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    Dall’«Evangelii gaudium»

    Una Chiesa amica

    Bruno Forte

    È lucida e precisa la valutazione che l’Evangelii gaudium dà dell’azione della Chiesa verso le nuove generazioni: «La pastorale giovanile, così come eravamo abituati a svilupparla, ha sofferto l’urto dei cambiamenti sociali. I giovani, nelle strutture abituali, spesso non trovano risposte alle loro inquietudini, necessità, problematiche e ferite» (n. 105). Papa Francesco aggiunge: «Anche se non sempre è facile accostare i giovani, si sono fatti progressi in due ambiti: la consapevolezza che tutta la comunità li evangelizza e li educa, e l’urgenza che essi abbiano un maggiore protagonismo» (n. 106).
    Il primo passo da compiere è l’ascolto: «Ogni volta che cerchiamo di leggere nella realtà attuale i segni dei tempi, è opportuno ascoltare i giovani». Essi «ci chiamano a risvegliare e accrescere la speranza, perché portano in sé le nuove tendenze dell’umanità e ci aprono al futuro, in modo che non rimaniamo ancorati alla nostalgia di strutture e abitudini che non sono più portatrici di vita nel mondo attuale» (n. 108).
    È stato osservato come il tema della prossima assemblea generale ordinaria del sinodo dei vescovi del 2018 – «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale» – intenda stimolare le comunità ad «accompagnare i giovani nel loro cammino esistenziale verso la maturità affinché, attraverso un processo di discernimento, possano scoprire il loro progetto di vita e realizzarlo con gioia, aprendosi all’incontro con Dio e con gli uomini e partecipando attivamente all’edificazione della Chiesa e della società». Siamo tutti invitati a porci in ascolto dei giovani, in primo luogo intercettandoli nel loro cammino di vita cristiana, con attenzione al «discernimento vocazionale» che riguarda tutte le scelte di vita.
    La sfida costituita dalla realtà giovanile chiama la Chiesa a “uscire ” dall’autoreferenzialità, per incontrare i giovani e chi nella nostra società li ha veramente a cuore, dialogando con tutti i possibili interessati.
    L’auspicio è che non si guardi al sinodo come a un evento lontano, verso cui restare semplici spettatori, ma che ci si senta coinvolti e si accompagnino i giovani a esserne protagonisti.
    In tal senso, il sinodo dovrà essere anche un’esperienza di amicizia cristiana e di fraternità: un camminare insieme verso Gesù e con Gesù nella Chiesa.
    Ci chiediamo: le comunità parrocchiali, le realtà associative e i movimenti sono ancora capaci di suscitare interesse tra i giovani? Dal nostro punto di vista e in base alla nostra esperienza, che contributo potrà apportare al mondo giovanile il sinodo indetto da Papa Francesco? E come i giovani potranno esserne effettivi protagonisti? È poi necessario chiederci come oggi i giovani immaginano la Chiesa: nel lavoro preparatorio al nostro convegno si è evidenziato che essi sognano una Chiesa capace di essere umana, di vivere la presenza di Gesù in ogni situazione e di aiutarli a credere in Lui nel quoti- diano, perfino nelle contraddizioni della vita. I giovani sembrano desiderare una Chiesa che non escluda nessuno, in cui tutti siano in cammino e che riconosca come unica cartina da tornasole il Vangelo: una Chiesa che vada incontro all’uomo così com’è, perché nella piena libertà possa incontrare Gesù. Una Chiesa che aiuti l’uomo a essere e volersi umano davanti a Dio e con Lui, capace di obbedire al Signore cercando nel suo amore le risposte a tante situazioni che ci mettono in crisi nel mondo e sapendo camminare anche con chi ha una strada diversa, senza perdere se stessa e senza rinunciare a dialogare con la diversità. I giovani vogliono una Chiesa che confidi solo in Dio e sia gioiosa perché è Lui che le dona la gioia, una comunità cristiana che si assuma con passione il compito di educarli, guidarli e accompagnarli verso una religione che non sia lettera morta, bensì fonte di speranza nella vita di tutti i giorni.
    Sul piano pratico, ciò significa per tutti noi vivere una presenza quotidiana e costante accanto ai nostri giovani, attraverso forme di aggregazione culturali e religiose che li aiutino a sognare e a impegnarsi in modo autentico e fecondo. Bisogna aiutare i giovani a riacquistare fiducia, entrando in un processo di miglioramento delle proprie condizioni e di rigenerazione del paese. Occorre una nuova missione verso il mondo giovanile, in cui i nostri ragazzi siano chiamati a “compromettersi” per Gesù nei luoghi della loro vita: scuola, università, lavoro, centri Caritas, luoghi di svago. In questo senso, va colto l’invito di Papa Francesco a dare un «maggiore protagonismo» (Evangelii gaudium, 106) ai giovani. Dobbiamo chiederci: come possiamo concretizzare quest’invito del Papa nel nostro territorio e nei nostri ambienti ecclesiali? Un dato è certo: quando la comunità ecclesiale riesce a condividere la vita dei suoi giovani, è allora che acquisisce l’autorevolezza per dire loro sia le parole più facili da accogliere, sia le parole “scomode” che l’obbedienza al Vangelo chiede di proferire. Una Chiesa incarnata ha il compito di far crescere la comunione con e fra i giovani cristiani, perché a loro volta essi siano segno e strumento di un modo diverso di impostare le relazioni tanto all’interno della comunità ecclesiale, quanto nella vita sociale.
    Un’altra dimensione in cui i giovani chiedono più o meno esplicitamente di essere accompagnati dalla comunità ecclesiale è quella del discernimento: un territorio come il nostro, esposto a non poche difficoltà socio-economiche, offre prospettive innanzitutto a giovani che, oltre ad avere qualificate competenze di studio e professionali, sono sorretti da tenacia e capacità di perseveranza nei progetti che perseguono. Se ogni cammino autenticamente umano è anche cristiano, come non vedere qui un appello per la comunità ecclesiale a promuovere il consolidamento morale e spirituale dei nostri giovani, affinché essi, con la luce e la forza della fede, abbiano quella marcia in più che consenta loro di sperare e lottare serenamente anche in mezzo a situazioni particolarmente complesse? È significativo che il lavoro preparatorio al nostro convegno abbia evidenziato come i nostri giovani sognino una Chiesa attenta ai bisogni del luogo e che non dimentichi la sua vocazione missionaria globale. Alcuni ragazzi hanno detto a quanti preparavano il materiale di riflessione per il nostro convegno: «Noi giovani sogniamo una Chiesa dove vescovi e sacerdoti non abbiano più paura di sporcarsi le mani con noi. Sogniamo una Chiesa dalla parte degli ultimi e libera da ogni condizionamento che ne infici il messaggio. Sogniamo una Chiesa che abbia il coraggio non solo di essere madre che educa, ma anche sorella con cui camminare e figlia che sappia ascoltare, aperta alle dimensioni del mondo».
    Va infine onestamente riconosciuto come i nostri giovani spesso non riescano a riconoscere nelle parrocchie cammini a misura di giovane: anche se in tanti dei nostri presbiteri i giovani trovano un riferimento da amare e stimare, non sempre nei parroci e nei sacerdoti in genere riconoscono un esempio che li porti a dire «vorrei essere come loro». Essi non si accontentano delle mezze misure e sognano una Chiesa radicalmente cristiana, che non solo dica «questo non si deve fare», ma spieghi loro il perché, mostrando con l’eloquenza della vita ciò che va fatto, una Chiesa amica, che non viva solo di tradizioni, anche se è nelle tradizioni più autentiche che si trova il miglior collante tra passato e futuro.
    È nella complessità di questo quadro che dovremo sognare e vivere il nostro essere Chiesa dei giovani e per i giovani: quali scelte compiere in tal senso? Quali passi suggerire?

    (FONTE: Osservatore Romano 18 marzo 2017, p. 7)


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