Recensione e segnalazione
pp. 232 - € 16,00
IN ESTREMA SINTESI
Atei, non credenti, increduli: è la rappresentazione che sempre più spesso viene data delle nuove generazioni. In effetti la negazione di Dio e l’indifferenza religiosa tra i giovani sta crescendo sensibilmente, anche per il diffondersi di un «ateismo pratico» tra quanti mantengono un legame labile con il cattolicesimo. Tuttavia, la domanda di senso è vivace. Per molti il sentimento religioso si esprime nella propria interiorità personale, passando da una dimensione verticale (lo sguardo alla trascendenza) ad una orizzontale (la ricerca dell’armonia personale). Tenendo presente questo profondo mutamento, il volume mette in luce il «nuovo che avanza» a livello religioso.
L'AUTORE
Franco Garelli insegna Sociologia dei processi culturali e Sociologia della religione nell’Università di Torino. Tra i suoi libri con il Mulino «Sfide per la chiesa del nuovo secolo» (2003), «L’Italia cattolica nell’epoca del pluralismo» (2006), «La Chiesa in Italia» (2007) e «Religione all’italiana. L’anima del paese messa a nudo» (2011).
UN'ANALISI PIÙ APPROFONDITA
Introduzione
Piccoli atei crescono è l’immagine della maggior novità che si registra oggi in Italia quando si parla di giovani e religione. Non si tratta dello slogan di una campagna anticredulità, messo in giro da atei militanti per annunciare che il paese è molto più distaccato dal cattolicesimo di quanto pensi la chiesa di Roma. Né, per contro, del grido di allarme lanciato da alcuni ecclesiastici che temono che le chiese vuote di giovani indichino la fine non tanto di un mondo, ma del mondo intero.
No. Questo libro è l’esito più rilevante di una recentissima ricerca nazionale (che si compone di un’indagine quantitativa e di molte interviste dirette) che mette a fuoco la situazione in campo religioso dei giovani dai 18 ai 29 anni che vivono nelle più diverse zone della penisola, abitano le nostre città e campagne, e – a seconda dei casi – sono ancora alle prese con gli studi, già affacciati al mondo del lavoro, oppure fanno parte di quel mondo di precari e inoccupati che è uno dei crucci del paese. Si tratta della versione nostrana dei Millennials, della generazione Net o Next (e in parte Neet), da molti descritta come l’anello debole del sistema, o con una preposizione che sa di privazione: «senza fretta di crescere», senza un lavoro stabile e prospettive certe, senza un’intenzione ravvicinata di famiglia, senza le prerogative sociali possedute dai coetanei del passato, senza spazi e ruoli di rilievo capaci di offrire sicurezza e di far sentire la propria impronta generazionale.
I giovani italiani di oggi sono anche «senza Dio»? L’immagine è troppo forte, ma certo il fenomeno della «non credenza» tra le nuove generazioni sta assumendo dimensioni impensabili soltanto sino a pochi anni fa, di cui c’è scarsa consapevolezza sia nell’immaginario collettivo sia tra gli stessi operatori del sacro. Interrogati sul nuovo che avanza a livello religioso (anche in campo giovanile) molti osservatori sono colpiti – e in parte abbagliati – dal fascino esercitato dalla cultura e dalle religioni orientali, dalla voglia di una spiritualità alternativa, dalla presenza di nuove fedi (soprattutto di matrice musulmana e del cristianesimo ortodosso) che arricchiscono il panorama religioso della nazione. Al punto tale da prestare scarsa attenzione a un’altra realtà che sta emergendo con grande vigore nelle nuove generazioni: l’insieme dei giovani che non soltanto vivono e si comportano come se Dio non esistesse ma che dichiarano in modo esplicito di essere «non credenti», di aver rimosso dalla propria carta di identità un riferimento ultimo e trascendente, di non avvertire più l’esigenza di una cittadinanza religiosa. E ciò in un paese di lunga tradizione cattolica, che vede quindi indebolirsi un legame culturale da sempre distintivo della nazione [Cartocci 2011].
Atei forti e atei deboli.
Da quanto appena detto, risulta evidente che la «non credenza» è una tipica categoria «ombrello», sotto la quale si annidano particolari definizioni e sensibilità, come hanno messo in evidenza tutti gli studiosi (soprattutto stranieri) che si stanno occupando di un fenomeno sin qui poco studiato dal punto di vista empirico in ogni parte del mondo [Bainbridge 2005; 2009; Bullivant 2008; Stoltz et al. 2016; Cipriani e Garelli 2016].
Sotto l’etichetta «non credenti» rientrano anzitutto i soggetti di condizione atea o agnostica o indifferente nei confronti della fede e della religione, che tuttavia possono interpretare questi orientamenti in termini variegati. Nel definirsi tali, alcuni adducono specifiche motivazioni teorico-ideali, altri ragioni ideologiche, altri ancora appaiono meno riflessivi o utilizzano i suddetti termini in modo interscambiabile, facendo ricorso più a categorie di senso comune che a criteri qualificati. Tuttavia, al di là di queste varianti e del diverso livello di consapevolezza che sorregge tali orientamenti, ciò che accomuna nel profondo l’insieme di questi giovani sembra essere una doppia convinzione: l’impossibilità di conoscere ciò che supera l’esperienza umana; e la consapevolezza di non aver bisogno di Dio per condurre una vita sensata [Lecaldano 2015], ricercando o ritrovando dunque altrove il senso di un’esistenza degna e compiuta. Di qui il disinteresse per le questioni religiose, il rigetto della visione della realtà proposta dalle religioni, il riconoscimento dell’incompatibilità tra scienza e fede; cui fa seguito in vari casi un atteggiamento particolarmente avverso nei confronti della religione prevalente nel proprio ambiente di vita, alla quale si imputa di esercitare un’influenza nefasta sia sugli individui sia sull’insieme della società. Ecco, in estrema sintesi, i tratti dello «zoccolo duro» della non credenza, che per comodità (e semplificando) potremmo definire «ateismo forte».
Ma a fianco degli «atei forti» vi è la categoria degli «atei deboli», anch’essa variegata al proprio interno. In questa sfera rientrano i giovani che negano Dio più per le pressioni del proprio ambiente di vita che per specifiche convinzioni personali, uniformandosi al sentire diffuso tra i coetanei che frequentano; quasi fosse una moda culturale che si fa propria per emanciparsi da un legame religioso che i più considerano antimoderno. Ma anche quanti risultano apatici o disinteressati nei confronti di un orizzonte di fede, nonostante non siano privi di dubbi e di crucci esistenziali. Questo «ateismo pratico» [Lalouette 2010; Hackett et al. 2015] è più difficile da cogliere nelle statistiche, in quanto coinvolge giovani che non spezzano il legame con le religioni istituite o prevalenti, pur standosene ai margini. Persone, dunque, lontane dagli interessi e dagli ambienti religiosi, non ostili nei confronti della fede, ma mai coinvolte; la cui indifferenza religiosa è perlopiù legata al fardello della vita o all’eccessiva attenzione dedicata al successo personale e ai bisogni materiali [Dagens 2009].
Il profilo qui descritto è ben illustrato da una delle tante e interessanti testimonianze da noi raccolte. Una ragazza di 25 anni, che si definisce «agnostica», così racconta l’esperienza religiosa più coinvolgente che ritiene di aver sin qui vissuto:
L’unica cosa che mi viene in mente è il fatto che quando avevo 21 anni e mi trovavo in Cina per un’esperienza di studio di un anno – non frequentavo più la chiesa da diversi anni e le mie convinzioni religiose erano ormai vacillanti – ho sentito il bisogno il giorno di Natale (quando attorno a me nessuno viveva o sentiva questa festività e io avevo una forte crisi nostalgica) di andare in chiesa, l’unica chiesa cristiana di tutta la città, non sapevo neppure se fosse cattolica o meno. Ricordo anche che in Cina, quando mi chiedevano in merito alla mia confessione religiosa, rispondevo senza esitare di essere cristiana, diversamente da come avrei fatto in Italia.
Il versante dei credenti.
Sostenendo – in base ai dati della nostra ricerca – che la non credenza giovanile in Italia è in sensibile crescita, non intendiamo affermare la marginalità o l’irrilevanza della condizione «credente» tra le giovani generazioni. Quella da noi promossa è pur sempre un’indagine dedicata a sondare come l’insieme dei giovani affronta oggi la questione religiosa; che ci ha permesso di cogliere da un lato la consistenza e la rilevanza culturale (per vari aspetti inattese) della componente dei «senza Dio» o dei «senza religione», e di verificare dall’altro ciò che succede nell’area giovanile che continua a mantenere nel tempo – pur con un’intensità diversa – un legame con la fede e la religione. Anche a questo livello emergono interessanti indicazioni, che confermano tendenze conosciute e delineano alcune novità. Una conferma è rappresentata dal fatto che la maggior parte dei 18-29enni italiani che ancor oggi dichiarano di credere in Dio continua in qualche modo a riconoscersi nella religione della tradizione, in quei principi cattolici cui sono stati introdotti e orientati sin da piccoli; essendo assai debole nel nostro paese – anche tra i giovani – la propensione a convertirsi ad altre fedi religiose storiche; e ciò nonostante che alcuni siano attratti dalle religioni orientali o guardino con ammirazione alla fede testimoniata dai coetanei di matrice musulmana.
Tuttavia, all’interno dell’appartenenza cattolica si avverte di generazione in generazione un doppio dinamismo: l’indebolirsi del rapporto con la chiesa e l’affermarsi di un sentire religioso sempre più soggettivo e autonomo. Non manca una minoranza di giovani cattolici assai convinti e attivi, che esprimono una fede vitale e impegnata nelle comunità locali, a seguito di esperienze positive vissute in famiglia e negli ambienti ecclesiali. Ma nell’insieme dei giovani «credenti» prevalgono – come già succede per la popolazione adulta – quanti esprimono un cattolicesimo più delle intenzioni che del vissuto; e soprattutto coloro che aderiscono alla religione cattolica più per motivi «ambientali» e culturali che spirituali, ritrovando a questo livello un’appartenenza identitaria che offre sicurezza in un mondo sempre più precario e plurale, anche dal punto di vista religioso. Si tratta di un modo di essere «religiosamente connessi senza essere religiosamente attivi»; che mantiene un legame con una comunità religiosa, ma con un «impegno decaduto»; definito anche come l’ultima tappa della secolarizzazione, tipico di un attaccamento religioso assai esile e allentato «prima che i legami abbiano a sciogliersi del tutto» [Demerath 2000].
Tra le novità si avverte, sia dentro sia fuori il campo cattolico, una grande domanda di senso (circa la vita personale e sociale) che guarda a sentieri e ad approdi diversi, sovente più auspicati che percorsi, più oggetto del desiderio che di pratiche di vita. Mentre è in sensibile aumento, rispetto al passato, la quota di giovani alla ricerca di spiritualità alternative, che prendono parte a incontri sulle religioni orientali, si interessano dei nuovi movi- menti religiosi, coltivano l’armonia e il potenziale umano secondo declinazioni che non appartengono alla nostra cultura. Ma pur in crescita si tratta di un fenomeno ancora minoritario e circoscritto tra i giovani italiani, parte dei quali combina queste istanze con le risorse spirituali acquisite dalla propria tradizione religiosa.
Tratti della non credenza giovanile in Italia.
Che significato assume per un paese come il nostro l’aumento di giovani che dichiarano in modo esplicito di essere non credenti?
Anzitutto si osserva che quanti si caratterizzano per posizioni atee o agnostiche o di indifferenza religiosa non hanno alcuna remora a definirsi e presentarsi come tali, nelle occasioni pubbliche e private in cui si parla di questi temi o ci si confronta almeno indirettamente su di essi. Vi è certamente qualche eccezione, che coinvolge soprattutto coloro che vivono nelle aree italiane più vincolate dalla tradizione; ma nel complesso oggi si respira a livello giovanile una grande libertà nel manifestare un orientamento estraneo alla fede e alla religione se esso rientra tra le proprie opzioni di vita. Non si tratta di un fatto di poco conto per la storia e la cultura del nostro paese, visto che in altre società pur culturalmente assai pluraliste – come ad esempio gli Stati Uniti – molti studiosi segnalano che il distacco dalle convinzioni religiose diffuse non è un processo indolore per quanti lo intraprendono [Baimbridge 2005; Wuthnow 2012]. Da noi invece una quota consistente di giovani non sembra avere problemi a smarcarsi da una tradizione e cultura incentrate sui valori cristiani, operando una scelta non priva di costi personali, considerati i benefici della religione (relazionali, affettivi, simbolici) che essi in tal modo si perdono. Insomma, si tratta di scelte che da un lato sfidano gli orientamenti prevalenti in una nazione in cui il cattolicesimo appare ancora diffuso; e dall’altro spingono chi le compie a concettualizzare il mondo senza ricorrere al concetto di Dio [Zuckernann 2012]. Tutti aspetti in qualche modo prefigurati da quanti hanno descritto il processo di «uscita dalla religione» che coinvolge quote crescenti di popolazione nelle società liberali [Gauchet 1985].
Proprio l’immagine dell’uscita dalla religione evoca un altro tratto che accomuna la maggior parte dei giovani che oggi si riconoscono in una visione secolarizzata e immanente dell’esistenza. Solo una minoranza di questi soggetti provengono da nuclei famigliari di matrice ateo-agnostica o indifferente alla religione, il cui imprinting li ha resi estranei nel tempo a qualsiasi proposta religiosa, offrendo loro altri riferimenti culturali. Per contro, molti giovani che oggi si dichiarano atei o non credenti hanno maturato questo orientamento dopo un percorso più o meno intenso di formazione religiosa, essendo stati introdotti dalla famiglia ai primi sacramenti della vita cristiana e avendo frequentato per un certo periodo gli ambienti ecclesiali. Per questi casi, dunque, si può parlare di un processo di socializzazione religiosa che – per le più diverse ragioni – si è interrotto in un particolare momento della propria biografia, in genere nell’età dell’adolescenza. Per alcuni si è trattato di esperienze che non hanno lasciato traccia nel loro vissuto o che li hanno allontanati da un orizzonte di fede e dagli ambienti religiosi; per altri il distacco è avvenuto nonostante siano stati coinvolti in situazioni che li hanno aiutati a crescere da vari punti di vista (nelle relazioni con gli altri, in qualche impegno di volontariato, nella riflessione interiore). In tutti i casi si è di fronte a soggetti la cui memoria delle esperienze vissute negli ambienti religiosi esercita un’indubbia influenza sul modo in cui essi oggi interpretano la condizione di «senza Dio» o «senza religione».
Un rapporto assai controverso nei confronti del cattolicesimo e della chiesa cattolica è un altro tratto distintivo dei giovani ateo-agnostici o indifferenti alla religione. La maggior parte di essi – come già accennato – esprime giudizi assai tranchant sul ruolo della chiesa nella società italiana, riproponendo l’immagine di un’istituzione sempre più vecchia, stanca e malandata, emblema – tra l’altro – di una religione «imposta» troppo precocemente ai giovani, frutto più di una decisione di altri e del condizionamento dell’ambiente che oggetto di libera scelta. Tuttavia, dietro l’insistenza con cui questi giovani puntano il dito contro i molti mali e limiti della chiesa sembra celarsi un curioso interesse per una realtà che si vorrebbe profondamente diversa, che non si considera definitivamente persa. Come se si fosse consapevoli che essa è troppo intrecciata con le vicende della nazione (e la vita di molte persone) per poterne auspicare la scomparsa; o che questo mondo contiene al proprio interno delle figure e delle opere esemplari, che rappresentano per tutti – credenti e non credenti – un richiamo alle cose che contano.
La biodiversità religiosa.
Tra le principali ragioni che spingono oggi i sociologi a interessarsi della non credenza vi è l’idea che l’incredulità e la fede siano le due facce della stessa medaglia. Si diffonde la convinzione di non poter comprendere appieno la fede religiosa senza tener conto della sua assenza, e in parallelo di quanto sia arduo capire la storia della religione senza immaginare la sua scomparsa o perlomeno il suo indebolimento [Bainbridge 2005]. Proprio dalla mancanza di fede si coglie maggiormente il ruolo della religione in una particolare società. Perché i non credenti rappresentano una sfida per i credenti, soprattutto nelle società di lunga tradizione religiosa; in quanto negando la presenza di Dio essi mettono in discussione un patrimonio di senso diffuso e costringono i credenti a meglio comprendere la propria fede, a non darla per scontata, a purificarla da forme improprie. Inoltre, guardando alla condizione dei non credenti si hanno preziose indicazioni circa il grado di apertura (di liberalità) che caratterizza un contesto ancora permeato dai valori religiosi.
Al riguardo, la nostra ricerca indica che si sta affermando nel paese un clima assai tollerante o comprensivo circa la possibilità o meno del credere, che non considera più la condizione credente come quella dotata di maggior senso o capacità di affrontare le questioni fondamentali della vita. Ciò perlomeno è quanto emerge dalla percezione e dal vissuto dei giovani, sia credenti che non. Quelli «senza Dio» o «senza religione» vivono questa opzione senza avvertire più lo stigma che le società del passato attribuivano agli increduli o ai miscredenti. In parallelo i giovani credenti (anche quelli religiosamente molto impegnati) non ritengono che chi la pensa diversamente stia facendo delle scelte al ribasso sui temi vitali. Lo stigma non è scomparso dai giudizi dei giovani di entrambi i gruppi, ma si indirizza verso quei coetanei che dimostrano scarsa coerenza. Siano essi – per usare le parole di alcuni intervistati – «cattolici che bestemmiano ma indossano santini» o atei-agnostici che «tra gli amici professano un grande distacco dalla religione, ma ogni tanto fanno i bigotti». Inoltre, i non credenti deplorano i giovani dalla fede fanatica e settaria, mentre dall’altro versante la critica si applica a un ateismo più di moda che di sostanza.
Insomma, pur nella diversità delle posizioni si delineano – tra giovani credenti e giovani senza fede religiosa – alcune convergenze ed affinità. Tra queste, il riconoscimento che le scelte sulla questione religiosa sono insindacabili se effettuate in libertà e con sufficiente grado di consapevolezza; l’idea del carattere «relativo» delle diverse opzioni in questo campo, in quanto esse dipendono dalla storia, dalla biografia e dal vissuto di ognuno; l’ammissione che vi sono approcci diversi nella ricerca del senso della vita, non tutti equivalenti, ma in gran parte degni di rispetto e considerazione. Infine, non pochi giovani (con o senza Dio) sono convinti che non sia affatto agevole nella modernità avanzata decidere da quale parte stare nei confronti di Dio; se optare per una concezione immanente della vita o aprirsi ad un orizzonte trascendente. Non mancano certamente tra i giovani degli atei incalliti, che denigrano la fede religiosa e quanti la professano; e in parallelo dei credenti granitici che denunciano il vuoto di valori connesso alla morte di Dio nella modernità avanzata. Tuttavia, nell’insieme, sono molti di più i giovani (credenti e non) attenti gli uni alle buone ragioni degli altri, delineando una possibile convivenza pur nella diversità degli orizzonti.
Prevale dunque il riconoscimento della differenza sulle questioni religiose, la consapevolezza che anche in questo campo la diversità è un prodotto della modernità e in quanto tale da accettare come un principio di realtà; allo stesso modo in cui per le generazioni del passato era scontato identificarsi in una fede religiosa, vissuta come parte integrante del proprio destino. In un’epoca che celebra la varietà dei mondi vitali, la ricchezza degli ecosistemi, è gioco forza riconoscere che esiste anche una biodiversità religiosa da accettare e rispettare.
I giovani sono davvero più secolarizzati dei loro padri?
Vi è un altro punto importante su cui si registra una buona convergenza tra giovani credenti e giovani atei o agnostici o indifferenti alla religione: la messa in discussione dell’idea che la loro sia la generazione più secolarizzata della storia (perlomeno nazionale); in altri termini che le generazioni precedenti (cioè i loro genitori e nonni) siano l’emblema di una fede più convinta e partecipata rispetto a quanto si registra oggi nell’universo giovanile. Una quota di giovani condivide questa opinione diffusa nella società, ma la maggior parte prende le distanze da essa, rilevando sia il carattere «obbligato» e formale di molta religiosità del passato, sia soprattutto la non comparabilità delle diverse situazioni. Si tratta di una percezione dal basso che nega – con riferimento agli ultimi decenni – che vi sia stata «un’età dell’oro della fede» oggi compromessa da una cultura che ha voltato le spalle alla proposta cristiana. È a questo periodo dorato della religiosità a cui pensano molti osservatori e uomini di chiesa quando oggi lamentano il calo delle vocazioni, le chiese semivuote (soprattutto di giovani), l’analfabetismo cristiano delle nuove generazioni. Ed è ovvio che il trend delle statistiche non può che supportare questa convinzione diffusa, che tuttavia – stando alla riflessione di non pochi giovani – enfatizza la solidità della fede del passato mentre sottostima il diverso approccio dei giovani alla questione religiosa. Su questo punto Charles Taylor ha scritto pagine illuminanti, che invitano alla cautela nel mettere a confronto epoche profondamente diverse tra di loro sul versante religioso. In genere quando si parla di questi temi il pensiero corre immediatamente alla diminuzione della credenza e della frequenza ai riti, all’allontanamento delle persone da Dio e dalle chiese, e si usano le statistiche per misurare il trend di secolarizzazione che si sta consumando nella società da un periodo all’altro. Ma si tratta perlopiù di valutazioni improprie, in quanto si opera un confronto tra situazioni sovente assai distanti tra loro, per il diverso tipo di esperienza morale, religiosa e spirituale che contraddistingue i periodi presi in esame [Piana 2014]. Perché un conto è aver fede ed esprimere una pratica religiosa in una società in cui era praticamente impossibile non credere in Dio (in cui la religione aveva un’evidenza pubblica e collettiva); altro conto è essere credenti e praticanti in un’epoca in cui la fede – anche per il credente più convinto – rappresenta solo un’opzione tra le tante [Taylor 2009]. È il clima prevalente che sta caratterizzando da tempo le società occidentali e le rende distintive rispetto a ciò che si registra ancor oggi in altri contesti, ad esempio nei paesi di cultura musulmana o nella società indiana.
E che cosa cambia con papa Francesco?
In un’indagine sulla religiosità o sull’irreligiosità dei giovani italiani di oggi non poteva mancare una sezione specifica dedicata al gradimento che papa Francesco incontra nelle giovani generazioni; per cogliere, in particolare, se la presenza di un pontefice ritenuto «aperto» sui temi etici e sociali da gran parte dell’opinione pubblica favorisca un avvicinamento dei giovani a una chiesa sin qui percepita come distante dai canoni della modernità avanzata. In altri termini, si registra un «fattore Francesco» tra i giovani? Capace anche di interpellarli sul versante della fede e della riflessione religiosa? Su questi punti, emergono dalla ricerca indicazioni oltremodo interessanti, anche se non sempre univoche e scontate.
La grande maggioranza dei giovani è colpita da un pontefice che sembra informato da uno spirito antisistema, sia nei confronti della sua chiesa sia per come va il mondo globale. Che da un lato vuole una chiesa «in uscita» dalle sue antiche certezze, meno burocratica e più umana, non invischiata nelle vicende politiche delle diverse nazioni, in dialogo con il mondo laico e con quanti pensano e vivono diversamente, più prossima alla condizione degli ultimi e al dramma degli emigrati. E che dall’altro promuove una politica ecclesiastica più globale e universale, meno legata all’Occidente; che rivaluta le periferie del mondo, denuncia le ingiustizie del mercato e gli squilibri ambientali del pianeta, afferma il diritto di tutti i popoli a essere soggetti attivi e responsabili del proprio sviluppo.
Tuttavia non tutto fila liscio nel rapporto tra i giovani e il papa argentino. Non mancano quanti vedono ombre in questo pontificato, o perché giudicano le aperture più di facciata che di sostanza, o perché ritengono la chiesa cattolica non riformabile. Vi sono poi quelli che operano dei distinguo, identificandosi in alcune scelte dell’attuale papa ma distanziandosi da altre. Una minoranza consistente di giovani ritiene che questo pontificato sia fonte di divisione dentro la chiesa e coltivi più i temi della giustizia sociale che il senso del sacro e le ragioni dello spirito. Non tutti poi condividono la visione del papa sulla questione migratoria, riflettendo tensioni che si registrano in alcune aree del paese di fronte ad una presenza straniera ritenuta sempre più ingombrante.
In tutti i casi, si tratta di un pontefice che lascia un segno non solo nel dibattito pubblico ma in molte coscienze. Almeno la metà dei giovani riconosce di essere stata spinta da questa presenza a riavvicinarsi alla fede o ad aumentare il proprio impegno religioso.
In questa introduzione abbiamo offerto un’idea dei principali argomenti trattati e dei più importanti risultati di ricerca su cui è costruito il presente volume, frutto di un progetto dedicato al tema «Ateismo e nuove forme del credere» nelle giovani generazioni, promosso e realizzato dall’APSOR, Associazione piemontese di sociologia delle religioni, che ha sede presso il Dipartimento di Culture, politica e società dell’Università degli Studi di Torino. Per le notizie sullo svolgimento, le modalità e gli strumenti dell’indagine si rimanda all’appendice metodologica. Qui è sufficiente richiamare che il materiale di lavoro proviene da una doppia fonte empirica: anzitutto una ricerca quantitativa (realizzata tramite questionario e svolta nel 2015 dall’Istituto demoscopico Eurisko di Milano) che ha coinvolto un campione nazionale di 1.450 soggetti, rappresentativo della popolazione italiana di età compresa tra i 18 e i 29 anni; e in secondo luogo, un’indagine qualitativa (effettuata utilizzando una traccia di 12 domande) grazie alla quale abbiamo raccolto un buon numero di interviste dirette (144) tra studenti universitari di due città italiane (Torino e Roma). Ringrazio Alberto Marinelli per l’aiuto che ci ha offerto su Roma.
Sia il progetto di ricerca sia il presente volume sono frutto dell’interazione e dell’impegno di un gruppo di studiosi che da tempo collaborano con chi scrive allo studio dei fenomeni religiosi nella modernità avanzata e che operano nel Dipartimento universitario prima ricordato. Si tratta di Simone Martino, Stefania Palmisano, Roberta Ricucci, Roberto Scalon; ognuno dei quali ha firmato un capitolo di questo lavoro. Inoltre, Martino ha curato l’elaborazione dei dati della ricerca e Ricucci la messa insieme della bibliografia del volume. Ringrazio ognuno di loro per l’apporto qualificato che hanno offerto a questa comune impresa scientifica, che segue di qualche anno il lavoro di ricerca confluito nel libro Religione all’italiana edito dal Mulino nel 2011.
La realizzazione dell’indagine – svolta in piena autonomia dal gruppo di lavoro – non sarebbe stata possibile senza i contributi finanziari messi a disposizione dai due sponsor di questo progetto: la Fondazione Cassa di Risparmio di Torino e il Progetto culturale della Conferenza episcopale italiana. Ad essi dunque va il nostro più vivo ringraziamento.
INDICE
Introduzione
I. Ateismo in crescita e secolarizzazione dolce
1. Una generazione incredula
2. Lo zoccolo duro della non credenzA
3. La varietà della credenza e della non credenza. Confini porosi
4. I diversi tipi religiosi in Italia e forme di ateismo pratico
5. Credenti e non credenti a confronto. Idee e pratiche religiose
6. Quel che resta di una socializzazione religiosa diffusa
7. Famiglie religiosamente labili
8. Differenze di genere e territoriali
II. È plausibile per i giovani d'oggi credere in Dio?
1. Perché è possibile oggi credere in Dio
2. Le sorti della fede nella modernità avanzata
3. Ostacoli per il credere oggi
4. Occorre un outing della fede?
5. Plausibilità della fede, ma... a precise condizioni
6. Una credenza passe-partout?
7. Quelli per cui la fede è un vuoto a perdere
III. La fede religiosa al vaglio delle generazioni
1. Uno stile di generazione?
2. Il gap generazionale
3. Riserve sulla fede del passato
4. Tra genitori e nonni
IV. Lost in transition? Percorsi di socializzazione religiosa
1. Modelli di socializzazione religiosa
2. L'alieno
3. Il secolarizzato
4. Il naufrago
5. L'intermittente
6. Il convinto
7. Famiglia, ma non troppo
V. Io ballo da sola. Lontani dalla chiesa, non da Francesco
1. Andare in chiesa è da «sfigati»?
2. «Neanche un prete per chiacchierar»
3. L'ambivalente percezione della chiesa cattolica
4. Papa Francesco: molte luci e qualche dubbio
5. Fede senza chiesa?
VI. Una generazione «senza Dio»?
1. Il fenomeno dei giovani «senza Dio»
2. I profili della non credenza
3. Il panorama dell'indifferenza religiosa
4. La prima generazione incredula?
5. L'indifferenza religiosa, una moda culturale?
VII. La spiritualità del dio personale
1. Sulle tracce della spiritualità in Italia
2. Il milieu olistico dei giovani italiani
3. Il rompicapo del genere
4. Le ricerche spirituali non sono tutte uguali
5. Spiritualità, religione e ateismo. Così lontani, così vicini
Conclusioni. Il tempo delle religiosità instabili
Nota metodologica
Riferimenti bibliografici