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    Una lettura «profonda» delle testimonianze /4. Un pedagogista



    Pietro Gianola

    (NPG 1977-10-39)

    Undici testimonianze, prive di una precisa collocazione di luogo e di situazione, sono un punto di riferimento troppo incerto per tentare qualche giudizio e per dare qualche suggerimento di natura metodologica.
    Eppure già entro spazi così limitati gli stimoli sono molti. Il peso degli argomenti accennati è oggettivamente rilevante. Vi si parla infatti dei giovani d'oggi nel loro complesso vivere quotidiano, di Dio che attraverso Gesù di Nazareth li cerca per incontrarli e liberarli fino alla salvezza, di giovani preti (beati loro!) che hanno impegnato e tuttora impegnano interamente la vita per accompagnare i giovani sulla via che va a Dio e Dio sulla via che va ai giovani.
    Intervengo su due linee: qualche nota in margine alla lettura dei documenti (che per comodità ho siglato usando le iniziali degli autori), poi qualche libero suggerimento per ulteriori sviluppi dei temi in chiave appunto «metodologica».

    NOTE IN MARGINE ALLA LETTURA

    Significato di una domanda-risposta «personalizzata»

    Dal metodo si passa facilmente alla sostanza. Le domande sono rivolte a «preti» singoli con una richiesta di riflessione e risposta che corrisponda alla «personale» esperienza, supponendo che questa abbia un rilievo per definire oggi quel che ogni prete è sulla base di quello che creativamente sente e fa.
    Infatti nelle risposte emergono tracce dei programmi di formazione, delle definizioni e delle attribuzioni ufficiali. Ma è vivissimo il peso della mediazione personale.
    G.Z. passa presto al plurale; però quanto ha realizzato con i suoi amici è una iniziativa originale per lo scopo e per il metodo. Ne ha ricavato «un enorme cambiamento». R.S. attacca decisamente con un «per me» che prosegue con una originale sintesi di educatore-salesianoprete. A.R.: «i ragazzi, e non i libri di teologia, mi hanno insegnato a fare il prete». Ma ognuno degli altri non ha difficoltà a riferire la personale esperienza. Dunque questa c'è e la sua forza decisiva è rilevante.
    Una volta avremmo avuto più citazioni erudite e pie, meno confessioni.
    Fare il «prete» non è più un «programma», è un «problema», un «mistero»
    Non è mai stato un programma se non per i preti pigri. I veri preti hanno sempre inventato creativamente il loro dialogo di presenza e azione tra gli uomini di ogni tipo. Don Bosco s'è fatto in gran parte il «suo» programma. Cioè ha affrontato il «problema» del sacerdozio tra i giovani ai suoi tempi e nei campi da lui privilegiati, e ha vissuto un autentico «mistero» di viva invenzione di amore e di intervento creativo di rapporti, di influssi, di opere, di metodi. Su questa linea sono quasi tutte e quasi sempre le undici testimonianze. «Non pare che si possa trovare uno schema per fare il prete oggi coi giovani» (A.R.). «Man mano vado avanti in età, man mano diventa sempre più struggente in me...». «La realtà è... la contraddizione strutturale istituzionalizzata» (P.B.). «La tensione al cambiamento radicale, la composizione di opposte esigenze, la voglia di rompere e di far nuovo, il non sentirsi mai da una parte soltanto... La Chiesa non quadra mai» (D.S.). «Mi ritrovo... a rivivere ogni giorno per realtà nuove, modalità diverse. Non esistono strutture, schemi prestabiliti che vadano per tutti, bisogna inventare, provare, fare marcia indietro, tacere, gridare» (W.C.). «Ho abbandonato la " via vecchia ", ma non ho trovato ancora quella " nuova ". Insieme alla mia nuova comunità sto tentando di " inventare " il mio futuro» (C.B.).

    Valore metodologico delle crisi, negative e positive

    Il momento in cui nel prete d'oggi di fronte ai giovani scoppia la creatività di una presenza nuova, di un dialogo duttile, fluido, di un nuovo modo di essere e di fare, è un duplice momento di crisi.
    Crisi negativa: certezza che qualcosa non va più. «Il prete non è l'uomo straordinario che ha la soluzione pronta per ogni problema... La sua presenza non è per convertire... Il prete non ha il compito di etichettare» (A.R.). «Non ci sono fette di potere da gestire» (M.L.). «Sono un timido e ho paura di manipolare le coscienze» (P.B.). «Non ho bisogno di tanti bar» (D.S.).
    Crisi positiva: certezza che qualcosa di nuovo e migliore già è possibile e urge nel rapporto del prete con i giovani. «Bisognerebbe che mi sentissero amico, leale con loro, comprensivo dei loro problemi e anche delle loro debolezze... La mia vita è mangiata» (W.C.). «Mi imbattei nei fratelli Barrigan..., in Don Gerardo Lutte..., in Don Sandro Vesce... Ma soprattutto mi colpì la figura di Mons. Fragoso... Adesso lavoro in un sobborgo popolare» (C.B.). Le nuove presenze e la libera creatività hanno la loro positiva sorgente in una nuova urgenza della Parola di Dio, dell'Eucaristia, del gruppo e della comunità generale e giovanile in particolare, in una lezione educativa che proviene dai giovani medesimi con le loro profonde domande esistenziali, con la loro complicata disponibilità, perfino con le loro resistenze (M.L., E.R., P.B.).

    «Un amico, solo amico, veramente amico» (G.Z.)

    Con gli altri resta l'amicizia e qualcosa di più. Per amicizia esigono una fedeltà e una coerenza» (P.B.). «Non so se sia scandaloso o disdicevole dire che per i miei ragazzi ero prima e soprattutto un amico. E per molti sono rimasto solo amico... trattato come uno di loro, senza rispetto. Quale rispetto più genuino che essere considerato e sentito veramente un amico?» (G.Z.). «Man mano che si crea l'ami-cizia, il fatto di essere prete viene quasi dimenticato e divento un amico tra gli amici. Anche il ruolo di animatore rimane sfumato... Credo di sentirmi prete soprattutto quando mi riesce di far fare ai giovani esperienze di amicizia, di solidarietà, di comunità di vita, di chiesa, di ascolto della parola di Dio» (M.L.). «Nei rapporti con i giovani " amici " c'è molto meno apparenza (che nella scuola), ma ben più sostanza» (E.R.).

    Scelta di metodo: uomini che fanno un pezzo di strada insieme ai giovani

    È stato il metodo di Gesù sulla strada di Emmaus.
    «È decisamente importante avvicinare e lasciarsi avvicinare, ma " svuotati del segno ", dimostrando la maggior disponibilità per un incontro che sia stimolante da entrambi le parti... Mi riferisco agli isolati, quelli che ti capitano all'improvviso, quelli che con te hanno un rapporto di amore-odio, per i quali, nonostante remore ideologiche o altro, rappresenti qualcosa, diventi e sei ancora la «persona» richiesta nei momenti-chiave» (P.B.). «Il problema non è stanto sull'essere prete (= funzione ministeriale), quanto sull'essere uomo-prete ( = funzione evangelizzatrice, testimoniale: non funzione ma vita)... Avvicino e amo con affetto aperto... in modo che permetta loro di sentirsi profondamente liberi... Questo è soprattutto vero con " gli ultimi ", quelli che non si sentono abbastanza amati da nessuno, personalmente mai considerati da nessuno» (G.V.). «Essere educatore tra i giovani... è per me mettermi all'interno di un cammino pienamente umano e lì abbozzare, delineare, far nascere una risposta che non è una ricetta, ma una persona sconvolgente: Gesù di Nazareth, il Cristo... Si incomincia a intravedere un cammino di approfondimento (D.S.). Tutto come a Emmaus. Compreso il fatto che «la mia vita è mangiata» (W.C.).

    Un modo nuovo di intendere per il prete la pastorale e l'educazione?

    «Se si vuole che il prete oggi assuma un ruolo fedele a Cristo e consono all'ora, è necessario che cambi lo stile personale del prete». E questo nuovo ruolo lo deve inventare insieme con la sua comunità» (C.B.).
    «Resto sbalordito dall'enorme cambiamento avvenuto nei rapporti, stile, impostazione, problematiche, sensibilità... Sembra addirittura un altro mondo» (G.Z.). «I giovani sanno che sono anche un prete, anche perché in alcune circostanze " forti " hanno la possibilità di rilevarlo... Ho la netta sensazione di essere un prete " a tempo ". Il che non mi dispiace... Mandato per i giovani, educatore, amico, con la possibilità di un servizio in più... come loro lo richiedono, o fino a quando e quanto loro lo richiedono» (R.S.).
    Altri preti seguiranno la metodologia pastorale e educativa delle élites cristiane. Queste undici testimonianze non esauriscono le scelte di campo. Eppure mi sono simpatiche. Per connaturalità, forse salesiana. C'è maggiore disponibilità e più larga fedeltà. Si sente abbastanza l'ansia cristiana di Don Bosco per «i giovani», e non solo per quelli che permettono un certo livello di «sacerdozio». «Giovani " credenti» e " non credenti ".... Probabilmente non abbiamo operata nessuna " conversione "» (G.Z.).
    Mediatori di una tradizione? Sì, ma operando quasi sempre un lavoro (coraggioso, sofferto, però anche assicurante nuovi respiri) di scrosta-mento dei secolari depositi che hanno appesantito il prete e la sua azione. «Si passano tante ore a parlare, a discutere, a cercare insieme un senso ai fatti, a " restaurare " l'immagine di Cristo, che c'è già» (D.S.).
    «Il prete non ha il compito di etichettare» (A.R.). «Lo si vuole non autoritario... pronto a dare spazio a tutti coloro che siano sinceramente innamorati della verità e della giustizia, che sono poi attributi di Dio» (C.B.).
    «Libero da intrallazzi (più o meno puliti)... testimone (un poco utopista) di valori pieni (senza compromessi) e comprensivo senza connivenze: la santità, la perfezione, la purezza evangelica... hanno nomi nuovi in questo contesto» (G.V.).
    C'è in questi «preti» il realismo educativo non di chi smania per una pedagogia dell'offerta, ad ogni costo, di valori e ruoli dai contenuti e dai ritmi prestabiliti, ma di chi ama i giovani vivendo e crescendo con essi, intervenendo con una pedagogia basata e ritmata sull'onda delle loro domande accolte fino entro l'anima, interpretate nei loro complessi riferimenti, educate per aprirne la profonda autenticità e per aprirle alle integrazioni umane, sociali e cristiane. «Traduco momento per momento la presenza amorevole di Cristo che sta in mezzo ai giovani, li ascolta, fa delle domande, si interessa dei loro problemi, suscita degli interrogativi» (W.C.). In questa «pedagogia della domanda» giovanile, «la risposta più profonda sta lì a rischiare di essere troppo consueta per riuscire significativa o troppo difficile e lontana per entrare nella vita: Gesù Cristo... Se punti all'incontro con Cristo nella Chiesa, sei sempre un prete» (D.S.). «Sono convinto che... questa debba essere Pimpostazione pastorale: sintonia con i loro interessi (non solo condividere le idee, ma lavorarci insieme) e amicizia» (G.Z.).

    PROSPETTIVE E SUGGERIMENTI

    Nella prima parte ho «riflettuto» a caldo mentre leggevo le «testimonianze» dei «preti dei giovani».
    Mediante una mia libera ricostruzione ho creduto di «interpretare» le linee di tendenza che mi sono sembrate più valide per una prima ricostruzione metodologica.
    «Prospettare» dei suggerimenti, ancora dal mio punto di vista? Non è semplice. Per la complessità dei temi, per la necessità di restare entro il quadro di impegno presentato dalle testimonianze. Il mondo dei giovani è vastissimo, e estremamente diversi sono i modi per intervenirvi. Perciò mi limito a poche note quasi a conclusione delle precedenti.

    L'«uomo»-prete per essere un «buon prete»

    Non esiste una persona del «prete» cui si sovrapponga una metodologia pastorale e educativa. La metodologia fa corpo con il soggetto che la pratica. Si fa in un certo modo perché si è in un certo modo. E si diventa qualcuno «competente» per operare in modo valido e efficace non solo per via di dottrina e di «segni» esterni, ma per maturazione di una precisa mentalità, sensibilità umana e cristiana modalità di reagire e di agire da preti.
    Per garantirsi una competenza da «prete d'oggi» è indispensabile che vi sia la partenza da una matura base di personalità e vita di uomo e di cristiano. La tensione operativa sacerdotale autentica sembra presentare come due linee di forza: una esistenziale dell'uomo-prete medesimo, che per sé e con gli altri sale verso Dio, in cerca di verità, di valore, di senso, di amicizia, di salvezza, via che percorsa e ripercorsa fino al fondo gli permette di e lo spinge a farsi compagno e guida per gli altri in una continua tensione di ricerca non solo speculativa, ma soprattutto liberatrice totale dell'uomo fino al cristiano; l'altra religiosa, propria di chi raggiunto Dio e instauratosi nel Cristo arde del suo Spirito di amore per i fratelli in una diffusiva tensione di dono, di comunicazione, di comunione cristiana.

    Il prete giusto al posto giusto

    Vale anche per il prete la norma: il prete giusto al posto giusto. Che servono troppi preti sbagliati tra i giovani? Ed è prete sbagliato chiunque nelle parrocchie, nei gruppi, nelle scuole e negli istituti, negli incontri occasionali, non porta loro nulla per la vita, oppure si fa vestale di valori esterni come l'ordine, la disciplina, la produzione, la scienza e l'arte, la moralità, senza operare una mediazione penetrante interna liberatrice d'umanità, oppure chi insiste nell'umano e non si fa liberatore verso il religioso, il divino, il cristiano.
    Si è inoltre preti giusti per i giovani solo se si corrisponde alla loro effettiva situazione, che ora accetta e richiede le vette e ora domanda di partire insieme da lontano, di percorrere strade sconosciute alla maggior parte delle persone per bene (preti ordinari compresi). Non esiste il prete tuttofare. Si può essere preti giusti solo con quei giovani con i quali si può condividere in qualche modo l'umanità situazionale con profondo e sincero amore di accettazione.

    Esistono criteri di priorità?

    Assoluti no, perché tutti i giovani hanno diritto a un prete, in ogni condizione di vita umana e cristiana.
    Ma vorrei che nell'insieme vi fossero sufficienti preti che sentissero soggettivamente «vocazioni» concrete prioritarie in alcune direzioni:
    – per formare gruppi e comunità giovanili dovunque è possibile;
    – per fornire presenze significative dovunque si radunano e crescono giovani;
    – per sviluppare fermenti cristiani d'ambiente sociale, cioè per animare da preti adeguati centri di riferimento libero di masse giovanili per le diverse età e condizioni;
    – per avviarsi ancora insieme a Cristo all'incontro dei «poveri», cioè di quei quattro strati di gioventù «povera e abbandonata» che stanno al di sotto dei soggetti cui si dedicano abitualmente la quasi totalità dei preti, cioè fino all'intervento in molti, o almeno sempre in qualcuno, dei casi di emarginazione giovanile oggi diffusissimi (nessun prete e nessun gruppo che si rispetta dovrebbero mancare di farsi carico almeno di un caso, per verificare la verità delle chiacchiere che altrimenti si fanno sull'uomo e sul Vangelo).
    Non che debba fare tutto il prete. Di queste cose può e forse deve restare l'anima presbiterale. Egli deve potenziarsi nei cristiani, comunicare a molti altri le sue tensioni, valorizzare la vocazione-missione deí laici. Ma per fare questo deve alternare l'intuizione dell'amore e della esperienza con qualche modello di metodologia.

    Più metodologia?

    I grandi educatori devono ben poco allo studio sistematico della metodologia pastorale e educativa. I grandi teorici generalmente nella pratica combinano poco. Forse è bene incontrarsi a metà strada, o camminare insieme e comunicarsi molte cose con reciproca utilità.
    Degli undici testimoni nessuno dichiara di dovere la propria esperienza a molti studi, né di seguire qualche modello operativo. Su numeri maggiori forse troveremmo qualcuno che s'è fatto una preparazione e la dimostra. Comunque piace nelle testimonianze proprio la sincerità priva di schemi. Forse non basta. Elenco solo qualche direzione di ricerca che potrebbe servire soprattutto quando si può dichiarare:
    Per fortuna posso usufruire dell'aiuto e del consiglio di altri sacerdoti, insegnanti, dei giovani più impegnati e intelligenti» (W.C.). Eccone i principali momenti:
    – assunzione di compito, maturando mentalità, responsabilità, competenza;
    – scelta di campo, libera, contrattata con l'ubbidienza, ispirata a criteri di priorità soggettiva (capacità) e oggettiva (bisogno);
    – lettura educativo-pastorale, cioè in chiave di crescita e cambio di umanità libere credenti e salve;
    – analisi della domanda d'educazione cristiana in chiave personale (psicologia e storia personale), socio-politica, culturale (per esempio, nell'ambito della situazione culturale italiana, cristiana, ecc.);
    – sviluppo d'un progetto d'intervento: operatori, obiettivi, contenuti, mezzi, metodi, esperienze educative;
    – strategie di attuazione: organizzazione istituzionale, disposizione delle persone, piani di lavoro, esecuzione;
    – verifica e valutazione dei risultati e del sistema che li produce, per migliorare gli uni e l'altro soprattutto.
    Che contraddizione con la freschezza spontanea delle undici testimonianze. Se la metodologia è questa, Dio ce ne liberi, si potrà pensare. Potrebbe anche dare una serie di ricette (di pesciolini). Invece si accontenta di insegnare a pescare. Però i preti dei giovani eviterebbero di costruirsi un loro piccolo mondo di autosufficienza (nidi caldi di soddisfazione o piccoli universi di ansia), per impegnarsi in progetti dotati di maggiore garanzia di compiutezza geografica, tematica, educativa, sociale.
    Ma l'arte si apprende sulla base di virtù naturali, che qui sono l'amore, la tensione al bene, la generosità, la comprensione, la fede.


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