A cura di Umberto Fontana
(NPG 1985-05-29)
(Hanno collaborato: Guerrino Bordignon, Anita Cipolotti, Giovanna Conchi, Bianca Dell'Andrea, Paolo Penzo, Adriano Zanella, i Cospes del Veneto).
Il preadolescente, nell'ipotesi della Ricerca Cospes (1), appare in una dimensione reale e concreta di ragazzino/a che cerca di liberarsi da una struttura infantile, senza però troppo distaccarsene per paura di perdere ciò che ha già realizzato nel corso degli anni precedenti; non intuisce ancora come sarà nel futuro e pertanto non si fida del mondo interiore che sperimenta dentro di sé, e preferisce rimanere appoggiato al fondamento solido che dà sicurezza ed è sostanzialmente costituito dall'interscambio ambivalente con i propri genitori e con gli adulti importanti.
Per queste conclusioni credo che il preadolescente si possa definire: un bambino che stenta a pensarsi diverso.
LA PIATTAFORMA SU CUI IL PREADOLESCENTE POGGIA ANCORA TUTTI E DUE I PIEDI
Dall'analisi dei dati che esplorano le relazioni dell'area familiare, risulta che il ragazzino o ragazzina che supera la soglia dell'infanzia si trova ancora assai fragile nella percezione di se stesso e si sente, con un esile cambiamento legato al crescere dell'età, ancora strettissimamente inserito nel suo sistema familiare.
Le risposte dei ragazzi alle domande su queste importanti relazioni non lasciano dubbi sul valore che la compagine familiare detiene per questa categoria di ragazzi che chiamiamo «preadolescenti»: concordemente i ragazzi di ogni fascia di questa età affermano che le figure dei genitori e la situazione di famiglia sono il supporto più importante (di gran lunga il più importante se paragonato con gli altri!) per la loro crescita e per la realizzazione di una nuova futura identità.
Accordo tra genitori e figli
La grande maggioranza dei ragazzi (1'83%), richiesti se si ritenevano contenti del modo con il quale erano stati allevati ed educati, e se i genitori erano disponibili e comprensivi nei loro confronti e propensi all'aiuto, non esita ad affermare che sono i genitori a dare l'aiuto maggiore per la realizzazione di se stessi. Tutte le altre fonti (amici, animatori, insegnanti, sacerdoti, gruppi, ecc.) hanno pochissimo valore e le percentuali che le esprimono non hanno peso statistico.
Con il crescere dell'età emerge una tendenza a caricare di «importanza» l'amico o l'amica, ma questa importanza non raggiunge assolutamente il valore di cui è rivestita la figura dei genitori. Anzi possiamo addirittura ritenere che «i buoni amici» (che ricevono il peso statistico maggiore dopo i genitori) sono da vedersi nell'ambito di una scelta approvata dai genitori, e il livello percentuale che ricevono è il medesimo che riceve l'obbedienza ai genitori.
Sono i genitori quindi che «misurano», per così dire, le dimensioni di questa fascia di ragazzi che vanno maturando nel loro corpo le funzioni sessuali, e sono essi che li avviano a progettare un loro domani secondo un modello che essi stessi presentano.
Il preadolescente non ha ancora senso critico nei confronti dei genitori; li accetta perché sono i suoi genitori e costituiscono i «limiti di norma», per così dire, di se stesso. Allo stesso modo non è critico,
come manifesta nelle interviste di gruppo, nei confronti dei professori.
Il preadolescente è già capace di ragionamento.
Ma le sue fonti di informazione e i nuclei persuasivi dei suoi pensieri rimangono ancora i discorsi stereotipi dei genitori (e più blandamente dei professori): discorsi che in molteplici occasioni essi fanno a lui, tra di loro, o commentando fatti a cui il ragazzo partecipa.
Per questo il preadolescente, sia ragazzo che ragazza, ritiene che nella costruzione di sé non si deve discostare tanto dal metro che i genitori usano.
Ubbidienza, buoni amici, fede in Dio, amore reciproco, esempi buoni... sono gli elementi che permettono di diventare bravi; mentre viceversa: droga, discordie in famiglia, cattive compagnie, bisticci... sono gli elementi che fanno male e non permettono una crescita buona.
La famiglia come schema di riferimento
Si può dunque ritenere che il preadolescente «sente» di poter controllare tutto quel mondo oscuro che sperimenta dentro di sé, solo se rimane attaccato ai suoi genitori; egli non sa che tutto questo potenziale nuovo nasce dalla maturazione sessuale e che lo dovrà prima o poi inserire nella sua personalità. Spesso non lo sanno neppure i suoi genitori!
Per intanto si sente ancora fragile e vuol rimanere in equilibrio.
Il 72% (sia dei maschi che delle femmine) si dice pertanto soddisfatto dell'educazione ricevuta dai genitori e dagli insegnanti; il dato è un po' più accentuato nei maschi e tende a diminuire con il crescere dell'età. Il che equivale a dire che il preadolescente colorisce di senso critico la sua crescita, e il senso critico va di pari passo con l'assunzione nello schema di personalità delle nuove energie.
Oltre il 55% dei preadolescenti sente i genitori nella posizione ideale di guida della loro crescita, di persone interessate ai loro problemi, che li sostengono nel fare i compiti, e che sono aperte alle loro istanze di libertà.
La percezione di un cambiamento in meglio
Tutti questi soggetti ritengono che i cambiamenti avvenuti nelle relazioni familiari siano avvenuti in meglio e siano sintonizzati sulla linea evolutiva che hanno iniziato. Il cambiamento avvenuto però fa paura: é sentito come qualche cosa di oscuro che i ragazzi non sanno ancora ben definire, ma che intuiscono sfocierà in una identità nuova, conflittuale forse, ma non del tutto diversa da quella dei genitori.
Non si sentono più infatti trattati «ancora da bambini» (lo afferma il 48% dei maschi e il 39% delle ragazze); i genitori parlano di più con loro (33%); si sentono più capiti (33%). In una parola i preadolescenti si sentono «diventati più grandi» (24%).
Il dato di tale cambiamento positivo rispetto alla situazione precedente tende a crescere con l'età, ed esprime probabilmente una reale crescita di personalità e una variabile di autopercezione di sganciamento dal modello infantile.
Vengono espressi atteggiamenti che sono già manifestazioni di una dimensione nuova: il 62% di tutti i ragazzi del campione italiano dice di trovarsi più con i genitori che con altri quando si discutono problemi importanti; il 48% parla dei propri problemi liberamente col papà e il 72% discute liberamente i propri problemi con la mamma. I propri problemi sono verosimilmente i problemi delle amicizie, del sesso, della televisione, delle uscite, ecc., come dirò più avanti.
Il 37% dei preadolescenti dice di discutere con i genitori i programmi televisivi «sempre» e il 28% afferma addirittura di poterli scegliere «sempre»; il 47% dice di discutere i programmi televisivi «qualche volta» e il 67% dice di poter scegliere i programmi «qualche volta». Tutto questo fa pensare che i genitori accettino veramente l'opinione dei figli preadolescenti o addirittura che i figli si sentano alla pari nella discussione e nella scelta dei programmi. Può anche darsi che i genitori per amore di pace, o per abitudine, smobilitino il loro ruolo impositivo, ma è altrettanto probabile che si accorgano della reale maturazione dei loro figli. La conferma a questo dato sta nel fatto che l'atteggiamento di fiducia e confidenza nei genitori tende a decrescere con l'avanzare dell'età e ricorda che lo sganciamento dalla figura genitoriale protettiva e impositiva avviene progressivamente, e di pari passo con la percezione, il controllo e l'incanalamento delle nuove energie nate dalla maturazione fisiologica.
Il compromesso irenico
Lo sganciamento definitivo si concluderà però solo alla fine del processo evolutivo, dopo che il ragazzo avrà assunto una nuova identità personale.
Per intanto il preadolescente ricorre ad un compromesso: sente di essere ormai diverso e di poter contare su nuove energie, ma si sforza di rimanere bravo e tranquillo fin che gli sarà possibile, sulla piattaforma ideologica della sua famiglia.
Tale sforzo che ho definito di compromesso e che sa un po' di regressione, potrebbe molto più adeguatamente essere chiamato «irenico».
Sforzo oltranzista per mantenersi equilibrato: la controdipendenza spazio-motoria
Le nuove energie che il preadolescente sente rumoreggiare in se stesso gli fanno paura, sente che sono come correnti tumultuose che non possono essere utilizzate finché non ne conoscerà l'utilità e l'intensità. Vengono di conseguenza deviate verso mete di transizione (le nuove scoperte) e sono espresse da atteggiamenti tipici della fascia di età, come: movimento, uscite extrafamiliari, partecipazione a gruppi, autonomia fisica da protezionismi, ecc.
Per intanto il modello nel quale il ragazzo preadolescente è identificato è quello del «ragazzo bravo». Bravo che significa: simpatico, intelligente, socievole, generoso, abbastanza soddisfatto di quello che gli altri pensano di lui e ... ancora tanto somigliante al «bambino bravo» che significava fino a poco tempo prima: «equilibrato e tranquillo».
Lo sforzo di convivenza «serena» con le nuove energie che sono nate dalla maturazione sessuale, nonostante la deviazione sopra accennata, non soddisfa più però il preadolescente: gli dà vivacità e sprint, instabilità e fantasia, ma non gioia!
Finché non avrà maturato un'immagine più vera di se stesso questo bambino cresciuto non potrà essere contento o valutarsi quell'uomo che intuisce di dover diventare. Non saprà esprimersi ancora su tutti i sentimenti che va sintetizzando in se stesso man mano che li sente fluire come le acque di un'inondazione; non si fiderà di essi e di conseguenza non oserà presentarsi con la faccia adulta in quella società che lo giudica ancora piccolo e composto.
Un progressivo sganciamento
Potremmo dire che nel preadolescente convivono atteggiamenti infantili di dipendenza e atteggiamenti adolescenziali di contestazione inquieta.
Una buona percentuale dei ragazzi del campione (che stabilmente potremmo valutare sul 25-30%) manifesta in ogni risposta elementi di maturazione adolescenziale, con insoddisfazioni più o meno sfumate, che contrastano nettamente con l'ostentata sicurezza che è caratteristica della fascia di età. Sono i quattordicenni che manifestano in massimo grado questi atteggiamenti di insoddisfazione, e in minimo grado i sentimenti di ostentata sicurezza e di composta tranquillità.
Questa tendenza dice reale e progressivo sganciamento dalla piattaforma infantile, e fa intuire la presenza di nuovi motivi verso cui le nuove energie del preadolescente si orientano alla ricerca di una nuova identificazione.
Sia nel questionario che nelle interviste individuali, un certo numero di domande cercano di esplorare l'atteggiamento nuovo che si ipotizzava già presente, anche se in modo informe, nella psiche del preadolescente: atteggiamento di fronte al sesso opposto, convivenza mista nei gruppi, cambiamenti riguardo il passato, i motivi di questi cambiamenti, confidenza o sfiducia-critica nei confronti dei genitori, ecc.
Un buon 36% trova naturale e utile che ragazzi e ragazze della loro età vivano assieme, interagiscano in gruppi misti; il 33% dice di capire di più i genitori e considera questa nuova comprensione proprio il motivo vero del cambiamento che sperimenta rispetto agli anni passati; la stessa percentuale ancora trova difficoltà a parlare dei propri problemi con il padre (che rappresenta l'autorità familiare) e con la madre. Il dato tende a crescere dalla fascia dei dieci anni fino alla fascia dei quattordici.
Germi di disagio: prepotente irrompere di nuove energie
Non siamo lontani dalla realtà se affermiamo che un buon numero di preadolescenti dei due sessi falliscono nel compromesso regressivo che ho definito di convivenza forzatamente pacifista con le nuove energie. Un buon numero esprime liberamente, e verosimilmente anche agisce, l'insoddisfazione del non essere più «bambino tranquillo» (che significa «dipendente») e la frustrazione di non sentirsi ancora, e conseguentemente di non essere ancora considerato, «ormai grande».
Forse ogni ragazzo, dai dieci anni in poi, ha in sé qualche germe di tale disagio, ma non lo accetta e non lo esprime, anche se lo riconosce, fin tanto che può rimuoverlo rimanendo o regredendo su posizioni infantili.
Solo quando avrà raggiunto una certa sicurezza di sé lo esprimerà e lo «agirà» clamorosamente, come ci informa la psicologia evolutiva.
Disaccordo coi genitori
Entrambi gli strumenti dei due livelli di ricerca esplorano attentamente i germi di disagio nei confronti dei genitori, e analizzano le occasioni di bisticcio e di contrasto con essi.
Le risposte che esprimono il disagio sono presenti sia nelle interviste semistrutturate individuali, di gruppo, e nei questionari. Il 23% afferma chiaramente che a volte è in disaccordo con i genitori; il 43% dice che le relazioni con i genitori sono cambiate «abbastanza». Verosimilmente nell'abbastanza» include lo sforzo di compromesso pacifista per non sentire e non esprimere il disagio di dover interagire con i genitori secondo lo schema infantile, o almeno la paura di ammettere che lo sforzo regressivo di dipendenza è ormai insufficiente. Nei gruppi strutturati (in quelli cioè dove i ragazzi si conoscono e stanno abitualmente insieme) questa espressione di disagio è potenziata rispetto ai gruppi non strutturati (cioè casuali, nei quali i ragazzi non hanno conoscenza reciproca e di conseguenza non osano esprimere ciò che sentono).
Il 43% dei ragazzi che esprimono apertamente disagio nelle relazioni con i genitori è un indice abbastanza alto che permette di affermare con sicurezza il tratto di maturazione che vado descrivendo.
I bisticci
Ben tre domande del questionario sollecitavano il campione a manifestarsi sul tema dei «bisticci» con i genitori.
La metà esatta afferma di non litigare «mai o quasi mai» con il papà (la figura autoritaria) e il 43% dice di non litigare «mai o quasi mai» con la mamma (figura di solito più malleabile e più dolce).
Ciò conferma ancora che il preadolescente tende a mantenere con sforzo oltranzista un equilibrio. Ciò esprime però anche un senso di colpevolezza per i sentimenti di disagio che sperimenta e lo stato di dipendenza dal modello familiare.
Il tratto è comune sia ai ragazzi che alle ragazze, e tende ad aumentare dai dieci anni ai quattordici: a dieci anni è il 50% a dire che non bisticcia «mai o quasi mai» con i genitori; a quattordici anni è solo il 38% che dice» di non litigare «mai o quasi mai» con il papà e il 32% che lo dice per la mamma.
La verbalizzazione di «bisticciare» fa paura al preadolescente:
Il 38% dice che bisticcia «poche volte» con il papà e il 41% dice che bisticcia «poche volte» con la mamma. Anche per questa ammissione di bisticcio limitato il dato tende a crescere con il crescere dell'età.
Il che permette due osservazioni:
- la figura dei genitori viene caricata progressivamente di senso di disagio (con una certa facilitazione per la figura materna che è verosimilmente più vicina al ragazzo);
- il ragazzo, a mano a mano che avanza nell'età, prende coscienza delle energie nuove che irrompono nel suo essere, e le volge ad infrangere Io schema infantile «tutelato» (a suo modo di vedere) dai genitori.
Solo poco più del 10% dei ragazzi-campione (con una certa anticipazione per le ragazze) sono in grado di dire che bisticciano «spesso» con il papà e con la mamma. Il dato aumenta con l'aumentare dell'età con un incremento che lo raddoppia addirittura dai dieci ai quattordici anni!
Ragionando su tali percentuali possiamo affermare che coloro che osano dire di bisticciare «spesso» e quelli che osano affermare che bisticciano «poche volte» sono (presi assieme globalmente per orientare la riflessione) circa quel 50% scarso che si contrappone all'altro 50% che dice di non bisticciare «mai o quasi mai» con i propri genitori.
Il che equivale a dire che una buona metà dei preadolescenti percepisce ed esprime quel disagio profondo che prelude il distacco dai genitori e il crollo delle identificazioni infantili.
Una struttura psicofisica nuova per assorbire e incanalare
Nella crescita, che va sotto il nome di pubertà, il preadolescente riesce a maturare con ritmo sempre più accentuato una struttura fisico-psichica che ha lo scopo in un primo momento di assorbire tutta una serie di energie nuove, e, in un secondo momento, di incanalarle verso mete di transizione che mirano ad ingrandire e perfezionare il suo essere.
Queste mete transizionali sono espresse da comportamenti di opposizione, critica, insofferenza al suo sistema di relazioni familiari, vale a dire, il sistema di dipendenza tipico della struttura infantile.
Solo più tardi egli saprà sostituire le vecchie relazioni infantili con una serie nuova di relazioni identificatorie, qualitativamente differenti dalle precedenti, molto più adeguate al suo sentire, che formeranno la piattaforma dell'adolescenza: piattaforma ancora transitoria che sfocerà però nella identità definitiva.
Una ricerca come la nostra non ricostruisce evidentemente le variazioni individuali di questo processo, ma riconosce la direzione e i tempi di crescita della fascia: man mano che acquista energia, il preadolescente si oppone e rompe l'equilibrio infantile che all'inizio della fase si è affannato a mantenere integro. A dieci anni è bambino stressato; a dodici è bambino stressato, cresciuto e incontenibile; a
quattordici... forse non è più bambino, ma che è?
LITI E DISSENSI CON I GENITORI NEL GOFFO TENTATIVO DI ESSERE «DIVERSO»
Il distacco dallo schema familiare e dalle figure dei genitori non è né facile né tempestivo.
A conferma di questa affermazione, sia nei questionari che nelle interviste individuali, i ragazzi-campione richiesti di una valutazione sui bisticci con i genitori e sui motivi dei bisticci stessi esprimono colpevolizzazione di se stessi, fragilità nella loro struttura e grande bisogno di accettazione e di sostegno.
Ciononostante rimangono orientati risolutamente sulla nuova direzione di superamento della solita altalena tra regressione insoddisfacente su posizioni infantili e spinta cieca verso mete sconosciute di crescita.
Colpevolizzazione di se stessi e bisogno di accettazione da parte degli adulti
Buona parte dei ragazzi attribuisce il motivo dei bisticci che fa con i genitori a se stessi (il 41%), alla propria suscettibilità (35%), alla divergenza delle idee (23%), alla mancanza di tempo che i genitori di solito tirano in ballo a loro discolpa (12%). Radicalizzata appare la divergenza di mentalità che buona parte dei ragazzi ormai sente nei confronti dei genitori: «ormai ho idee diverse!». Il dato aumenta parecchio nel passaggio dai dieci ai quattordici anni: a dieci anni sono già 31% che dicono di avere idee diverse; a dodici anni sono il 35% a dire così, e a quattordici anni sono il 41%. Tutto ciò dice crescita e novità.
Il preadolescente non reagisce però ai genitori con aggressività, come ci si aspetterebbe; è ancora troppo fragile e quindi non si ribella apertamente e non assume atteggiamenti strafottenti di indifferenza e di menefreghismo. Non rimane però neppure impassibile, bloccato e incapace di dire le sue ragioni.
Anche in caso di rimproveri che considera «giusti» perché corrispondenti a mancanze commesse, egli tende a difendersi come può, a portare scuse, a cercare di capire dove ha sbagliato, a controllare (secondo lo schema infantile) le reazioni immediate, per concludere con l'accettazione del rimprovero, cercando in seguito di migliorare. Le percentuali che esprimono questi sentimenti di autoaccusa, di autocritica, di accettazione rassegnata dei rimproveri «giusti» e dei buoni proposti a migliorare, sono pressapoco le stesse che troviamo nelle risposte alle domande sulla dipendenza dai genitori, il dialogo con essi, la soddisfazione nei confronti della educazione ricevuta, ecc.
Il che fa pensare alle tante volte ormai accennata altalena tra equilibrio da mantenere e incapacità a mantenerlo.
Un adulto «vicino» e rispettoso
In questo momento della sua crescita il preadolescente ha veramente bisogno di comprensione e di affetto per poter accettare (e forse anche solo per poter percepire) quel nuovo nucleo di se stesso che non riesce più a eludere, che tanto lo attira e tanto lo disturba.
Proiettando su di una situazione limite (la droga) tutti gli impulsi disordinati che un preadolescente può sperimentare in se stesso, il questionario esplorava i bisogni di accettazione e di stima da parte degli adulti. Gli si chiedeva: «Come dovrebbero comportarsi gli adulti con i ragazzi che si drogano?». Ogni ragazzo (maschio o femmina che sia) si sente a questa età almeno un po' «il drogato» che esperimenta in sé qualche cosa di sconvolgente, di pauroso, di minaccioso, forse di inaccettabile, ma nello stesso tempo di ineluttabile e ... tanto attraente sì da chiudere l'equazione impulso-droga!
Il 71% dei ragazzi-campione non esita a dire che gli adulti dovrebbero usare con i ragazzi che si drogano un'azione di convincimento; che dovrebbero offrire ad essi quello che loro manca, come affetto, interessi diversi, ecc. (52%); che dovrebbero essere con essi buoni e comprensivi (39%); che dovrebbero dare loro buoni consigli (35%) e cercare di conoscere meglio i loro amici e il loro ambiente (30%).
In sintesi il preadolescente vorrebbe l'adulto vicino a sé perché si sente fragile e confuso, ma vorrebbe l'adulto in atteggiamento rispettoso della sua crescita: sostegno o guida benevola, non consigliere severo o giudice inflessibile.
L'adulto dovrebbe quindi farsi figura di risonanza interpretativa di tutti questi sentimenti in modo che il preadolescente, confrontandosi con i valori di cui l'adulto è portatore, possa riconoscerli, inquadrarli, rielaborarli fino a farne la sua sintesi nuova ed originale.
Nelle interviste di gruppo (dove i ragazzi si spalleggiano l'un con l'altro) viene calorosamente affermato che l'adulto (genitore o insegnante o educatore in genere) dovrebbe ascoltare il ragazzo e aiutarlo ad esprimersi.
Inoltre dovrebbe lasciare al ragazzo più libertà di espressione e di movimento, a casa, a scuola e in altri ambienti di ritrovo. Invece purtroppo tutti i bisogni nuovi del preadolescente sono soggetti a controlli e a limitazioni. Perfino la televisione (lo affermano sempre le interviste individuali e di gruppo) limita il dialogo con i genitori!
Richieste non concesse
Il preadolescente tende a chiedere agli adulti (e in particolare ai genitori) più movimento, più partecipazione a sports dove incontrare altri ragazzi con i quali potersi divertire (23%), tende a chiedere fiducia ed essere considerato grande già da poter uscire col motorino (23%), di essere differente da eventuali fratelli più piccoli e «star fuori» di sera (21%), di avere qualche soldo di mancia in più (13%) e di poter portare amici e amiche in casa per qualche festicciola (14%).
In una parola chiede di vivere in modo più autonomo e più vicino a quello degli «adulti». Sintomatico è il fatto che dai maschi siano più richiesti sport e divertimenti (28% che tende a diventare minimo nei quattordicenni) e poter uscire col motorino (26% che tende ad aumentare nei quattordicenni fino al 31%); mentre dalle ragazze è più richiesto rimanere fuori di sera (22% che tende ad aumentare fino al 30% nel gruppo dei quattordicenni) e portare amici in casa per fare feste (17%).
La domanda che esplorava questi desideri metteva una restrizione che suona così: «che cosa chiedi ai genitori che non ti viene concesso?»; e nella restrizione si mirava ad esplorare probabilmente l'ambivalenza che il preadolescente mette nelle sue richieste: sono lecite o non sono lecite?
Nella fascia dei decenni il 28% dice di non chiedere «nulla che non gli venga concesso» e ciò fa supporre che ancora le richieste non siano quelle che fanno paura ai genitori perché cariche di novità; mentre nella fascia dei quattordicenni è solo il 24% che lo afferma ancora.
Questo gruppo di coloro che non chiedono «nulla che non venga loro concesso» è controbilanciato dal gruppo che ho descritto sopra di coloro che chiedono (senza che sia loro concesso) il motorino, di star fuori di sera e di portare in casa amici e amiche per fare delle feste (dati che tendono a crescere con l'aumentare dell'età).
Queste aspettative frustrate vengono espresse chiaramente anche nelle interviste di gruppo, dalle quali emerge il disagio di venir considerati ancora «piccoli» e di dover quindi sottostare allo schema infantile.
Paragonando le percentuali di chi chiede senza ottenere, con quelle di chi bisticcia con i genitori «spesso o qualche volta», possiamo concludere che i contenuti dei bisticci siano proprio su quelle cose che i ragazzi calorosamente chiedono senza ottenere. Su questi punti di frizione si scaricano dunque le energie aggressive che riescono a superare la barriera di controllo, che ho già descritto sopra, tipica dell'età. I contenuti «contestati» (richiesti e non concessi) che esprimono la novità della crescita, dicono reale sganciamento dai genitori protettivi: uscire di famiglia la sera, guidare nel traffico da soli un mezzo a motore, avere amici, magari di sesso opposto, in casa.
Il preadolescente non chiede cose da poco; chiede cose che discriminano veramente un «grande» da un «piccolo»: cose che sono concesse dalla legge a chi raggiunge una certa età, come ad esempio la patente di guida di un motoveicolo, l'accesso a films vietati a minori di quattordici anni, entrare da soli in ambienti pubblici, ecc.
In altre parole, il preadolescente chiede di non essere più «piccolo», di uscire dallo status familiare di «bambino», ma i genitori ... stentano a concederglielo perché non lo giudicano ancora all'altezza e perché il suo cambio di status sbilancerebbe l'equilibrio familiare.
Questo status di «grande» in famiglia, il ragazzo dovrà conquistarselo un po' per volta, opponendosi al sistema infantile con sufficiente energia: solo dalle ceneri della fenice infantile rinascerà l'adolescente insicuro e goffo!
INTUIZIONE DI UNA NUOVA IDENTITÀ
Il preadolescente è molto lontano però dall'identità definitiva che lo presenterà come uomo/donna giovane nella società che l'ha visto bambino.
Per intanto non riesce ancora a vedersi neppure in prospettiva: intuisce che sarà (anzi che lo è già) assai diverso da come era bambino, ma non sa assolutamente come sarà.
Il personaggio ideale che nasconde il futuro «io»
Il questionario e le interviste individuali hanno esplorato questo tratto evolutivo, invitando il preadolescente a proiettare su un «personaggio» la sua futura identità e le
caratteristiche che dovrebbe avere.
L'analisi di questi dati presenta un quadro in perfetta sintonia con quanto fin qui è stato detto.
Il 27% di tutti i ragazzi intervistati, alla domanda «a chi vorresti assomigliare?», risponde che vorrebbe assomigliare a un personaggio dello sport (43% dei maschi contro solo 1'11% delle ragazze) o a un personaggio dello spettacolo (9% del campione totale, con un leggero accentuarsi del gruppo femminile: 13% contro 5% dei maschi).
Sommando orientativamente le percentuali riscontriamo che il 36% dei soggetti vuole assomigliare a un personaggio di prestigio, il che significa che buona parte dei preadolescenti hanno bisogno di proiettare il loro desiderio di divenire su di un oggetto che chiamerò «transizionale», che non è più i genitori o i professori o qualche amico/a, persone reali della loro esperienza.
Solo piccole percentuali mantengono chiaramente nel loro interiore come oggetto di identificazione le figure dei genitori (l'8% con accentuazione dei maschi dice di voler assomigliare al padre, e il 7% con evidente accentuazione nelle ragazze dice di voler assomigliare alla madre).
Un oggetto transizionale come mediazione di sé
L'oggetto che ora permette o media una nuova identità (il personaggio famoso) è un oggetto vagheggiato e idealizzato, lontano dall'esperienza del preadolescente, che può venir caricato di aspettative e doti ideali senza scontri evidenti con la limitatezza concreta sperimentata nelle figure di esperienza, come ad esempio il padre o l'insegnante.
Sintomatico è che a questo gruppo di coloro che vogliono assomigliare a un personaggio ideale (36%), si contrappone un altro gruppo abbastanza numeroso, quello di coloro che vogliono già assomigliare a se stessi: il 22% di tutto il campione, con una chiara predominanza delle ragazze.
Comparando chi vuol assomigliare a qualche personaggio e chi vuol assomigliare a se stesso, vediamo che il dato tende ad essere inversamente proporzionale: man mano che il preadolescente cresce nell'età, smette con il personaggio identificatorio (oggetto transizionale) e vuol assomigliare a se stesso (prima espressione di una nuova identità).
Le ragazze precedono nettamente i coetanei in questo processo di crescita. Molto poco chiaro appare invece il discorso di come sarà la nuova identità che il preadolescente sente ruggire in se stesso. Il ritratto di questo personaggio idealizzato viene così delineato: sportivo (28%), intelligente (22%), bello (21%), che sa capire (19%), simpatico (20%), buono (14%), sincero (14%), di successo (12%), ecc., in una parola «ideale» sotto tutte le forme di aspettativa del preadolescente.
Io sono «simpatico», «intelligente», «socievole»... cioè autentico
Se compariamo questa lista di doti ideali con quelle che il preadolescente crede di avere egli stesso («quali doti o quali qualità pensi di avere tu?»), ne risulta un profilo assai interessante.
Il 61%, cioè una buona maggioranza di preadolescenti, dice che crede di essere «simpatico» e il dato rimane costante sia a dieci che a quattordici anni. Nelle interviste individuali invece, il preadolescente arriva con fatica ad affermare spontaneamente (senza la pista di aggettivi preordinata) che crede di essere simpatico: solo il 4% lo afferma! Tutto ciò significa che il preadolescente ha un gran bisogno di essere accettato e che presenta a tutti (per averne conferma) una domanda di questo genere: mi vorrete ancora bene se non sarò più il bambino che ero e se accetterò tutto quello che sento dentro di me?
La domanda inquietante è rivolta soprattutto ai genitori e agli educatori, ed è correlativa con le grandi scoperte che il preadolescente fa dentro di sé di essere cioè: «intelligente» (lo afferma il 41%), «socievole» (36%), «generoso» (31%), «sincero» (34%), «buono» (30%), di essere cioè più grande e più personale nel suo interiore rispetto a qualche tempo prima.
Essere «intelligente» può esprimere la dimensione ragionativa ormai raggiunta quasi al completo con l'inserimento delle capacità logico-formali; essere «socievole, sincero, generoso» può invece esprimere l'allargamento di personalità che il preadolescente esperimenta nel tratto affettivo-emozionale: può preludere al nuovo rapporto interpersonale che sente di poter ormai instaurare con genitori (e adulti importanti) partendo da una base di autenticità sintonizzata sui suoi bisogni.
Il dato «socievole» e «sincero» che può esprimere l'allargamento emozionale della personalità, è in costante crescita dai dieci ai quattordici anni: a dieci anni il 24% dice di essere «socievole», a 14 è il 43% che lo afferma; così a dieci anni il 29% dice di essere «sincero» e a quattordici anni è il 39% che lo afferma. Mentre invece per i dati «buono», «impegnato», «ubbidiente», che possono esprimere lo sforzo di controllo per una convivenza pacifica tra vecchio e nuovo (come spesso accennato sopra), abbiamo un decrescere dai dieci ai quattordici anni.
Rinnovato e soddisfatto
Tutto parla insomma di crescita, di superamento, di novità, di trasformazione: il preadolescente si sente rinnovato e avviato in modo irresistibile su di una dimensione che lo porterà lontano dal bambino che era, una dimensione che lo avvicinerà sempre di più a quei ragazzi grandi che sono quasi adulti, ma che sono (anche se egli non lo sa) molto scontenti di se stessi e del loro modo di essere.
Il preadolescente invece, per intanto è ancora contento di sé, dell'educazione ricevuta, del modo con il quale è inserito nella sua famiglia, di quello che gli altri pensano di lui.
Il 43%, richiesto se era soddisfatto di quello che gli altri pensano di lui, dice di essere soddisfatto «abbastanza» e il 28% dice di essere soddisfatto «molto».
«Abbastanza» significa che le cose possono andare e che, nonostante le difficoltà, egli si sente ancora inserito e protetto.
Tali dati esprimono un'altra volta l'ambivalenza delle relazioni-con le figure protettive, attorno alle quali il preadolescente gravita ancora come un satellite nonostante le distanze.
SINTESI CONCLUSIVA
Per concludere le riflessioni su quest'area tanto importante per la crescita del preadolescente, vorrei fare alcune telegrafiche conslusioni che mirano a sintetizzare la serie dei dati, a orientare la teorizzazione di affermazioni sulla fascia di età analizzata, e ad offrire come un supporto per eventuali interventi pedagogici.
^ Il preadolescente di oggi, senza distinzione di sesso, è ancora tanto inserito nel sistema della propria famiglia; vi si sente accettato e vi si trova bene. Il suo modo di pensare e i suoi schemi di valutazione sono ancora improntati al pensare e al sentire dei suoi genitori.
È così confermata l'ipotesi di prevalente dipendenza e di adattamento.
^ Ciononostante il preadolescente, senza distinzione di sesso, si accorge dentro di sé di una progressiva trasformazione profonda e radicale: la teme e la desidera contemporaneamente con comportamenti svariati di ambivalenza.
Da prima reagisce con uno sforzo commovente nel tentativo di rimuovere queste oscure novità, per mantenersi sulla base solida delle identificazioni infantili che non disturbano l'equilibrio familiare. Queste energie nuove vengono senz'altro spostate su giochi e movimenti che mirano ad allargare i limiti di tolleranza socio-familiari. È la modalità tipica della controdipendenza spazio-motoria.
Poi tale posizione di pacifismo ad oltranza si allenta, per lasciare posto a critiche, richieste di cambiamento sempre più specifiche, vagheggiamento di una nuova identità mediata da idealizzazioni e fantasie.
^ Il preadolescente diventa così, fragile e combattuto da opposte tendenze, come un piccolo Amleto alla ricerca di soluzioni al suo dilemma di divenire. O regredire su posizioni infantili che più non lo soddisfano, per mantenersi l'affetto dei suoi genitori, o rompere con essi per accettare quel mondo interiore che lo invade ormai come un fiume inarrestabile. Per intanto, nei suoi goffi tentativi di autonomia, sottopone però i genitori e gli adulti sempre al test del «mi volete ancora bene?».
^ Non pare emergano grosse e significative differenze tra il preadolescente di sesso maschile e di sesso femminile, anche se le ragazze maturano prima e sono meno irruenti dei coetanei.
Le dinamiche su accennate sono di entrambi i sessi.
Discriminante appare invece un limite di età: il superamento degli anni dodici, che segnano la soglia di sganciamento dalla piattaforma infantile e legano il preadolescente più profondamente al suo mondo interiore.
Il panorama delle relazioni del preadolescente con la famiglia, così come emergono dalla ricerca Cospes, si offre come un preciso campo di presenza e di intervento educativo: non solo perché i genitori comprendano la domanda di cambiamento loro richiesta nella struttura e interazione familiare, ma perché ogni educatore non presuma di sostituirsi a tale agenzia formativa, misconoscendo il peso che ancora oggi essa dimostra di avere nello strutturarsi futuro della personalità dei preadolescenti.
NOTE
(1) Le ipotesi della Ricerca Cospes, alle quali si fa riferimento, sono state presentate sulla rivista nel dossier del n. 1/85, pp. 3-32.