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     Il cammino

    verso il Sinodo 2018

    Elementi fondamentali
    di una pastorale giovanile vocazionale

    Fabio Attard


    «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi
    e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11)

    I giovani non si lasciano ingannare:
    venendo a voi, essi vogliono vedere
    ciò che non vedono altrove...
    I nostri contemporanei
    vogliono vedere nelle persone consacrate
    la gioia che proviene dall'essere con il Signore
    (Vita Consecrata, n.109).


    Introduzione

    Il Documento preparatorio (DP) della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi I giovani, la fede e il discernimento vocazionale nella sua struttura globale ci offre in maniera chiara il paradigma della pastorale giovanile. Le tre parti del documento tracciano una pista nuova e decisiva sull’esperienza e comprensione della pastorale giovanile focalizzando in maniera chiara e irrinunciabile la prospettiva vocazionale.
    Credo che in questi decenni di varie esperienze pastorali e di molto riflessione nel campo della animazione vocazionale stia maturando sempre di più la convinzione che non può esserci una vera pastorale giovanile che non sia vocazionale, come non può esistere una autentica animazione vocazionale se non all’interno dei processi e dei progetti di pastorale giovanile.
    In effetti, le tre parti del DP per il prossimo sinodo confermano la convinzione che essere pastori dei giovani significa accompagnare i giovani a Cristo per poi facilitare che per loro questo incontro sia lo spazio dove ognuno/a scopra il progetto personale di vita e lo assuma.
    Siamo sempre più convinti che non rendiamo un vero e onesto servizio pastorale ai giovani se nel momento che scoprono l’amore di Gesù per loro, poi li lasciamo lì, sulla soglia, soli, senza mappe per quello che deve seguire. Vivere il rapporto con Gesù è una esperienza che non sia ridotta ad un momento cronologico, che non sia un momento da gustare o da godersi. Al contrario, incontrare Gesù è un evento che fa partire un processo. Incontrare Gesù significa trovarsi davanti a degli orizzonti di futuro, di impegno, di un sano e autentico protagonismo.

    Con questa breve introduzione si vuole richiamare come nell’unità del DP c’è un invito, prima di tutto, ad essere servi dei giovani attraverso quell’umile e intelligente ascolto della loro storia, così come loro la stanno vivendo. Questo implica la nostra capacità di farci pellegrini con loro sulle varie strade di Emmaus. Come a suo tempo per i discepoli di Emmaus, le strade dei nostri giovani sono molte volte segnate dalla perdita della speranza, ma altrettanto cariche dalla loro generosità di farci ospiti nelle loro case: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto» (Lc, 24, 29). Questa lettura ci obbliga e metterci accanto a loro, senza paura, ma anche senza pretese.
    È una presenza con loro che ci invita a riflettere bene sulla seconda parte del DP che tratta il tema cruciale della fede, del discernimento, e della vocazione. Faccio un solo commento che ci servirà per quanto segue dopo: oggi più che mai la preparazione nell’arte dell’accompagnamento e a quella del discernimento non è un servizio in più che offriamo, ma è una necessità. Nella Evangelii Gaudium Papa Francesco ha dedicato alcuni paragrafi sul tema (EG nn.169-173) che pongono l’accento in maniera sempre più evidente su questa necessaria preparazione:
    La personale esperienza di lasciarci accompagnare e curare, riuscendo ad esprimere con piena sincerità la nostra vita davanti a chi ci accompagna, ci insegna ad essere pazienti e comprensivi con gli altri e ci mette in grado di trovare i modi per risvegliarne in loro la fiducia, l’apertura e la disposizione a crescere… L’autentico accompagnamento spirituale si inizia sempre e si porta avanti nell’ambito del servizio alla missione evangelizzatrice… Tutto questo si differenzia chiaramente da qualsiasi tipo di accompagnamento intimista, di autorealizzazione isolata. I discepoli missionari accompagnano i discepoli missionari (EG nn.172-173).
    E qui entriamo nella terza parte del DP sulla quale è centrato questo contributo. In due parti cerchiamo di offrire alcune proposte. Nella prima parte, proponiamo alcune attitudini fondamentali per una pastorale giovanile vocazionale che il nostro contesto oggi ci chiede, nella seconda parte, indichiamo soggetti, mete e strumenti che aiutano il processo di pastorale giovanile vocazionale.

    QUALI GLI ATTEGGIAMENTI FONDAMENTALI PER SVILUPPARE UNA PGV CONSISTENTE NEL NOsTRO CONTESTO?

    In questa prima parte propongo tre atteggiamenti fondamentali che vanno compresi sia a livello personale come anche a livello comunitario. Se ogni esperienza pastorale personale è vera e lascia una impronta nella misura che sia una esperienza comunitaria, è altrettanto vero che la comunità nel suo insieme raggiunge la sua forza di testimonianza nella convergenza dell’impegno e della fatica quotidiana di ogni membro di questa stessa comunità, consacrati/e, giovani, adulti impegnati. I tratti che seguono non vanno compresi solo alla luce di ogni singolo membro, ma di tutta la comunità che è chiamata a assumere l’identità dell’educatore e del pastore.

    Umiltà – ascolto della storia

    Come già troviamo nel DP, l’ascolto della storia dei nostri giovani, qui ed ora, è un obbligo pastorale non solo urgente, ma indispensabile. Tutta la letteratura sulla gioventù, studi e ricerche, puntano su una generazione che noi adulti il più delle volte non conosciamo. La famosa frase “giovani orfani con genitori viventi” non è solo una frase, ma purtroppo una realtà.
    Aggiungiamo a questa sfida della mancata presenza degli adulti quello dello spostamento sismico che ha subito il tema della religiosità in una società secolare: un tema che ha costituito e continua a essere molto studiato. Solo prendendo in considerazione queste due tematiche ci rendiamo conto che rischiamo di essere stranieri e anche illetterati nei nostri rapporti con i nostri giovani oggi.
    L’invito a essere “umili” non è altro che la chiamata a essere in contatto con l’humus di quell’ecosistema che alimenta, bene o male i nostri giovani, ma anche noi. Siamo chiamati a essere umili, abbassarsi, uscire da quegli schemi che non connettono più con il linguaggio, l’immaginario, il vissuto dei giovani. Ecco qui sono alcune proposte che ci invitano verso una lettura di quell’ambiente dove noi siamo inviati ad essere realmente servi dei giovani.

    Cosa ci stanno chiedendo oggi i nostri giovani?
    Se stiamo ben connessi con la lunghezza d’onda dei nostri giovani, attraverso un ascolto paziente e accogliente, cominciamo a captare, prima di tutto, il loro bisogno di paternità. I giovani stanno alla ricerca di testimoni, con delle proposte e in degli ambienti che offrano senso di appartenenza e di identità. Un’offerta che non sia frutto anonimo di strutture organizzative efficienti, poche personalizzate. Le esperienze con le quali i giovani entrano in sintonia sono quelle portate avanti insieme a loro da parte di adulti che hanno fatto la scelta dell’ascolto paziente e dell’accoglienza matura e rispettosa dei loro processi.
    La proposta che ‘parla’ e ‘incide’ è quella incarnata dal testimone, più che quella offerta dal maestro. La riflessione del Beato Paolo VI nella Evangelii nuntiandi ancora conserva la sua verità: L'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri (…) o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni (EN n.41).
    Autenticità, coerenza e testimonianza possiamo dire che sono dei valori fondamentali nel confronto dei quali i giovani oggi sono specialmente sensibili. In una società che privilegia l’individualismo come segno della vera riuscita, molti giovani sono alla ricerca di un’altra impostazione diametralmente opposta.
    Ecco allora la domanda che dobbiamo sentire e lasciare che ci sfidi: nella nostra vita comunitaria e nei nostri progetti pastorali quale è lo spazio che dedichiamo all’ascolto paziente e intelligente della storia dei nostri giovani? Quali sono le scelte a livello pastorale dove tale ascolto sia vero e autentico, il frutto del quale poi si vede e si fa sentire più tardi nelle varie piste e esperienze pastorali?

    Comprensione dei segni dei tempi alla luce della fede
    Accanto all’ascolto, segue una lettura, meglio una comprensione alla luce della fede. Siamo chiamati a comprendere la storia come ‘storia della salvezza.’ Arrivare a questa comprensione mistica significa vedere oltre il visibile. Cioè saper cogliere attraverso un ascolto attento come nella fatica e nel dolore, nella speranza e nella gioia del quotidiano esistono germi di bontà, che sempre ci sono, e sempre ci saranno.
    Il nemico numero uno che indebolisce questa comprensione mistica è la superficialità, cioè la mancata volontà e determinazione di andare oltre ciò che si vede, per poter cogliere ciò che è nascosto. Quante volte ci accorgiamo, purtroppo con un triste ritardo, che abbiamo avuto dei giovani con grandi doni ma che non abbiamo saputo ‘leggere’ e ‘decifrare’ i loro talenti e le loro potenzialità.
    Lo stesso vale per alcune caratteristiche di questa nostra società postmoderna che per alcuni di noi rischia di diventare la somma totale del male del mondo. Anche in questo contesto, i germi del bene, i semi del Verbo, non sono assenti. Cogliere queste opportunità non è il frutto solo di studio e ricerca, ma soprattutto è la conseguenza di un cammino e di un impegno personale e comunitario dove Gesù Cristo è il punto di riferimento: Lui e solo Lui!

    Cosa ci sta dicendo il Signore in questo tempo, hic et nunc?
    Al segno dell’umiltà, infine, l’insieme di questi due atteggiamenti conduce a quell’ascolto della volontà di Dio nella storia, oggi, qui. Come in ogni periodo della storia, anche oggi il Signore ci sta dando una nuova opportunità per rinnovarci attraverso l’ascolto dei giovani ma anche nella ricerca e abbraccio della sua volontà. È un processo che non può essere ridotto a livello operativo. È piuttosto è un processo che ci chiede una purificazione da quelle certezze del ‘sempre abbiamo fatto così’, per assumere l’impegno verso le cose essenziali, privilegiando il contatto vivo con Cristo. Passare da una mentalità dove cerchiamo di ‘vendere’ la proposta verso un cammino che sia ‘profetico.’
    Davanti a ciò che il Signore ci vuole dire, non possiamo permetterci scelte banali, atteggiamenti superficiali. La chiamata del Signore, ieri come oggi, non tollera trascuratezza, né improvvisazione. In questo tempo di grazia essere umili ci obbliga verso un ascolto che esprima una doppia fedeltà: verso i giovani e verso Dio. In questo ascolto umile e dinamico, non possiamo tradire i giovani attraverso scelte sbagliate, poche profonde, come potrà essere quella di rinunciare a proporre ai giovani forme di intensa vita cristiana e di sequela radicale di Cristo.

    Empatia – entrare nella storia e non solo commentarla

    L’ascolto conduce al coinvolgimento, all’empatia. Noi consacrati/e, guardando la nostra storia, troviamo un costante nella vita dei nostri fondatori e delle nostre fondatrici: la storia non la commentano, ma la assumono. All’inizio di ogni esperienza carismatica incontriamo una dimensione costante nella sua essenza: la storia è vissuta come locus theologicus, il luogo della Parola di Dio (theou-logos), lo spazio dove il bene cresce attraverso un vissuto di carità, contemplata e condivisa attraverso la donazione consacrata e la vita fraterna, comunitaria.

    Agenti e non spettatori
    Empatia, proprio nel suo significato etimologico, dice un coinvolgimento con le persone che siamo chiamati a servire, nel nostro caso i giovani. Nei loro riguardi l’umiltà dell’ascolto ci spinge ad assumere un ruolo attivo dove la nostra presenza sia fin dall’inizio segno che ‘dice,’ che ‘testimonia’ non qualcosa ma ‘qualcUNO’ più grande di noi. Religiosi e religiose empatici sono quelli che sono pronti a rimboccare le maniche, a sporcarsi le mani, a portare ‘l’odore delle pecore’.
    Sappiamo bene che la tentazione dietro l’anglo è quella di fare i ‘professori’ di turno con la nostra capacità di ‘commentare’ da spettatori. I giovani hanno bisogno di sentirci al loro lato, coinvolti nelle loro trame, persone che sono presenti ed attenti alla loro quotidianità, fluida e incerta come è. I giovani ci vogliono ‘con’ loro, non solo ‘per’ loro. In una cultura dove la crisi della paternità e anche della maternità si fa sempre più sentire, i giovani sono in cerca di adulti con una sana e trasparente affettività, con una intelligente ed accessibile capacità per leggere le sfide attuali, ed infine, persone mature e serene che sanno leggere il tempo con la saggezza e la determinazione del pellegrino.

    Proporre e non criticare
    Ecco allora, l’urgenza sempre più sentita di pastori ed educatori che sappiano proporre cammini pastorali e spazi di educazione integrale ai giovani che rispettano il punto della loro libertà. I giovani non li incontriamo dove noi vogliamo che siano, ma dove essi si trovano. Diventa sempre più chiaro che la empatia pastorale non pone pre-condizioni sui nostri destinatari, ma è ovvio che presupponga alcuni atteggiamenti essenziali da parte dei pastori. Tra questi possiamo dire che vada evitata a tutti i costi la tentazione di criticare, mentre va privilegiata la scelta da parte di chi accompagna che apprezzi e faccia proposte. Va evitata la tentazione che quello che sono o fanno i giovani deve sempre essere oggetto di una nostra opinione, il più delle volte non positiva. Va invece privilegiata la scelta di trovare i punti positivi, piccoli e poco significativi che sia ma che servano per creare relazione, contatto, dialogo. I giovani hanno bisogno di incontrare pastori che sanno accendere una piccola candela nel buio, piuttosto che persone che maledicono le tenebre.

    Cogliere le opportunità
    Dobbiamo noi per primi essere convinti che nel cuore di ogni ragazzo e ragazza c’è una scintilla di bontà che va incontrata, apprezzata ed accompagnata. Bisogna che il punto di partenza nostro sia pieno di quel desiderio di trovare la moneta smarrita, la piccola perla di grande valore, affinché il nostro contributo, la nostra presenza sia come quel poco lievito che ha la capacità di far lievitare la pasta.
    Questo chiede da noi la capacità di cogliere quei momenti informali che sono come dei piccoli segnali, sia da parte nostra come da parte dei giovani, che fanno partire amicizie, relazioni e processi graduali ma sempre più significativi. Nei processi educativi questi momenti nascondono una carica umana e spirituale che non va sottovalutata. La empatia si costruisce in questo quotidiano, consistente modo di essere presenti e attenti alla storia dei nostri giovani.

    Martyria–testimonianza

    Infine, la testimonianza-martyria: spetta a noi capire e comprendere come in una cultura che esalta l’individualismo, e che canonizza il successo e il denaro, i giovani nel profondo del loro cuore sono alla ricerca non tanto delle ‘star’ che domani o dopodomani cadono, ma cercano dei profeti che stando nel tempo lo superano. Questa testimonianza radicata nella trascendenza che è capace di toccare il cuore dei giovani la commenta molto bene Mario Vargas Llosa in una sua riflessione dopo la Giornata Mondiale della Gioventù, Madrid 2011:
    La cultura non ha potuto sostituire la religione e non potrà farlo, se non per piccole minoranze, marginali rispetto al grande pubblico. La maggior parte degli esseri umani trova le risposte - o quanto meno la sensazione che esista un ordine superiore del quale fanno parte e che dà senso e quiete alla loro esistenza - solo attraverso una trascendenza che né la filosofia, né la letteratura né la scienza sono riuscite a giustificare razionalmente.
    La testimonianza di chi ha fatto una scelta per la vita consacrata ha la capacità di lasciare una impronta trascendente nel cuore di chi è alla ricerca del senso. Questa testimonianza vorrei presentarla nelle seguenti tre dimensioni.

    Radicati
    Come persone consacrate il nostro impegno nel campo della animazione vocazionale non decolla se non ci trova impegnati nell’essere radicati nella persona di Cristo. La nostra animazione vocazionale ha bisogno di un punto di riferimento che non si riduce alla capacità di essere buoni animatori, comunicatori o organizzatori. Chiunque è coinvolto nella animazione vocazionale sa benissimo che la testimonianza di una vita radicata in Cristo, quando c’è, i giovani la sentono. Questa radicalità evangelica è vissuta e comunicata attraverso la normale quotidianità dei gesti e dei processi. È una normalità che diventa sia il clima come anche l’humus più adeguati che favoriscono la crescita del germe vocazionale.
    Sembra strano come più la nostra società accantona il discorso su Dio, rendendolo un affare limitato alla sfera del privato, qualche volta anche farlo apparire come ridicolo, più forte è il bisogno, specialmente da parte dei giovani, ma non solo, di persone serenamente radicate nella esperienza religiosa. Il richiamo al sacro e il suo fascino passano attraverso l’incontro che persone radicate in Cristo vivono e condividono con quei tanti che sperimentano sete e fame di senso per la vita.

    Essenziali
    Nella martyria centrale è il tema della ‘essenzialità’, della ‘sobrietà.’ Per vari motivi che non sono solo religiosi e spirituali, l’essere essenziali e sobri diventa sempre più urgente. Accanto al tema della ecologia e del buon uso delle risorse della terra, si sente un grande desiderio da parte di molti giovani di un forte apprezzamento per chi vive la vita in maniera essenziale e sobria.
    C’è da chiederci in questo contesto se il voto della povertà, come ai tempi di san Francesco, non dobbiamo rivalutarlo di nuovo all’insegna di quella dignitosa maniera di fare uso saggio dei beni, di una chiara attenzione ai poveri, di una esplicita solidarietà con le persone che incontriamo. Le nostre comunità religiose hanno una grande opportunità di diventare focolai di solidarietà nel modo di vivere il loro apostolato, di condividere le loro strutture, di essere punti di riferimento a tante persone che sono in ricerca. Per offrire un esempio basta pensare alle nostre scuole, centri di accoglienza, le stesse parrocchie, dove incontriamo tante persone con storie tanto variegate, vicine e lontane dalla Chiesa, ma che con noi, nei nostri ambienti si ‘sentono a casa’.

    Trasparenti
    Infine, il tema della trasparenza, cioè della credibilità. Sento di dire che dobbiamo convincerci una volta per tutti, che con i ragazzi e con i giovani ci troviamo davanti ad una generazione che difficilmente si lascia ingannare. Con una generazione che è stata già ingannata, lasciata sola, abbandonata, senza presente e senza futuro, non possiamo permetterci che siamo anche noi parte di questa categoria di persone! I nostri ragazzi e i nostri giovani meritano meglio.
    Quando una società non è più capace di guardarsi in faccia e fare un buon esame di coscienza, significa che si trova in una crisi profonda. Non è forse lo stesso per noi, persone consacrate? Siamo capaci di guardarsi in faccia, a prendere sul serio l’impegno della credibilità, della trasparenza, che in altre parole significa non essere ipocriti?
    Dobbiamo avere il coraggio anche di ammettere che c’erano e ci sono tutt’ora dei momenti nelle nostre vite, personali e comunitarie, dove c’è la complicità di gesti e di atti di mancata trasparenza, cioè di ipocrisia. Non basta dire che questo non va. Bisogna che siamo onesti nell’impegno di essere persone che le parole e i gesti sono in sintonia tra di loro.

    Concludo questa parte con una riflessione che il vescovo Claude Dagens, francese, ha fatto durante il suo intervento al Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione (9 ottobre 2012). Lui commenta le esigenze cristiane che porta con sé vera una rinnovata evangelizzazione. Indica come la nuova evangelizzazione chiede un rinnovamento interiore nella nostra relazione con Dio e che questo rinnovamento comincia con la preghiera. Noi non possiamo parlare di Dio agli altri se prima noi non abbiamo fatto la nostra conversazione con Lui, nel nome di coloro (i giovani) che qualche volta diventano come dei segni e delle chiamate di Cristo stesso. La vera riforma è radicale quando tocca questa nostra fede in Dio e la nostra stessa vita cristiana.
    E finisce con una citazione di Madeleine Delbrêl quando insisteva che “l’ateismo, l’incredulità e l’indifferenza non devono solo generare carità missionaria. Essi devono essere generatori di una fede viva, una fede ampliata per ricevere più luce... Noi amiamo Dio in modo mediocre, solo perché lo conosciamo mediocremente” (Nous autres, gens des rues, Paris, 1966, p.208).

    CHI, DOVE COME: PER SVILUPPARE UNA PG ALL'ALTEZZA DELLE SFIDE DEL NOSTRO TEMPO

    Passiamo adesso alla seconda parte di questo intervento che offre alcune proposte concrete circa i soggetti, i luoghi e gli strumenti. Vorrei farlo non tanto in forma di indicazioni funzionali, ma piuttosto proponendo quattro linee orientative che sono collegate con quattro aree fondamentali della proposta di pastorale giovanile vocazionale. Immaginiamo questa quattro aree fondamentali come realtà interdipendenti, interconnesse. Ci guida la consapevolezza che ogni cammino pastorale ha a che fare con la vita reale delle persone con i suoi bisogni, ma anche tenendo conto che la vita non solo è una realtà profonda, ma anche complessa. Per conseguenza queste aree non vanno comprese come fasi che si susseguono cronologicamente, ma piuttosto come vasi comunicanti che nel loro insieme e nella dinamica che necessariamente si crea tra loro viene fuori la quotidianità di una proposta pastorale.
    Sinteticamente possiamo presentarle così: la vera crescita umana non rifiuta mai, anzi attende e si proietta verso la dimensione trascendentale. Lo stesso possiamo dire della dimensione fraterna, comunitaria, dove il vivere è segnato dall’accoglienza, il bisogno di sentirsi accolti, abbracciati. Infine, una riuscita e compiuta esperienza umana la vediamo in quella persona che non solo si riconosce come dono, ma di diventare a sua volta dono per e con gli altri, cioè comunicare ciò che si è, con gioia e ottimismo, con intelligenza e creatività.
    Le seguenti proposte vanno lette con la libertà di un cuore pastorale e con l’intelligenza pedagogica di chi sa che ogni persona è portatrice del mistero con i suoi ritmi, limiti e possibilità, e, infine, con la convinzione della fede riconoscendo che noi siamo soli strumenti nella mano di Dio. Quanto bello sarebbe se anche noi potessimo fare nostre le parole di Gesù: “Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare»” (Lc 17,10).

    Curare la formazione umana – vita come un dono che va accolto e curato

    Senza dubbio una delle primissime sfide che dobbiamo riconoscere ed affrontare nel campo della pastorale giovanile vocazionale è quella della formazione umana. Nelle nostre esperienze pastorali, di accompagnamento e di discernimento, è evidente il bisogno di educatori e pastori preparati a cogliere quei primi segni che assicurano sostegno ad ogni cammino vocazionale. Qui parliamo, innanzitutto, di una preparazione integrale, olistica, che assicura un vissuto pastorale che sia integrato all’interno di un cammino personale, impegnato nella propria crescita.

    Educatori e pastori sani
    Centrale e fondamentale è l’essere convinti che il primo dono che si offre nel campo della animazione vocazionale è quello che gli educatori e i pastori siano loro stessi persone in processo di accompagnamento. Oggi più che mai, nel campo della leadership pastorale è indispensabile che chi accompagna sia accompagnato, che coloro che aiutano i giovani verso una maturazione della loro vita siano coscienti che il proprio vissuto è il segno più chiaro ed inequivocabile che comunicano. Non possono esserci agenti nella pastorale giovanile vocazionale che loro stessi/e non sperimentano la fatica del cammino della loro propria crescita.
    Non dobbiamo prendere per scontato che questo sia il caso. Bisogna che di questa necessita parliamo, la prendiamo sul serio e su di essa dedichiamo tempo a riflettere e con lungimiranza a preparare le persone. Se crediamo che l’ambiente insieme ai cammini pastorali siano le condizioni giuste per i processi di accompagnamento personale, verso un vero e proprio discernimento, tutto questo non può diventare realtà se mancano educatori e pastori umanamente sani e spiritualmente vivi. Il tema della formazione dei formatori, insieme alla chiamata di una esperienza personale che testimonia libertà e autenticità non deve essere affrontato con leggerezza.
    Sappiamo bene che nei processi vocazionali determinante è il tema del rapporto umano. Sanità è una meta che assicura i giusti parametri per un cammino umano nel quale la volontà di Dio non soffra interferenze umane dannose. Sanità è una urgenza senza la quale non si è sicuri se corriamo dietro i propri bisogni, e se siamo aperti alla volontà di Dio. I giovani hanno bisogno di testimoni e di ambienti capaci di trasmettere, per via di esempi e modelli, le possibilità di impostare la vita in maniera umanamente sana. È una testimonianza che serve come una cornice per quello che segue.

    Percorsi di conoscenza della propria storia, motivazioni
    Accanto alla attenzione per la figura degli agenti pastorali, in questo campo ci interpella la crescente complessità della vita dei nostri giovani. Se prendiamo solo il tema della famiglia, con le esperienze vissute all’interno di essa o in relazione ad essa, insieme al tema della affettività, ci troviamo davanti ad una frontiera che necessità molta serietà e tanta professionalità. Senza entrare direttamente nelle scelte che vanno fatte e nei percorsi che vanno privilegiati, dobbiamo tener chiara la convinzione che l’accompagnamento spirituale non può fare senza un dialogo sereno e proficuo con le scienze naturali. È un campo che la letteratura sull’accompagnamento spirituale degli ultimi decenni ha preso molto sul serio. Questo percorso aiuta i giovani a scoprire la propria storia, a conoscere il terreno dove cresce e matura la propria esistenza. È un esercizio di familiarità che apre la strada ad un sereno confronto con le varie sfide che trovano le proprie radici nel profondo del cuore.
    Per quelli di noi che formiamo parte di una vita apostolicamente attiva, esiste un rischio che è il seguente: i vari percorsi pastorali e le attività che promulghiamo con i nostri giovani, se non sono vissuti e assimilati all’interno di un cammino di conoscenza della propria storia, sostenuto dalla esperienza dell’accompagnamento spirituale, possono risultare in una fonte di alienazione da quel impegno urgente e doloroso di riconoscere le proprie ferite e abbracciare il proprio passato. Nella fase iniziale della formazione non possiamo perdere la opportunità di offrire e rafforzare una cultura dell’accompagnamento, della conoscenza di sé, e del confronto sereno a livello personale interiore.

    Dare il primato all’esperienza della fede – la scoperta di essere amati

    Alla prima riflessone che tocca direttamente le persone che accompagnano, e le proposte ai giovani verso una crescita umana integrale, passiamo alla proposta fondante che è l’esperienza della fede. Qui propongo tre punti che l’esperienza del cammino ecclesiale in questi ultimi decenni sta confermando.

    Accompagnatori che sono testimoni della fede
    Si parte sempre da chi è chiamato ad assumere la missione di essere educatore e pastore dei giovani. Se a livello umano, nella parte precedente, abbiamo insistito sulla necessità di educatori e pastori sani, qui per conseguenza, insistiamo sulla necessità di educatori e pastori santi. Ogni cammino di pastorale giovanile vocazionale ha bisogno di persone che rendono visibile e viva la proposta. Nel campo nostro questa santità non è qualcosa di astratto, ma si mostra nei rapporti umani, nel modo del come viviamo la nostra vita con i suoi ritmi di lavoro e di preghiera, nella scelta di una vita sacramentale ritmata e consistente, la continuità in quegli impegni pastorali che testimoniano una coerenza e convinzione. Non sottovalutiamo la santità del quotidiano, la serenità e la consistenza con la quale assumiamo e portiamo avanti il nostro ministero. I giovani vogliono e cercano educatori e pastori che la loro presenza silenziosa trasmette il senso del trascendente in maniera ordinaria.

    Amore e familiarità con la Parola di Dio – Lectio Divina
    Da qui seguono due indicazioni che vanno prese non tanto come attività da fare, ma un cammino da proporre. La prima è quella della centralità della Parola di Dio.
    Nei nostri progetti pastorali, che vanno maturati non solo ‘per’ i giovani, ma ‘con’ i giovani, dobbiamo prediligere quei cammini che con chiarezza ma con gradualità mirano all’amore e alla familiarità con la Parola di Dio. ‘Chiarezza’ e ‘gradualità’ che rispettano sia i ritmi dei giovani, da una parte, ma anche le loro nascoste aspettative. Guai a noi, se con dei pregiudizi e delle precomprensioni false, partiamo con l’idea che ai giovani non interessa la Parola di Dio. Gradualmente e con grande pazienza siamo chiamati a offrire ai giovani veri e autentici cammini di pastorale giovanile che non possono rinunciare a guardare al loro futuro, la loro chiamata, la loro vocazione, alla luce della Parola di Dio.
    Propongo qui un pensiero del Beato Paolo VI verso la fine della Esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi che coglie la grande responsabilità che abbiamo perché la vita dei nostri giovani cresca e produca frutto:
    Non sarà inutile che ciascun cristiano e ciascun evangelizzatore approfondisca nella preghiera questo pensiero: gli uomini potranno salvarsi anche per altri sentieri, grazie alla misericordia di Dio, benché noi non annunziamo loro il Vangelo; ma potremo noi salvarci se, per negligenza, per paura, per vergogna – ciò che S. Paolo chiamava «arrossire del Vangelo» (Rom. 1, 16) – o in conseguenza di idee false, trascuriamo di annunziarlo? Perché questo sarebbe allora tradire la chiamata di Dio che, per bocca dei ministri del Vangelo, vuole far germinare la semente; dipenderà da noi che questa diventi un albero e produca tutto il suo frutto (EN n.80).
    Ci incoraggia il fatto che in questo campo, dove c’è veramente un serio cammino di progettazione pastorale, assistiamo a un vero pentecoste della Parola nella vita dei nostri giovani.

    Una profonda vita sacramentale – l’eucaristia e la riconciliazione
    Quello che diciamo per la centralità della Parola di Dio lo riaffermiamo a proposito della vita sacramentale. Nei progetti pastorali la pedagogia della fede passa necessariamente attraverso il vissuto dei sacramenti dell’eucaristia e della riconciliazione. Siamo chiamati a superare una certa concezione secondo la quale i sacramenti ‘si danno’ ad una convinzione che i sacramenti ‘si vivono’. Nel campo della pastorale giovanile vocazionale la vita sacramentale insieme alla Parola di Dio è una via pedagogica per eccellenza che ha bisogno di essere ben progettata, secondo le età, il contesto dei giovani, il punto dove essi si trovano.
    E anche qui, non dobbiamo affrettare a concludere che queste mete sono troppo alte per i giovani. La necessità di un cammino graduale chiede pazienza, sempre all’interno di una visione ampia della proposta pastorale. La proposta sacramentale, come già accennato all’inizio di questa parte, va compresa, condivisa in convergenza con le varie aree che qui stiamo trattando. Per conseguenza, in relazione alla proposta sacramentale, è da evitare il pericolo di vivere i sacramenti come se fossero dei momenti distaccati da tutto il resto. E qui entra la capacità del pastore-educatore che sa integrare la vita sacramentale all’interno del vissuto umano quotidiano, che interpella il vissuto del gruppo e la ricerca personale individuale, come anche la chiamata a vivere il perdono e il nutrimento spirituale come dono che va gustato e condiviso.

    Vita in comunità, in comunione

    Da queste due aree, quella umana e quella spirituale, sempre attenti al rischio che siano erroneamente percepite come auto-centrate e intimistiche, passiamo a due aree che aprono orizzonti di comunione e di comunicazione. Sono due aree che si nutrono dalle prime due e a loro volta fanno fiorire quei semi di crescita umana e spirituale che abbiamo appena commentato. In questa parte commentiamo il tema della comunità e della comunione tenendo conto che sono due aspetti correlati e tra loro dipendenti. Cioè, parliamo della comunità – quella religiosa dei consacrati e delle consacrate come anche quella pastorale – che accoglie e accompagna, ma parliamo anche del gruppo giovanile che sostiene e rafforza il senso di appartenenza e di identità. È importante per noi membri della vita consacrata che queste due esperienze non vadano percepite in maniera distaccata e separata.

    Educatori testimoni e costruttori della comunione
    Spesso volte diciamo che il cammino della pastorale giovanile vocazionale non è un ‘lavoro’ di una persona, ma è una missione di tutta la comunità. La verità di questa affermazione non si ferma sulla soglia di condividere un impegno comune non lasciandolo ad una persona sola. È una verità che risponde al fatto che i giovani che sono alla ricerca della loro chiamata non possono arrivare alla vera e piena maturazione se non si sentono affiancati e sostenuti da una comunità che comunica una vita consacrata autentica. La presenza viva e la partecipazione attiva di una comunità di persone consacrate nei processi di pastorale giovanile vocazionale ha il grande e irripetibile vantaggio che amplifica a dà spessore al progetto pastorale. Non è una persona che accompagna un gruppo, ma una comunità che condivide e accompagna un gruppo o vari gruppi di giovani.
    Rispetto ad altre istituzioni nella Chiesa, crediamo che qui abbiamo un campo che è una opportunità come anche un dono da condividere. Nella considerazione che la nostra società sta fallendo nell’offrire ai giovani spazi umanamente sani di appartenenza, le nostre comunità si trovano in un incrocio storico-esistenziale unico. Noi religiosi siamo come dei testimoni che diciamo le cose senza dirle, che offriamo una proposta vivendola. La sfida è sul come tutto questo lo stiamo vivendo e facendo. Ribadiamo qui il grande apprezzamento dei giovani a quei religiosi e religiose che come comunità coscientemente si mettono come dei pellegrini sul loro cammino, pellegrini sereni, autentici, con una proposta umana e spirituale chiara, consistente, rispettosa. I giovani ci stanno cercando e ci rimangono se siamo quelli che professiamo di essere.

    Esperienza di vita comunitaria – la gioia dell’essere insieme
    L’altra faccia della moneta è la stessa esperienza dei gruppi. L’esperienza associativa nei vari cammini di pastorale giovanile vocazionale non ha bisogno di essere ribadita. Siamo consapevoli della sua necessita e siamo anche testimoni di quanto bene tale proposta sta generando. Non ci soffermiamo sulla necessita del gruppo, ma riflettiamo bene sul come bisogna affrontare tale proposta.
    Se noi partiamo dalla convinzione che il gruppo offre appartenenza e identità, dobbiamo essere molto attenti sul come la dinamica dell’accoglienza è proposta e gestita. Ci chiediamo se l’accoglienza è condizionata, e per conseguenza limitante, oppure se la proposta di vivere il gruppo è ampia, riesce a raggiungere tutti, sapendo che ogni giovane ha la sua storia, il suo percorso le sue necessità. La varietà nella proposta dei gruppi è un obiettivo da tener sempre nella progettazione pastorale. Lo stesso diciamo per i livelli di impegno che ogni giovane accetta di assumere. Qui il tema di una seria progettazione pastorale diventa un elemento chiave.
    Accompagnare tale processo, con le sue diverse proposte, con giovani che si trovano in vari livelli di maturazione personale e disponibilità di assumere impegni sappiamo bene che richiede molta attenzione e impegno. Eppure è qui il bello della pastorale giovanile vocazionale: che a nessuno è tolta la possibilità di sentirsi accolto, accompagnato e positivamente sfidato. Ad ogni giovane possiamo dire ‘vieni e vedi’ con la speranza che ogni giovane ‘venga’, ‘veda’ e ‘rimanga’.

    Una vita di comunione con una missione comunitaria – chiamati e inviati, discepoli e apostoli
    A questo punto facciamo vedere come la convergenza tra la presenza viva e attiva di una comunità religiosa che sostiene e testimonia, da una parte, e l’esperienza dei gruppi di pastorale giovanile vocazionale, dall’altra, crea una sinergia che molti di noi conosciamo perché la viviamo, ma pochi riusciamo a spiegarla pienamente.
    L’esperienza di comunità e di comunione non è fine a sé stessa. Se veniamo insieme è perché siamo stati chiamati, e se siamo stati chiamati, è perché saremo inviati. Qui entra la dinamica evangelica del discepolato e dell’apostolato. La proposta della pastorale giovanile vocazionale ha questo duplice aspetto dove nessuno dei due aspetti può mancare. Se manca la esperienza del venire, crescere e camminare insieme ciò che si fa è puro attivismo, quello che solitamente chiamiamo pastorale solo degli eventi.
    Se invece manca la esperienza dell’uscire e condividere, il gruppo chiudendosi diventa una esperienza di autoreferenzialità e intimismo, che lascia i giovani spiritualmente adolescenti permanenti. Tale cammino non si fa se non ci mettiamo a programmare i nostri cammini pastorali.
    È questo il punto che approfondiremo nella prossima parte.

    Comunicare la fede come gioia del vangelo

    In quest’ultima parte offriamo alcuni spunti per una scelta missionaria più chiara e più coinvolgente degli stessi giovani. Una scelta missionaria che il suo proprio vissuto diventa una esperienza pedagogica di crescita integrale. Ci lasciamo guidare da una riflessione tratta dalla Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium di Papa Francesco dove scrive:
    L’intimità della Chiesa con Gesù è un’intimità itinerante, e la comunione si configura essenzialmente come comunione missionaria. Fedele al modello del Maestro, è vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura. La gioia del Vangelo è per tutto il popolo, non può escludere nessuno. Così l’annuncia l’angelo ai pastori di Betlemme: «Non temete, ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo» (Lc 2,10) (EG n.23).
    È qui che troviamo quell’orizzonte ecclesiale che ci invita a gettare le reti senza paura, a proporre senza esitare, a invitare scommettendo tutto noi stessi nella sequela Christi.

    Pastori e guide che generano partecipazione attiva nella proposta pastorale
    Per noi, pastori e guide, educatori ed accompagnatori, abbiamo una forte chiamata che è quella di essere collaboratori nella costruzione del regno di Dio, una chiamata che non può diventare vittima di un dannoso pessimismo. La nostra forza viene dal Signore che ci chiede di seguirlo. Questo progetto noi lo viviamo insieme con i giovani. Siamo pastori dei giovani perché camminando con Gesù insieme a loro li aiutiamo a scoprire il loro progetto di vita. Per i giovani questa partecipazione traduce il dono della gioia ricevuta in una responsabilità pastorale.
    Davanti a noi deve essere chiaro che tale proposta di coinvolgimento pastorale ai giovani si dà la opportunità di essere protagonisti della propria crescita mentre si è coinvolti in quella degli altri.
    Nelle nostre programmazioni pastorali insieme ai giovani prospettiamo e progettiamo queste esperienze di protagonismo pastorale tenendo conto delle opportunità che esistono e anche dei gradi di capacità che ogni giovani ha nell’assumere tale impegni. Dare ai giovani che sono in questo tipo di cammino di crescita responsabilità pastorali di gruppi di ragazzi e di adolescenti che per loro diventi una opportunità che li matura. Alla luce di un cammino che li prepari, non dobbiamo aver paura di chiedere ai giovani di assumere esperienze pastorali, diventare animatori, catechisti.

    Crescita graduale nella comunione e nella responsabilità pastorale
    La sapienza nel proporre con gradualità cammini e percorsi adatti ai giovani è una caratteristica di ogni buon educatore. Offrire loro anche opportunità di protagonismo pastorale è un passo in più che va studiato bene e progettato meglio. Ed in questo senso, accanto alla proposta pastorale, va anche offerto ai giovani che assumono esperienze pastorali spazio per poter riflettere su tali esperienze. Nel mondo anglofono da qualche decennio si offre il cammino della pastoral reflection, opportunità di fare una valutazione della propria esperienza pastorale.
    Da quanto abbiamo detto, si vede lo stretto legame tra una proposta pastorale per i giovani e tutta l’area del protagonismo pastorale che ne segue. Tenendo conto sulla insistenza che stiamo facendo di una pastorale giovanile vocazionale, siamo chiamati a promuovere con una chiara visione progettuale dei cammini che sappiano promuovere un discepolato che diventi apostolato: giovani apostoli dei giovani, giovani che il dono ricevuto si traduce in una esperienza condivisa.

    Conclusione

    Concludiamo questa riflessione richiamando alcune riflessioni a modo di sintesi. Iniziamo con un commento fatto fa Franco Garelli che attraverso il filtro della ricerca empirica conferma quello che molti di noi conosciamo frutto della nostra esperienza pastorale personale. Garelli è un noto sociologo che sul tema della ricerca vocazionale ha lavorato parecchio. Su una di queste ricerche fatta in Italia nel 2006, quando la commenta scrive la seguente riflessione:
    È raro il caso dove la chiamata vocazionale nasce dall’invito di una persona, come se tutto si limitasse a quel momento breve anche se normalmente molto serio. Più spesso il cammino vocazione è l’esito di una esperienza di vita, frutto di una maturazione di fede che porta all’interrogativo vocazionale. In altre parole, il terreno al quale bisogna dare più attenzione sta diventando sempre di più quello dei gruppi, con delle proposte di fede e di carità che coinvolgono in modo integrale la personalità dei giovani. [1]
    I temi che tocca sono quelli che rappresentano le sfide che siamo chiamati ad affrontare. Sono le stesse sfide che sono richiamate nel documento finale del Congresso sulle Vocazioni al Sacerdozio e alla Vita Consacrata in Europa (1997). Troviamo infatti una citazione tuttora attuale e vera che ritiene le fondamentali verità che sostengono una visione integrale della pastorale giovanile vocazionale:
    Tutta la pastorale e in particolare, quella giovanile, è nativamente vocazionale; in altre parole, dire vocazione significa dire dimensione costitutiva ed essenziale della stessa pastorale ordinaria, perché la pastorale è fin dagl’inizi, per natura sua, orientata al discernimento vocazionale. È questo un servizio reso a ogni persona, affinché possa scoprire il cammino per la realizzazione di un progetto di vita come Dio vuole, secondo le necessità della Chiesa e del mondo d'oggi. [2]
    Questo ci obbliga ancora di più a continuare su questa linea pastorale che non è nuova, però sappiamo bene che ci chiede un atteggiamento di novità e soprattutto una costante conversione pastorale. Conversione, personale e pastorale, sulla quale puntano i due documenti che hanno segnato il rinnovamento della vita consacrata negli ultimi decenni: Perfectae Caritatis e Vita Consecrata.
    Molto illuminante vedere la convergenza della riflessione che si è maturata in questi ultimi decenni tra la pastorale giovanile vocazionale e il rinnovamento della vita consacrata, una convergenza che ci incoraggia prima di tutto a non perdere la memoria del percorso fatto, ma soprattutto a non lasciarci scoraggiare dalla sfide che il Signore ci chiede di affrontare.
    Nel decreto sul rinnovamento della vita religiosa Perfectae Caritatis chiaro è il messaggio sul primato della vita spirituale. È qui che troviamo il perno della dinamica e la fonte della missione pastorale:
    Coloro che fanno professione dei consigli evangelici, prima di ogni cosa cerchino ed amino Dio che ci ha amati per primo (cfr. 1 Gv 4,10), e in tutte le circostanze si sforzino di alimentare la vita nascosta con Cristo in Dio (cfr. Col 3,3), donde scaturisce e riceve impulso l'amore del prossimo per la salvezza del mondo e l'edificazione della Chiesa” (PC n.6).
    L’altro documento è l’Esortazione Apostolica Vita Consecrata che nei titoli delle tre parti contiene le fondamenta del nostro cammino, offrendo le linee fondamentali che abbiamo seguito in questa riflessione: la centralità della fede vissuta e proposta – confessio trinitatis – il dono della vita di comunione e comunità – signum fraternitatis – e infine, l’invito affinché il dono ricevuto va condiviso con gioia e speranza – servitium caritatis.
    Avanti con coraggio, sapendo che questa strada non è nostra scelta, ma è la strada tracciata per noi dal Signore Gesù.


    NOTE

    1. Franco Garelli, “Giovani e vocazione: atteggiamenti, tensioni”, in Note di Pastorale Giovanile 1/2009 – pp. 17-21. Il libro dallo stesso autore e che contiene i risultati di questa ricerca si intitola Chiamati a scegliere. I giovani italiani di fronte alla vocazione, San Paolo Edizioni, 2006.
    2. Nuove Vocazione per una Nuova Europa. Documento finale del Congresso sulle Vocazioni al Sacerdozio e alla Vita Consacrata in Europa, Roma, 5-10 maggio 1997, n.26.


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