etty


    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti


    I SEMPREVERDI
    I migliori DOSSIER NPG
    fino al 2000 


    Animazione,
    animatori, sussidi


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI


    Un giorno di maggio 
    La canzone del sito
    Margherita Pirri 


    WEB TV





    Il progetto educativo-missionario

    di don Bosco in Patagonia

    nel contesto teologico e culturale

    del suo tempo [1]

    Francesco Motto




    Il soggetto del contributo è suddiviso in parti: dopo un breve contesto, una prima parte presenterà i precedenti dell’"epopea” patagonica, cui seguirà la seconda parte con il progetto missionario salesiano in Patagonia vivente don Bosco (1875-1888).

     

    Il contesto[2]

    Le missioni cattoliche erano in fase di decadenza nel 600-700 per le ostilità del nascente imperialismo inglese ed olandese, per le croniche controversie tra i missionari, per i persistenti patronati, per la crisi religiosa europea, per l’espulsione dei gesuiti dalle missioni portoghesi, spagnole e francesi. Alla rivoluzione francese che a fine 700 aveva bloccato il ricambio di personale, si aggiunse la crisi della Congregazione di Propaganda Fide all’interno di quella del papato, prigioniero di Napoleone.

    Ma all’inizio del secolo XIX si avviò un forte risveglio missionario, dovuto ad insieme di fattori: il contesto romantico che esaltava l’eroismo del missionario[3], pubblicazioni di missionari gesuiti dei secoli precedenti, la scoperta di nuovi mondi in Asia centrale e soprattutto in Africa, territorio questo preso d’assalto da esploratori e presto preda del colonialismo inglese, francese e belga.

    Si mosse anzitutto la base cattolica. A Lione ad es. nel 1822 la laica Paolina Jaricot fondava l’Opera della Propagazione della Fede, che raccoglieva fondi e diffondeva in nove lingue Gli Annali della Propagazione della Fede, in cui si presentava in tono romantico il lavoro missionario e si descrivevano, in chiave piuttosto pessimistica, i popoli extraeuropei. Qualcosa di analogo avveniva anche in Austria e Baviera (Germania).

    Sulla spinta della base si mosse il vertice romano, anche se già nel 1817 papa Pio VII (1800-1823) aveva riorganizzato la Congregazione di Propaganda Fide. Soprattutto papa Gregorio XVI (1831-1846) diede nuovo impulso pastorale alle missioni, erigendo molti nuovi Vicariati e Diocesi, appoggiando il clero indigeno e tentando di porre fine al patronato portoghese in India. In America Latina riuscì a stabilire buoni rapporti con le nuove repubbliche, a trasformare in vescovi residenziali i Vicari apostolici precedentemente nominati e a liquidare poco a poco le pretese dei governi di appellarsi al Patronato. Non mancò di condannare la tratta dei neri (1839), anche se la pratica era ormai in disuso.

    Durante il lungo pontificato di Pio IX (1846-1878), con il dinamico card. Alessandro Barnabò dal 1856 al 1874 al vertice del dicastero di PF, il movimento missionario raggiunse il culmine dando i suoi frutti migliori e suscitando grande entusiasmo. Si eressero non meno di cinquanta fra Vicariati apostolici, Prefetture e Provincie ecclesiastiche. Papa Leone XIII (1878-1903) continuò poi sulla stessa linea, non mancando di condannare, ancora una volta, tardivamente, la schiavitù.

    Ma furono soprattutto i nuovi istituti religiosi a lanciarsi nelle “avventure” missionarie. Nella prima metà del secolo prevalsero quelli di origine francese, mentre a metà secolo fu la volta di quelli italiani, seguiti poi da tedeschi, olandesi, belgi, inglesi. In Italia in effetti fra gli altri sorsero l’Istituto delle missioni estere (il futuro PIME) a Milano e l’Istituto delle Missioni Africane a Verona nel 1867 da don Daniele Comboni (1831-1881). Alle numerose nuove congregazioni con intenti missionari vanno aggiunti i vecchi Ordini. Novità assoluta fu l’entrata nell’apostolato missionario delle donne, con molte nuove fondazioni[4].

    Non mancarono pure iniziative analoghe di protestanti, che vennero a creare problemi ai cattolici, soprattutto in quanto il protestantesimo, al seguito del colonialismo inglese, entrava in conflitto con il colonialismo francese di stampo cattolico. Divenne reale il timore dei missionari di vedere prevalere una potenza ostile.

    Di fronte alla non voluta collusione tra colonialismo e missioni – alla cui origine vi erano spesso Trattati internazionali e l’appartenenza dei missionari alle nazioni colonizzatrici – i missionari cercarono di disgiungere politica e religione, senza per altro riuscirci almeno di fronte all’opinione pubblica. La scarsa riflessione teologica non permetteva loro appunto di dissociarsi facilmente dal colonialismo che in effetti proteggeva i missionari. In tal modo le loro sincere intenzioni di diffondere il vangelo vennero ad intrecciarsi, senza avvertita loro responsabilità, con fattori politici, economici ed antropologici. Invero questo avvenne soprattutto in Africa ed in Asia, non molto nella Patagonia e nella Terra del Fuoco, a meno di identificare, erroneamente, colonialismo, promozione umana ed evangelizzazione degli indigeni.


    I. I PRECEDENTI DEL PROGETTO PATAGONICO DI DON BOSCO[5]

    La “vocazione missionaria” di don Bosco, la sua formazione teologica, le sue conoscenze missionarie e le trattative di inviare salesiani all’estero prima del 1875 sono elementi da prendere necessariamente in considerazione per una esatta comprensione dell’iniziativa missionaria in Argentina.


    1. Presunta vocazione missionaria di don Bosco seminarista (1834) e giovane sacerdote (1844)

    La tradizione salesiana e molti studiosi di don Bosco affermano che il fuoco missionario arse sempre nel cuore di don Bosco, non fosse altro perché l’ideale missionario in lui costituiva il naturale sviluppo della sua vocazione sacerdotale[6]. Probabilmente così non è stato, per lo meno non è dimostrato almeno fino agli anni sessanta. Se infatti studente di 17 anni (1834) fece la domanda di entrare a Chieri fra i frati Francescani Riformati del convento degli Angeli che avevano missioni, la richiesta, a quanto pare, era stata avanzata semplicemente per motivi economici. Se dieci anni dopo (1844), al momento di lasciar il “Convitto Ecclesiastico” in Torino, DonBosco fu tentato di entrare nella Congregazione degli Oblati di Maria Vergine, cui erano appena state affidate missioni in Birmania, è però vero che quella missionaria, per la quale aveva intrapreso qualche studio di lingue estere[7], era una delle possibilità di apostolato che si aprivano davanti al neosacerdote.

    In entrambi i casi Don Bosco seguì immediatamente il consiglio del direttore spirituale, don Giuseppe Cafasso (1811-1860): nel primo caso, di entrare in seminario diocesano, e nel secondo di continuare a dedicarsi ai giovani di Torino. Anche nel ventennio 1850-1870, impegnato com’era nel progettare una continuità della sua opera educativa, nel dare un fondamento giuridico alla società salesiana che stava avviando e nella formazione spirituale e pedagogica dei primi salesiani, tutti giovani, non era certo in condizione di poter dar seguito ad eventuali aspirazioni missionarie personali o degli stessi suoi seguaci. Ciò non toglie che avesse una buona conoscenza del mondo missionario, come vedremo. 


    2. Il quadro teologico e culturale di riferimento  

    Onde comprendere la futura azione missionaria dei Salesiani in Patagonia va tenuto presente anzitutto il quadro teologico e culturale in cui essa si collocava. I nuovi modelli di comprensione della storia, ma anche i paradigmi interpretativi suggeriti dalle nuove scienze sociali interessate (etnografia, filosofia della cultura ecc.), non possono non considerarlo attentamente, onde evitare sia l’anacronismo sempre in agguato, sia la sovrapposizione di categorie moderne in continua evoluzione ad un contesto storico ad esse totalmente estraneo. Nuove interpretazioni, basate su nuovi documenti, devono essere compatibili con gli eventi che s’intendono spiegare; nuovi modi di leggere i documenti già esistenti devono reggere il confronto con quanto è stato elaborato in altre sedi, secondo prospettive antropologiche e teologiche diverse.

      Ora il principio assoluto della formazione sacerdotale, ricevuta da DonBosco, era quello di porsi al servizio dell’avvento del “regno di Dio”, declinato come l’operare instancabilmente “a maggior gloria di Dio” e a “salvezza delle anime”. Al principio generale seguiva, nella mente di DonBosco e dei Salesiani, un secondo assioma altrettanto rigido: “Fuori della Chiesa non c’è salvezza”. Di conseguenza le missioni erano indirizzate a far entrare nella Chiesa “una, santa, cattolica, apostolica” di Roma chi ne era fuori, vale a dire quanti la trascuravano o rinnegavano (battezzati non praticanti, eretici, protestanti), e quanti, pagani o infedeli – per lo più presenti nelle “terre di missione” extraeuropee – neppure la conoscevano.

    Era questo il pensiero dominante nella Chiesa del tempo e dello stesso Concilio Vaticano I (1868-1870), per il quale il concetto di “missione” era semplicemente identificato come “propagazione della fede” chiesta esplicitamente dal Cristo risorto, là dove non c’era ancora o non era più autentica.

    L’attenzione della Chiesa alla “salvezza delle anime delle singole persone” veniva poi a costituire un modo di diffondere la “civiltà cristiana”. Senza morale – pensava Don Bosco e tanti altri come lui – non esiste civiltà degna di tale nome; ma la morale ha bisogno di una religione che la sostenga. Ora solo la religione cristiana – e particolarmente quella cattolica, ritenuta l’unica vera – garantiva un’autentica civiltà. Fuori di essa vi era solo immoralità, dominio del demonio, disordine o barbarie. Cristianizzare significava allora far partecipare tutti i popoli del mondo al “banchetto della salvezza”; evangelizzare significava portare il vangelo nei luoghi dove non era arrivato ed anche legare, in qualche modo, quei luoghi alla “cristiana Europa”, la grande maestra di civiltà e di fede.

    Ma a questo punto s’innestava un altro fattore di grande rilevanza. Se in ambito ecclesiale non si poteva concepire una “civilizzazione” senza la religione cristiana – ovviamente intesa nelle forme usuali del cattolicesimo o protestantesimo europeo – anche in ambito civile, ad es. fra le classi dirigenti d’Argentina e Cile, il modello unico di civilizzazione era quello occidentale, europeo, inteso come promotore di valori universali di “progresso” e di “sviluppo”. In tal modo civilizzazione ed occidentalizzazione venivano ad identificarsi. Tutto ciò dunque che in terra di missione non si armonizzava con i canoni socio-culturali parigini, londinesi, berlinesi, tutto ciò che non s’integrava nel “progresso” tecnico e scientifico dell’Europa occidentale, andava contenuto, se non soppresso, anche con la forza. Concetti come multiculturalità, interculturalità, acculturazione, inculturazione, sarebbero venuti alla ribalta solo molti decenni dopo.    


    3. Un contatto a distanza con il mondo missionario (1845-1870)

    La sensibilità missionaria in Don Bosco, ridotta probabilmente a deboli spunti e vaghe aspirazioni negli anni di formazione sacerdotale e primo sacerdozio, si acuì però notevolmente negli anni seguenti.

    La lettura degli Annali della Propagazione della Fede, che iniziarono ad uscire a Torino, tradotti dal francese dal marzo 1837, gli offriva infatti una buona informazione sul mondo missionario. Ne ricavò infatti episodi per alcuni suoi libri degli anni cinquanta[8], dopo che già nell’edizione del 1845 della Storia Ecclesiastica aveva potuto lodare il coraggio di papa Gregorio XVI per espandere il vangelo nei remoti angoli della terra e nell’approvare nuovi Ordini religiosi con finalità missionarie.

    Notevole influenza don Bosco poté ricevere dal canonico Giuseppe Ortalda (1814-1880), direttore del Consiglio diocesano dell’Associazione di Propaganda Fide per 30 anni (1851-1880) ed anche promotore di “Scuole Apostoliche” (una sorta di seminario minore per vocazioni missionarie), una delle quali era ubicata presso il Cottolengo, non lontano da Valdocco. Tanto più da quando nel dicembre 1857 l’Ortalda aveva lanciato il progetto di un’Esposizione a favore delle Missioni Cattoliche affidate ai seicento Missionari Sardi (Museo delle missioni cattoliche dal 1860) pubblicizzata adeguatamente da un foglietto a stampa settimanale. Don Bosco lo leggeva, ne conosceva i redattori, e lo utilizzò nel capitolo sulle missioni della sua Storia Ecclesiastica del 1870.

    L’interesse missionario poté crescere in Don Bosco al momento della solennissima canonizzazione in Roma nel 1862 dei ventisei protomartiri di giapponesi e della beatificazione nel 1867 di oltre duecento martiri giapponesi, celebrata con solennità pure a Valdocco. Sempre nella città papale nel corso dei lunghi soggiorni degli anni 1867, 1869 e 1870 poté rendersi conto di altre iniziative missionarie in corso, come la fondazione del Pontificio seminario dei santi apostoli Pietro e Paolo per le missioni straniere e della relativa Associazione Pia Società degli Apostoli. A questa si associò con don Comboni e l’Ortalda, anche se non risulta che poi abbia contribuito e continuato la sottoscrizione.

    Il Piemonte con poco meno del 50% dei missionari italiani (complessivamente 1.500 con 39 vescovi) e le iniziative dell’Ortalda si poneva all’avanguardia in fatto di missioni e a Torino venne in visita nel novembre 1859 il francescano mons. Luigi Celestino Spelta (+1862), Vicario Apostolico di Hupei. Non visitò però l’Oratorio, come fece invece nel dicembre 1864 don Comboni che in Torino diede alle stampe il Piano di rigenerazione per l’Africa con l’intrigante progetto di evangelizzare l’Africa attraverso gli Africani.

    Don Bosco ebbe uno scambio di idee con lui[9] che nel 1869 tentò, senza esito, di associarlo al suo progetto e nel 1870 lo invitò a mandargli qualche prete e laico per dirigere un istituto al Cairo e così prepararlo alle missioni in Africa, al cui centro contava di affidare ai Salesiani un Vicariato apostolico. A Valdocco la richiesta, non accolta, fu sostituita dalla disponibilità ad accettare ragazzi da educare in vista delle missioni. Colà però il drappello di algerini raccomandati da mons. Charles Martial Lavigerie (1825-1892) trovarono difficoltà, per cui furono mandati a Nizza Marittima. La richiesta nel 1869 dello stesso arcivescovo di avere aiutanti salesiani in un orfanotrofio di Algeri in momento di emergenza non fu accolta. Così come dal 1868 era sospesa la richiesta del missionario bresciano Giovanni Bettazzi di mandare dei salesiani a dirigere un erigendo istituto di arti e mestieri, nonché un piccolo seminario minore nella diocesi di Savannah (Georgia, USA).

    Le proposte altrui, tanto di direzione di opere educative in “territori di missione”, quanto di diretta azione in partibus infidelium potevano essere anche appetibili, ma Don Bosco non avrebbe mai rinunciato né alla sua piena libertà di azione – che forse vedeva compromessa nelle proposte pervenutegli – né soprattutto al suo peculiare lavoro con i giovani, per i quali al momento era impegnatissimo a sviluppare la società salesiana appena approvata (1869) oltre i confini torinesi e piemontesi. Insomma fino al 1870 don Bosco, pur teoricamente sensibile alle necessità missionarie, coltivava altri progetti in sede nazionale.


    4. Le richieste non accolte (1870-1874)

    Il tema missionario e le importanti ed anche urgenti questioni che vi si riferivano furono oggetto di attenzione nel corso del Concilio Vaticano I. Ma il documento Super Missionibus Catholicis non fu mai presentato in assemblea generale. La presenza però in Roma di 180 vescovi di “terre di missioni” e le informazioni positive sul modello di vita religiosa salesiana, diffuse fra loro da alcuni vescovi piemontesi, diedero occasione a don Bosco di incontrarne molti e anche di essere da loro contattato, tanto in Roma che in Torino.

    Qui il 17 novembre 1869 fu ricevuta la delegazione cilena, con l’arcivescovo di Santiago e il vescovo di Concepción. Nel 1870 fu la volta di mons. Domenico Barbero (1820-1881), Vicario Apostolico a Hyderabad (India), già conosciuto da don Bosco, che gli chiese delle suore disponibili per l’India. A Valdocco si recò nel luglio 1870 il domenicano mons. Giuseppe Sadoc Alemany (1814-1888), arcivescovo di San Francisco, che chiese ed ottenne dei Salesiani per un ospizio con scuola professionale (poi mai realizzato). Visitarono pure Valdocco il francescano mons. Luigi Moccagatta (1809-1891), Vicario Apostolico di Shantung e il suo confratello mons. Eligio Cosi (1819-1885), poi suo successore. Nel 1873 fu la volta del milanese mons. Timoleone Raimondi (1827-1894) che offrì a don Bosco la possibilità di andare a dirigere scuole cattoliche nella Prefettura apostolica di Hong Kong. La trattativa, durata oltre un anno, per vari motivi si arenò, così come nello stesso 1874 rimase sulla carta anche un progetto di nuovo seminario del succitato don Bertazzi per Savannah (USA). Lo stesso avvenne in quegli anni per fondazioni missionarie in Australia ed in India, per le quali don Bosco intavolò con i singoli vescovi trattative, date talora come concluse alla Santa Sede, mentre in realtà erano solo progetti in fieri.

    In quei primi anni settanta, con un personale costituito da poco più di due decine di persone (fra preti, chierici e coadiutori) un terzo delle quali con voti temporanei, sparsi in sei case difficilmente don Bosco avrebbe potuto mandarne alcune in terra di missione. Tanto più che le missioni estere offertegli in quei primi anni settanta fuori Europa, presentavano serie difficoltà di lingua, cultura e tradizioni non neolatine e il tentativo a lungo condotto di disporre di giovane personale irlandese anche con l’aiuto del rettore del collegio irlandese di Roma, mons. Toby Kirby, erano andato fallito[10].


    5. I sogni (1871-1886)

    Sono noti i “sogni missionari” di don Bosco del 1871-1872 e degli anni ottanta (1883, 1885, 1886) ed anche le difficoltà della loro interpretazione[11]. Don Bosco nel 1885 invitava don Giovanni Cagliero (1838-1926) alla prudenza “non si dia gran retta ai sogni”; ma "solo se servono moralmente”[12]. Lo stesso Cagliero partito alla testa della prima spedizione missionaria e futuro vescovo e cardinale, li giudicava come semplici ideali da perseguire. Altri Salesiani invece e soprattutto don Giacomo Costamagna (1846-1921), missionario della terza spedizione (1877) prima ora e futuro ispettore e vescovo, li intendeva come un itinerario da seguire quasi obbligatoriamente, tanto da chiedere al segretario di don Bosco, don Giovanni Battista Lemoyne (1839-1916), di mandargli i “necessari” aggiornamenti. A sua volta don Giuseppe Fagnano (1844-1916), sempre missionario della prima ora e futuro Prefetto apostolico, li considerava come espressione di un desiderio di tutta la Congregazione, che doveva sentirsi responsabile di realizzarli cercando i mezzi, personale, fondazioni. Don Luigi Lasagna (1850-1895), missionario partito con la seconda spedizione nel 1876, e pure futuro vescovo, li considerava anche come una chiave per conoscere il futuro salesiano in missione.

    Comunque si possano intendere oggigiorno, resta il fatto che i sogni missionari, pur senza anticipare il corso degli eventi futuri, hanno avuto per l’ambiente salesiano il sapore delle previsioni. Visto poi che erano privi di significati simbolici e allegorici ed invece erano ricchi di riferimenti antropologici, geografici, economici, ambientali (tunnel, treno, aereo) hanno costituito un incentivo ad agire, tanto più che si sarebbe potuto verificarne l’effettiva realizzazione. In altre parole i sogni missionari hanno orientato la storia e tracciato un programma di lavoro per la società salesiana.

     

    II. LE MISSIONI IN ARGENTINA VIVENTE DON BOSCO[13]

    1. La chiamata (1875): un progetto immediatamente rielaborato

    Negli anni settanta in America Latina era in corso una forte evangelizzazione, grazie soprattutto ai religiosi, nonostante le forti tensioni presenti fra Chiesa e i singoli Stati liberali. Attraverso contatti con il console argentino in Savona, Giovanni Battista Gazzolo (1827-1895), don Bosco si offrì di provvedere preti per la Chiesa della misericordia in Buenos Aires, come richiesto dal Vicario generale mons. Mariano Antonio Espinosa (1844-1923)[14] ed accettò l’invito di una Commissione interessata ad un collegio a San Nicolás de los Arroyos[15]. In effetti la società salesiana – che all’epoca comprendeva pure il ramo femminile delle Figlie di Maria Ausiliatrice – aveva come suo primo obiettivo la cura della gioventù povera (con catechismi, prediche scuole, collegi, ospizi, oratori festivi), ma non escludeva di estendere i suoi servizi a ogni tipo di sacro ministero, come precisava al parroco di San Nicolás don Pietro Ceccarelli (1842-1893)[16]. Dunque in quel fine 1874 don Bosco non offriva altro di quello che già si faceva in Italia. Del resto le Costituzioni salesiane, approvate definitivamente nell’aprile precedente proprio mentre da anni erano in corso trattative per fondazioni salesiane in “terre di missione” extraeuropee, non contenevano alcun accenno ad eventuali missiones ad gentes.

    Le cose cambiarono nel volgere di pochi mesi. Il 28 gennaio 1875 in un discorso ai direttori, e il giorno dopo a tutta la comunità salesiana, ragazzi compresi, don Bosco annunciò che erano state accolte le due suddette domande in Argentina, dopo che erano state rifiutate richieste in altri continenti. Riferì anche che “le Missioni in sud America” (cosa che in questi termini invero nessuno aveva offerto) erano state accettate alle condizioni richieste con la sola riserva dell’approvazione del papa[17]. Don Bosco con un colpo da maestro presentava così a Salesiani e giovani un entusiasmante “progetto missionario” approvato dal papa.

    Iniziava subito una febbrile preparazione della spedizione missionaria. Il 5 febbraio una sua circolare invitava i Salesiani ad offrirsi liberamente per tali missioni, dove, a parte alcune aree civilizzate, essi avrebbero esercitato il loro ministero fra “popoli selvaggi sparsi in immensi territori”[18]. Se anche aveva individuato nella Patagonia la terra del suo primo sogno missionario – dove selvaggi crudeli di zone sconosciute uccidevano missionari ed invece accoglievano benevolmente quelli salesiani – tale piano di evangelizzazione di “selvaggi” andava ben oltre le richieste pervenute dall’America (e accolte). Di certo non ne era consapevole, almeno in quel momento, l’arcivescovo di Buenos Aires, mons. Léon Federico Aneyros (1826-1894).

    Don Bosco procedette con determinazione ad organizzare la spedizione. Il 31 agosto al Prefetto di Propaganda Fide, card. Alessandro Franchi (1819-1878), comunicava di avere accettato la gestione del collegio di S. Nicolás come “base per le missioni” e dunque chiedeva le facoltà spirituali solitamente concesse in tali casi[19]. Ne ebbe alcune, ma non ricevette alcun sussidio economico perché l’Argentina non dipendeva dalla S. Congregazione di Propaganda Fide, in quanto con un arcivescovo e quattro vescovi non era considerata “terra di missione”. 

    Nella cerimonia di addio ai missionari dell’11 novembre don Bosco si soffermò sulla missione universale di salvezza data dal Signore agli apostoli e dunque alla Chiesa[20]. Parlò della carenza di sacerdoti in Argentina, delle famiglie di emigranti abbonate e del lavoro missionario fra le “grandi orde di selvaggi” della Pampa e nella Patagonia, regioni “che circondano la parte civilizzata” dove “non penetrò ancora né la religione di Gesù Cristo, né la civiltà, né il commercio, dove piede europeo non poté finora lasciare alcun vestigio”[21].

    Lavoro per gli emigrati – e in prospettiva per radicare i salesiani nel nuovo paese – e poi plantatio ecclesiae nella Patagonia: ecco il duplice obiettivo, originale, che don Bosco lasciava alla prima spedizione. Stranamente non fece però alcun accenno alle due sedi di lavoro concordato con l’altra sponda dell’Atlantico. Nell’aprile 1876 avrebbe insistito con don Cagliero che “lo scopo nostro è di tentare una scorsa nella Patagonia […] ritenendo sempre per nostra base l’impianto di collegi e di ospizi […] in vicinanze delle tribù selvaggie”[22]. Glielo avrebbe ripetuto il 1° agosto: “In generale ricordati sempre che Dio vuole i nostri sforzi verso i Pampas e verso i Patagonici, e verso a’ ragazzi poveri e abbandonati”[23].

    L’orizzonte era quello e don Bosco rapidamente si rese conto che senza un Vicariato apostolico proprio i Salesiani non avrebbero goduta della necessaria libertà di azione, visto anche i rapporti che continuavano tesissimi con il suo arcivescovo di Torino e che il recente Concilio Vaticano I non aveva deciso nulla circa i non facili rapporti fra Ordinari e superiori di Congregazioni religiose nei territori di missione. Inoltre solo un Vicariato missionario avrebbe potuto avere il sostegno finanziario dalla Congregazione di Propaganda Fide.

    Si mise subito in moto, ma sarebbe riuscito nel suo intento solo nel 1883, dopo che i sogni si erano scontrati con la realtà, la fantasia e con il realismo[24].

    All’imbarco a ciascuno dei dieci missionari – cinque i sacerdoti – diede venti particolari ricordi, di cui il primo era quello fondamentale: “Cercate anime, ma non danari, né onori né dignità”[25]. Ma non meno importante era l’ultimo: “Nelle fatiche e nei patimenti non si dimentichi che abbiamo un gran premio preparato nel cielo”.

     

    2. Dall’utopia del sogno al realismo della situazione (1876-1877)

    Nel biennio 1876-1877 ebbe luogo una sorta di dialogo a distanza fra don Bosco e il capo spedizione don Cagliero: in meno di venti mesi 62 loro lettere hanno attraversato l’Atlantico[26]. Don Cagliero in loco s’impegnava ad attenersi alle direttive, all’iter missionario progettato da don Bosco sulla base delle sue inadeguate letture e delle sue ispirazioni dall’alto, non facilmente decifrabili; don Bosco a sua volta veniva a sapere dal suo condottiero sul campo come la realtà in Argentina si presentasse diversa da quella pensata in Italia. Il progetto operativo studiato in Torino poteva sì essere condiviso negli obiettivi e nella stessa strategia generale, ma non nelle coordinate geografiche, cronologiche e antropologiche previste.

    Con la missio giuridica ricevuta dal papa, con il titolo e le facoltà spirituali dei missionari apostolici, concesso dalla Congregazione di Propaganda Fide, con una lettera di presentazione di don Bosco all’arcivescovo di Buenos Aires[27], i missionari arrivarono sul finire del 1875 in Argentina, paese immenso popolato da meno di due milioni di abitanti (quattro milioni nel 1895, nel 1914 sarebbero stati otto milioni). Di essa conoscevano a malapena la lingua, la geografia e un po’ di storia.

    Accolti con simpatia dalle autorità civili, dal clero locale e dai benefattori, vissero inizialmente mesi felici. La situazione nel paese si presentava infatti favorevole, tanto dal punto di vista economico, con grandi investimenti di capitali stranieri, quanto sociale con l’apertura legale (1875) all’immigrazione, soprattutto italiana: 100.000 immigrati, di cui 30.000 in Buenos Aires. Favorevole era anche la congiuntura educativa data dalla nuova legge sulla libertà d’insegnamento (1876) e dal vuoto di scuole per “ragazzi poveri ed abbandonati”.

    Le difficoltà invece sorgevano da due altri punti di vista: anzitutto da quello religioso, dato dalla forte presenza di anticlericali, massoni, liberali ostili, inglesi (gallesi) protestanti in alcune zone e dal modesto spirito religioso di molto clero nativo e immigrato; poi dal punto di vista politico per i sempre incombenti rischi d’instabilità politica, economica e commerciale, il nazionalismo ostile alla Chiesa cattolica e suscettibilissimo ad ogni influenza esterna e il problema irrisolto degli indigeni, con il continuo avanzamento della linea di frontiera che li costringeva con la forza ad arretrare sempre più a sud e verso la Cordigliera, quando non li eliminava o prendeva e vendeva come schiavi[28]. Se ne rese subito conto don Cagliero: “Gli Indi sono esasperati contro il Governo Nazionale. Vanno per essi armati di Remington, fanno prigionieri uomini, donne, fanciulli, cavalli e pecore […] bisogna pregare Dio che loro mandi missionari per liberarli dalla morte dell’anima e del corpo”[29].

    Il 27 aprile don Bosco annunciava a don Cagliero l’accettazione di un Vicariato apostolico in India – escludendo gli altri due proposti dalla Santa Sede in Australia e Cina – da affidare appunto a lui stesso[30]. Due settimane dopo presentava al card. Franchi, prefetto di Propaganda fide, un promemoria nel quale, comunicando che il progetto preferito era quello di “stabilire ricoveri, collegi, convitti e case di educazione sui confini selvaggi” – lo sarà sempre nella mens dei Salesiani che riterranno tali opere educative il loro apporto specifico alle missioni – chiedeva nuovamente di erigere un Vicariato Apostolico per la Pampa e la Patagonia, erroneamente ritenute territorio nullius sia civilmente che ecclesiasticamente[31]. Lo ribadiva il 20 agosto firmando il lungo manoscritto La Patagonia e le terre australi del continente americano[32], da lui curato assieme a don Giulio Barberis sulla base delle imprecise notizie a sua disposizione, che invero si riprometteva di completare[33]. La situazione era ancor più complicata dall’acquisizione da parte del governo argentino (d’accordo con il governo cileno) delle terre abitate dagli indigeni, che le autorità civili di Buenos Aires avevano suddiviso in quattro governatorati e che l’arcivescovo di Buenos Aires riteneva a ragione soggette alla sua giurisdizione ordinaria.

    In luglio don Cagliero diede la sua disponibilità al rientro in Italia, anche se aveva già preparato un piano per entrare in Patagonia. In effetti dovendo soprassedere tanto al progetto di ospizio a Dolores a motivo delle lotte in corso con indigeni, quanto a quello del Chubut per la presenza ostile dei gallesi, aveva pensato a due altre possibilità: o la costa del Rio Santa Cruz dove il governo aveva intenzione di fondare una colonia e da dove, vista la prevedibile buona accoglienza di circa 400 indigeni, i Salesiani avrebbero potuto avanzare poco a poco verso il nord Patagonia, verso Buenos-Aires; oppure le sponde del Rio Negro, dove si aspettava che mons. Aneyros mandasse i Salesiani a “civilizzare gli indios con la religione”, dal momento che stava progettando quello stesso mese o una visita a Carmen de Patagones in compagnia di qualche salesiano[34]. Solo le furibonde lotte governative contro gli indigeni (settembre 1876) e la fuga di padre lazzaristi (dicembre) fecero sì che il sogno salesiano “Alla Patagonia, alla Patagonia. Dio lo vuole!” [35] al momento non si avverasse.

    Don Bosco comunque, considerato che i progetti in Australia e India non avrebbero richiesto l’immediata presenza di don Cagliero, lo consigliò di restare fin che voleva. Ed in effetti questi pensò di ritentare l’escursione a Carmen ad inizio anno, sempre con mons. Aneyros che tramite il suo vicario il 7 ottobre gli aveva proposto di assumere in città la parrocchia della Bocca in Buenos Aires con migliaia di italiani, “più indianizzati che gli Indiani quanto a costume e religione”, conterranei di tanti altri, poverissimi, che gravitavano nelle aree attorno a San Nicolàs[36].

    In attesa di entrare in Patagonia continuavano a pensare ad opere educative, in particolare ospizi di “artes y oficios” che accogliessero i figli degli indigeni, futuri apostoli delle loro tribù. Esattamente la tattica di don Comboni per l’Africa, che però si armonizzava perfettamente con il carisma salesiano in favore dei giovani e dei poveri.

    Approfittarono del tempo per rendere più stabile la propria posizione a Buenos Aires, con l’acquisto formale della cappella Mater misericordia, con l’impianto di oratori festivi per italiani in tre punti della città come chiedeva anche l’arcivescovo e con lo sviluppo dell’assistenza spirituale agli Italiani in genere. Pensarono anche ad aprire un noviziato, mentre aspettavano le Figlie di Maria Ausiliatrice e prospettavano un ospizio e un collegio a Montevideo in Uruguay.

    A fine anno 1876, con la chiesa della Misericordia stabilizzata al centro, l’ospizio di “artes y officio” in calle Tacuari ad Ovest con la chiesa di San Carlo - sarebbe rimasto colà dal maggio 1877 al marzo 1878 quando si trasferì ad Almagro – e la parrocchia della Bocca al sud con oratorio in via di attivazione, don Cagliero si dichiarava disponibile a rientrare in Italia a metà 1877. Si prolungava infatti eccessivamente sia la possibilità di entrare nel Chubut, sia la fondazione di una colonia a Santa Cruz da parte di un governo che creava impacci ai missionari e che gli indigeni avrebbero preferito “distruggerli anziché ridurli”[37]

    Ma don Bosco continuava a progettare. A metà gennaio 1877 – era appena arrivata la seconda spedizione di 22 missionari - prospettava alla Santa Sede l’erezione di tre vicariati (Carmen de Patagones, Santa Cruz, Punta Arenas) o almeno uno a Carmen de Patagones, impegnandosi ad accettare poi nel 1878 quello di Mengador in India con don Cagliero Vicario. Il 13 febbraio accettava per lo stesso 1878 il vicariato di Ceylon a preferenza di quello dell’Australia, entrambi propostogli dal papa (o suggeriti da lui al papa?)[38]. Ma il 12 maggio sospendeva tali progetti[39] a motivo della notizia, datata 5 marzo, che si aprivano ai salesiani le porte della Patagonia con l’offerta da parte dell’arcivescovo della missione di Caruhé (a nord di Bahia Blanca), luogo di presidio e di frontiera tra numerose tribù di Indi del vastissimo deserto della Pampa e la Provincia di Buenos Aires.

    Invero don Cagliero si era precipitato il giorno dopo, usando la stessa lettera, a raffreddare i possibili entusiasmi: “Le ripeto però che a riguardo della Patagonia non bisogna correre con velocità elettrica, né andarci a vapore, perché a questa impresa i Salesiani non sono ancor preparati […] si è pubblicato troppo ed abbiamo potuto fare troppo poco a riguardo degli Indii. L’impresa non bisogna disconoscerla, facile assai ad idearsi, difficile a realizzarsi, ed è troppo poco tempo che siamo qui venuti, e ci conviene si con zelo ed attività lavorare a questo scopo, ma non fare fracasso, per non suscitare ammirazione a questa gente di qui, per volere aspirare noi, arrivati jeri, alla conquista di un paese che ancora non conosciamo e di cui ignoriamo persino la lingua” [40].

    Mentre veniva meno l’opzione di Carmen de Patagones sul Rio Negro con la parrocchia affidata da mons. Aneyros ad un padre lazzarista, rimanevano dunque aperte quella più a nord di Carhué e quella più a sud di Santa Cruz, per la quale don Cagliero ottenne un passaggio navale in primavera, che gli avrebbe fatto rimandare di sei mesi il previsto rientro in Italia La decisione di chi dovesse “entrare il primo nella Patagonia” la lasciò a don Bosco[41], che gli concesse tale onore. Ma prima ancora di venirne a conoscenza, don Cagliero decise di rientrare: “La Patagonia mi attende, quei di Dolores, del Carhuè, del Chaco ci domandano, ed io li contento tutti scappando[42]!

    L’anno 1877 si chiudeva con la terza spedizione di 26 missionari capitanati da don Costamagna e con la nuova richiesta di Don Bosco alla Santa Sede di una Prefettura a Carhué e vicariato a Santa Cruz[43]. Eppure In tutto l’anno l’evangelizzazione diretta fuori città si era limitata alla breve esperienza di don Cagliero e del chierico Evasio Rabagliati (1855-1920) nella colonia italiana di Villa Libertad a Entre Rios (aprile 1877) ai confini della Diocesi del Paranà e ad alcune escursioni nel campo pampeano dei salesiani di S. Nicolás.

     

    3. Il progetto realizzato: l’entrata in Patagonia (1880) e l’indipendenza canonica (1883)

    Nel maggio 1878 falliva per una tormenta il primo tentativo di raggiungere Carhué via mare da parte di don Costamagna e del chierico Rabagliati[44]. Ma intanto don Bosco era già ritornato alla carica con il nuovo Prefetto di Propaganda Fide, card. Giovanni Simeoni (nominato dal neoeletto papa Leone XIII), proponendogli un Vicariato o Prefettura con sede a Carmen, come aveva suggerito lo stesso don Fagnano che lo vedeva come punto strategico per raggiungere gli indigeni[45].

    L’anno dopo, proprio mentre veniva meno un progetto di entrata dei Salesiani in Paraguay, si aprivano loro finalmente le porte della Patagonia. Nell’aprile 1879 infatti il generale Julio A. Roca, abbandonato l’atteggiamento difensivo imperniato sul “vallo”[46] nel 1876 per contenerne le razzie degli indigeni, dava inizio alla famosa “campagna del deserto” con l’obiettivo di sottometterli e ottenere sicurezza interna, respingendoli oltre i fiumi Río Negro e Neuquén. Era il “colpo di grazia” al loro sterminio, dopo i numerosi massacri dell’anno precedente[47]. Presunte leggi di natura e di storia si ponevano contro lo “spazio pampeano-patagonico vuoto e selvaggio[48]” (che tale non era). Una volta definiti “selvaggi” i nativi, non si poteva fare altro che avviare un loro processo di civilizzazione all’occidentale, marginalizzando le etnie resistenti in luoghi interni, quali riserve, colonie, missioni[49].  

     Il vicario generale di Buenos Aires, mons. Espinosa, come cappellano di un esercito forte di seimila uomini, andò in visita in quelle terre e si fece accompagnarono dal chierico argentino Luigi Botta (1855-1927) e da don Costamagna[50]. Il futuro vescovo salesiano subito si rese conto dell’ambiguità della loro posizione, ne scrisse a don Bosco[51], ma non vide altra via per realizzare il progetto di don Bosco ed aprire la strada della Patagonia ai missionari salesiani. Ed in effetti appena il governo chiese all’arcivescovo di stabilire alcune missioni sulle sponde del Río Negro e nella Patagonia si pensò subito ai Salesiani.

    Questi, dal loro canto, avevano già in animo di chiedere al governo la concessione per dieci anni di un territorio da loro amministrato con gli indigeni come mano d’opera per costruire gli edifici indispensabili mediante materiali pagati dal governo. Su quel territorio, dove i nativi avrebbero evitato la contaminazione dei coloni cristiani “corrotti e viziosi”, i missionari avrebbero piantato la croce di Cristo e la bandiera argentina. Ma l’ispettore salesiano don Francesco Bodrato (1823-1880) non se la sentì di decidere da solo e don Lasagna nel maggio lo sconsigliò per il fatto che il governo era instabile – il presidente Avallaneda era alla fine del suo mandato – era non era interessato al problema religioso. Meglio dunque conservare salesianamente indipendenza e libertà d’azione[52].

    Il 15 agosto 1879 mons. Aneyros offriva formalmente a don Bosco la missione patagonica: “È arrivato finalmente il momento, in cui posso offrirvi la Missione della Patagonia, verso la quale il vostro cuore ha tanto sospirato, come la cura d’anime tra i Patagoni, che può servire di centro alla missione” [53]. Don Bosco la accettò ovviamente subito e di buon grado[54], anche se essa non era il consenso all’erezione di circoscrizioni ecclesiastiche autonome rispetto all’archidiocesi di Buenos Aires, costantemente avversata dall’Ordinario diocesano.

    Il drappello di missionari partì il 15 gennaio 1888: era composto da don Fagnano, direttore della Missione, parroco a Carmen de Patagónes, due sacerdoti, di cui uno si occupava della parrocchia di Viedma sull’altra riva del Río Negro, un salesiano laico (coadiutore) e quattro suore. In dicembre arrivò don Domenico Milanesio e pochi mesi dopo don Giuseppe Beauvoir (1850-1930), con un altro coadiutore ascritto.

    A Roma, il 22 marzo 1880 don Bosco insisteva presso il card. Lorenzo Nina perché si giungesse a una strutturazione canonica delle Missioni della Patagonia[55]. Trattata la questione con mons. Domenico Jacobini, segretario della Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari, e il card. Alimonda, membro della Congregazione di Propaganda Fide, inoltrava al papa una memoria, nella quale esponeva l’operato dei Salesiani in Argentina e indicava il da farsi, tra cui un Vicariato o Prefettura della Patagonia e un Seminario per le Missioni della Patagonia, con sede a Marsiglia[56]. Due giorni dopo, in una ben meditata lettera a mons. Aneyros presentava quale conclusione di una “commissione di eminenti personaggi” di Roma la proposta dell’“erezione di un Vicariato Apostolico della Patagonia, con sede a Carmen, il quale abbracciasse le colonie costituite o che si sarebbero andate organizzando sulle sponde del Río Negro”, dal 36° al 50° grado di latitudine Sud. Carmen sarebbe potuta divenire “il centro delle Missioni Salesiane fra gli Indi”[57].

    Ma i disordini militari al momento dell’elezione del generale Roca a Presidente della Repubblica (maggio-agosto 1880) e la morte di don Bodrato (agosto 1880) fecero sospendere le pratiche. Don Bosco il 19 novembre scrisse direttamente al Presidente, ma senza risultati[58]. Il Vicariato non era voluto né dall’arcivescovo né era gradito all’autorità politica; del resto non l’avrebbero riconosciuto ufficialmente dopo l’elezione del 16 novembre 1883.

    A fine gennaio 1881 don Bosco incoraggiava il neoispettore don Costamagna a darsi da fare per il Vicariato in Patagonia ed assicurava don Fagnano che circa la Patagonia, “la più grande impresa della nostra Congregazione”, una grande responsabilità sarebbe presto ricaduta su di lui[59]. Ma si rimaneva nell’impasse, per cui don Bosco non escluse di rimandare don Cagliero a Buenos Aires. Ma tanto il delegato apostolico mons. Luigi Matera (1820-1891) che l'arcivescovo lo sconsigliarono.

    Intanto in Patagonia don Emilio Rizzo che aveva accompagnato nel 1880 mons. Espinosa lungo il Rio Negro fino a Roca, con altri salesiani si apprestava ad altre missioni volanti lungo lo stesso fiume. Don Fagnano poi nel 1881 poté raggiungere con l’esercito fino alla Cordigliera.

    Don Bosco, impaziente, fremeva e don Costamagna ancora nel novembre 1881 lo consigliò di trattare direttamente con Roma[60]. Fortuna volle che a fine 1881 venisse in Italia mons. Espinosa; don Bosco ne approfittò per informare suo tramite l’arcivescovo, che nell’aprile del 1882 sembrò favorevole al progetto di un Vicariato affidato ai Salesiani, forse più che altro per l’impossibilità di attendervi con il suo clero. Ma ancora una volta non se ne fece nulla, anche perché il ritiro del chierico salesiano don Bernardo Vacchina dal servizio di segretario di mons. Matera, fece perdere ai Salesiani l’appoggio del Delegato apostolico[61]. Inoltre stava sorgendo un progetto parallelo nel Mato Grosso in Brasile con possibilità di futuri sviluppi missionari in Ecuador, Bolivia e Paraguay. Intano nell’estate 1882 e poi ancora nel 1883 don Beauvoir accompagnò l’esercito fino al lago Nahuel Huapi; altrettante escursioni apostoliche facevano altri in aprile lungo il Rio Colorado, mentre don Beauvoir ritornava a Roca e in agosto don Milanesio si inoltrava fino a Ñorquín[62].

    Don Bosco intanto era ritornato a prospettare alla Santa Sede tre Vicariati o Prefetture in Patagonia: dal Rio Colorado al rio Chubut, da questi al rio Santa Cruz, e da questi alle isole della Terra del Fuoco, Malvine comprese[63]. Papa Leone XIII alcuni mesi dopo acconsentì e gli fece chiedere i nominativi. Don Bosco allora suggerì al card. Simeoni l’erezione di un solo Vicariato per la Patagonia settentrionale con sede a Carmen, dal quale dipendesse una Prefettura apostolica per la Patagonia meridionale. Per quest’ultima proponeva don Fagnano; per il Vicariato don Cagliero o don Costamagna[64].

    Il 16 novembre 1883 un decreto di Propaganda Fide erigeva il Vicario apostolico della Patagonia settentrionale e centrale, che comprendeva il sud della provincia di Buenos Aires, i territori nazionali di La Pampa centrale (dal 1896), il Río Negro, il Neuquén e il Chubut. Quattro giorni dopo lo affidò a don Cagliero come Provicario apostolico. Il 2 dicembre 1883 fu la volta del Fagnano ad essere nominato Prefetto apostolico della Patagonia cilena, del territorio cileno di Magallanes-Punta Arenas, del territorio argentino di Santa Cruz, delle isole Malvinas (colonia britannica) e delle non meglio definite isole che si estendevano fino allo stretto di Magellano. Ecclesiasticamente la Prefettura copriva aree appartenenti alla diocesi cilena di San Carlos de Ancud. Il sogno del famoso viaggio in treno da Cartagena in Colombia a Punta Arenas in Cile del 10 agosto 1883, iniziava così a realizzarsi, tanto più che alcuni Salesiani da Montevideo all’inizio del 1883 erano arrivati a fondare la casa di Niteroi in Brasile.

    Il lungo processo di poter gestire una missione in piena libertà canonica era arrivato a conclusione. Nell’ottobre del 1884 don Cagliero sarebbe stato insignito della nomina di Vicario apostolico della Patagonia, là dove avrebbe fatto la sua entrata l’8 luglio successivo, sette mesi dopo la sua consacrazione episcopale avvenuta a Valdocco il 7 dicembre 1884.

    Rimaneva contrario mons. Aneyros, dati i difficili rapporti suoi e della Santa Sede con le autorità politiche che agitavano i “temi caldi” della laicità dell’insegnamento e del matrimonio civile[65]. Comunque le stesse autorità avevano chiesto missionari salesiani per le Malvine, un salesiano parroco a General Mitre e don Beauvoir era stato fatto titolare della municipalità di Carmen dal generale Lorenzo Vintter[66].


    4. Problemi di riconoscimento giuridico (1885-1888)

    Se don Bosco stesso rese noto, sia pure in modo un po’ avventato, al presidente Roca l’erezione delle due nuove circoscrizioni giuridiche in Patagonia, nel momento in cui gli chiese i biglietti navali per missionari e missionarie[67], nessuno pensò ad avvisare l’arcivescovo di Buenos Aires, il quale appena saputa la notizia (gennaio 1885) – ma già dal marzo 1878 si era dichiarato favorevole e nel marzo 1882 aveva dato il suo consenso[68] – immediatamente comunicò a Roma il diritto di patronato (spagnolo) rivendicato dal governo argentino, ostile a titoli estranei alla sua sovranità nazionale, specie in tempo di rottura delle relazioni con la Santa Sede (Delegato apostolico estromesso 14 ott. 1884). Il presule poi temeva che con le nuove nomine crescessero l’ostilità verso i Salesiani in Argentina, visto che il governatore di Carmen, Vintter aveva preso posizione contro don Milanesio, don Beauvoir e don Fagnano.

    Si optò allora per una vita di uscita onorevole e condivisa sulle due sponde dell’Atlantico: mons. Cagliero non si sarebbe presentato in Argentina come vescovo, ma come semplice superiore dei Salesiani, senza titolo di Vicario della Patagonia. (Lo stesso sarebbe avvenuto per mons. Fagnano, la cui nomina non era stata concordata con il Governo cileno)[69].

    Giunto in Argentina mons. Cagliero con fine diplomazia ottenne l’appoggio dei governatori di Santa Cruz, del Neuquén ed anche di quello di Carmen, Lorenzo Vintter, sia pure fra alti e bassi. Il governo centrale, che vedeva di buon occhio le missioni lungo il Río Negro, in quanto servivano anche l’esercito, gli pagò il viaggio in Patagonia, considerando il Vicariato come facente entità unica con l’arcidiocesi. Il 1° aprile 1886 mons. Cagliero con don Costamagna fu ricevuto dal Presidente Roca, che lo incaricò di favorire in Roma la ripresa dei rapporti diplomatici e gli assicurò il suo appoggio alle missioni salesiane. Mons. Cagliero, sempre cercando di passare inosservato nel suo ruolo di Vescovo straniero, approfittò dell’occasione per proporgli la creazione di due diocesi in Patagonia.

    In effetti nel 1887 un’apposita legge ne creò tre, ma non in Patagonia e l’arcivescovo, con un atteggiamento ambivalente nei confronti dei Salesiani, mandò il canonico Francesco Vivaldi come cappellano a Rawson nel Chubut, territorio appartenente al Vicariato. Mons. Cagliero, al momento in Italia per la malattia mortale di don Bosco, fece qualche passo presso la Santa Sede, ma senza risultato.


    5. Missionari in azione (1875-1888)

    Riassunte così le vicende relative ad un decennio di difficile trattative di don Bosco e dei Salesiani con la Santa Sede, con l ’arcivescovado di Buenos Aires, con le autorità dello Stato per ottenere un’amministrativa autonoma del loro territorio di missione (Vicariato e Prefettura) – ma il ventennio successivo non sarebbe stato meno traumatico nel tentativo di trovare un equilibrio fra i tre poteri tanto in Argentina che in Cile – possiamo ora presentare la loro azione missionaria in tali territori.  

    5.1. Collegi, parrocchie e missiones ad gentes

    L’attività missionaria dei Salesiani dal 1875 fino alla morte di don Bosco si svolse all’insegna della prassi codificata in Italia, da cui provenivano praticamente tutti i missionari. Essi si guadagnarono il cuore delle comunità di fedeli, per lo più italiani, che servivano attraverso la loro “azione sociale” (oratori, scuole, società di mutuo soccorso, banda) e la loro “azione pastorale” nelle chiese e cappelle (predicazione, catechismi, sacramentalizzazione).

    Alla chiesa della Misericordia per gli italiani (1879) si aggiunse presto la parrocchia della Boca (1877) e successivamente si fondarono quelle in favore soprattutto di indigeni delle piccole comunità di Carmen e Viedma (1879-1880), di Gallegos (1885), di Chos Malal (1887) e delle Isole Malvine (1888). Parrocchie vennero anche aperte in Uruguay a Las Piedras (1880) e Paysandù (1881) e in Cile a Punta Arenas (1887).

    Ciò considerato, complessivamente non si può dire che si erano materializzate molte iniziative nel campo diretto delle missiones ad gentes. Ma si deve aggiungere che una forte azione missionaria fu portata avanti ugualmente attraverso l’erezione di collegi-convitti, scuole e ospizi – frequentati anche da indigeni – quasi tutti strategicamente posizionati tanto in Argentina[70], quanto successivamente in Uruguay, Brasile, Cile ed Ecuador [71]. Ne diamo un elenco.

    1876

    San Nicolás de L. A

    Argentina

    collegio-convitto

    1877

    Almagro B.A.

    Argentina

    coll-convit.arti-mestieri

     

    Boca B.A.

    Argentina

    collegio S. Giovanni.

     

    Villa Colón

    Uruguay

    Collegio

    1879

    Las Piedras

    Uruguay

    collegio-convitto

    1879 Vicariato

    Carmen de Patagon.

    Argentina

    collegio S. Giuseppe

    1880 Vicariato

    Viedma

    Argentina

    collegio arti e mestieri

    1881

    Paysandù

    Uruguay

    collegio-convitto

    1883

    Niteroy

    Brasile

    collegio arti – mestieri

    1885

    Santa Caterina BA

    Argentina

    succursale coll.-conv.

    1886

    La Plata

    Argentina

    collegio S. Cuore

     

    San Paolo

    Brasile

    coll-conv.arti-mestieri

    1887 Vicariato

    Concepción

    Cile

    coll.-conv. arti-mestiri

    (dic 1888)

    Chos Malal

    Argentina

    Collegio dell’Immac.

     

    Quito

    Ecuador

    scuola arti e mestieri

     

    Punta Arenas

    Cile

    Collegio

     

    Talca

    Cile

    coll-conv- arti-mestieri

     

    Isole Malvine

    Argentina

    Collegio Stella Maris


    5.2. Il personale in movimento

    Alla morte di don Bosco nelle sei case (comprese le succursali), facenti parte dell'ispettoria Argentina con don Costamagna ispettore dal 1880, vi erano una cinquantina di Salesiani. Il Vicariato apostolico della Patagonia invece aveva ampliato le opere lasciate dai lazzaristi e gli indigeni, più o meno civilizzati, sparsi nelle colonie, negli avamposti militari, in aree disabitate della Pampa e della Patagonia, erano stati visitati dai salesiani cappellani delle milizie ovvero da solitari missionari itineranti. A sua volta l’attivissimo don Fagnano a Carmen era riuscito non solo pure a organizzare l’eterogenea comunità di indigeni, di negri discendenti da schiavi africani e d'immigrati europei e a dar vita a una Società italiana di mutuo soccorso nell'intento anche di superare l'anticlericalismo emotivo che contadini e allevatori avevano portato con sé dalla madrepatria. Nel 1884 poi insieme con Antonio Oneto, un genovese capitano di lungo corso[72], aveva anche progettato nel Chubut una sorta di "riduzione" indigena, collegandosi idealmente alle vecchie esperienze dei gesuiti che la memoria salesiana aveva rinverdito ristampando a Torino l'opera di L. A. Muratori, Il cristianesimo felice nelle missioni de' padri della Compagnia di Gesù nel Paraguay (1880). Il piano, inviato al governo argentino, non ebbe seguito sia per le remore politiche o dei grossi proprietari di terre, sia per la morte dell'Oneto, sopravvenuta in quel medesimo anno.

    Il 19 gennaio 1884 aveva già comunicato a Propagande Fide che i Salesiani avevano amministrato in 4 anni 5.328 battesimi ed avevano esplorato 250.00 kmq di territorio nord patagonico avventurandosi per le valli, lungo i corsi d’acqua[73]. Ed in effetti nella relazione di don Cagliero del 9 luglio 1884 a mons. Jacobini[74], si legge che i missionari salesiani avevano dato più volte missioni a “Choele-Choel, nella Colonia Roca, alle falde della Gran Cordilliera, nonché in tutti i posti stabiliti dal Governo lungo il Corso del Rio Limay” specialmente ad opera di don Beauvoir, don Milanesio e salesiani laici, che poi fecero altrettanto sulla riva destra del Rio Negro da Viedma a Castro e lungo la riva sinistra da Carmen fino alla colonia Conesa. oltre 900 i battesimi amministrati in tali lunghissimi viaggi missionari. Nel collegio maschile di Carmen poi vi erano settanta ragazzi, in quello femminile un centinaio di fanciulle, nell’ospizio annesso alle Scuole un gruppo di indigni orfani cui si insegnava un mestiere e la musica strumentale, tanto da formare una banda. Ultimamente si erano aperte scuole maschili e femminili a Viedma, con la presenza di alcune FMA, tre sacerdoti e alcuni coadiutori che si sarebbero presi cura degli Indii neofiti.

    Nei quattro anni successivi anche don Costamagna, don Angelo Savio, don Matteo Gavotto, mons. Cagliero stesso per un biennio (1885-1887) ed altri salesiani percorsero le medesime valli e i medesimi deserti per migliaia di km. per lo più a cavallo, soffrendo fame, sete, freddo, caldo, polvere, imprevisti di ogni genere.

    A questi missionari sul Río Negro andrebbero aggiunti undici altri operanti in Cile: al collegio di Concepción (con missione a Malbarco) e alla scuola di arte e mestieri a Talca. A sua volta la Prefettura della Patagonia meridionale aveva un salesiano nelle missioni di Santa Cruz, delle Malvine e quattro in quella di Punta Arenas dall’aprile 1887, ivi compreso mons. Fagnano. Questi, per fare della Terra del Fuoco il campo preferenziale della sua attività, con il consenso del vescovo cileno di Ancud, aveva fissato la sua residenza appunto nella località a Punta Arenas, località di 1500 ab., abitata da commercianti cosmopoliti, piccoli armatori di navi, cercatori d'oro, avventurieri, fuggiaschi e carcerati. Colà avrebbe dovuto destreggiarsi fra le autorità politiche locali divise fra liberali e conservatori, in sintonia con la politica nazionale, che nel 1883 aveva espulso il delegato papale, mons. Celestino del Frate, prima dell’approvazione di leggi “laiciste”.

    5.3. Compromissione politico-militare

    I Salesiani misero piede in Patagonia in tempo per assistere all’ultimo atto della tragica estinzione quasi totale degli indigeni in quella terra, dovuta principalmente alle espansioni nazionali di Argentina e Cile, interessate ad ampliare le frontiere interne con territori fino allora esclusi.

    Il Progetto salesiano di costituire nella Patagonia argentina una colonia d’indigeni con un’ordinata vita sociale e cristiana, sul modello europeo, era pura fantasia, non fosse altro perché mai il governo argentino avrebbe ammesso un’area indipendente sul suo territorio (così come il governo cileno avrebbe fatto altrettanto per i fueghini dell’isola Dawson). Ma è altrettanto vero, come vedremo, che entrambi i paesi favoriranno a fine secolo le reducciones salesiane nella Terra del Fuoco, utile baluardo contro eventuali pretese di altre nazioni, Francia per prima. La presenza di Inglesi alle Malvine insegnava.

    La civilizzazione degli indigeni, così come concepita e portata avanti dalle autorità di Buenos Aires, significava semplicemente il loro completo assoggettamento al governo centrale, la totale detribalizzazione, l’abbandono definitivo di lingua, usi e costumi, il consolidamento del complesso di inferiorità. Quanti vi si opponevano, andavano eliminati[75]. Era sempre in auge la magistrale antinomia formulata da Sarmiento: “civilizzazione o barbarie”. Anziché una politica d’integrazione degli indigeni, che avrebbe salvaguardato i loro diritti di terra e di costumi sempre reclamati, venne privilegiata la “soluzione militare”.

    I Salesiani lo avvertirono ben presto ed espressero uno struggente senso d’impotenza a fronte ad essa. Era un compito troppo superiore alle loro forze e al loro semplice ruolo di cappellani di un esercito destinato a sottomettere, con la forza o meno, gli indigeni. A loro giudizio vi era una sola possibilità di evitare la violenza: la lenta penetrazione del vangelo, ma questa avrebbe richiesto tempi lunghi, che il governo non ammetteva, e risorse umane missionarie di cui la chiesa in Argentina non disponeva.

    Non avevano scelta: “Ma che ci ha da fare il ministro della Guerra ed i militari con una missione di pace […] bisogna adattarsi o per amore o per forza! In questa circostanza è d’uopo che la croce vada dietro alla spada. Pazienza"[76]. Compito delicatissimo era il loro, una durissima necessità: “Non è da meravigliarsi quindi se talvolta armato della carità di Gesù Cristo gridi contro di questa civile barbarie! Né posso dirle tutto”[77]; “Non vo dirne nulla e basta. Lo stesso dicasi della politica. Io non sono un uomo da apprezzare certi fatti e certi diritti, che uomini sedicenti civilizzati vorrebbero avere su altri, cui [che] chiamano barbari […], imperocché volendo fare certe appreziazioni temerei di spropositare, quindi… acqua in bocca e silenzio"[78]; “Ma se a Dio piacerà, parlerà un giorno la storia e darà a conoscere al mondo chi sono i veri selvaggi della Patagonia”[79]. L’alternativa di inoltrarsi da soli fra indigeni ostili anche per le efferatezze compiute dai bianchi (cristiani), era priva di senso. Invece accompagnando i soldati, potevano sempre mitigare la loro violenza, evitare uccisioni indiscriminate, cosa che effettivamente più volte avvenne.

    Pubblicamente prese posizione contro solo il Bollettino Salesiano quando nel maggio 1879 stigmatizzò il fatto che “Invece della croce siasi fatto uso della spada, non per convertire, ma per distruggere i poveri selvaggi, rei di null’altro, che di ignorare quella Religione che santifica, unisce e civilizza i popoli”.

    Se l’obiettivo primario dell’opera salesiana era la “salvezza dell’anima” degli indigeni, redenti come tutti gli uomini dal sangue di Cristo, data la loro situazione di estremo bisogno, assieme all’evangelizzazione s’imponeva l’aiuto umanitario, la sopravvivenza, gestita possibilmente nella totale condivisione della vita quotidiana. Le opere educative che essi intendevano portare avanti, lungi dal preparare un proletariato qualificato per un capitalismo incipiente, costituiva il primo passo in tale direzione. Un’antropologia teologica, quella salesiana, che evidentemente non poteva avere grande influenza sull’esercito argentino inviato alla semplice conquista della Patagonia. Del resto gli indigeni seppero fare distinzione fra i missionari e i militari.

    Per i Salesiani, il “selvaggio”, inteso come colui che era rimasto semplicemente attardato nell’evoluzione naturale della civiltà, risultava disponibile a diventare “onesto cittadino” e “buon cristiano” grazie all’ educazione, alla civilizzazione ed all’evangelizzazione[80]. Tanto più in presenza di uno stile di azione pastorale improntato a carità, senza forzature violente, in grado anche di farsi intermediari, su richiesta, per una pacificazione che non implicasse necessariamente sottomissione.

    Non mancarono i limiti personali: formazione missionaria piuttosto romantica ed edificante, preparazione culturale insufficiente, informazione geografica, storica, antropologica imprecisa, mancanza di qualunque esperienza di evangelizzazione di indigeni, debolezze caratteriali e spirituali. Vi si aggiunga l’ecclesiologia e missiologia debole, la mancanza di un direttorio per le missioni, la poca chiarezza nei rapporti fra Ordinari del luogo e i missionari apostolici e i religiosi missionari ecc.

    Ma a tali lacune supplivano estrema generosità e grande spirito di sacrificio, inattese doti di percezione ed adattamento alla realtà, capacità incredibili di manualità in situazioni di estrema indigenza, coraggio e zelo dei missionari migliori, entusiasmo contagioso di don Bosco, presenza rassicurante di mons. Cagliero, stimato dal Presidente argentino J. Roca e a contatto pure con quello cileno José Manuel Balmaceda Fernández (1886-1891), entrambi estimatori dell’opera salesiana, anche se non prodighi di aiuti materiali.

     

    NOTE

    [1] Riduzione del contributo di Francesco Motto, El projecto  educativo salesiano-misionero de don Bosco en la Patagonia, en el contexto teológico y cultural de su tiempo y hasta 1915 en  Iglesia y estado en la Patagonia. Repensando las missiones salesianas (1880-1916), I. A. Fresia-M.- A. Nicoletti- J. Picca (compiladores) Rosario (Argentina) 2016, 21-74.

    [2] Trattandosi di un tema necessariamente presente in qualunque “Storia della chiesa”, oltre che oggetto preciso dei volumi di “Storia generale delle missioni” e di singole voci di Dizionari ed Enciclopedie, riteniamo inutile dare qui particolari riferimenti bibliografici.

    [3] Classico il volume di François-René Chateubriand, Le genie du Christianisme. Paris, 1802.

    [4] Agostino Favale, Le missioni nei primordi della Congregazione Salesiana, in Pietro Scotti (ed.), Missioni Salesiane (1875-1975). Studi in occasione del Centenario. (= CSSMS - Studi e Ricerche, 3). Roma, LAS 1977, pp. 25-26.

    [5]  La bibliografia al riguardo è notevole. Citiamo: Jesús Borrego, Il primo iter missionario nel progetto di Don Bosco e nell’esperienza concreta di Don Cagliero (1875-1877), in P. Scotti (ed.), Missioni Salesiane…, pp. 63-86; Id., Primer proyecto patagónico de Don Bosco, in “Ricerche Storiche Salesiane "[=RSS] 8 (1986) 21-72; Id, Estrategia misionera de Don Bosco, in Pietro Braido (ed.), Don Bosco nella Chiesa a servizio dell’umanità. Studi e testimonianze. Roma, LAS 1987, pp. 143-202; Francis Desramaut, Il pensiero missionario di Don Bosco dagli scritti e discorsi del 1870-1885, in P. Scotti (ed.), Missioni Salesiane…, pp. 49-61; Agostino Favale, Il progetto missionario di Don Bosco e i suoi presupposti storico-dottrinali, in “Quaderni di Salesianum”. Roma, LAS 1976; Id., Le missioni nei primordi della Congregazione Salesiana, in P. Scotti (ed.), Missioni Salesiane…, pp. 13-48; Angel Martin Gonzalez, Origen de las Misiones Salesianas. La Evangelización de las gentes según el pensamento de San Juan Bosco. Guatemala, Istituto Teologico Salesiano 1978; più recente il contributo di Carlo Socol, Don Bosco’s missionary and China, in RSS 49 (2006) 215-294.

    [6] In particolare ricordiamo le biografie scientifiche di Pietro Stella, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol. I. Vita e opere. Roma, LAS 19792, pp.-167-208; Francis Desramaut, Don Bosco en son temps (1815-1888). Torino, SEI 1996, pp. 939-975. Pietro Braido, Don Bosco prete dei giovani nel secolo delle libertà. 2 voll. Roma, LAS 20093, pp. 145-172 381-397, 517-523 ed i sette volumi compilatori di Arthur J. Lenti, Don Bosco. History and Spirit. Roma, LAS 2007-2010, ridotti e adattati alla Spagna da José Bartolomé - Jesús Graciliano González, Don Bosco. Historia e carisma. 3 voll. Madrid, CCS 2010-2012. 

    [7] “Qualche studio” abbiamo scritto: in effetti don Bosco non ha mai parlato perfettamente la lingua francese, tanto meno risulta avesse buone conoscenze di quella spagnola ed inglese.

    [8] Il cattolico istruito del 1853 e il Mese di maggio del 1858. Difficile è però credere a Giovanni Battista Lemoyne, Memorie Biografiche di don Giovanni Bosco. Vol. III. Torino, 1903, p. 363 [=MB] che nel 1848 li leggesse pubblicamente in sala da pranzo e che soprattutto esprimesse il desiderio di mandare chierici e preti ad evangelizzare la Patagonia e la Terra del Fuoco. A parte il fatto che all’epoca non disponeva di tali chierici e preti, gli Annali nel ventennio 1848-1868 non sembra abbiano mai trattato della Patagonia.

    [9] L’anno seguente il Comboni avrebbe scritto al vescovo Luigi di Canossa di Verona che don Bosco contribuiva con parecchi missionari alle missioni e con oltre 60 preti alla chiesa ogni anno. Evidentemente vi comprendeva i sacerdoti ex allievi di Valdocco. A don Bosco don Comboni inviò anche il suo Postulatum pro Nigris Africae Centralis che nel giugno 1870 aveva fatto pervenire a tutti i padri conciliari, settanta dei quali lo sottoscrissero.

    [10] In Bosco Giovanni, Epistolario. Introduzione, testi critici e note a cura di Francesco Motto. 6 voll. (= ISS - Fonti, Serie prima). Roma, LAS 1991- 2014 [= E(m)] sono edite molte lettere relative a tali trattative per vocazioni di lingua materna inglese.

    [11] Si veda al riguardo: Cecilia Romero, I sogni di don Bosco. Edizione critica. Torino, LDC 1978; Juan E. Belza, Sueños patagónicos. (=Publicación del Instituto de Investigaciones Históricas). Tierra del Fuego, Rosario 1982; Fausto Jimenez, Sueños de don Bosco. Madrid, Editorial CCS 1989; Arthur Lenti, I sogni di Don Bosco. Esame storico-critico, significato e ruolo profetico per l’America Latina, in C. Semeraro (ed.), Don Bosco e Brasilia. Profezia, realtà sociale e diritto. Padova, Cedam 1990, pp. 85-130; Antonio Da Silva Ferreira, Due sogni sulle missioni della Patagonia e dell’America Latina, in RSS 28 (1996) 101-139.

    [12] Epistolario di San Giovanni Bosco, a cura di Eugenio Ceria. Vol IV. Roma, SEI 1959 [=E], lett. 2532, 10 febbraio 1885.

    [13]  Il saggio più completo e sintetico su tale soggetto è quello offerto da Antonio Da Silva Ferreira, Patagonia. Realtà e mito nell’azione missionaria salesiana. (= PiB dell'ISS, 16). Roma, LAS 1995; parte I, Il Vicariato apostolico della Patagonia settentrionale, pp. 7-54. Vedi però anche Marco Vanzini, El plan evangelizadir de don Bosco según “Las memorias de las misiones de la Patagonia (1887-1917) del Padre Bernardo Vacchina, sdb”. Bahía Blanca, Instituto Superiore Juan XXIII 2005, pp. 51-107. Altri riferimenti bibliografici sono indicati nelle note 3 e 4. 

    [14] E(m) IV, lett. 2043, 22 dicembre 1874.

    [15] Ibid., lett. 2049, 25 dicembre 1874.

    [16] Ibid., lett. 2048, 25 dicembre 1874

    [17] Eugenio Ceria, Memorie Biografiche..., XI. Torino 1930, pp. 28-30.

    [18] E (m) IV, lett. 2076, 5 febbraio 1875.

    [19] Ibid., lett. 2178, 12 agosto 1875.

    [20] MB XI 381-391.

    [21] MB XI 387-388

    [22] E(m) V, lett. 2322, 27 aprile 1876. 

    [23] Ibid., lett. 2366, 1 agosto 1876. In una conversazione con don Barberis pochi giorni dopo (12 agosto) ribadiva le medesime idee , aggiungendo però l’importanza di formare clero locale e così “fra i 7 anni avremo come per c erto missionari indigeni già preti: sintesi in  MB XII 279s

    [24] Nell’aprile 1876 era arrivato addirittura a pianificare poeticamente un autonomo territorio di missione per i Salesiani suggerendo al ministro degli Esteri italiano la creazione di una colonia di Italiani al centro di un'area di latitudine fra il grado 40 e 45 che, illudendosi, credeva res nullius: “qui non vi è abitazione, né porto, né governo che abbia alcun diritto”: lett. 2314, 16 aprile 1876.

    [25] Ibid., lett. 2210, [11 novembre 1875].

    [26] Invece nei tre anni e mezzo di presenza di don Bodrato in Argentina (era venuto con la seconda spedizione del 1876), di cui quasi tre anni come ispettore, don Bosco gli scrisse non più di quattro o cinque lettere, mentre ne ricevette circa una cinquantina: cf Francesco Bodrato, Epistolario. Introduzione, testi critici e note a cura di Brenno Casali. (= ISS - Fonti, Serie seconda, 4). Roma, LAS 1995.

    [27] E IV, lett. 2049, 25 dicembre 1874.

    [27] Ibid., lett. 2214 .

    [28] Cf Enrique Mases, Estado y cuestión indigena. El destino final de los indios sometidos nel sur del territorio (1878-1910). Buenos Aires 2002.

    [29] Archivio Salesiano Centrale (=ASC) B678 Lettera a don Lazzero, 18 febbraio 1876. Sono numerose lettere di don Cagliero, che mentre danno notizia dell’ira degli indigeni contro gli Argentini, considerati stranieri, che venivano a rubare le loro terre, cui rispondevano con rapine e vendette, indicano nell’azione missionaria la sola strategia utile alla “civilizzazione” degli indigeni e dunque alla pace.    

    [30] E(m) V, lett. 2322, 27 aprile 1876. Don Cagliero in maggio rispose che era pronto a tornare anche subito, appena avviate le opere in corso; alla Patagonia avrebbero pensato altri.

    [31] Ibid., lett. 2334, 10 maggio 1876. Circa l’intera vicenda delle circoscrizione giuridiche continuamente pensate ripensate da don Bosco prima e da don Rua dopo si veda Maria A. Nicoletti, Le complicate missioni della Patagonia da Don Bosco a Don Rua: situazione iniziale, sviluppi, bilancio”, in F. Motto (a cura di), Don Michele Rua nella Storia. Atti del Congresso Internazionale di Studi su don Rua (Roma, Salesianum, 29-31 ottobre 2010). (= ISS – Studi, 27). Roma, LAS 2011, pp. 339-362.  

    [32] E(m) V, lett. 2382, 23 agosto 1876.

    [33] Traduzione: Juan Bosco, La Patagonia y las tierras australes del Continente Americano (= Archivo Historico Salesiano de la Patagonia Norte e Instituto Superior Juan XXIII...). Bahia Blanca 1986. In Italiano: La Patagonia e le terre australi del continente americano pel sac. Gio Bosco. Introduccion y texto critico por Jesús Borrego, in RSS 13 (1988) 254-442.

    [34] ASC A1380907, lett. 2 luglio 1876.

    [35] Ibid. La prudenza del Cagliero circa la Patagonia era condivisa da altri salesiani già sovraoccupati con gli emigranti italiani. Don Giovanni Battista Baccino (1843-1877) moriva quell’anno vittima del suo zelo apostolico.

    [36] ASC A1380913, lett. 7 ottobre 1876; v. anche ASC A1380917, lett. 18 dicembre 1876. Giudizi molto duri sugli “italiani più selvaggi dei selvaggi” che gli italiani “avevano lasciato Iddio in Europa, e non l’avevano più trovato in America!” si trovano in varie altre lettere di don Cagliero.

    [37] ASC A1380917, lett. 18 dicembre 1876. Non era molto la stima di don Cagliero per le autorità di governo se il 4 luglio precedente aveva scritto a don Lazzero definendole “tutta razza di Pilato … Se fanno genuflezioni, è la costituzione che loro le fa fare” (ASC B678).

    [38] E(m) V, lett. 2467, 14 gennaio 1877.

    [39] Ibid., lett. 2525, 12 maggio 1877.

    [40] Ibid.

    [41] ASC A1381006, 1° maggio 1877.

    [42] ASC A1381009, 19 luglio 1877.

    [43] E(m) V, lett. 2665, 31 dicembre 1877.

    [44] Cf Antonio Espinosa, La conquista del desierto, diario de la campaña de 1879. Buenos Aires, Freeland, 1968 pp. 9-13.

    [45] ASC A1411101, lett. Fagnano - don Bosco, 3 gennaio 1878.

    [46] CF Vanni Blengino, Il vallo della Patagonia. I nuovi conquistatori: militari, scienziati, sacerdoti, scrittori. Reggio Emilia, Edizioni Diabasis 1998.

    [47] Negli anni seguenti l’esercito si sarebbe inoltrato verso le Ande, costringendo gli ultimi cacichi alla resa, cosicché nel 1885 dal Río Colorado a Capo Horn la Patagonia, comprese le isole, sarebbero state inglobate nella nazione argentina.

    [48] Sul tema vedi Pedro Navarro Floria, “Salvaje y barbaos: la construction de la idea de barbarie en la frontera sur argentina y chilena: sigo XVIII-XIX); “Saber y tiempo”. 2. Buenos Aires 1996.

    [49] Il tema è controverso, a seconda dei diversi punti di vista in cui ci si colloca: storico, politico, culturale, antropologico… Non è qui il luogo per aprire il dibattito: ci basterà attenerci ai fatti in cui vennero coinvolti i salesiani e alle valutazioni maturate fra di loro. Per la parte storica rimandiamo a Estanislao Cevallos, La conquista de quince mil leguas. Buenos Aires, La Prensa 1878; Guillarme Gasio - Maria San Román, La conquista del progreso, 1874-1880. Buenos Aires, La Bastilla 1984. Per l’ambito salesiano si veda Juan Belza - Raúl Entraigas - Cayetano Bruno - Pascual Paesa, La expedición al desierto y los Salesianos. Buenos Aires, Edición don Bosco 1979.

    [50] Il citato diario di mons. Espinosa offre dettagli anche sul viaggio e l’operato dei due salesiani.

    [51] ASC A1401001, lett. Costamagna - Don Bosco, 3 febbraio 1879. L’ASC conserva varie lettere di don Costamagna durante la campagna del deserto.

    [52] Luigi Lasagna, Epistolario. Introduzione, note e testo critico a cura di Antonio da Silva Ferreira. Volume I. (1873-1882) lett. 1-122. (= ISS - Fonti, Serie seconda, 5). Roma, LAS 1995, lett. 76, 8 maggio 1880 a mons. Cagliero.

    [53] Edita in Bollettino Salesiano, II (novembre 1879) 1-3.

    [54] E(m) V, lett. 3076, 15 settembre 1869.

    [55] E III, lett. 2017, 22 marzo 1880.

    [56] Il lungo memoriale è edito in E III, lett. 2033, 13 aprile 1880.

    [57] Ibid., lett. 2034, 15 aprile 1880.

    [58] Ibid., cit. in lett. 2108, 12 novembre 1880.

    [59] Entrambe le lettere sono datate 31 gennaio 1881: E IV 2129, 2141.

    [60] ASC A1401106, 6 novembre 1081.

    [61] Ancora nel 1884 mons. Matera sarà critico con i Salesiani, sostenendo, forse con ragione, che un eventuale contrasto con il governo per la nomina di un non riconosciuto Vicario avrebbe peggiorato la situazione, ma certamente a torto che “in Patagonia non vi sono più Indii Selvaggi”. Sempre a su giudizio era impossibile “penetrare nella Patagonia senza il permesso del Padrone che è l’attuale Governo Argentino”, “molto poco religioso”: ASC B683 lett. Cagliero - mons. Domenico Maria Jacobini, 8 aprile 1884.

    [62] Raul Entraigas, Los Salesianos en la Argentina. Vol. III. Buenos Aires, Plus Ultra, 1969, pág 329ss.

    [63] E. IV 2326 lett. al procuratore don Dalmazzo 29 luglio 1882.

    [64] Ibid., 2419, 29 luglio 1883.

    [65] R. Entraigas, Los Salesiano in argentina…, p. 357.

    [66] Ibid., p. 356.

    [67] E lett. 2439, lett. 31 ottobre 1883.

    [68] Se ne conservano i documenti nell’Archivio di Propaganda Fide in Roma.

    [69] In partenza da Torino don Bosco prudentemente gli aveva raccomandato che in caso di vessazioni facesse notare che quella salesiana era una società di cittadini italiani – con tutti i diritti civili riconosciuti anche in Francia e Spagna – venuti in America per educare i figli di Italiani in pieno accordo con ministri del Regno d’Italia (non certo sospetti di favoritismo religioso).

    [70] Di scuole per altro vi era necessità, visto che l’altissimo tasso di analfabetismo un po’ ovunque in America Latina. Nel 1869 in Argentina raggiungeva l’82% ed il 79% della popolazione non sapeva scrivere: Cf Carlos Floria - César García Belsunce, Historia de los argentinos. 2 vol. Buenos Aires, Larousse 1992, pp. 139-141; cf anche Ezequiel Gallo, Población y proceso social en Argentina. La República conservadora, t. 5°. Buenos Aires, Piadós 1990[70].

    [71] Stante tale situazione, l’opera salesiana in terra argentina poteva considerarsi più un’espansione geografica della propria missione educativa, che non una vera dimensione missionaria del proprio “carisma”. Una certa ambiguità era comunque nell’ordine delle cose nello stesso comportamento di don Bosco. La questione restò irrisolta a lungo, se ancora il 28 ottobre 1919 l’economo generale don Arturo Conelli in seno al Capitolo Superiore sosteneva che “La nostra congregazione è per l’educazione piuttosto che per l’evangelizzazione”: ASC D872, p. 7. Solo nel Capitolo Generale del 1910 si superò l’ambiguità.

    [72] Antonio Oneto aveva già proposto una missione cattolica nella Bahia di San Sebastian nella terra del Fuoco nel 1880 per contrastare gli anglicani di Usuhaia, ma sia mons. Espinosa che il nunzio Matera l’avevano giudicata impraticabile nel dicembre 1880. Mons. Fagnano visiterà la Terra del Fuoco il 21 novembre 1886: cf Cayetano Bruno, Los Salesianos y las Hijas de María Auxiliadora en la Argentina. Vol. I. Buenos Aires, Instituto de Artes Gráficas 1981-1984, pp. 445-456. Ma già il 9 aprile 1884 a mons. Jacobini don Cagliero aveva riferito che il Governo aveva chiesto a Espinosa sacerdoti per la Terra del Fuoco e questi si era rivolto ai salesiani (ASC B693, lett. 9 luglio). Poco dopo allo stesso comunicava che don Milanesio ed altri lungo le sponde del Rio Negro fino ai confluenti Limay e Neuquen avevano incontrato più di 20 mila indigeni e avevano scoperto, nell’area della Patagonia centrale, nuovi gruppi di Indigeni per un totale di oltre 13 mila. Al momento era in viaggio per Nahuel Huapi per catechizzare 1.700 Indigeni che "costretti dalla fame e dalla miseria si sono arresi alle truppe del Governo Argentino”. Inoltre riferiva che il Vicario Capitolare di Ancud, don Rafael Molina, aveva raccomandato a don Bosco le Missioni delle terre magellaniche, “né da lui né dai suoi antecessori potute visitare mai” (ASC B678).

    [73] R. Entraigas, Los Salesianos en la Argentina..., IV, p. 17.

    [74] ASC B683; v. anche ibid., p. 35.

    [75] Secondo calcoli approssimativi sopravvissero complessivamente nella Pampa e Patagonia circa 27 mila indigeni dei 75 mila presenti, ma andarono poi riducendosi continuamente per prigionia, schiavitù, alcolismo, malattie contratte a contatto con i bianchi. Questi che a fine anni settanta non raggiungevano i 20.000, nel 1885 erano già saliti a 30.000, per crescere poi fino a 60.000 nel 1895 e a 140.000 nel 1904.

    [76] ASC A1401003, Costamagna – Bosco, 27 aprile 1879.

    [77] Lett. Costamagna-Bodrato, 25 maggio 1879, edito in Bollettino salesiano III (agosto 1979) 5-6.

    [78] ASC A1401004 Costamagna – Bosco, 23 giugno 1879.

    [79] Riccardi-Lemoyne, 12 novembre 1885, citato in MB XVII 637.

    [80] Cf Maria A. Nicoletti, La imagen del Indígena de la Patagonia: aportes científicos y sociales de Don Bosco y de los Salesianos (1880-1920), in F. Motto (ed.), L’Opera Salesiana dal 1880 al 1922..., pp. 341-368; María A. Nicoletti - Pedro Navarro Floris, “Una imagen alternativa de las culturas indigenas de la Patagonia: don Bosco y la congregación salesiana”, in "Boletín de Historia y Geografia" 15. Universitad Catholica Silva Henriquez. Santiago de Chile, 2001, pp. 137, 153-167.


    Letti 
    & apprezzati


    T e r z a
    p a g i n A


    NOVITÀ 2025


    Incontrare Gesù
    nel Vangelo di Giovanni


    I sensi come
    vie di senso nella vita


    Noi crediamo
    Ereditare oggi la novità cristiana


    Playlist generazioneZ
    I ragazzi e la loro musica


    Pellegrini con arte
    Giubileo, arte, letteratura


    Ragazzi e adulti
    pellegrini sulla terra


    PROSEGUE DAL 2024


    Saper essere
    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana


     PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo
     


    NOVITÀ ON LINE


    Il viandante
    di Samaria
    Appunti sulla fraternità


    L'umanità sovversiva
    di Gesù
    Dialogo tra un parroco e un monaco


    Scandalo della povertà
    Voci giovani in "Testimonianze"


    Lupi e agnelli
    Storie educative


    Voci dalle periferie
    Per una PG segnata dagli ultimi

    Vent'anni di vantaggio
    Universitari in ricerca


    Storie di volontari
    A cura del SxS


    Voci dal
    mondo interiore
    A cura dei giovani MGS


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Main Menu